Turchia
DHKP-C - Partito-Fronte Rivoluzionario di
Liberazione del Popolo
Rapporto di
Dursum Karatas (Segretario Generale)
al Congresso
di Fondazione del DHKP tenutosi nel 1994
(traduzione dell’opuscolo in lingua inglese distribuito dal DHKP-C, a cura di una prigioniera politica e di un prigioniero politico, 1999)
Introduzione
Saluto tutti i delegati che hanno l'onore di
partecipare al congresso di fondazione del partito !
Compagni,
C'è voluto molto tempo per preparare il
congresso. Questo lungo tempo è il tempo della storia della genesi di questo
congresso. Questa storia è fatta di tristezze, gioie, martiri, tradimenti ed
eroismi. Senza aver dato vita ad un'organizzazione rivoluzionaria, senza aver
resistito anche nelle più diverse circostanze, senza esserci rialzati in
seguito alle cadute, senza un'ideologia che, qualunque fossero le circostanze,
non si fa trascinare a destra e a manca, questo congresso non avrebbe potuto
realizzarsi.
Quando abbiamo indirizzato i nostri lavoratori
verso la missione del partito, abbiamo dovuto scrivere una storia che non ci
avrebbe fatto tornare indietro, giorno per giorno abbiamo dovuto compiere nuovi
passi in cui le nostre azioni fossero conseguenti alle parole, abbiamo dovuto
mantenere le promesse e sostenere dure prove.
La fase precongressuale è quella della storia
che abbiamo scritto.
Questa storia è di fatto la storia dei nostri
compagni caduti, i nostri martiri, scritta col sangue. Essi possono anche non
essere fra noi fisicamente, ma sono presenti con i loro pensieri, la loro
lotta, il loro stile di vita ed il loro sogno di lotta organizzata dal partito.
Sono insieme a noi e noi siamo più forti insieme ai loro pensieri ed alla loro lotta. Coloro che non
hanno abbassato la testa di fronte al
nemico nelle situazioni più difficili, che sono morti ma non si sono arresi, ci
guardano continuandometterci alla prova. Per dar seguito alla loro eredità
dobbiamo superare queste prove.
Ora, dopo anni, il nostro compito più
impellente è quello di coronare questo congresso con la fondazione di un
partito che sia in grado di farci superare gli ostacoli.
Scrivendo la nostra storia, abbiamo imparato
a combattere e ad organizzarci. Abbiamo imparato a conoscere meglio i nemici
interni ed esterni. Abbiamo imparato che l'impegno, il sacrificio e la forza
sono necessari per avere la meglio sul nemico. Questo congresso non sarebbe
stato possibile senza aver scritto questa storia, senza aver attraversato
questa fase di apprendimento, senza aver superato le prove nei molteplici campi
della lotta. La nostra storia è ricca di fatti da osservare e studiare con
attenzione. Forse questa storia non è stata scritta prima nel corso di una
rivoluzione, ma possiede un'unicità che non può essere rinchiusa in ambiti teorici.
Nostro compito è lo studio di questa unicità nello sviluppo della nostra storia
al fine di trarre insegnamento da essa. La genesi del nostro movimento risale
al 1974. Allora abbiamo imparato dal THKP-C ed abbiamo scelto questa linea.
Nel 1977-1978 abbiamo cominciato a preparare
la rifondazione del THKP-C ed a mostrare alle masse popolari l'ideologia e la
prassi del Partito-Fronte imparando a guidarle.
Il periodo attorno al 12 settembre 1980 è
stato il periodo del tradimento, dei sacrifici, della resistenza, durante il
quale abbiamo imparato a cadere ed a risollevarci, a conoscere meglio amici e
nemici, a sviluppare la consapevolezza della forza.
Dal 1985 al 1990 abbiamo imparato la ritirata
ed il rafforzamento.
Il 1990 ha segnato la riuscita della crescita,
è stato l'anno dell'accelerazione della marcia verso la rivoluzione.
Il 12 luglio 1991 ha smascherato il vero
volto della guerra: una guerra senza regole, di cui sapevamo il prezzo che
avremmo dovuto pagare.
Il 16-17 aprile 1992 abbiamo aggiunto alla lotta,
la resistenza attiva, abbiamo imparato ed insegnato che coloro che non perdono
la fede nel socialismo -anche di fronte alla morte- e che amano il proprio
paese ed il popolo non si arrendono mai, qualunque siano le circostanze. Questi
sono stati gli anni in cui Devrimci Sol è diventato immortale agli occhi del
popolo. Dal 13 settembre 1992 abbiamo visto realmente in che modo il nemico
interno diventava un nemico esterno che attaccava il nostro movimento con lo
scopo di distruggerlo e che, mascherato da amico, si univa agli imperialisti ed
ai loro collaboratori nazionali cercando di distruggerci.
Durante questo periodo non siamo stati
sufficientemente attenti ai danni che il nemico interno avrebbe potuto causare.
Durante questo periodo abbiamo dovuto prestare
maggiore attenzione al nemico interno e da questa lotta ne siamo usciti più
forti e con una migliore conoscenza dell'arte della politica.
Questo congresso è la dimostrazione che siamo
usciti vincitori da questa 1otta, che abbiamo sfidato il nemico. I nemici
interni ed esterni ci hanno attaccato fisicamente, ideologicamente,
psicologicamente con ogni metodo immaginabile per impedirci di svilupparci come
Partito-Fronte ed avanguardia delle masse popolari. Seguire il partito
significa avere un'enorme forza di volontà e condurre una lotta ancor più
grande e complessa. Abbiamo quindi voluto che il partito fosse un'arma. La
funzione di quest'arma era quella di farci superare gli ostacoli e di far
accelerare il cammino rivoluzionario. Anche i nostri nemici interni ed esterni
hanno visto questa realtà e, dal momento in cui abbiamo cominciato i
preparativi per la fondazione del Partito-Fronte, hanno aumentato anche gli
attacchi, distruggendo parecchie nostre organizzazioni e valori. Abbiamo perso
un sacco di tempo a causa loro, ma oggi, riuniti in questo congresso, abbiamo
sottratto loro tutte le armi ed i loro attacchi sono stati vani.
Alla presenza di tutti coloro che lavorano
duramente, della classe lavoratrice, dei contadini poveri, dei patrioti, degli
intellettuali e davanti ai popoli del mondo ribadiamo che non ammaineremo la
bandiera della liberazione, anche se non dovessero esserci più né una sola
organizzazione, né un solo paese nel mondo in difesa della liberazione. I
nemici, sia quelli interni che quelli esterni, non riusciranno a gettare a
terra questa bandiera. Il nostro congresso è il momento in cui innalziamo
ancora più in alto questa bandiera, la bandiera del marxismo-leninismo.
Questo congresso è un duro colpo a tutti i
nostri nemici interni ed esterni e a tutti coloro che si apprestavano a
celebrare il nostro funerale.
Questo è un congresso speciale, dato lo
sviluppo della nostra storia, la linea intransigente contro il nemico, la
accanita resistenza in una situazione di dura oppressione e date le caratteristiche
del nostro tempo, considerate sia nel contesto passato che in previsione del
futuro. Dobbiamo comprendere la storia, la storia del nostro movimento, e
dobbiamo pensare alla vittoria. Questo congresso apre la strada alla vittoria.
I nemici tenteranno di tutto per impedire la lotta del popolo del
Partito-Fronte: aumenteranno gli attacchi in un modo mai visto ed useranno
metodi inimmaginabili per fermare le decisioni di questo congresso. Non abbiamo
mai ottenuto facilmente vittoria e valori, non ci è mai stato dato niente per
niente. Abbiamo conquistato quasi tutto per mezzo della forza, di molto impegno
e sangue. Per difendere i nostri valori e le conquiste e per vincere, dovremo
lavorare sodo e provare con ancora più decisione; scorrerà altro sangue.
Il Partito-Fronte sarà l'incubo dei nostri
nemici e diventerà simbolo di fiducia, futuro e speranza del nostro popolo e
dei nostri amici.
Gli occhi del popolo delle nazioni turca e
kurda, del popolo arabo, circasso, georgiano e di tutte le altre nazioni
presenti nel nostro paese sono puntati su questo congresso.
I nostri combattenti, quadri e simpatizzanti
attendono da questo congresso, con grande speranza ed entusiasmo, novità/le
decisioni del Partito-Fronte. Non lasceremo i nemici senza immagini terrificanti
e non lasceremo gli amici senza notizie di speranza.
Per una migliore conoscenza delle
caratteristiche storiche di questo congresso e per dare un quadro del nostro
futuro, presento a voi, compagni delegati, a tutti i quadri ed al popolo, un
rapporto generale sulla storia del nostro movimento ed un mio rapporto
sull'attuale situazione ed i miei pensieri riguardanti il futuro. Siamo giunti
qui, in quanto dirigenti, responsabili e combattenti, dai diversi ambiti di
questa orgogliosa e fiera storia.
La nostra storia è piena di caratteristiche
raramente viste nella storia rivoluzionaria. E' una storia scritta da coloro
che, qualunque fossero le circostanze, hanno gridato la verità, hanno
affrontato e resistito a tutti gli attacchi, hanno seguito con costanza la via
della rivoluzione, a dispetto di sofferenze e tradimenti, e non hanno esitato a
dare se stessi e a morire combattendo. I martiri caduti raccontano di una
storia fatta di eroismo e tradimento.
Noi, con i nostri errori e valori, con la
nostra forza e debolezza, noi, in quanto soldati di questa ricca storia, non
dobbiamo permettere la distruzione dei suoi veri protagonisti, coloro ai quali
essa appartiene realmente, i nostri martiri, i torturati, i feriti, i
prigionieri, coloro che ci hanno dato fiducia e che hanno accelerato il
processo rivoluzionario, che sono le torce del nostro cammino. Essi saranno
sempre gli elementi più valorosi della nostra lotta.
Gli imperialisti, l'oligarchia
collaborazionista, l'ideologia borghese, gli opportunisti che la seguono, e i
revisionisti possono distruggere, possono distorcere ed oscurare la verità,
comunque ben nota al mondo intero, ma non hanno la forza di cancellare la
storia, radicata nella memoria del popolo, scritta col sangue da centinala di
martiri e da migliaia di prigionieri. Questo è importante non solo per la
storia della rivoluzione, ma lo è anche per la storia della società. Noi siamo
stati in grado di rompere l'assedio dei nemici grazie alla storia, scritta dai
nostri martiri, contro gli attacchi interni od esterni e qualunque fosse la
maschera indossata e le false parole dell'imperialismo e dell'oligarchia. I
nostri compagni hanno resistito senza arrendersi, creando in questo modo una
fiducia e una consapevolezza tali da rendere possibile la penetrazione nelle
fila nemiche e tali da dar vita al
nostro illimitato credo nel marxismo-leninismo e alla fiducia nel nostro popolo
ed in noi stessi.
Lo sviluppo di questa fiducia nel corso degli anni
Siamo un movimento che non è stato indebolito
o distrutto, nonostante le insidie, le difficoltà e le molte calamità. Malgrado
gli attacchi e le diverse battute d’arresto, la nostra forza ed influenza crescono sempre più velocemente. Questo è uno
sviluppo positivo.
Per analizzare tale sviluppo, seppur
brevemente, è giusto osservare le difficoltà e le dimensioni ideologiche del
nostro movimento, gli amici ed i nemici.
Nel momento in cui il nostro movimento è
entrato nel teatro della storia, si è aperto un nuovo capitolo della storia
rivoluzionaria della Turchia. Esso non è separato dal THKP-C, dai suoi leader e
combattenti, specialmente da Mahir Çayan,
poiché essi hanno distrutto le barriere innalzate dagli opportunisti e dai
revisionisti e, con la loro vita di volontà e sacrificio, hanno mostrato ai
rivoluzionari ed alle forze di sinistra la realtà rivoluzionaria, il cammino
ideologico e politico verso il potere e la liberazione del popolo.
Il legame tra Devrimci Sol ed il THKP-C non è
dovuto soltanto al fatto di avere la stessa ideologia o prospettive simili. Questa
unità si è espressa nell'ideologia, nella politica e nella pratica,
essenzialmente nella responsabilità verso il popolo, nostro e del mondo intero,
nella determinazione, nello spirito e nella consapevolezza della forza, nella
disponibilità al sacrificio e nel saper dare anche la propria vita.
Al giorno d'oggi i diversi gruppi - che si
definivano organizzazioni o partiti - che si erano assunti il compito di
"difendere" ogni singola parola del THKP-C, trasformandolo così in
una caricatura, e che si erano separati dalle masse, non esistono più. Non
esistono fisicamente e non hanno mantenuto nemmeno la propria ideologia o
filosofia. La ragione principale per cui sono scomparsi è dovuta al fatto che
non sono riusciti a capire come il THKP-C c'entrasse con loro. Il
Partito-Fronte ha sempre applicato il marxismo-leninismo in base alle
situazioni concrete e preso una posizione chiara contro l'imperialismo,
l'ideologia borghese e i suoi tentacoli: l'opportunismo ed il revisionismo.
THKP-C significa difesa, a qualunque prezzo,
della lotta armata in quanto modo per sconfiggere lo stato dell'oligarchia e
per stabilire il potere rivoluzionario del popolo. E ' questo che non hanno
capito.
Il THKP-C ha compreso e fatto proprio il
fatto che l'imperialismo avrebbe potuto mutare il proprio aspetto, politico od
economico, ma che non avrebbe mai cambiato i metodi di sfruttamento e di
oppressione. E' questo che gli altri non hanno capito. Esso non considerava il
marxismo-leninismo soltanto in base ad una rivoluzione nel nostro paese: ha
sviluppato ed applicato teoria e pratica a partire da una prospettiva
internazionalista.
Il THKP-C ha definito la tesi che è
impossibile fare la rivoluzione senza considerare la storia nelle sue
catteristiche psicologiche, sociali e culturali (dando vita ad una lotta a
partire da una autentica dimensione internazionale, senza tener conto della
realtà del proprio paese per organizzare il popolo).
Secondo il THKP-C, un movimento popolare non
può svilupparsi senza conoscere la storia, senza far propri i momenti storici
progressisti e rivoluzionari. Per questo motivo si è schierato contro
l'imperialismo e la borghesia ed ha "fatto crescere tutte le istituzioni
che avessero un carattere popolare e a volte anche di singoli individui.
Il THKP-C ha agito concretamente contro tutte
quelle forme burocratiche e revisioniste, contro tutte quelle misure che
cercavano di dar ordini dall'alto al popolo, contro tutti coloro che non
mettevano in pratica le loro belle parole, che amavano le chiacchiere e che non
davano speranze al popolo. Esso non ha accettato niente di tutto questo: ha
combattuto contro l’inganno dell'opportunismo ed è diventato un movimento che
ha saputo dare al popolo speranze e sicurezze.
Tutte queste caratteristiche, ed altre che
non stiamo qui a menzionare, hanno reso il THKP-C un movimento immortale agli
occhi del popolo, un movimento presente con la sua forza anche in quelle
situazioni che non permettevano un contatto diretto col popolo. Ne è emerso uno
stretto legame con il popolo, che si è sviluppato in quella forza che ci
avrebbe condotto verso il futuro. Ne è emerso un movimento di resistenza senza
secondi fini, che sapeva innalzare barricate contro gli attacchi.
Coloro che non sono riusciti a capire i
princìpi universali del THKP-C, non hanno nemmeno capito come, a dispetto di
tutte le accuse e di tutti gli attacchi dell'oligarchia, esso abbia potuto
lasciare dietro di sé un tale potenziale, anche quando non esisteva più
fisicamente, e non hanno proprio capito come abbia potuto riorganizzarsi così
in fretta anche dopo quelle denunce e quegli attacchi fatti da coloro che erano
alla mercé dell'oligarchia.
Quando, durante il periodo buio del 12 marzo
1971, il THKP-C ha innalzato con la lotta armata la bandiera della libertà e
della liberazione del popolo, l'imperialismo, l'oligarchia, l'opportunismo ed
il revisionismo hanno unito le loro forze contro di esso.
I leader ed i combattenti hanno fatto i conti
con questa situazione ed hanno visto che, qualunque fossero le circostanze,
dovevano gridare la verità rivoluzionaria. Contemporaneamente allo sviluppo
della lotta, elementi piccolo-borghesi all'interno del THKP-C hanno innescato
un processo controrivoluzionario, non avendo capito il difficile cammino
rivoluzionario, la forza del proletariato e la brutalità della borghesia, e
producendo traditori.
Questi traditori hanno progettato la rottura
col popolo, indebolendone l’unità, e sono andati anche oltre a questo,
propagandando l'abbandono della lotta armata contro l'imperialismo e
l'oligarchia. Hanno ribadito le loro teorie sull'imperialismo - dichiarandolo
pacifico e definendo democratici progressisti i suoi collaboratori turchi -
nelle carceri, nelle camere di tortura e nei tribunali della giunta militare.
Il THKP-C ha mostrato il significato
dell'imperialismo e del revisionismo quando essi volevano imporre ai popoli del
mondo il "nuovo ordine mondiale" e quando parlavano di
"capitalismo pacifico".
Uno dei più preziosi valori del nostro
retaggio è quello di non essere scesi a compromessi in caso di attacchi e
tradimenti e di non aver mai esitato nella prosecuzione della lotta armata.
Il 30 marzo 1972 ovunque si è udita la voce
del THKP-C. Esso era stato distrutto fisicamente, ma la lotta armata,
intrapresa per un breve periodo, aveva creato un enorme potenziale tra i
giovani, i lavoratori, i contadini ed i diversi settori della popolazione: era
diventato la forza più importante, indistruttibile e forte di questo
potenziale.
Se questo potenziale capiva la prospettiva
del THKP-C e si preparava a seguirne il cammino, altri l'hanno rifiutata. I
vecchi sostenitori e combattenti del Partito-Fronte, imprigionati nelle carceri
dell'oligarchia, una volta scarcerati hanno cominciato a tradire, sviluppando
teorie che legittimavano tale tradimento, conseguenza della loro personale
debolezza e mancanza di fiducia. Questi traditori, pur differendo tra loro in
sfumature minime, non avevano capito né il potenziale creato dal THKP-C con la
lotta armata, né il suo messaggio al popolo.
Hanno tradito la loro stessa storia, il
proprio passato e tutte le cose positive costruite in passato.
È stato un successo dell'oligarchia: mentre
la lotta ci ha fatto compiere passi in avanti ed ha creato un grosso
potenziale, abbiamo anche imparato a conoscere il tradimento che in futuro
avrebbe così spesso ostacolato il nostro cammino, metodo che sarebbe stato
tentato e ritentato molte volte ancora.
Abbiamo imparato dai traditori, così come
abbiamo imparato che è importante schiacciare il tradimento e proseguire il
cammino senza dubbi.
I traditori hanno cercato di cambiare la
linea del THKP-C per far sì che fosse tollerata dall'oligarchia, cercando di
formare un'opposizione a sinistra del Partito-Fronte. Gli ex quadri leader del
THKP-C, una volta scarcerati, si sono mossi nell'arena politica con un nuovo
nome criticando diversi punti della linea del Partito-Fronte. Questo fatto si
può considerare pari al tradimento di Yusuf Küpeli e di Münir Ramazan Aktolga
avvenuto nel 1971 quando il THKP-C si trovava sotto il fuoco nemico da ogni lato.
Infatti, anche se le
dichiarazioni erano diverse, la loro
condotta non differiva da quella di Yüsuf Küpeli e di Münir Ramazan Aktolga che
avevano elogiato l'imperialismo, si erano offerti all'oligarchia e avevano
fatto appello alla resa dei rivoluzionari.
Mentre i prigionieri elaboravano teorie per
meglio liquidare il Partito-Fronte, i giovani e la gente di diversi settori
della popolazione, negli anni 1972-'74, aspettavano speranzosi - non sapendo
nulla del tradimento - che, coloro che nel frattempo erano diventati strumento
della borghesia ed avevano perduto coscienza e consapevolezza, indicassero loro
la via. In generale, in questo periodo, il potenziale del THKP-C ed in parte
quello del THKO hanno portato avanti lo spirito e l'entusiasmo della lotta
armata. La volontà era quella dell'attacco offensivo ed hanno creduto nella
loro lotta, anche se allo stesso tempo erano giovani e privi d'esperienza: non
conoscevano sufficientemente bene il tradimento, l'opportunismo e l'egoismo. I
fatti di quel periodo si possono considerare il nucleo del nostro movimento,
perché, nonostante tutte le lacune, queste persone -consapevolmente od
inconsapevolmente- hanno cominciato a costruire la resistenza contro gli
attacchi dei revisionisti, degli opportunisti e dell'oligarchia al
Partito-Fronte. Fra i giovani ed i numerosi settori della popolazione sono
sorti dei gruppi che difendevano la linea della lotta armata, la linea del
THKP-C e che diffondevano i propri scritti. Essi hanno cominciato ad
organizzare la lotta economico-democratica dei giovani sviluppandola in lotta
antimperialista ed antifascista.
L'oligarchia non considerava più un pericolo
i vecchi quadri prigionieri -che lavoravano per legittimare il proprio
tradimento- e, considerandoli invece utili, li ha scarcerati con un'amnistia
generale nel 1974. Ai giovani, che avevano riposto le proprie speranze in
coloro che ritenevano rappresentassero il Partito-Fronte, era crollato il
mondo. Quasi tutti, dopo la scarcerazione,
hanno cercato di portare il THKP-C a destra. Qualche frangia, ben
lontana dalle masse, è degenerata nel terrorismo individuale.
Alcuni non hanno osato attaccare apertamente
il Partito-Fronte, affermando di difenderlo e dichiarando che la lotta armata
era iniziata in un periodo in cui non vi erano presenti le condizioni
soggettive per farlo e che questa era la ragione per cui erano stati sconfitti.
Altri, dopo la scarcerazione, riconoscendo
l'enorme potenziale presente fuori dal carcere, hanno deciso di tenere nascoste
le loro reali opinioni ed hanno perseguito una tattica che mirava a portare
dalla loro parte l'enorme potenziale di direzione presente tra i giovani, al
fine di diffondere e far accettare in futuro il proprio opportunismo. Questi
rinnegati, che in carcere avevano scelto il tradimento, che avevano tradito i
compagni e che essenzialmente avevano chiuso con la lotta armata, sono stati
improvvisamente accecati dalla forza di questo enorme e giovane potenziale ed
hanno deciso di rientrare nell'arena politica.
Non avevano la fiducia né il sentimento per
portare avanti una causa così importante
quale è la rivoluzione, nonostante dicessero di condividerne il medesimo credo
e, nel tentativo di organizzare l'enorme potenziale, si sono frammentati in
tanti gruppuscoli con un'incredibile velocità.
Come se in carcere non si fossero separati
dal Partito-Fronte, hanno cercato - in un modo o nell'altro - di assumersi il
compito di "difenderlo".
I giovani quadri, che avevano creato il
potenziale del THKP-C, si sono trovati di fronte ad una responsabilità storica:
difendere la linea del Partito-Fronte, la linea della lotta armata, la linea
dei martiri rivoluzionari e dei nostri dirigenti, mentre masse di elementi
vecchi, corrotti e bugiardi tentavano di fare quanto era prevedibile e cioè di
prendere in mano questo potenziale rivoluzionario.
Alcuni l'hanno fatto direttamente con le
parole della borghesia, altri si sono nascosti dietro la maschera della scienza
e delle teorie, ma tutti hanno lanciato un attacco ideologico che, aggiunto a
tutte le chiacchiere, le speculazioni e le accuse, ha mostrato in modo palese
il fatto che essi non solo proseguivano su questa strada, ma che allo stesso
tempo insultavano i nostri martiri.
Intanto stavano emergendo i gruppi fascisti,
organizzati dall'oligarchia per combattere questo potenziale rivoluzionario per
mezzo di attacchi terroristici. Il compito dei giovani allora è stato sia
quello di intraprendere la lotta contro i traditori della rivoluzione, sia
quello di combattere le aggressioni fasciste, ed allo stesso tempo di guidare
ed organizzare la lotta democratica nelle università.
I rinnegati non avevano certamente di questi
problemi: erano occupati a legalizzare i loro ordini pii, rafforzandoli e
trascinando la gente dalla loro parte. Per questa ragione non hanno voluto
accettare i compiti pratici ed hanno ignorato gli attacchi fascisti. Hanno
definito provocazione la lotta, basata sulla violenza rivoluzionaria, contro le
aggressioni fasciste ed hanno cercato di ostacolare i giovani e di portarli
dalla loro parte. Nonostante ciò e nonostante i loro discorsi demagogici, le
teorie di questi rinnegati non sono nemmeno state prese in considerazione di
fronte all'evidenza dei problemi del popolo e del numero crescente degli
attacchi fascisti.
Possiamo dire che i giovani hanno saputo
riconoscere "difensori" e rinnegati del THKP-C nella pratica della
lotta e quindi riunirsi attorno alla fondazione del Partito-Fronte. In questo
periodo è venuta alla luce ogni sorta di opportunismo ed accusa che questi
rinnegati hanno impiegato per la costruzione dei loro ordini pii.
Questi giovani si sono resi conto del fatto
che non era rimasto più nessuno che potesse mostrare loro il cammino, nessuno
in cui credere e da seguire. Questi pensieri e sentimenti si sono ben presto
sviluppati e trasformati in fiducia in se stessi, e tale fiducia si basava,
nonostante tutto, sulla linea del THKP-C, sfidando il nemico per mezzo della
lotta armata e dando voce al popolo. I nostri leader sono i leader caduti, sono
i combattenti morti per la rivoluzione e, per poter proseguire il cammino da
loro tracciato, abbiamo dovuto imparare ad essere dei buoni allievi ed a
comprendere le loro parole.
Se la storia rivoluzionaria dovesse
giudicarci, questo giudizio si baserebbe esclusivamente sul fatto se eravamo in
grado o meno di portare la bandiera della rivoluzione consegnataci dai martiri
e dai leader che per questa hanno rischiato la propria vita. Eravamo giovani,
inesperti, circondati da coloro che cercavano soltanto il profitto, e la
mancanza d'esperienza ci ha indebolito.
Abbiamo accettato l'eredità dei compagni
martiri facendoci forti del nostro passato, intraprendendo nuovamente la lotta
contro l'opportunismo, il riformismo ed il nemico al nostro interno ed
imparando a combattere dentro la lotta stessa. Né l'oligarchia né
l'opportunismo potevano sconfiggere questa forza. Ciò ci ha permesso di
compiere ogni giorno dei passi in avanti: siamo diventati dei combattenti
migliori ed abbiamo imparato a riconoscere il tradimento.
Man mano che imparavamo riguardo la lotta, la
realtà rivoluzionaria ed il nostro passato, abbiamo sempre più fatto nostro il
THKP-C, la sua direzione, la sua grandezza nelle situazioni del suo tempo e la
sua dedizione per la rivoluzione.
Un po' alla volta abbiamo cominciato a
constatare come imperialismo ed oligarchia cercassero di infiltrare traditori e
rinnegati nelle fila rivoluzionarie e in che modo cercassero di soffocare la
rivoluzione fin dal suo nascere. Diciamo che in questi anni abbiamo cominciato
a capire che dovevamo tracciare una linea di demarcazione tra il
marxismo-leninismo e l'opportunismo ed il riformismo.
Gli opportunisti ed i riformisti hanno
tentato di infiltrarsi nelle nostre fila utilizzando migliaia di travestimenti.
Coloro che non avevano niente a che fare col
Partito-Fronte hanno cercato di imporci le loro opinioni opportuniste e
revisioniste utilizzando il nome del THKP-C.
Fin dal 1974 abbiamo cominciato apertamente a
sollevare la bandiera della battaglia ideologica contro questi elementi vaganti
e senza carattere.
Abbiamo svelato il loro vero volto e,
all'interno delle organizzazione democratiche giovanili e popolari, non abbiamo
permesso loro di nascondersi dietro la maschera del THKP-C.
A questo punto vorrei ricordare tutti i
compagni, innanzitutto Niyazi ed ibrahim che in questa lotta
hanno avuto un ruolo importante, dimostrando sempre il loro legame con il
THKP-C e mantenendo viva la loro posizione radicale.
In questi anni ci siamo resi conto che
dovevamo organizzarci con urgenza. Dovevamo affrontare i rinnegati, gli opportunisti
e l'oligarchia ed abbiamo cominciato a capire che dovevamo immediatamente
riprendere la lotta armata.
Certamente il nostro atteggiamento di allora
non poteva essere soltanto di natura ideologica. La nuova generazione ha difeso
il THKP-C su tutti i fronti, conducendo ogni genere di lotta: armata, non
armata, ideologica e politica.
Questi rinnegati, nascosti od aperti, nel
constatare la nostra offensiva e la nostra capacità organizzativa, hanno
cercato di indebolirci utilizzando qualsiasi mezzo, dai giochetti alle accuse.
Questi elementi, che si sono infiltrati in parecchie strutture utilizzando il
nome del THKP-C e che hanno cercato di prenderne la direzione, erano degli
imbroglioni talmente fifoni ed opportunisti che non hanno nemmeno rischiato un'aperta
battaglia ideologica. Abbiamo bloccato tutti i loro tentativi di liquidarci
prendendo la direzione della lotta nella pratica ed abbiamo strappato la
maschera dal loro volto. Alcuni si sono uniti ai revisionisti del TKP [Türkiye
Komünist Partisi, Partito comunista turco, da non confondersi con il TKP/ML,
ndT], altri hanno trovato il loro posto tra le fila dei nazionalisti borghesi
del PDA [Proleter Devrimci Aydinlik [Chiarezza rivoluzionaria proletaria].
Nelle nostre fila molti si sono fatti
influenzare da questi opportunisti, dalla loro maschera e dalle loro frasi
fatte.
La teoria del socialimperialismo -nascosta
dietro la maschera di una finta linea del THKP-C sostenuta da Ömer Güven, che
in seguito sarebbe entrato nell'Aydinlik (PDA), e dai suoi complici- è stata la
ragione per cui un consistente numero di persone, che difendevano la linea del
THKP-C, è entrato nell'Aydinlik. Questi opportunisti hanno in tal modo permesso
al PDA di conoscerne e di trovarne altri come loro all'interno delle nostre,. strutture.
Ciò si era infatti dimostrato quando, tolti dalle loro attività, essi hanno di
fatto trovato il posto che a loro più confaceva, nell'Aydinlik o con i
revisionisti del TKP.
Il gruppo che allora operava come Devrimci
Genclik [Gioventù rivoluzionaria] e più tardi come Devrimci Yol [Sentiero
rivoluzionario], che affermava di difendere la linea del THKP-C, si limitava ad
osservare gli attacchi compiuti apertamente dagli opportunisti al
Partito-Fronte. Invece di unirsi e prendere una posizione comune contro tali
attacchi, hanno cominciato a "flirtare" con gli opportunisti. La
nuova generazione ha quindi dovuto assumersi il compito di difendere la linea
del THKP-C, raccogliendone il potenziale.
Gli opportunisti ed i rinnegati si sono così
trovati di fronte alla barricata innalzata dai giovani. Questa nuova
generazione, con tutta la forza e la debolezza che aveva a disposizione, ha
difeso lo spirito del THKP-C.
Durante questo periodo, ogni sorta di
deviazione dalla linea del Partito-Fronte ha avuto modo di prosperare ed i suoi
rappresentanti hanno tentato così di prendere posto nell'arena politica. In
breve tempo i giovani hanno imparato -dimostrando una maturità straordinaria
per la loro età- a prendere le misure necessarie per far fronte agli attacchi
nemici, diventando in questo modo i nostri maestri.
I Primi
Nuclei del Nostro Movimento: il Kurtulus Grubu [Gruppo di Liberazione]
Nel 1975 i giovani, soprattutto quelli di
Istanbul, che rappresentavano una forza piuttosto consistente, hanno difeso
l'ideologia del THKP-C. Mobilitando migliaia di persone, combattendo, opponendo
alle aggressioni fasciste la violenza rivoluzionaria e sentendo la necessità di
organizzare in maniera vasta le masse popolari, hanno sviluppato la
consapevolezza dell'organizzazione clandestina, facendola progredire.
Giorno per giorno le necessità della lotta
sono cresciute a diversi livelli.
Noi, in quanto organizzatori, dirigenti ed
esecutori di quasi tutte le azioni armate e gli scontri di massa, abbiamo
mantenuto la nostra posizione come leader legittimi dei giovani.
Gli sviluppi politici e la pratica di quel
periodo ci hanno insegnato che, accanto alle esistenti forme democratiche di
organizzazione, si dovevano compiere ulteriori passi e sviluppare altre forme
di organizzazione. Con questa convinzione abbiamo peso posto nell'arena
politica come Kurtulus Grubu. Il gruppo Kurtulus ha dimostrato in modo
convincente la propria legittimità e forza in parecchie elezioni, nella lotta
contro l'opportunismo ed il revisionismo e in diverse dichiarazioni politiche.
D'altro canto, la vera missione del gruppo Kurtulus è stata quella di compiere
dei seri passi in avanti nella costruzione di un gruppo marxista-leninista che
difendesse i valori e le opinioni del THKP-C contro gli aperti attacchi provenienti
sia da destra che da sinistra alla sua ideologia, un gruppo che guidasse la
lotta, armato dei valori del THKP-C, di forza di volontà, di rivendicazioni, di
fiducia in se stesso e che non deviasse mai, in nessuna circostanza, dalla
linea rivoluzionaria.
Con la formazione di questo gruppo, per un
periodo, a partire da Kizildere, un movimento, al fine di diffondere
l'ideologia del THKP-C, ha raccolto centralmente e distribuito in tutto il
paese le parole di Mahir Çayan,
stampando anche moltissime copie delle parti I, II e III della sua opera La rivoluzione ininterrotta. In questo
modo i valori e le opinioni del THKP hanno potuto diffondersi e radicarsi tra
le nuove generazioni di rivoluzionari. Visto da oggi questo lavoro potrebbe
forse sembrare inutile, tuttavia nella situazione di allora ha giocato un ruolo
molto importante. Questi scritti sono stati una guida nella lotta contro
opportunisti e rinnegati e quasi dappertutto una garanzia della diffusione. del
radicamento e della difesa dei valori e delle opinioni del THKP. Hanno
accelerato lo smascheramento dell'opportunismo e, in un certo senso, hanno dato
la giusta risposta al tentativo di cancellare la storia. Le loro copie hanno
continuato a moltiplicarsi ed a diffondersi automaticamente.
La frattura fra opportunismo e
marxismo-leninismo era aumentata. Opportunisti e rinnegati, che non avevano
fiducia in se stessi e che temevano la separazione tra teoria e pratica, hanno
formato i loro "monopoli" insieme a coloro che si erano allontanati
dalle organizzazioni di massa. Essi non credevano nella lotta unitaria delle
organizzazioni di massa contro l'imperialismo ed il fascismo ed è per questa
ragione che si sono precipitosamente ritirati da quel campo dove non potevano
ottenere la maggioranza e dove stavano perdendo sostegno.
Questa è stata anche la fase in cui parecchi
opportunisti, allo scopo di legittimare i propri monopoli e di rafforzarsi,
hanno organizzato provocazioni nei confronti del popolo e delle organizzazioni
di massa, cercando di creare confusione con volgari slogan del tipo: «Né
America né Russia».
Possiamo affermare che questo è stato anche
il periodo delle più grandi manifestazioni e scontri di massa della storia
rivoluzionaria della Turchia. Al funerale dei rivoluzionari assassinati dai
fascisti nel 1975 hanno partecipato decine di migliaia di persone e questa
forza è addirittura cresciuta quando, a Kocamustafapasa/Istanbul, nel corso di
questo funerale, le masse hanno opposto resistenza alle aggressioni nemiche: la
gente non è fuggita, anzi, uomini e donne hanno combattuto strada per strada,
casa per casa, utilizzando mattoni, armi da fuoco e qualsiasi cosa capitasse
loro tra le mani. Questo episodio è stato scritto a caratteri d'oro nella
storia quando il popolo ha sconfitto le armi ed i carri armati nemici. Questa
enorme protesta di massa è stata proprio una grande lezione, anche per il fatto
che, in quell'occasione, le masse hanno aperto un varco nel muro, eretto
appunto per dividerle, del blocco opportunista e revisionista, conquistando così,
a dispetto di tutte le provocazioni, il loro posto nella resistenza.
Questi sviluppi dimostrano che l'ostilità
dell'opportunismo nei confronti del nostro movimento non è per nulla nuova e
che esisteva da molto tempo prima che entrassimo nell'arena politica: era
iniziata insieme all'eredità lasciataci dal THKP-C ed è proseguita fino ad
oggi, crescendo di pari passo alla crescita della nostra forza.
In questo periodo il gruppo Kurtulus è
diventato una guida nella lotta economico-democratica dei giovani nelle scuole
e nelle università ed ha cominciato ad organizzare la lotta contro il
terrorismo dei gruppi fascisti in alcuni gecekondular [bidonville,ndT],
compiendo diverse azioni armate, di massa, di esproprio delle proprietà statali
e diverse azioni antimperialiste ed antifasciste contro gli attacchi nei
confronti dei popoli del mondo.
Tutti hanno potuto constatare che il THKP-C
non si poteva estirpare. Nostro dovere di allora era quello di riorganizzare ex novo, nella pratica e nella teoria,
il Partito-Fronte, assumendoci anche il compito di avanguardie. Il più grande
desiderio ed ideale della nuova generazione era quello di riportare nell'arena
politica il THKP-C in quanto forza organizzata che mostrasse alle masse
popolari la via rivoluzionaria. Dunque, per riorganizzare rapidamente il
Partito-Fronte, pur se non vi erano grosse speranze di riuscita a breve
termine, i giovani hanno cominciato a ricercare le forze: essi erano aperti a
tutto, ma non verso gli opportunisti ed i rinnegati.
In questo periodo sono entrati in scena
l'Acil [Türkiye Devrimin Acil Sorunalari, Questioni urgenti della rivoluzione
in Turchia] ed il MLSPB [Marksist Leninist Silahli Propaganda Birligi, Unità di
propaganda armata marxista-leninista], rimasugli di una linea della sinistra radicale.
Questi due gruppi hanno accusato tutti gli altri di aver denunciato il THKP-C
ed hanno interpretato il Partito-Fronte dal punto di vista della sinistra
radicale focalizzandone la prospettiva.
Osservandoli attentamente, si può dire che
questi due gruppi hanno caricaturizzato la linea del THKPC, senza capire il
contesto storico e politico in cui il Partito-Fronte ha agito, senza riuscire a
trasformare le condizioni oggettive in Turchia ed avendo una rozza visione
dogmatica. Ed è per questi motivi che se ne sono andati così facilmente a
destra. Non sono stati presi in considerazione né in un contesto di massa né a
livello di azioni. La demoralizzazione sviluppatasi al loro interno, li ha
portati allo scioglimento.
In questo periodo abbiamo incontrato il
gruppo Dev-Genç.
I Rinnegati
di Devrimci Yol e lo Sviluppo del Nostro Movimento
L'impegno di alcuni elementi, gli ex
simpatizzanti in carcere del THKP-C, era sfociato nella fondazione del KDS
[Kurtulus Sosyalist Dergisi, Rivista socialista di liberazione]. In un primo
momento essi si erano mostrati critici nei confronti del THKP-C, ma poi ne
hanno difeso la teoria del socialimperialismo, hanno sempre più criticato il
loro passato ed hanno aumentato il loro impegno nell'Aydinlik. In seguito,
anche i gruppi dell'Acil del MLSPB si sono fossilizzati sulle proprie
deviazioni di sinistra. Inoltre, in quel periodo, è nato anche un gruppo
attorno alla rivista di Devrimci Genclik [Gioventù rivoluzionaria], radicato ad
Ankara e guidato dagli ex responsabili del THKP-C.
Questo gruppo si era posto contro le
deviazioni di sinistra e di destra, sosteneva la necessità di stabilire ancora
una volta l'unità ideologica tra coloro che in passato avevano partecipato alla
lotta unificata del THKP-C e proprio per questo non era insensibile - a
differenza di altri gruppi, sia di sinistra che di destra - ai problemi dei
giovani e di altri settori della popolazione. Per noi, le nuove generazioni,
questo punto, e cioè il raggiungimento nel tempo dell'unità ideologica, e
l'idea della rifondazione del Partito-Fronte hanno costituito una forte
attrattiva, poiché il nostro più grande desiderio era quello di organizzare la
vita, di discutere attorno al concetto di organizzazione e di lotta
organizzata, di confrontarci reciprocamente e di analizzare correttamente il
passato ed il presente. Per tutti questi motivi abbiamo instaurato dei rapporti
basati su tali sentimenti sinceri, cercando di colmare le distanze ed avendo
come obiettivo l'unificazione.
Fin dai primi numeri della rivista di Dev-Genc
si poteva notare l'esistenza di un'altra posizione, i segni di una posizione
piuttosto di destra, ma nonostante le numerose critiche non siamo riusciti a
raggiungere risultati positivi.
Al contrario, i loro pregiudizi e
l'atteggiamento di voler mantenere le distanze erano assai frequenti, essi non
hanno compiuto progressi nell'organizzazione della pratica ed hanno cercato di
imporci una linea spontaneista di destra. Non eravamo nemmeno un gruppo, e cioè
il livello più basso di organizzazione. Tutto il loro impegno nel fare tanti
discorsi sull'unità ideologica non ha condotto praticamente a nulla. Nonostante
tutte le nostre pressioni ed i tentativi di dar forma alla lotta militante e
nonostante il nostro primo impegno di dar vita ad una pratica militante che
potesse avere un'influenza positiva nelle masse, la leadership di questo gruppo
ha reagito in maniera negativa, cercando appunto di imporci, in diversi modi,
una linea spontaneista di destra. Inoltre non avevano una visione chiara dei
propri compiti, ad esempio che fare per diventare un partito, come affrontare i
problemi nella teoria e nella pratica, ecc.
Giorno dopo giorno gli sviluppi erano sempre
più ovvi e gli attacchi sempre più numerosi.
In questo arduo cammino siamo diventati
maggiormente consapevoli della situazione, poiché abbiamo dovuto affrontare in
maniera organizzata questi sviluppi e far fronte agli attacchi, crescendo passo
dopo passo nella lotta organizzata, mentre il gruppo di Ankara non mostrava
alcuna fretta, anzi, queste persone mostravano indifferenza per tutti quei
giovani -un numero che non va sottovalutato- che avevano riposto in loro le
proprie speranze, occupandosi, una volta scarcerati, dei loro problemi
personali e in continua competizione per ottenere legittimità, invece di
dedicarsi ai problemi della lotta.
Formalmente eravamo col gruppo DG di Ankara,
ma in sostanza continuavano ad esserci differenze sia nella pratica dei due
gruppi, quello di Istanbul e quello di Ankara, sia nei modi di risolvere i
problemi che man mano si presentavano. Inoltre il gruppo di Ankara non faceva
nessuno sforzo per creare un'unità ideologica e per porre fine alle differenze
tra i due gruppi. Il suo unico obiettivo era quello della legalità, che voleva
imporci.
Finalmente nel 1977, anche se dopo varie
pressioni, il gruppo di Ankara ha presentato la bozza di un programma che
avrebbe dovuto porre le basi dell'unità ideologica, nel quale però vi
risaltavano ancora le differenze su parecchie questioni come la valutazione del
THKP-C, la riorganizzazione in quel periodo, la PASS [Strategia
politico-militare della guerra, ndT], l'organizzazione, ecc. A tale proposito
ci hanno detto che era soltanto una bozza, che molte cose andavano ancora
discusse e che i punti da noi criticati sarebbero stati corretti, affermando di
essere sostanzialmente d'accordo con noi sulle questioni.
Eravamo felici di poter giungere, pur se in
ritardo, ad un'unità ideologica.
Abbiamo così deciso insieme di pubblicare un
organo di stampa periodico e di spiegare ai lettori il programma e gli sviluppi
dell'unità ideologica. Siamo anche giunti all'accordo di trasferire
l'organizzazione ad un livello centrale e di intensificare la lotta.
Tuttavia, dal giorno in cui abbiamo avviato i
rapporti col gruppo DG, esso ha cercato di imporci il suo volere, ci guardava
con disprezzo, non prendeva in considerazione le giovani generazioni, era
burocratico, legalista ed affrontava quasi tutte le questioni seguendo una
linea spontaneista di destra, ma, nonostante tutto ciò, abbiamo pensato
all'unità ideologica in quanto processo a lungo termine ed abbiamo deciso di
proseguire la lotta senza perdere buon senso e maturità.
Purtroppo il nostro buon senso, il nostro
desiderio di unità del THKP-C e la nostra disponibilità al sacrificio hanno
incontrato solo orecchie da mercante, poiché l'oligarchia aveva ucciso in
costoro dinamica rivoluzionaria, facendo perdere loro i princìpi ed i valori
rivoluzionari, e la politica borghese aveva rimpiazzato quella rivoluzionaria:
erano diventati dei vecchi burocrati che desideravano l'ordine; tutto e tutti
erano soltanto degli strumenti per ottenere tale scopo.
Quando la bozza del programma è stata
pubblicata col titolo Il programma di
Devrimci Yol, abbiamo constatato che nemmeno un punto che avevamo obiettato
era stato corretto. La maggior parte delle masse che facevano riferimento a
noi, così come i nostri simpatizzanti erano furiosi: quelli del gruppo di
Ankara presentavano il THKP-C, l'unità ideologica ed i progetti per il futuro
sotto una luce di destra. Le teorie concordavano con la loro pratica di destra.
A quel punto, o portavamo a termine il
processo di unificazione, correggendo, senza arrenderci, i punti sui quali
eravamo d'accordo, oppure lasciavamo così com'erano le pubblicazioni e questo
atteggiamento, ponendo fine al processo di unità ideologica.
Senza chiarire i punti sui quali eravamo o
non eravamo d'accordo, senza dimostrare che si affrontavano due sistemi
differenti e che vi erano due opinioni diverse riguardo le questioni
strategiche di vitale importanza, la rottura sarebbe stata la soluzione più a
buon mercato, la quale avrebbe avuto però un'influenza negativa sull'unità del
partito. Non potevamo scegliere questa strada.
Nonostante i giochi di diplomazia borghese e
le contorsioni, abbiamo dovuto rafforzare il nostro impegno - sebbene ciò fosse
alquanto difficile e doloroso - e prepararci al tradimento. Avevamo già
constatato in che modo la vecchia guardia avesse imboccato la strada del
tradimento, ma non avevamo pregiudizi. Abbiamo chiesto agli autori [della
pubblicazione, ndT] perché nella bozza finale i punti da noi criticati, che
avrebbero dovuto essere corretti, non erano cambiati. La risposta è stata
abbastanza curiosa, persino infantile, e cioè che c'era stato un errore di
stampa e che tutti i punti sarebbero stati discussi e corretti nei numeri
successivi della rivista. Un altro presunto responsabile [della pubblicazione,
ndT] ha affermato di non sapere la ragione per cui la bozza fosse stata scritta
in quel modo, dato che lui condivideva le nostre opinioni. In queste risposte
c'era il ghigno tipico della diplomazia borghese. Tuttavia dovevamo aspettare
che i punti del programma venissero pubblicati: non c’erano altri modi per far
avanzare la discussione.
Sebbene l'unità ideologica in programma
avesse fatto un passo in avanti, la rivista di Devrimci Yol non adempiva il
compito di finalizzare tale unità ideologica, e sebbene fosse trascorso del
tempo, essi continuavano a riempire le pagine della rivista con dei problemi
quotidiani cercando di tenerci a bada. Alle nostre proteste hanno risposto
dicendo. «Aspettate ancora un po'». Devrimci Yol cercava il momento giusto per
imporci le sue opinioni ideologiche soggettivistiche e, a causa di questo
atteggiamento, la decisione di far progredire la centralizzazione
dell'organizzazione unita, allo scopo di estendere la lotta, non è stata
realizzata. Non hanno risposto ai nostri perché e invece hanno cominciato a
piazzare le loro persone come quadri di Devrimci Yol, a stabilire contatti
personali ed a diffondere la loro linea personale di destra per metterci contro
le persone in caso di rottura. Il loro scopo era diventato palese. Facendo
sfoggio della diplomazia borghese, i punti che «sarebbero stati pubblicati» non
sono stati affatto pubblicati poiché farlo prima di aver stabilito il proprio
partito/organizzazione avrebbe significato la loro fine. Fino ad allora il loro
slogan era: «Difendiamo il THKP-C», poiché era l'unico modo che avevano a
disposizione, o che comunque a loro sembrava tale, per poter raccogliere il
potenziale del THKP-C. Nonostante tutti i loro tentativi di fare una politica
di partito e tutti i loro evidenti giochetti nei nostri confronti -che ci erano
ben chiari e di cui eravamo consapevoli- abbiamo rnantenuto la nostra posizione
e cercato insistentemente di portare alla luce del sole le opinioni differenti.
Le reazioni dei nostri simpatizzanti diventavano sempre più forti: la
situazione non poteva più continuare così e un nostro intervento diventava
necessario.
Man mano che aumentavano gli attacchi dei
fascisti, sia dei gruppi “civili” che dei militari, già si poteva vedere che
dallo stato d'emergenza sarebbero passati ad una nuovo giunta militare. Gli
attacchi diventavano sempre più frequenti e pesanti, ma Devrimci Yol non era
un'organizzazione in grado di far fronte alle aggressioni nemiche: non sapeva
nemmeno cosa fare in questi casi e non aveva alcuna prospettiva di quali
tattiche impiegare nella lotta. Inoltre evitava testardamente il confronto su
come intraprendere la lotta, sul modo di rendere inefficaci il terrorismo di
stato e dei fascisti e le tattiche nemiche di provocazione al fine di
terrorizzare e pacificare le masse. Indubbiamente noi volevamo compiere il
nostro dovere verso la rivoluzione ed il popolo secondo la prospettiva e la responsabilità
del THKP-C: lo volevamo con tutte le nostre forze, così come non volevamo
lottare impreparati, ma purtroppo le nostre condizioni erano ben diverse da
quelle di un'organizzazione già sviluppata a livello centrale che sapesse ciò
che bisognava fare.
Il 1° maggio 1977 è un chiaro esempio dello
sviluppo del movimento rivoluzionario in Turchia e di come l'oligarchia ha
agito contro di esso. Questo stesso esempio mostra che l'oligarchia ha
utilizzato la negligenza, l'ignoranza nei confronti del nemico, l'ingenuità e
l'atteggiamento distorto della sinistra. In quella fase la sinistra
opportunista e revisionista si era suddivisa nelle linee filosovietica,
filocinese e filoalbanese. Per loro il nemico era diventato il fratello e si
accusavano reciprocamente dandosi l'un l'altro dei «Lupi grigi maoisti» e dei
«socialfascisti». I revisionisti ripetevano ogni singola parola del PCUS
[Partito Comunista dell'Unione Sovietica], mentre coloro che stavano dalla
parte dell'Albania e della Cina agivano come degli adepti del PLA [Partito dei
lavoratori d'Albania] e del PCC [Partito Comunista Cinese]. La battaglia
ideologica tra i paesi socialisti ed il loro atteggiamento nella pratica erano
stati caricaturizzati e proiettati nel nostro paese durante la fase iniziale della
lotta e questo aveva causato lo spargimento di sangue dei rivoluzionari e la
ridefinizione degli obiettivi della lotta. «Scorrerà sangue», «Ci saranno
scontri tra le sinistre»: con questa propaganda, diffusa la settimana
precedente al 1° maggio, l'oligarchia aveva indicato la strada che avrebbe
seguito per compiere i suoi scontri ed i suoi massacri pianificati,
utilizzando, nel fare ciò, proprio il comportamento di quelle sinistre che
avevano dimostrato di essere pronte a battaglie e scontri reciproci e, se
necessario, anche allo spargimento di sangue.
La sinistra ha così partecipato al gioco
delle provocazioni dell'oligarchia: da una parte i riformisti dichiaravano che
«non avrebbero lasciato la piazza del 1° maggio ai lupi grigi maoisti» e
dall'altra il blocco opportunista di sinistra faceva minacce del tipo:
«raggiungeremo il luogo del concentramento a qualunque costo». Ignorando il
nostro avvertimento di fare attenzione alle provocazioni, hanno continuato a
fare queste dichiarazioni, spianando così la strada alle provocazioni
dell'oligarchia.
Utilizzando le affermazioni
demagogiche che alla manifestazione del 1° maggio gli opportunisti volessero
aprirsi la strada con la forza, la contro-guerriglia ha potuto compiere il suo
massacro pianificato, sparando su centinaia di migliaia di persone che si erano
radunate in piazza ed uccidendo 36 rivoluzionari e patrioti. Gli opportunisti
si sentivano forti quando gridavano le loro minacce, ma lì, in piazza, durante
il massacro, non sono stati nemmeno in grado di proteggere le masse. Tutti,
compreso «il gruppo di Ankara», presi dal panico, hanno pensato unicamente a
salvarsi la pelle. Soltanto Dev-Genç « ha dato dimostrazione di una
condotta organizzata, rimanendo in piazza ed intraprendendo una resistenza
armata contro la contro-guerriglia. Questo gruppo ha dimostrato coraggio
marciando compatto verso i carri armati, sparando a sua volta per impedire che
il massacro degenerasse in uno ancora più grave e cercando di ridurre il panico
e di evitare che le persone rimanessero pigiate nella calca e calpestate.
Dev-Genç non ha chiuso gli
striscioni e le sue bandiere e, quando ha constatato di non poter fare di più,
si è ritirato in maniera organizzata e disciplinata. Ben distanti dalle
responsabilità e consapevolezza rivoluzionarie, molti opportunisti e
revisionisti hanno così aggiunto, a quelle che già avevano, un'ulteriore colpa:
il massacro del popolo. Mentre l'oligarchia pubblicava titoli come: «Non ve
l'avevamo detto ?», nei giorni successivi alla manifestazione gli opportunisti
ed i revisionisti, ancora sotto shock e temendo la reazione del popolo, non
hanno avuto il coraggio di farsi vivi presso le organizzazioni democratiche e
nemmeno di girare tra le masse. Tuttavia questa è stata solo una fase
momentanea, poiché queste organizzazioni, non avendo il progetto di condurre la
rivoluzione nel nostro paese, non avendo fiducia in se stesse e operando come
se fossero state delle sezioni di altre organizzazioni, non potevano cambiare
in breve tempo. Infatti, dopo qualche giorno, quando l'opinione pubblica era
venuta a conoscenza del fatto che era stata la contro-guerriglia la
responsabile del massacro, questi sono rientrati nuovamente nell'arena politica
continuando ad azzuffarsi reciprocamente.
Il 1° maggio 1977 ed il massacro
avvenuto sono la chiara dimostrazione che la sinistra opportunista e
revisionista, con la sua condotta presta il fianco alle provocazioni della
contro-guerriglia, che possiede una lingua tagliente ed è abile nell'incitare
alla lotta, ma che, di fronte agli attacchi nemici, non ha fiducia in sé e
nemmeno nel popolo.
Un'organizzazione rivoluzionaria, un
movimento rivoluzionario, un'identità indipendente si possono formare solamente
dopo aver analizzato la rivoluzione nel proprio paese e tenendo conto delle sue
caratteristiche e delle specificità generali e locali. Le organizzazioni che
continuano ostinatamente a considerare le organizzazioni di altri paesi come
modelli da seguire si comporteranno come delle bandiere che cambiano a seconda
del vento e per questa ragione non troveranno mai la linea giusta e non
potranno evitare di essere strumentalizzate. Tuttavia, quando abbiamo fatto
presente questa cosa, nessuno ci ha dato retta e tutti hanno fatto quel che gli
pareva, definendoci ironicamente «i difensori della via di mezzo» per il fatto
che non seguivamo i partiti comunisti sovietico, cinese o albanese e che
criticavamo i loro errori e deviazioni. Di sicuro non esiste nessuna via di
mezzo nel marxismo-leninismo: la principale differenza tra noi e loro è che noi
mantenevamo la rotta sulla base del marxismo-leninismo e loro seguivano
l'opportunismo ed il revisionismo. Questa differenza era talmente
impressionante da risultare quasi sempre evidente; inoltre essa ha portato le
persone alla rovina, alla delusione ed al disgusto, quando queste si sono rese
conto di venire accusate proprio da quei partiti che seguivano. Ed è proprio
per questa ragione che nei momenti difficili questi movimenti avrebbero
facilmente deviato a destra e col tempo sarebbero giunte ad un accordo col
governo. Allora queste verità non avevano alcun senso per questi gruppi, ma i
rivoluzionari, che combattevano fin dal 1974, le avevano ben constatate.
Anche se gli opportunisti ed i revisionisti
avevano guadagnato una certa forza, copiando e seguendo rigorosamente la
propria linea preferita, dato che non se l'erano conquistata con la lotta
l'avrebbero anche potuta perdere con facilità. Alle loro spalle non c'era
nessuna forza reale: di fronte ai duri colpi dell'oligarchia se ne sono ritornati
fra le braccia del sistema o sono stati emarginati. Il loro progetto non era né
creativo né originale: emulazione, estraneità al processo rivoluzionario,
opposizione alla crescita della lotta rivoluzionaria constatata oggettivamente,
assunzione delle medesime posizioni delle forze del sistema. Manifestavano una
dura opposizione a qualsiasi lotta che non fosse la loro e in modo particolare
alla lotta armata contro il sistema: facevano quel che gli pareva e per oscuri
motivi si opponevano a tutte le attività di un'organizzazione se questa
intraprendeva la lotta armata, cercando di indebolirla e persino di
distruggerla. Tutto ciò che della loro condotta risultava incomprensibile si
poteva essenzialmente interpretare come la difesa del sistema: non c'era nessuna
muraglia cinese fra i loro statuti e quelli del sistema stesso.
Il 1° maggio 1977 è stato anche la
dimostrazione di quale sarebbe stata la politica che l'oligarchia avrebbe
intrapreso in futuro contro i rivoluzionari ed il popolo. La situazione della
sinistra, visto lo sviluppo della necessità della guerra di classe, ci ha
impartito un prezioso insegnamento: si doveva andare incontro a questi bisogni
senza riserve; tale compito si doveva realizzare in unità e fin dal primo
numero della rivista di Devrimci Yol. Tuttavia, sebbene fosse già trascorso un
anno, non si intravedeva uno sforzo reale in questo senso, né verso
l'organizzazione del movimento, né verso l'unità ideologica.
Abbiamo Così deciso di compiere un ultimo
passo per superare questa situazione bloccata, in cui ormai nessuna
affermazione produceva degli effetti e dove non riuscivamo più a vedere una
qualche prospettiva, avviando la discussione con tutti i quadri più importanti
che avevano guidato le masse e che avevano avuto la responsabilità della
direzione fin dal 1973-74. Questi quadri, al fine di esercitare una certa
pressione, hanno accantonato i propri compiti per un periodo indeterminato ed
hanno detto: «Tutte queste questioni vanno discusse immediatamente: o le
discussioni daranno dei risultati o le nostre attività come Devrimci Yol
cesseranno per la mancanza di chiarezza e di coscienza».
I redattori di Devrimci Yol erano molto
contenti della nostra decisione. Hanno cominciato a sostituire i nostri
compagni con persone del loro giro provenienti da Ankara, intenzionate a porre
ogni cosa sotto il proprio controllo ed a gestirla secondo un punto di vista di
destra. Queste persone erano totalmente estranee alla realtà della nostra lotta
ed alla nostra linea militante: con un'impostazione burocratica si sono messi a
discutere di tutti gli argomenti, che li conoscessero o meno; impartivano
ordini e trattavano tutti con disprezzo, ricevendone le ovvie reazioni
conseguenti. I nostri quadri, formati in base alla prospettiva del THKP-C, in
questa situazione non vedevano differenze sostanziali tra il KSD e gli altri
opportunisti, poiché la pratica di denuncia della linea del THKP-C da parte di
questi ultimi smascherava le loro reali opinioni. I redattori di Devrimci Yol
hanno tentato di utilizzare il fatto che avessimo accantonato i nostri compiti
per accelerare le loro intenzioni di liquidare il THKP-C. Il nostro ultimo
tentativo di avvicinamento non ha portato ad un risultato positivo, però la
distruzione della maschera, dietro cui si nascondevano i tentativi
liquidazionisti di Devrimci Yol, ha avuto un'accelerazione: finché dovevano
fare i conti con la nostra critica alla linea di destra di Devrimci Yol, non
hanno avuto il coraggio di mostrare apertamente né il loro punto di vista,
ispirato alla società civile, né le loro teorie, prese dalla rivista della
società civile Birikim [Esperienza]. Era
necessario discutere dei problemi, restando all'interno del gruppo, in una
struttura che avrebbe dato vita all'unità ideologica, allo scopo di raggiungere
l'unità del THKP-C e la centralizzazione del suo potenziale, anche se il
movimento di Devrimci Yol non aveva strutture organizzate, così come era
necessaria una piattaforma che Devrimci Yol temeva, tanto da aver fatto di
tutto per evitarla. La difesa del THKP-C e l'organizzazione dell'unità non
erano problemi che li riguardassero: il redattore capo si preoccupava soltanto
di costruire gradualmente un movimento chiuso che col tempo si sarebbe aperto,
un movimento di rinnegati, legalista, burocratico, di destra, e che si basava
sulle opinioni della società civile, e in questa direzione si dovevano
sviluppare una struttura di quadri, un'organizzazione conforme e tattiche di
rifiuto. Questi sono i motivi per cui non hanno affrontato le questioni
importanti, non hanno dato risposte ed hanno portato il movimento ad uno stato
tale che non era più possibile non farsi trascinare in qualsiasi direzione e
dallo spontaneismo. Per il redattore capo l'unico ostacolo era costituito
dall'opposizione dei quadri marxisti-leninisti che portavano avanti l'eredità
del THKP-C: senza la loro destituzione non avrebbero potuto dar seguito alla
propria ideologia, organizzazione e pratica. Ecco perché tutto il loro impegno
convergeva nel togliere di mezzo, ideologicamente e fisicamente, tale ostacolo.
In seguito alla valutazione di questi nuovi
sviluppi, ha avuto luogo un ultimo incontro con i redattori di Devrimci Yol,
poiché bisognava risolvere la situazione, ma questi, pensando di aver eliminato
l'ostacolo, insistevano sul fatto che dovevamo accettare le loro opinioni. A
questo punto la rottura, o meglio la liquidazione di Devrimci Yol, era diventata inevitabile. I redattori di
Devrimci Yol avevano deciso di utilizzare il 1° maggio 1978 per dimostrare la
loro forza e per far credere all'opinione pubblica di sinistra ed al popolo che
non vi erano conflitti all'interno di Devrimci Yol e che essi avevano il potere
in tutte le regioni e in tutte le zone. Qualsiasi impegno e sforzo per
raggiungere l'unità era andato in fumo e la rottura era diventata l'unica
soluzione possibile. E così in tutto il paese i nostri quadri hanno deciso di
fermare il gioco liquidazionista di Devrimci Yol: abbiamo deciso di mostrare la
nostra forza e non avremmo permesso loro di mentire al popolo ed ai
rivoluzionari.
I rinnegati di Devrimci Yol erano indaffarati
nei preparativi del 1° maggio 1978, ma il popolo della Turchia e la sinistra
stavano per vedere chiaramente che Istanbul e molte città dell'Anatolia non
erano d'accordo e non stavano con Devrimci Yol: decine di migliaia di
lavoratori, giovani, dipendenti statali e persone provenienti dai diversi
settori della popolazione hanno rifiutato gli slogan e gli striscioni di
Devrimci Yol e in maniera disciplinata si sono riuniti dietro un enorme
striscione rosso e giallo sul quale c'era scritto: «La nostra strada è la
strada di Cayan». I rinnegati di Devrimci Yol erano giunti da Ankara con decine
di migliaia di persone, ma ora si ritrovavano in 40-50, che -furiosi per il
fatto che la politica borghese che avevano portato avanti per anni e le loro
menzogne non avevano dato i frutti che speravano- hanno cominciato a fare
provocazioni. Il loro atteggiamento provocatorio si è spinto fino al punto di
cercare lo scontro, estraendo addirittura le armi, ed è solo grazie al buon senso,
alla maturità, alla coscienza ed alla condotta da parte nostra, appropriati
alla fase storica, che si è evitato che le provocazioni dessero i risultati
sperati.
La manifestazione del 1° maggio 1978 ha dato
questo risultato: che noi -che non operavamo ancora come Devrimci Sol - abbiamo
dimostrato chiaramente al nostro popolo il fatto che ci eravamo sbarazzati dei
rinnegati, che eravamo i difensori dell'eredità del THKP-C e che non eravamo
più all'interno di Devrimci Yol. In questo modo tutti i tentativi di Devrimci
Yol di nascondere e mistificare i fatti secondo il motto: «Non vi sono problemi
all'interno del movimento; se un piccolo gruppo se ne va allora la
responsabilità è la sua» si sono mostrati per quello che erano: menzogne ed
inganni.
La distanza fra il popolo e la sinistra era
diventata concreta. A quel punto dovevamo affrontare il compito di spiegare al
popolo le ragioni di tale rottura ed offrirgli le nostre prospettive e teorie,
completandole con l'aiuto di una prassi adeguata e prendendo in mano
l'organizzazione, l'ideologia e la politica, dandone una ripulita dalle
influenze di Devrimci Yol.
L'oppressione ed il terrorismo erano
aumentati e lo "stato civile d'emergenza" di fatto si stava sempre
più trasformando in uno stato d'emergenza ed era ovvio che questo sviluppo
sarebbe sfociato nell'insediamento di una giunta militare. Dovevamo superare la
nostra mancanza di organizzazione interna, sviluppare una nuova prospettiva
basata sulla lotta armata, abbandonare la linea legalista e spontaneista di Devrimci
Yol e sbarazzarci dei suoi rimasugli. Ci stavamo sempre più lasciando alle
spalle quell'atteggiamento legalista che si era sviluppato in condizioni di
minor oppressione e terrorismo. I tentativi liquidazionisti e la politica
borghese di Devrimci Yol ci erano costati anni. Ora, in condizioni di
oppressione, soggetti ancora alle influenze dei rinnegati di Devrimci Yol e
comunque lottando ancora contro di essi, organizzando ed intraprendendo la
guerra, dovevamo compiere un ulteriore passo in avanti per affrontare tutte le
questioni della rivoluzione e per costruire un'organizzazione che non avrebbe
dovuto subire deviazioni, né a destra né a sinistra, qualunque fossero le
circostanze.
Potevamo realizzare con successo la
costruzione di una nuova organizzazione e di una nuova coscienza rivoluzionaria
soltanto sviluppando, sulla base della democrazia interna, l'esercizio ed il
lavoro di tale coscienza. Nel nostro movimento, soprattutto nella fase della
costruzione del partito, dovevamo prestare particolare attenzione alla
democrazia interna e ad una partecipazione che fosse la più ampia possibile.
Infatti la partecipazione, l'unità ideologica, lo spirito di una nuova crescita
e la stabilizzazione dei passi compiuti vanno avanti insieme.
Non era assolutamente possibile far
progredire un movimento che non desse fiducia ai propri quadri e che non
ricercasse soluzioni comuni. Al fine di sviluppare il nostro futuro e di
persuadere diversi settori della popolazione in fasi differenti, dovevamo
perseguire una politica basata sulla crescita dei quadri e sul miglioramento
dei legami con le masse popolari.
In base a questa prospettiva, il movimento
aveva avviato un dibattito sulla nostra rottura con Devrimci Yol, sulle nostre
critiche, sull'atteggiamento di rifiuto da parte dei rinnegati e su ciò che si
doveva ftare. Per questo motivo avevamo organizzato una riunione di tutti i
quadri della Turchia - circa una cinquantina -, la quale si era conclusa con
l'unanime decisione che si doveva impedire la liquidazione del THKP-C e che
bisognava difenderne l'eredità e che, proprio su questa prospettiva, ci saremmo
al più presto riorganizzati a tutti i livelli come un'organizzazione autonoma
ed indipendente: saremmo entrati nell'arena politica ed avremmo preparato una
bozza su questi temi, che avremmo poi diffuso tra i quadri.
In
breve tempo l'opuscolo I rinnegati di
Devrimcì Yol e la linea rivoluzionaria era stato preparato, discusso,
votato e pubblicato.
Nel frattempo ci eravamo riorganizzati nelle
regioni, avevamo dato vita ad un organo centrale costituito da giovani, il
Dev-Genç, ed avevamo cominciato
anche a far fronte agli altri compiti.
I circoli di Devrimci Yol, spaventati,
avevano deciso di attaccare i nostri quadri e simpatizzanti, cercando di
ostacolare il nostro cammino e di fermare il dibattito con pestaggi, ferimenti,
tranelli, censure delle discussioni, campagne menzognere, calunnie e tutti gli
altri metodi immaginabili, non riuscendo tuttavia ad impedire il dibattito e a
far cessare la propria «perdita di sangue». Aggrappandosi a ciò che gli era
rimasto, si erano precipitati ad uscire apertamente con le loro teorie di
destra basate sulla «società civile»: tanto non c'era più nessuno in Devrimci
Yol che si opponesse veramente a tali teorie. Avevano così potuto formare i
loro quadri, stabilire i capisaldi ideologici fondati sulle loro teorie e
stamparli sulle loro pubblicazioni principali. Avevano tentato di sopprimere
con la violenza il dibattito fin dalla sua fase iniziale, ma nonostante tutti
questi attacchi e le campagne di calunnia, la teoria e la pratica di Devrimci
Sol si era diffusa in tutto il paese con l'impeto di un'onda. Devrimci Sol, che
così si presentava nell'arena politica, aveva promesso di difendere l'eredità
del THKP-C ed avrebbe mantenuto alta la bandiera della lotta.
Ora, sul suolo di Turchia e Kurdistan, c'era
una sinistra rivoluzionaria.
I nemici e gli opportunisti puntavano le loro
frecce contro il nostro movimento, ma noi eravamo presenti quasi
dappertutto e lavoravamo per dimostrare
che eravamo un'organizzazione in grado di rendere inefficace il terrorismo
fascista attraverso lo sviluppo della lotta contro il terrorismo di stato ufficiale e dei gruppi fascisti.
Lo Stato d'Emergenza ed i Massacri Fascisti Contro il Popolo
L'oligarchia, come fase di transizione prima
dell'insediamento della giunta militare, aveva introdotto lo stato d'emergenza.
In questo contesto dovevamo far fronte al compito di organizzare le masse ed
aumentare la resistenza. Il blocco opportunista e revisionista si era mostrato
disorientato di fronte alla proclamazione dello stato d'emergenza e per dei
mesi se n'era rimasto ritirato in silenzio ad osservare lo sviluppo degli
eventi, mentre il nostro movimento aveva valutato la situazione ed annunciato
l'imminente colpo di stato militare. La situazione richiedeva prontezza e da
parte nostra avevamo fatto appello a tutte le forze antifasciste ed
antimperialiste per l'unità e per l'unione della resistenza.
Col massacro di Maras l'oligarchia aveva
aperto un nuovo capitolo: le sue intenzioni erano quelle di intimidire le forze
rivoluzionario-democratiche e di spingerle alla passività.
Dovevamo prevenire le conseguenze, i massacri
fascisti, le tattiche di intimidazione e di provocazione tra Sunniti ed
Aleviti, ecc. e le provocazioni a livello religioso ed etnico. L'obiettivo
dell'oligarchia era quello di causare scontri e provocazioni nelle zone in cui
gli Aleviti ed i Sunniti vivevano insieme. La sinistra opportunista era rimasta
indifferente di fronte a questi sviluppi che mostravano chiaramente il
passaggio da una situazione di terrorismo fascista a quella di un aperto
fascismo. Il risultato degli interminabili colloqui, durati mesi, sull'unità di
queste organizzazioni era stato unicamente quello degli insulti, dei conflitti
e degli inutili appelli ad un fronte che forse avrebbe potuto esistere nel nome
ma non nella realtà. Coloro che non erano in grado di affrontare il nemico
nell'arena politica e le cui difficoltà erano quelle di garantirsi la sopravvivenza, giocavano con
le masse, approfittando del loro desiderio di unità per mantenersi a galla.
Ecco perché gli appelli quali: «L'unità non può esistere solamente nella lotta,
ma si raggiunge sviluppando la lotta in tutti i campi» rimanevano senza
risposte.
Se la sinistra era rimasta disorientata ed in
silenzio di fronte al massacro di Kahramanmaras ed alla dichiarazione dello
stato d'emergenza, Devrimci Sol aveva compiuto occupazioni di università,
scuole, fabbriche ed altri luoghi di lavoro, sulla base della violenza "di
massa" e rivoluzionaria e realizzate da decine di migliaia di persone. In
tutta la nazione erano state compiute molteplici azioni illegali ed erano state
distrutte diverse sedi fasciste.
Se da un lato proseguivamo nel nostro impegno
di rendere vane le tattiche fasciste di intimidazione delle masse e di
realizzare un ordine rivoluzionario su una base solida, dall'altro dovevamo far
fronte a nuovi e più pesanti attacchi dell'oligarchia.
Il massacro fascista del 16 marzo 1978
all'università di Istanbul era il primo segnale che il fascismo aveva
l'intenzione di compiere grossi massacri anche in questa città. La sinistra,
ancora una volta impassibile di fronte a questo fatto, non riusciva a capire
che cosa stessero progettando i fascisti, che cosa fosse il fascismo ed il modo
in cui stesse delineando le proprie tattiche che avrebbero portato al massacro
di Maras.
In seguito al massacro di Kahramanmaras
compiuto dall'oligarchia, il popolo - già intimidito dalle quotidiane
esecuzioni di rivoluzionari e di democratici eseguite da gruppi fascisti -
aveva subito ulteriori spaccature e divisioni, oltre agli scontri per questioni
etniche e religiose - gli odierni conflitti artificiali - creati per dividere
il paese, per istigare alla guerra civile e per distruggere le forze rivoluzionarie
del popolo.
Erano soprattutto gli
Aleviti ad essere duramente attaccati e presentati come comunisti, questo per
facilitare il passaggio dei Sunniti alla linea controrivoluzionaria. La pratica
e la politica fallimentari della sinistra, esclusivamente dedite al credo
religioso alevita, avevano agevolato il lavoro dell'oligarchia che mirava
appunto a portare i Sunniti ad una linea fedele allo stato. Da quel momento in
poi non era più un segreto che ci sarebbero stati altri massacri come quello di
Maras, soprattutto in città come Elazig, Malatya, Sivak, Tokat, Çorum ed
Amasya, che presentavano quelle caratteristiche per le quali risultavano i
luoghi più indicati alle stragi ed alle divisioni del popolo.
Fin dal 1974 l'oligarchia aveva istigato i
gruppi fascisti ad agire contro il potenziale rivoluzionario ed il popolo e,
quando questi erano diventati insufficienti a tale scopo, allora lo stato
stesso era entrato in gioco. L'obiettivo principale dei fascisti, civili e
militari, era quello di sconfiggere la lotta di classe, al di là di tutti gli
effetti che da ogni parte ne sarebbero conseguiti.
L'oligarchia da un lato continuava ad alimentare gli
attacchi dei gruppi fascisti, coperti e
protetti appunto dallo stato, e dall'altro a propagandare, nonostante i fatti,
la propria neutralità, cercando di inquinare la coscienza del popolo per mezzo
del cosiddetto "conflitto tra la destra e la sinistra". Possiamo
affermare che questa propaganda demagogica aveva dato i suoi frutti. Una
ragione di tale successo era dovuta al fatto che le sinistre opportunista e
revisionista consideravamo gli attacchi dei gruppi fascisti come azioni
indipendenti dallo stato e compiute esclusivamente dai fascisti del MHP
[Partito d'azione nazionalista] e dalle sue organizzazioni. Molti gruppi di
sinistra vedevano il MHP sotto questa luce e non invece il fatto che fosse un
partito creato e controllato soprattutto dalla CIA e dalla contro-guerriglia,
di conseguenza presentavano le loro lamentele direttamente allo stato credendo
in questo modo -pii desideri !- di porre fine agli attacchi fascisti. I gruppi
di sinistra più apparentemente attivi sostenevano di poter perseguire soltanto
una linea difensiva al servizio della sicurezza delle masse e consideravano la
guerra dichiarata alle sedi fasciste, la resistenza attiva e la mobilitazione
delle masse contro i fascisti come «l’accettazione delle provocazioni e del
terrorismo». Sebbene la strategia dell'organizzazione “Sentiero rivoluzionario”
(Devrimci Yol) - secondo le sue dichiarazioni - si basava sulla guerra
popolare, in realtà essa era apertamente revisionista. Qualunque cosa si
dicesse, essa veniva condivisa da tutti, sia dai gruppi riformisti che da
quelli opportunisti. Inoltre questi si opponevano alla violenza rivoluzionaria
indirizzata contro il fascismo e criticavano coloro che resistevano
attivamente. I rappresentanti di questo genere di pensiero si erano così
allontanati dalla lotta armata popolare organizzata contro il fascismo e un
grande numero di persone di sinistra, con l'aumento della repressione e della
violenza, aveva abbandonato le proprie teorie e si era arreso al fascismo.
Era prevedibile che coloro che non analizzavano la
situazione in base all'ideologia marxista-leninista si sarebbero piegati ed
arresi al fascismo organizzato, ai suoi metodi e tattiche. Tuttavia allora e in
quel contesto, quando tutti predicavano le loro tesi sulla "Insurrezione
della lotta armata popolare", era impossibile far capire queste cose al
popolo: la verità sarebbe venuta completamente a galla dieci anni dopo. Questi
gruppi di sinistra, che non avevano fiducia nella loro forza e che non sapevano
analizzare correttamente la realtà del paese, attingevano ed alimentavano le
loro teorie soprattutto dal revisionismo e dall'ideologia della società civile.
Queste tendenze deviazioniste non sarebbero sfuggite all'integrazione del
sistema, nel momento in cui i loro ex sostenitori, dai quali attingevano la
forza e nei quali credevano, sarebbero diventati sempre di meno.
La crescita del terrorismo fascista e lo sviluppo della lotta nelle città e nelle zone rurali
L'attacco massiccio da parte dei gruppi fascisti
aveva confutato la demagogia dello stato sui "conflitti tra la destra e la
sinistra", sviluppandosi fino a giungere ad una situazione di costante
aumento degli attacchi compiuti direttamente dallo stato fascista. Infatti lo
stato non poteva impedire alle masse popolari di sviluppare la propria
coscienza politica e di stare dalla parte dei rivoluzionari, così che, nel
momento in cui i massacri si erano dimostrati inefficaci, l'ultima risorsa era
stata quella di instaurare un regime apertamente fascista.
Da parte nostra dovevamo prevenire gli attacchi
fascisti, distruggere i loro piani, fermare i giochi del dividi et impera e dovevamo estendere la nostra organizzazione,
prepararci alla fase apertamente fascista ed incrementare la lotta in una
situazione in cui tutte le libertà, che già prima erano comunque limitate,
erano state completamente abolite e in cui le aggressioni e le operazioni
nemiche erano in costante aumento.
Devrimci Yol era diventato sempre più spontaneista e
non aveva voluto contribuire ai programmi strategici e tattici: a causa sua
avevamo perso degli anni durante i quali sarebbe stato possibile compiere un
avanzamento. Nel periodo di transizione alla fase apertamente fascista, noi
eravamo ancora ben lontani dall'essere organizzati seriamente, in modo da
garantirci almeno la sopravvivenza e la prosecuzione della lotta. Eravamo prima
di tutto un'organizzazione giovane e priva di esperienza e professionalità
necessarie. Diciamo che ciò che avevamo raggiunto fino a quel momento, ciò che
si doveva ancora fare e ciò che bisognava assolutamente capire erano tutte cose
che avevamo appreso scontrandoci con l'arroganza di opportunisti e traditori.
A causa del tradimento degli ex rivoluzionari, il
movimento rivoluzionario aveva corso il rischio di lottare in una situazione
apertamente fascista senza l'adeguata preparazione. Nonostante gli anni di
lotta, eravamo ancora ben lontani dal realizzare nella pratica la linea della
lotta popolare, dall'organizzare le masse nelle città e nelle zone rurali e da
convincere il popolo alla lotta. In seguito ai risultati positivi delle
"Unità di lotta armata contro il terrorismo fascista" dovevamo
introdurre unità armate anche nelle zone rurali ed era per questa ragione che
le avevamo inviate in zone strategicamente importanti come il Kurdistan e la
regione del Mar Nero. Le unità armate non erano ancora in grado, né
tecnicamente né dal punto di vista dell'equipaggiamento, di cominciare la
guerriglia urbana: la storia rivoluzionaria della Turchia non aveva nessuna
esperienza in questo campo, che avevamo accettato in eredità e sulla quale
avevamo costruito. Le unità armate dovevano vivere nelle zone rurali ed
acquistare esperienza scontrandosi direttamente con le tattiche fasciste. Fino
a quando fosse stato possibile, avrebbero dovuto prendere precauzioni, fare
esperienza, evitare di attaccare le forze nemiche e, solo in caso di attacco,
avrebbero dovuto difendersi. Nel campo della guerriglia urbana - anche se non
la consideravamo ancora tale - le nostre unità armate avevano acquistato
notevole esperienza, rendendo perciò possibile l'organizzazione della
guerriglia urbana sulla base dell'esperienza delle unità armate, che si potevano
considerare di professione. Però in questa fase di transizione al fascismo, nel
corso della quale le forze nemiche si stavano sviluppando nelle città, dovevamo
a tutti i costi rafforzarci nelle zone rurali per poter fornire sostegno ai
nostri quadri delle città. Se non approfondivamo questa linea strategica, la
sconfitta e la repressione della lotta sarebbe stata inevitabile.
La giustizia rivoluzionaria contro il terrorismo fascista
Le masse avevano potuto constatare in quei giorni il
significato della nostra giustizia rivoluzionaria. I massacri fascisti contro
donne, bambini ed anziani e le bombe nelle zone residenziali avevano dato
origine al caos. In quanto ultimi costruttori del potere rivoluzionario, i
rivoluzionari, in qualsiasi circostanza, dovevano reagire con molta attenzione
riguardo alla giustizia rivoluzionaria. Seguendo questa linea di condotta, che
ci distingueva dal resto della sinistra, le nostre azioni contro i
commissariati venivano compiute tenendo conto persino della differenza tra colpevoli
e non colpevoli: non si colpiva qualcuno soltanto per il fatto che appartenesse
alle forze dello stato, bensì si cercavano i colpevoli, cioè coloro che avevano
colpito i nostri compagni, e li si punivano.
Ad esempio, Erdal Görücü, comandante capo della
gendarmeria fascista, aveva arrestato un gruppo di compagni che distribuivano
volantini. Sebbene il compagno Hüseyin Aksoy si fosse arreso, Erdal Görücü gli
aveva ugualmente sparato.
A questo proposito, nel corso di una campagna
condotta in quella zona, avevamo annunciato che in tutti i casi avremmo punito
il fascista Erdal Görücü , che appunto è stato poi trovato e punito.
Sempre ad esempio, durante un'azione contro gli
speculatori, condotta nell’ambito della Campagna
contro l’imperialismo, il fascismo, l'aumento dei prezzi e la disoccupazione, avevamo
confiscato e consegnato al popolo un'autocisterna di petrolio. I poliziotti del
commissariato di Sisli ci avevano attaccato: mentre
tre si erano opposti all'uccisione
del compagno Hüseyin Tas, il quarto,
Ismail Top, voleva assassinarlo. Siccome il compagno si trovava davanti ad una
barricata, non aveva potuto fuggire ed era stato colpito mortalmente dai
proiettili sparati da Ismail Top. I poliziotti, conoscendo già la nostra
giustizia rivoluzionaria, ci avevano dato il nome del poliziotto colpevole.
Così, senza che questi interferissero, avevamo fatto conoscere al popolo la
colpa di lsmail Top e poi lo abbiamo trovato e punito.
Si potrebbero citare molti altri esempi. Forse
queste azioni, compiute nei giorni in cui la lotta si stava trasformando e
sviluppando, potrebbero sembrare un lusso, una mera soddisfazione. Le cose però
non stavano in questo modo, poiché nel corso della nascita di un movimento
rivoluzionario che cominciava ad essere accettato dal popolo, nel quale i
quadri avevano fatto propria la giustizia rivoluzionaria e la giustizia del
potere rivoluzionario si rifletteva nei pensieri, queste azioni avevano giocato
un ruolo fondamentale.
Gli sviluppi di tale pensiero avevano dato luogo a
quanto segue: ad una più attenta scelta di amici e nemici, ad una maggiore
valutazione degli amici, ad una migliore organizzazione delle masse, ad una
maggiore attenzione nei confronti del popolo e ad una crescita della fiducia
nelle nostre forze e capacità. Coloro che avevano un'opinione diversa, se in
possesso del potere e dell'apparato statale, non riuscendo a distinguere
correttamente tra colpevoli e non colpevoli, avrebbero applicato sempre di più
metodi controrivoluzionari e non avrebbero rispettato le altre forze
rivoluzionarie: la loro politica veniva determinata dalle armi, la loro linea
non-rivoluzionaria era camuffata da rivoluzionaria ed esercitavano il terrore
contro il popolo. Anche se in questo modo potevano avere qualche successo
temporaneo, alimentavano la crescita del sospetto e della diffidenza al loro
interno. Tutti questi sviluppi sarebbero sfociati in un atteggiamento sempre
più controrivoluzionario.
Molti gruppi di sinistra, ben lontani dal pensiero
marxista-leninista e dalla giustizia rivoluzionaria, si contrapponevano a noi
come gli opportunisti, i riformisti, i nazionalisti kurdi: invece di impiegare
le loro forze ed energie contro il nemico, le indirizzavano contro i
rivoluzionari ed i patrioti, distruggendoli.
Questa situazione esistente fra i gruppi di sinistra
e fra quelli nazionalisti aveva facilitato il lavoro dell'oligarchia ed i
preparativi ad un regime apertamente fascista. I gruppi che non credevano nella
propria organizzazione, nella lotta ideologica e nella lotta armata continuavano
a distruggersi reciprocamente, poiché non volevano che dietro di loro rimanesse
qualche forza in grado di criticare la loro politica... Si era giunti ad un
livello tale che addirittura, proprio per questi motivi, in alcune zone gli
strati politicizzati della popolazione si erano demoralizzati, la loro fiducia
si era frantumata ed avevano abbandonato i rivoluzionari, poiché non li
consideravano più il loro futuro e dubitavano che potessero prendere il potere.
Il nostro movimento credeva fondamentalmente nelle proprie forze e capacità di
organizzare il popolo e di incrementare la lotta. La teoria che sosteneva che
prima bisognava eliminare la sinistra dall'arena politica per poi avviare la
lotta contro l'oligarchia dimostrava una mancanza di fiducia ideologica. Da
parte nostra non abbiamo mai giurato vendetta nemmeno nei confronti di quei
gruppi che avevano assassinato i nostri sostenitori e quadri, cercando invece
di smascherarli di fronte al popolo. Il Kurtulus Sosyalist Dergisi aveva ucciso
Kemal Karaca, il MLSPB Mehmet Bückün e suo figlio di 10 anni, il TKP-ML Mustafa
Albayrak e l'Aydinlik Turgut Ipcioglu. Molti compagni e sostenitori erano stati
aggrediti e picchiati, altri, pur rimanendo feriti, erano riusciti a sfuggire
ad attentati, a volte riuscendo a salvarsi solo per caso. Nonostante i compagni
assassinati, il nostro movimento aveva mostrato una grande maturità insistendo
sul fatto che non ci doveva essere spargimento di sangue tra i rivoluzionari e
facendo appello a tutti i gruppi di sinistra di opporsi a questi scontri, di
impedirli, di cercare una soluzione e di formare una commissione, approvata da
tutti i gruppi, al fine di superare e risolvere i problemi. La sinistra aveva
però rifiutato le nostre proposte rendendosi così responsabile dello spargimento
di sangue dei rivoluzionari, che sarebbe proseguito fino al golpe del 12
settembre 1980.
I Traditori dell’Aydinlik
L'atteggiamento ostile degli opportunisti nei
confronti del nostro movimento aveva raggiunto il culmine con gli attacchi
controrivoluzionari dell'Aydink (PDA). Gli opportunisti dell'Aydinlik, con lo
slogan «Né America né Russia» e con la teoria del “socialimperialismo”, si
erano guadagnati la paternità dell'ideologia della sinistra opportunista. I
loro pensieri revisionisti non puntavano all'analisi dell'imperialismo da una
prospettiva marxista-leninista, ma invece ponevano la borghesia nazionale alla
base della loro propaganda ed innalzavano muri sempre più spessi tra loro e i
rivoluzionari. Muovendosi tra le quinte di questa tendenza, dirigevano le masse popolari verso falsi obiettivi,
assumevano un ruolo sempre più provocatorio e collaborazionista con
l'oligarchia ed i suoi attacchi sistematici, compiuti insieme all'oligarchia,
erano indirizzati contro le forze rivoluzionarie. Consideravano la resistenza
contro il fascismo come un conflitto tra la destra e la sinistra, trasformavano
l'URSS nel bersaglio delle masse popolari e camuffavano il vero imperialismo
dichiarando: «Il principale pericolo è il socialimperialismo».
Questa teoria aveva dunque appoggiato
l'installazione del IV Corpo d'armata al confine con l'Unione Sovietica in
difesa da eventuali attacchi da parte dell'URSS. I sostenitori di questa teoria
avevano definito “sinistra deviata”
tutte le forze della sinistra (tranne Devrimci Yol) ed adottato una
linea controrivoluzionaria. Ad ogni manifestazione ed azione di resistenza
contro il fascismo l'Aydinlik era presente come forza d'opposizione: era
arrivato al punto di difendere i fascisti, opponendosi alle forze rivoluzionarie,
in università, strade, fabbriche e villaggi, cercando di giustificare tale
posizione con affermazioni quali: «l’anarchismo sta spingendo nel caos l'unità
nazionale» e parlando di «provocazioni da parte del socialimperialismo».
Ovunque ci fossero manifestazioni contro l'inno nazionale e di protesta contro
lo sciovinismo, c'era anche l'Aydinlik pronto ad innalzare la bandiera
nazionale insieme alle forze oligarchiche.
Questa era la loro opinione riguardo
all’imperialismo americano: «La forza imperialista più pericolosa, e cioè la
Russia, si sta nascondendo» ed era in questo modo che intendevano ancora
indirizzare la lotta antimperialista.
Per anni questo gruppo, la cui condotta era di
provocazione, si era nascosto dietro la maschera di “gruppo di sinistra”: non
era nient'altro che la lunga mano dell'oligarchia, tuttavia godeva
dell'approvazione delle forze della sinistra. Parallelamente all'aumento degli
attacchi da parte dell'oligarchia, l'Aydinlik attaccava la crescente resistenza
rivoluzionaria al fine di ostacolare lo sviluppo della lotta ed è per questa
ragione che aveva dato il via alle provocazioni ed alle aggressioni nei
confronti dei rivoluzionari.
Turgut Ipcioglu, liceale e quadro di Dev-Genç, era stato assassinato nel novembre 1978
proprio perché cercava di fermare queste provocazioni. L'Aydinlik, con la
protezione della polizia, aveva aperto il fuoco sui nostri compagni ad Elazig
ed in altre città, oltre ad averli indicati e denunciati alla polizia. Questa
condotta non era diretta soltanto contro il nostro movimento. Infatti, tutte le
organizzazioni che intraprendevano la lotta armata diventavano bersagli di
questi attacchi. Uno di questi era il PKK, che l'Aydinlik definiva «il MHP del
Kurdistan» e tutto era perciò giustificato. L'insistenza su questo punto e
l'atteggiamento controrivoluzionario avevano svelato il vero volto
dell'Aydinlik e non potevano più essere tollerati dalla sinistra. A questo
proposito il nostro movimento aveva chiesto a tutte le forze rivoluzionarie e
patriottiche di esprimere insieme tali opinioni senza però ricevere risposta.
Basandoci sulle nostre forze, eravamo comunque riusciti ad esporti al popolo
nelle università ed in altri luoghi, riuscendo così ad evitare le provocazioni.
Anche se la maggior parte della sinistra non si era espressa sul nostro
atteggiamento nei confronti dell'Aydinlik, tuttavia aveva preso le distanze da
quest'ultimo, evitando di instaurare rapporti con esso. L'unica eccezione era
Devrimci Yol: non aveva preso posizioni ed aveva continuato a portare avanti
attività con questo gruppo. L'Aydinlik era ben consapevole dell'affinità
riformista di Devrimci Yol a proposito dell'URSS, ma soprattutto riguardo alla
sua pratica, molto vicina al sistema, ed alla mancanza di una prospettiva di
potere e così aveva cercato di portarlo dalla propria parte. Le radici
dell'amicizia tra Devrmci Yol e l'Aydinlik si fondavano proprio su questa
affinità tra le loro linee.
L'Aydinlik aveva fatto propria l'ideologia borghese
ed intrapreso lo scontro con i rivoluzionari. Avendo constatato lo sviluppo sia
della lotta rivoluzionaria che degli attacchi dell'oligarchia ed essendosi reso
conto dell'esistenza di un progetto che avrebbe portato all'insediamento di una
giunta militare, l'Aydinlik aveva incautamente aumentato l'attacco ai
rivoluzionari. In articoli quali La sinistra sconosciuta e I 49 gnippi della sinistra, pubblicati
sul proprio quotidiano, vi erano riportati soprattutto i nomi e gli indirizzi
coloro che difendevano la lotta armata contro l'oligarchia.
L'Aydinlik aveva ripetutamente evidenziato il fatto
che non avrebbe attaccato il sistema e di non avere problemi con il governo.
Inoltre aveva assunto il carattere nazionale dei governi che in quel periodo si
erano susseguiti. Presentando tesi come quella che la vera minaccia proveniva
dalla Russia e quella che i paesi del terzo mondo avrebbero dovuto creare un
fronte unito contro il socialimperialismo, aveva proposto ai partiti borghesi
la formazione di una coalizione nazionale. Tutta la sinistra che aveva
rifiutato tale condotta era stata bollata come “sinistra deviata e
provocatrice”, con tanto di richieste da parte dell'Aydinlik al fascismo di
prendere provvedimenti a riguardo. L'Aydinlik, insieme alla polizia, aveva
provocato disordini ed aveva dimostrato di difendere una linea ben più
sciovinista di quella dei fascisti del MHP. L'Aydinlik voleva mettersi in bella
mostra di fronte all'oligarchia, ma nonostante tutti i suoi preziosi servizi,
c'era qualche aspetto che non era stato affatto gradito, come qualche
pubblicazione (ad esempio sulla controguerriglia). E così, quando l'Aydinlik si
era stabilito a Mamak, per ripagare il disturbo causato da quelle
pubblicazioni, aveva cercato in tutti i modi di provare all'oligarchia quali
servizi potesse renderle e come potesse condurre la lotta contro l'opposizione
della sinistra al sistema.
In seguito alla pubblicazione dell'articolo La falsa
sinistra, quasi tutti i gruppi di sinistra avevano interrotto i rapporti
con l'Aydinlik e ne avevano preso le distanze. In generale, questo gruppo si
era orientato verso la "borghesia nazionale". Da parte nostra non
avevamo cambiato posizione nei confronti della politica provocatoria
dell'Aydinlik: riguardo ai punti più importanti, l'assunzione di tale posizione
e dei nostri princìpi si era verificata corretta. Infatti, negli anni
successivi, gli opportunisti avrebbero ricominciato a flirtare di nuovo con i
controrivoluzionari, dimenticandosi del fatto che l'Aydinlik, pur presentandosi
di volta in volta con aspetti differenti, aveva tradito i rivoluzionari e che
il suo vero ruolo era finalizzato al danneggiamento ed alla deviazione della
lotta.
Questa nostra posizione non riguardava soltanto la
linea provocatoria dell'Aydinlik, ma era diretta anche agli opportunisti ed ai
revisionisti che cercavano di sbilanciare la lotta e di diffondere la loro
linea politica. Questo era il momento in cui si stavano ponendo le basi per la
fondazione di un'indipendenza ideologica ed organizzativa e coloro che non
avrebbero superato tali verifiche sarebbero stati giudicati: in balia del vento
che li spingeva a destra e a manca sarebbero rimasti soffocati dalla loro
stessa politica di rivendicazione delle conquiste a breve termine.
Il Primo Complotto, le Lacune del Nostro Movimento e la Vittoria del Nostro Concetto di Democrazia
Nel
momento in cui era stato proclamato lo stato d'emergenza, quando i massacri
contro la popolazione, il terrorismo fascista e le operazioni di polizia e
militari erano diventati più pesanti e quando l'oligarchia aveva cominciato a
prendere provvedimenti per instaurare un regime apertamente fascista, noi
eravamo entrati nello scontro politico. Avevamp superato i problemi
organizzativi e ci eravamo assunti il compito di guidare il popolo e di
sviluppare la lotta mentre coloro che non avevano compreso la portata di tale
missione e la nostra rottura storico-politica con Devrimci Yol avevano svelato
un po' per volta il loro vero volto dirigendosi ostinatamente verso destra.
Nonostante
la sua posizione di destra e la mancanza di chiarezza ideologico-organizzativa,
Devrimci Yol aveva un'ampia base che gli permetteva di impressionare e rendere
servili gli opportunisti e di sviluppare i tentativi di isolamento del nostro
movimento, senza mai esonerarsi dal compiere aggressioni fisiche.
Contemporaneamente, già si poteva udire il rumore degli anfibi del 12
settembre...
Coloro
che non erano nient'altro che dei fuochi fatui, che sognavano la rivoluzione
dietro l'angolo, si erano allarmati nel constatare che stavamo portando avanti
l'eredità del THKP-C con determinazione, senza subire deviazioni né di destra
né di sinistra, e che essa non era, come invece la sinistra opportunista e
revisionista aveva cercato di dipingere il THKP-C, l'eredità di un movimento
esiguo che faceva solo qualche azione armata. Anzi ! Eravamo un movimento di
massa che univa la violenza di massa a quella rivoluzionaria e che proseguiva
con determinazione la strada delle proprie convinzioni. Questi soggetti, al
fine di allontanare il nostro movimento dal proprio cammino, se ne erano venuti
fuori con delle opinioni completamente diverse e distorte e avevano progettato
un complotto. C'erano tre individui che erano stati assegnati in nuove aree del
nostro movimento, che fin dall'inizio avevano preso parte con noi alla rottura
con Devrimci Yol, ma che evidentemente non ne avevano compreso fino in fondo le
ragioni e che consideravano la rivoluzione e l'essere rivoluzionari come una
sorta di hobby. Sebbene operassero in
regioni differenti e non avessero contatti reciproci, si erano incontrati senza
informare il movimento ed avevano architettato un complotto. Ci si potrebbe chiedere se questi soggetti
avessero o meno fatto propria la causa
rivoluzionaria, ma allora non avevamo nemmeno discusso il fatto se fossero in
grado o meno di guidare un gruppo o un'organizzazione, poiché ciò richiedeva
coraggio politico, cosa che loro non possedevano. Era stato Ertugrul Kürkcü ad
aver infuso in loro questo coraggio, elogiando l'imperialismo durante i
processi del THKP-C, strisciando lentamente verso il fascismo ed affermando che
questi tre individui venivano usati come delle marionette.
In
seguito Ertugrul Kürkcü, al quale
per anni non era importato nulla della rivoluzione, avendo constatato che il
THKP-C e la lotta armata erano ben più grandi del suo piccolo mondo, aveva
compiuto un'inversione di marcia, dimenticandosi delle teorie provocatrici
dell'imperialismo, iniziando a rilasciare alla stampa borghese interviste del
tipo: «ll THKP-C era un movimento rivoluzionario» e cercando così di rientrare
nell'arena politica. All'inizio aveva flirtato con il Kurtulus Sosyalist
Dergisi e poi con Devrimci Yol, senza impegnarsi con nessuno dei due. Sebbene
fosse segnato, voleva riabilitare il suo nome utilizzando il THKP-C: aveva
cercato di giustificarsi e di presentarsi come una forza portando dalla sua
parte il THKP-C, ed i cospiratori presenti all'interno del nostro movimento gli
avevano offerto l'occasione per farlo. Le loro teorie erano alquanto
interessanti: sottolineavano che Devrimci Yol, Devrimci Sol ed il Kurtulus
Sosyalist Dergisi avrebbero dovuto unirsi per il fatto che alle loro origini non vi erano differenze sostanziali.
Ovviamente Devrimci Sol non condivideva affatto quella valutazione. Lo scopo
dei cospiratori era quello di unire ecletticamente Devrimci Yol ed il Kurtulus
Socyalist Dergisi e di distruggere in questo processo Devrimci Sol. Comunque,
al di là della dichiarazione di E. Kürkcü che «Il THKP-C era un movimento
rivoluzionario», le sue opinioni di destra nell'ambito del Kurtulus Sosyalist
Dergisi ed i suoi giudizi sul THKP-C erano ben noti. Nel momento in cui c'era
la consapevolezza di quale fosse il livello raggiunto dalla lotta
rivoluzionaria e di quali fossero le chiare dimensioni del fronte che si doveva
costruire, diventava ovvio il fatto che queste teorie artificiose non avrebbero
guadagnato terreno.
Siccome
i rappresentanti di tali teorie provenivano dal nostro movimento, questo
attacco era diretto soprattutto a noi, pur se, visto da un'angolazione
differente, era anche diretto al Kurtulus Sosyalist Dergisi e a Devrimci Yol e
indipendente dal volere di Ertugrul, per il fatto che non erano questi due
gruppi ad essere messi in discussione bensì noi ad essere al centro del
dibattito. Se questi individui avessero realmente voluto unire queste tre
strutture politiche, avrebbero continuato a portare avanti i loro compiti
all'interno dell'organizzazione, non avrebbero tramato contro di essa e non se
ne sarebbero andati, ma sarebbero
invece rimasti come sostenitori ideologici di questo pensiero. Fatto sta
che si erano incontrati segretamente, avevano rivelato i rapporti messi in
piedi dalla nostra organizzazione ed avevano scelto la strada della rottura,
senza nemmeno pensare che fosse necessario informarne gli organi responsabili.
In
quanto movimento giovane, appena fondato, ma che portava ancora i segni ed i
residui del passato, avevamo compreso che dovevamo lasciarceli subito alle
spalle e proseguire il nostro cammino.
Avevamo
dovuto affrontare in diversi modi ben più di questi insulti ed offese causati
dalla cultura di Devrimci Yol. Inoltre in quel periodo la sinistra era
completamente frantumata. Devrimci Sol aveva dovuto prendere posto nell'arena
politica e superare tutte le questioni menzionate. Dovevamo dimostrare di
essere degni del nome di Devrimci Sol e che avevamo una missione da compiere al
di fuori della sinistra tradizionale, chiarendo queste differenze nel nostro
modo di vivere, operare, agire, insomma, in ogni cosa.
Noi
non abbiamo scoperto l'”apertura” per merito di Gorbaciov. Eravamo un movimento
che dava fiducia ai propri quadri, specialmente quelli giovani, e che
considerava la partecipazione collettiva come metodo d'educazione. Grazie a
questa base di fiducia, avevamo potuto presentare, con un opuscolo, i
retroscena del complotto ai nostri quadri e simpatizzanti. Un paio di mesi
dopo, la banda complottarda si era data il nome di "piattaforma",
restando però incapace di trascinare il popolo dalla sua parte. Aveva inoltre
subito una totale sconfitta dal confronto con i nostri quadri e simpatizzanti
indignati. E così questi tre individui del nostro movimento, che avevano
creduto nel proprio carisma, avevano immediatamente cercato un'ancora di
salvezza a cui aggrapparsi: uno aveva cercato riparo da Devrimci Yol e l'altro
dal Kurtulus Sosyallst Dergisi; il terzo, pensando al proprio tornaconto
personale, aveva cercato di organizzare una banda per fare velocemente soldi
con rapine ed altro. Ad ogni modo, la banda del complotto si era sciolta in
breve tempo a causa di conflitti interni. In seguito, uno dei tre sarebbe
ritornato alla società civile dopo un breve periodo di carcere, mentre gli
altri due avrebbero scelto l'esilio in Europa. La costruzione rivoluzionaria
del nostro movimento, il nostro concetto di democrazia e la nostra politica di
fiducia nei confronti dei quadri erano stati tutti messi alla prova nella
pratica ed i quadri erano riusciti, con successo, ad adempiere il compito di
far proprio il movimento. Questo sentimento d'unità, che ci avrebbe
accompagnato nel corso della storia, doveva creare un nuovo spirito ed una
nuova consapevolezza che ci avrebbero permesso di affrontare nemici interni ed
esterni e qualsiasi complotto. I quadri ed i simpatizzanti che avevano superato
questa prova avevano dimostrato con chiarezza che all'interno del nostro
movimento non c'era spazio per le cricche ed i complotti, poiché, in qualsiasi
circostanza, li avremmo sconfitti e avremmo conservato la nostra purezza
ideologica. Questo risultato era diventato anche un criterio importante che
chiariva a chiunque, quale che fosse la sua posizione, che all'interno del
nostro movimento le deviazioni a destra o a sinistra e la formazione di cricche
e di complotti non avrebbero avuto nessuna possibilità d'esistere.
Il
vecchio E. Kürkcü, dopo la totale sconfitta del complotto, se n'era tornato al
silenzio. Non essendo riuscito a comprendere la realtà del nostro movimento,
aveva dovuto incassare il colpo che non gli avrebbe consentito una seconda
occasione, facendogli invece scegliere di concludere la propria esistenza come
un intellettuale piccolo-borghese.
D'ora in poi, Devrimci Sol avrebbe avuto la
forza di proseguire il suo cammino, di scavalcare tutti i pacifisti, i
burocrati ed i vecchi soggetti privi di dinamismo rivoluzionario e guidati dai
loro problemi personali, quando volevano imporre ai giovani quadri le loro idee
radicate e costringere il movimento rivoluzionario alla staticità.
Dovevamo sviluppare la lotta antifascista
In
seguito agli attacchi dell'oligarchia nei confronti del popolo, ai massacri ed
al tentativo di costringere le masse alla passività, avevamo deciso di
accantonare la propaganda demagogica dell'oligarchia della “lotta reciproca fra
destra e sinistra”, decidendo invece di innalzare il livello della lotta. Per
impedire che le masse si demoralizzassero a causa degli attacchi fascisti, per
spezzare tali attacchi e per unire le masse nella lotta, avevamo cominciato ad
indirizzare colpi sempre più duri all'oligarchia.
I
nostri obiettivi erano le forze ufficiali ed i torturatori dell'oligarchia,
molti dei quali sono stati puniti, così come molti commissariati sono stati
disarmati e diverse basi fasciste completamente distrutte.
Tutto
ciò era talmente efficace ed allettante che lo status della sinistra in Turchia
aveva cominciato a sgretolarsi fin dall'inizio. Era la prima volta nella storia
rivoluzionaria della Turchia che la lotta si sviluppava chiaramente su basi
rivoluzionarie, apertamente contro tutte le istituzioni dell'oligarchia e
contro le forze fasciste ufficiali. Dopo un periodo di rassegnazione e
stanchezza per i numerosissimi rivoluzionari assassinati dal terrorismo
fascista, il popolo aveva riacquistato coraggio e le sue speranze si erano
ravvivate.
La
sinistra opportunista era spaventatissima ed aveva reagito dedicando pagine
intere delle proprie riviste -scritte in angusti stanzini bui e ben lontani
dalla vita reale - per attaccare il nostro movimento. Quasi tutti,
dall'oligarchia agli opportunisti, ai revisionisti, agli intellettuali
borghesi, ci avevano attaccato con demagogici articoli sul terrorismo, ma a
quel tempo potevano vedere soltanto dei piccoli fuochi poiché eravamo appena
agli inizi del nostro cammino.
È
stato Devrimci Sol con la propria lotta rivoluzionaria a scrivere l'ordine del
giorno della lotta, a mantenere realmente le promesse, a far appello alle masse
invitandole ad unirsi ed è in questo modo che, lentamente ma con fermezza, ha
potuto conquistare la leadership.
La
crescita della lotta armata nelle città doveva andare di pari passo a quella
nelle zone rurali, dove dovevamo rafforzare le nostre unità armate. Dovevamo
rendere visibile la debolezza dell'oligarchia, dimostrando che nulla era
impossibile se fatto con determinazione. A Dersim un'unità di guerriglia - non
proprio ben equipaggiata - aveva compiuto un attacco al posto di guardia Deri
Nahiye di Pertek, disarmandone i soldati e distribuendo collettivamente le
armi. I nostri combattenti, comportandosi in base all'addestramento ricevuto,
avevano punito un soldato che si era rifiutato di arrendersi. Si erano poi
ritirati senza uccidere nessun altro.
Ai
giorni nostri un tale attacco verrebbe considerato un'azione minore, ma allora
aveva avuto un enorme effetto sull'oligarchia e sul popolo ed era stato
un'importante lezione per il nostro movimento, poiché dalla rivolta kurda del
1938(1) era stato il primo attacco ad un posto di
guardia a Dersim e poiché l'azione aveva dato il messaggio al popolo kurdo di
innalzare ancora una volta la bandiera della ribellione e della liberazione.
Appresa
la notizia della nostra azione, per diversi giorni l'oligarchia non aveva avuto
il coraggio di diffonderla all'opinione pubblica: se non riusciva a punire
coloro che l'avevano compiuta, il suo effetto si sarebbe propagato con la
velocità del fuoco in tutto il Kurdistan ed avrebbe messo il potere in serie
difficoltà. Era iniziata un'imponente caccia all'uomo con l'impiego di migliaia
di soldati equipaggiati con armi pesanti. Da un lato l'oligarchia cercava di
intimorire le masse popolari dicendo che la nostra azione aveva dato inizio ad
un nuovo '38, mentre dall'altro la sinistra opportunista affermava: «È una
provocazione e farete massacrare il popolo. Perché non ci avete avvertito?»,
cercando così di confondere il popolo con queste inutili proclamazioni.
La
repressione e le minacce dell'oligarchia non avevano comunque avuto nessun
genere di effetto: la nostra unità armata se n'era ritornata alla base senza
subire perdite. Anche se inizialmente il popolo era stato condizionato dagli
opportunisti, nel momento in cui aveva constatato la paura e l'impotenza
dell’oligarchia, aveva cominciato a dimostrare una grossa simpatia per noi. Il
popolo di Dersim, stanco degli scontri e degli omicidi all'interno della
sinistra, aveva presentato l'esempio della nostra azione alla sinistra
opportunista.
L'oligarchia
stava facendo i preparativi per i massacri di massa da parte dei gruppi
fascisti nelle zone a forte presenza rivoluzionaria. In modo particolare Çorum, Tokat, Amsaya e le zone
circostanti, dove Aleviti e Sunniti convivevano pacificamente, furono teatro di
massacri. Dovevamo opporci a tali progetti fascisti. Una linea che sì pone
unicamente sulla difensiva risulta essere passiva ed incapace di contrastare i
progetti fascisti. Quindi per distruggere e svelare tali progetti, per
sensibilizzare il popolo riguardo agli attacchi fascisti e per accrescere la
volontà di combattere, avevamo dovuto sviluppare le tattiche rivoluzionarie.
Ecco perché avevamo punito un leader delle bande fasciste: per annientarli, o
almeno per demoralizzarli nel punto in cui potevano essere direttamente
colpiti.
Avevamo
punito il fascista Gün Sazak,(2) capo del MHP ed ex ministro
delle dogane e dei monopoli statali del secondo governo del Fronte nazionale
(MC) in carica nel l977. Gün Sazak, latifondista e leader del movimento
fascista, era il diretto responsabile di quasi tutti i massacri ed attacchi
fascisti. Siccome i gruppi fascisti ed il governo non si aspettavano un attacco
del genere, si erano ritrovati in uno stato di grande confusione. L'azione era
stata la risposta alla tattica dello stato di costringere il popolo al silenzio
ed all'immobilismo con l'impiego di metodi terroristici. Essa aveva messo in
chiaro al movimento fascista ed al mondo intero che i massacri fascisti
avrebbero ricevuto in risposta delle punizioni ad un livello ancora più alto.
Non
perseguivamo la tattica degli altri movimenti e cioè quella di ritirarci dalla
scena politica subito dopo l'azione e di aspettare che passasse il pericolo, ma
anzi, nella maggior parte delle aree in cui eravamo organizzati, impedivamo ai
fascisti di riorganizzarsi, proseguendo con gli attacchi e le azioni punitive.
Il movimento fascista non era preparato ad affrontare tali attacchi e non era
nemmeno in grado di contrattaccare. Ancora una volta la sinistra era spaventata
ed aveva denunciato come "provocazione" le nostre azioni. Taluni
ignoravano talmente le questioni ed erano privi della benché minima conoscenza
della lotta armata al punto da asserire che uno come Gün Sazak non poteva essere stato ucciso dal movimento e che invece
l'azione doveva essere stata messa in atto dal MIT e dalla CIA. Non avevano
assolutamente capito che cosa fosse lo stato fascista e nemmeno la lotta contro
di esso: come contrastare i progetti fascisti e come organizzare il popolo.
Nonostante tutte le chiacchiere sulla rivoluzione, non erano mai stati in grado
di andare oltre lo stadio del movimento di protesta a causa della loro mancanza
di consapevolezza e di volontà di conquista del potere.
Quasi
tutte le istituzioni e gli organi statali - dal parlamento, al governo, alle
istituzioni burocratiche, ai partiti politici - attraversavano una grave crisi.
In seguito al duro colpo subito, il MHP, partner della coalizione al potere,
aveva proposto al parlamento di indire nuove elezioni, senza però riuscire a
farle approvare. I fascisti erano gli spettatori di tale crisi: nonostante la
decisione di attaccare gli Aleviti, i rivoluzionari ed i democratici di Çorum, presa al fine di neutralizzare gli
effetti della nostra azione, essi non erano riusciti a raggiungere i risultati
voluti, poiché i rivoluzionari ed il popolo erano già pronti a far fronte a
tali attacchi. Infatti le masse popolari di Çorum avevano risposto con le
barricate, conducendo energicamente e con entusiasmo la resistenza antifascista
ed impedendo così ai fascisti di fare di Çorum una seconda Maras.(3) Il popolo aveva resistito ed i fascisti, avendo
subito una sconfitta inaspettata, erano stati costretti a ritirarsi. Dopo la
nostra azione di punizione contro Gün
Sazak, il movimento fascista era moralmente distrutto ed aveva cominciato ad
attraversare un evidente periodo di declino, nonostante il sostegno da parte
dello stato.
Era
proprio nella pratica che verificavamo la nostra linea tattica ed i nostri
obiettivi concreti. Si poteva far fronte al terrorismo fascista soltanto
applicando ad un livello più alto la violenza rivoluzionaria. Ed era unicamente
su questa base che in quel contesto le masse popolari potevano avanzare nella
direzione della guerra popolare.
Era
stato in seguito all'innalzamento della nostra offensiva armata e alla
ritrovata presenza del potenziale rivoluzionario che, a partire dal 12 marzo
1971, la CIA e la controguerriglia avevano preso nelle loro mani
l'organizzazione del governo fascista, scatenandolo senza limitazioni contro i
rivoluzionari, in modo da respingere il nuovo potenziale rivoluzionario, ma,
dopo il fallimento di questo piano, l'unica soluzione rimasta loro era
l'instaurazione di un regime apertamente fascista. Per poter continuare a
lottare ancora con più forza in un tale contesto, per diffondere la lotta nel
nostro paese e per combattere in un fronte ampio il fascismo e l'imperialismo,
avevamo dovuto accelerare lo sviluppo della nostra organizzazione ed i
preparativi per costruire un partito. Per questa ragione avevamo cercato di
raggiungere, con maggiore determinazione, l'unità ideologica e velocizzare i
ritmi di pubblicazione sia del nostro organo di stampa centrale, Devrimci Sol(4), che di diversi opuscoli di presentazione delle nostre opinioni.
Avevamo altresì verificato e rafforzato i nostri comitati locali e regionali e
le nostre unità armate. Tuttavia, conservavamo ancora molte caratteristiche
negative del nostro movimento originario che si barcamenava in un contesto
spontaneista e legalitario. Centinaia di nostri militanti erano stati esposti.
A partire dalla rottura con DY, i suoi sostenitori avevano dato il via a
speculazioni e ad inutili chiacchiere e a causa di ciò parecchi nostri quadri
erano stati esposti. Inoltre, a causa della natura della lotta spontaneista,
risultava impossibile sviluppare un'organizzazione dalle fondamenta solide. Da
un lato il cammino verso l'illegalità da parte delle persone esposte aveva
creato diversi paradossi, dall'altro l'illegalità stessa non riusciva a
svilupparsi e realizzarsi secondo le regole proprie. Tale situazione era un
chiaro segnale che avremmo dovuto far fronte ad enormi difficoltà in un regime
apertamente fascista.
Un
movimento rivoluzionario armato, per mantenere vivo lo scontro, per essere
pronto, se necessario, alla ritirata, per rafforzarsi e passare all'offensiva e
per sostenere finanziariamente e tecnicamente l'organizzazione, necessita di
una retroguardia. Noi avevamo perso un sacco di tempo ed il regime fascista era
un pericolo imminente. Avevamo quindi inviato in Medio Oriente i nostri quadri
più importanti, al fine di stabilire rapporti di amicizia e di cooperazione con
l'OLP [Organizzazione per la liberazione della Palestina] e con tutte le
organizzazioni rivoluzionarie/patriottiche su di un livello più alto, di
imparare dalle esperienze, di sviluppare la forza combattente di tale
cooperazione e di raccogliere armi e munizioni. Eravamo un'organizzazione il
cui cuore batteva per un puro ed autentico amore per la rivoluzione, ed alla
fin fine non sapevamo che cosa fosse il pragmatismo. Per noi
l'internazionalismo era senza pregiudizi e senza la ricerca di un tornaconto,
ma solo come solidarietà fra nazioni e non avevamo mai considerato che la
rivoluzione nel nostro paese fosse separata dalle rivoluzioni di tutti gli
altri popoli del mondo. Così, senza aspettare qualsiasi ricompensa o qualche
vantaggio, avevamo punito il sionista Efraim Elrom, portando la solidarietà
internazionalista al suo livello più alto ed affermando che non si poteva fare
la rivoluzione restando impantanati nei propri nazionalismi a carattere
regionale. Eravamo i compagni di Mahir Çayan
che aveva applicato tutto ciò nella pratica, eravamo gli eredi del THKP-C.
Si
potrebbe dire che i rivoluzionari in Turchia hanno sfidato il fascismo e l'imperialismo
fin dal 1971 ed hanno conservato la purezza del marxismo-leninismo. Essendo
usciti dal pantano del revisionismo e combattendolo, la politica della ricerca
del profitto, specialmente quella che si poteva constatare nel PCUS, ci
influenzava appena, poiché possedevamo le caratteristiche positive di un movimento rivoluzionario.
Il
nostro principale ostacolo consisteva nel fatto che eravamo un movimento molto
giovane e che quindi non conoscevamo abbastanza il revisionismo, il quale aveva
abbandonato sempre più il socialismo, cancellandone i princìpi. I revisionisti
del PCUS, gli opportunisti del PCC e del Partito dei lavoratori d'Albania,
contrari ai princìpi della solidarietà internazionalista, nel
decidere se dare o meno sostegno ad un movimento di liberazione, mettevano
sempre avanti a tutto il proprio tornaconto. Questo atteggiamento, estraneo al
marxismo-leninismo ed all'internazionalismo, aveva portato allo sviluppo del
nazionalismo a quasi tutti i livelli.
Anche
se dopo un po’ di tempo avevamo imparato a riconoscere tale
atteggiamento, non riuscivamo a rovesciarlo poiché le organizzazioni
erano diventate egotiste e corrotte nel loro interno: la loro forza era nelle
mani degli opportunisti e dei revisionisti, a discapito del marxismo-leninismo
e dell’internazionalismo. Non avevamo l'esperienza necessaria per far avanzare
la rivoluzione in quel pantano della ricerca del profitto e non sapevamo come
far fruttare le possibilità per guadagnare nuova forza aprendo la strada verso
il futuro. Comunque, dovevamo totalmente pensare a trarre vantaggio per la
rivoluzione proprio in quella situazione oggettiva, dato che non potevamo
cambiarla. Dovevamo trovare i modi e le possibilità di agire.
Poiché l'esistenza di una retroguardia costituiva un importante apporto alle nostre attività e poiché in un regime apertamente fascista avremmo dovuto far fronte a notevoli problemi che avrebbero potuto addirittura portare alla dissoluzione ed alla sconfttta del nostro movimento, avevamo inviato in Europa un membro del Comitato Centrale, al fine di ricostruire l'organizzazione e di rafforzare la retroguardia. Tuttavia, in questo campo non avevamo potuto raggiungere i risultati sperati, perché questo membro del CC, sempre più coinvolto nel tradimento, non aveva adempiuto la missione. Ma affronteremo l'argomento più avanti.
Non avevamo
altra strada che quella di continuare la lotta antifascista, sebbene nella
nostra organizzazione, nel nostro stile di lavoro, nel nostro sapere ideologico
vi fossero non poche pecche e difetti e sebbene fossimo deboli anche per quanto
riguarda l'aspetto finanziario. Non avevamo altra scelta: l'organizzazione
doveva maturare nella lotta e noi dovevamo apprendere ed insegnare nella lotta.
Coloro, persone e gruppi, che non hanno imparato nella lotta stessa ma al di
fuori di essa e che poi hanno fatto ritorno sul campo di battaglia con quel
sapere astratto e distorto, hanno dovuto dolorosamente ricominciare da capo.
Per questa ragione noi abbiamo sempre rifiutato di imparare al di fuori della lotta
stessa. Dovevamo apprendere la realtà della lotta tra la gente, insieme con i
nostri quadri, anche a costo di spaccarci la testa.
Soprattutto
dopo l'azione di punizione del fascista Gün
Sazak e dopo l'aver impedito il massacro a Çorum,(5) progettato
dai fascisti, la politica di terrorismo, compiuta dai gruppi fascisti ed
orchestrata dall'oligarchia come alternativa, era fallita. Ora il regime
fascista era imminente, ma, siccome la sinistra opportunista e revisionista non
riusciva a comprendere questo fatto, continuava a parlare di provocazioni e ad
occuparsi di tutte le varie teorie a riguardo, denunciando le nostre azioni
rivoluzionarie, con l'unico risultato di aiutare i fascisti a pacificare la
popolazione. Gli opportunisti ed i revisionisti ci accusavano e ci maledicevano
dicendo che saremmo stati noi i responsabili se ci sarebbe stata la giunta
militare.
Come se non
vivessero in Turchia, essi non vedevano la crisi politica ed economica dei
governi oligarchici, né che l'imperialismo non aveva alcuna intenzione di
perdere un alleato come la Turchia in
Medio Oriente, né che la crescita della lotta rivoluzionaria costituiva una
minaccia per l'oligarchia e l'imperialismo, e non vedevano nemmeno la propria
paura per la rivoluzione.
Quasi tutti,
da DY al TKP, avevano proposto di distanziarsi da azioni che ritenevano fossero
un invito al fascismo nascosto di uscire allo scoperto, sostenendo che i
movimenti di massa dovessero organizzarsi per ostacolare questo fascismo
nascosto. Ma, strano a dirsi, nonostante i vari proclami, non erano riusciti a
realizzare nulla di tutto ciò. DY aveva persino messo in dubbio che ci sarebbe
stata una giunta militare fascista e dichiarazioni come: «Il regime fascista
non è l'unica alternativa dell'oligarchia» erano la dimostrazione che essi non
avevano abbandonato le loro segrete speranze in queste forze “alternative”.
Quelli di Kurtulus sostenevano una tesi completamente diversa: a sentir loro
pareva che nella storia politica il fascismo non fosse neanche mai esistito e
alla fine tutte le loro energie venivano impiegate in queste discussioni. Il
TKP e simili probabilmente facevano affidamento alla forza del PCUS ed il loro
slogan era: «Non ci sarà nessuna transizione al fascismo». Tragicamente erano
stati proprio questi paesi revisionisti i primi a dar sostegno su quasi tutti i
punti al regime fascista. In seguito il TKP e simili hanno cominciato a
ricercare e ad avvicinarsi a tendenze nazionaliste e progressiste all’interno
della giunta militare per poter sfruttare a loro vantaggio i conflitti interni
invece di combattere il regime fascista. Consideravano la giunta militare
neutrale ed antifascista e chiedevano la punizione dei fascisti noti.
Precedentemente
all'insediamento delle giunta militare i fascisti avevano compiuto diversi
attacchi nel tentativo di rendere le masse passive e demoralizzate. Il loro
obiettivo era quello di creare un'atmosfera tale per cui la giunta militare
potesse agire senza ostacoli. Il numero delle torture, degli arresti e delle
aggressioni nei confronti di noti personaggi carismatici era dunque aumentato
rapidamente. I villaggi che avevano un grosso potenziale rivoluzionario
venivano circondati per giorni e giorni dai fascisti, allo scopo di renderli
inoffensivi. La sinistra turca si era comportata malissimo in quella
situazione. Demirel era stato apertamente aiutato nell’“operazione Nokta”(6) -episodio che ha fatto storia- a Fatsa, che serviva
a intimidire il popolo e a costringerlo alla rassegnazione. Fatsa aveva un
grossissimo potenziale rivoluzionario e molti uffici pubblici, persino quello
del sindaco, erano in mano ai rivoluzionari. L’“operazione Fatsa” aveva
costretto il popolo a sventolare bandiera bianca...
Ovviamente un
movimento rivoluzionario deve saper applicare in certe occasioni la tattica della
ritirata per potersi preparare ad una nuova offensiva, valutando con attenzione
i reporti di forza, ma questa non era certo l'intenzione di Dev Yol. Con la
parola d'ordine «i confini legali della rivoluzione» si erano arresi alla
legalità borghese e avevano cercato di organizzare le masse in quest’ottica.
Tutto questo però porta il popolo, che non sa che la legalità
borghese è qualcosa di transitorio ed inventato, alla resa anziché alla lotta
nel momento in cui si trova improvvisamente di fronte alla verità, allo scontro
col fascismo ed alla sua cruda violenza.
Coloro che
acquisivano la logica della “società civile”, che non capivano che cosa fosse
il fascismo a dispetto di tutti i loro discorsi radicali, che non credevano
nelle lotta popolare, per tutta la loro vita hanno cercato di usare stratagemmi
all'interno della legalità borghese ed hanno progressivamente messo in primo
piano i propri problemi personali facendoli diventare priorità. Sono loro i
responsabili del fatto che decine di migliaia di rivoluzionari e di patrioti si
siano uniformati alle regole dell'ordine costituito terminando così il loro
lavoro all'interno di organizzazioni rivoluzionarie.
La crisi
economica era molto grave ed il governo Demirel voleva che fosse il popolo a
pagarne il prezzo, introducendo i “Provvedimenti del 24 gennaio”(7) ed
accrescendo in questo modo la dipendenza del paese nei confronti
dell'imperialismo. Sempre più persone perdevano il lavoro, la povertà era in
aumento ed il morale della gente degenerava. Il nostro movimento, dopo aver
analizzato le reazioni del popolo, il 14 febbraio 1980 aveva diffuso un appello
affinché i piccoli commercianti chiudessero i propri negozi per dar forza e
sostegno alle masse. Ad Istanbul la vita si era fermata. Le forze fasciste, civili
e militari, nonostante tutti i tentativi, compreso l'uso della violenza, non
erano riusciti a far riaprire i negozi. Questa azione è stata una lezione sia
per l'oligarchia che per il popolo stesso: se le rivendicazioni popolari si
interpretano in maniera corretta, se c'è una buona avanguardia e se si dà
speranza alle masse, allora queste ultime saranno pronte ad agire attivamente
sotto la guida rivoluzionaria. L'oligarchia e la sinistra erano nuovamente
perplesse. L’oligarchia aveva utilizzato la televisione, la stampa e tutti i
media a sua disposizione per dire al popolo che non doveva temere Devrimci Sol
e che poteva a far affidamento sullo stato. La sinistra, Dev Yol in testa, nel
momento in cui aveva constatato di non avere più nessun legame con il popolo e
di non essere quindi in grado di organizzarlo e di guidarlo, dopo un primo
istante di stupore, aveva cominciato a lanciare appelli proprio come quelli
dell'oligarchia: «I commercianti sono stati costretti a chiudere i negozi.
Riaprite le saracinesche !». Dev Yol, nel tentativo di fermare questa azione,
aveva fatto di tutto per diffondere i suoi slogan, scrivendoli sui muri di
tutta Istanbul e pubblicando articoli, sempre sullo stesso tono, sul proprio
organo di stampa Demokrat Gazetesi.
Impotenti di fronte a questa iniziativa rivoluzionaria, come un bimbo a cui era
stato portato via il giocattolo, i gruppi revisionisti ed opportunisti non
avevano esitato a lanciare attacchi contro di noi insieme all'oligarchia.
Eravamo
obbligati a dare una forte risposta all'oligarchia contro la povertà che
attanagliava il popolo, contro le torture, le pressioni e le operazioni
finalizzate a rendere le masse passive. Per questa ragione avevamo dato il via
alla campagna "Lotta contro la tortura ed il terrorismo": oltre ad
azioni di punizione degli aguzzini e di distruzione del focolai fascisti,
avevamo punito anche Nihat Erim, primo ministro del regime fascista del 12
marzo, aguzzino, fascista incallito e nemico del popolo, proseguendo, dopo
questa azione, l'offensiva contro le forze dello stato ed i focolai fascisti,
frantumando ancora una volta il tradizionale status quo della sinistra e dando continuità alle nostre azioni di
massa. Allora il nostro obiettivo dichiarato era quello di insegnare alle masse
la tattica della battaglia di strada e per questo motivo avevamo organizzato
numerose azioni armate. Questa azione di punizione era stata la svolta decisiva
che aveva frantumato lo status quo
della sinistra ed aveva fatto accelerare la lotta antifascista. Dovevamo dare una
risposta ad altissimo livello alla controrivoluzione per tutti i massacri e il
terrorismo compiuti contro il popolo. Di sicuro, a causa della realtà di lotta
di classe, l'oligarchia avrebbe fatto ancora più pressioni ed operazioni
terroristiche e queste, a loro volta, avrebbero influenzato lo sviluppo della
violenza rivoluzionaria, rendendo il popolo unito sulla linea della lotta
rivoluzionaria e facendo sì che combattesse. Questa lotta ha anche avuto
arretramenti e sconfitte momentanee, ma, in qualsiasi situazione, dovevamo
stabilire il nostro obiettivo, che era quello di scrivere la storia,
rafforzando la resistenza popolare. Non fa assolutamente parte del metodo
rivoluzionario dire: «Saremo sconfitti. Subiremo duri colpi», o non organizzare
la lotta popolare, o non avvicinarsi progressivamente alla rivoluzione. Coloro
che non sono d’accordo su questo punto cercheranno sempre di tenere il popolo
separato dalla lotta, di proteggere se stessi, di distanziarsi sempre più dalla
realtà di guerra e dalla rivoluzione e sceglieranno la via del compromesso con
la borghesia, condannando se stessi alla resa. Nessuna forza può cancellare
dalla memoria del popolo la storia del nostro movimento, scritta con il sangue
e con la resistenza. La storia della società è ricca di esempi che noi non
abbiamo dimenticato, nonostante i secoli trascorsi, ed alcuni di questi esempi
illuminano ancora il nostro cammino verso la rivoluzione. Nel corso della
storia e dello sviluppo sociale del nostro popolo vi emergono tantissimi esempi
di resistenza, nonostante il dispotismo e la barbarie. Questa resistenza si
fonda sul fatto che il popolo affrontava con coraggio le forze dispotiche che
spesso assomigliavano a dei giganti, conduceva una vita di sacrificio per il
proprio credo, era determinato a gridare la verità, nonostante la brutalità e
la repressione, e a sacrificare la propria vita senza mai abbandonare il
cammino rivoluzionario. La storia, le radici della storia del nostro movimento
risiedono in questo. Ciò significa che combatteremo in qualsiasi circostanza,
che non ci fermeremo, che resisteremo e che non ci arrenderemo. Solo Così
potremo organizzare il popolo e continuare la lotta per lungo tempo.
Il 12 settembre: la sconfitta e la fuga della sinistra e la resistenza del nostro movimento contro la giunta militare
Alla data del
12 settembre 1980 la prospettiva della sinistra riguardo al fascismo ed alla
lotta, sia a livello ideologico che pratico, era ben distante dalla realtà di
guerra. Un'organizzazione che non guarda alla realtà di lotta, che non crea le
tradizioni, i princìpi e le regole appropriate, che non possiede uno spirito
combattente, non riuscirà mai a guidare la lotta. E infatti, molti di coloro
che puntualmente gridavano: «Lotta popolare! Lotta antifascista !» non hanno mai
lavorato per creare le condizioni necessarie per far ciò effettivamente, ma
anzi perseguivano una linea opportunista, scegliendo di lottare entro i limiti
del sistema. Questa condotta ha dato origine ad un processo di decadimento
interno, di invidie sempre più frequenti, di paura e di ostentazione.
Dopo il 12
settembre 1980 la sinistra se n'era rimasta in silenzio. In seguito si era
venuto a sapere che molti se n'erano scappati all'estero e che, nel momento in
cui avevano cominciato a sentire da lontano l'imminente rumore dei passi del 12
settembre, si erano preparati a lasciare il campo di battaglia con la scusa
della “tattica della ritirata”.
Altri, che probabilmente non avevano mai creduto al fatto che ci sarebbe stato un colpo di stato militare, subito dopo il 12 settembre avevano cominciato a progettare la fuga. All’apparenza sembrava molto convinta e determinata, ma in realtà la sinistra ipocrita aveva abbandonato il campo di battaglia e se n'era andata, lasciando il paese, il popolo e moltissimi quadri e simpatizzanti ad affrontare da soli il regime fascista. Soprattutto gruppi come DY e Kurtulus, che possedevano un certo potenziale, erano di fatto svaniti. Migliaia di persone, che si erano ritrovate improvvisamente senza un'organizzazione e senza sapere come e cosa fare, avevano dovuto cominciare a badare a se stesse. Fra loro quelli che volevano lottare non erano certo pochi. Tuttavia queste persone, lasciate senza organizzazione, conoscenze e possibilità, quando, da sole e in piccoli gruppi, avevano tentato di continuare la lotta nelle città e sulle montagne, non avevano potuto evitare di essere subito arrestate.
Il colpo di
stato del 12 settembre 1980 aveva sferzato un duro colpo psicologico e ne era
seguita una situazione caotica. Come
agire in tale situazione? Riguardo all'organizzazione e all'equipaggiamento
eravamo in svantaggio sotto molti aspetti, ma in qualsiasi circostanza dovevamo
sviluppare la lotta combattendo, dovevamo imparare, non potevamo permettere al
regime fascista di portare il popolo alla resa per mezzo di pressioni ed
operazioni terroristiche, ed infine dovevamo scrivere noi la storia della
resistenza.
Pochi giorni dopo il colpo
di stato avevamo subito annunciato pubblicamente al popolo in Turchia ed al
resto del mondo che avremmo combattuto il regime fascista del 12 settembre e
che non avremmo abbandonato il nostro paese ed il nostro popolo.
Avevamo fatto appello alla
lotta e proposto azioni unitarie e cooperazione con tutti coloro che si
proclamavano rivoluzionari, di sinistra, patrioti e democratici. L'obiettivo in
quella fase convergeva in un punto: il regime fascista, ossia la giunta
militare. Avevamo cercato di contattare tutti, dai revisionisti del TKP a DY
senza escludere nessuna linea, me non avevamo ricevuto né una risposta né un
rifiuto.
Il regime fascista
continuava a compiere numerosissimi arresti, dapprima dì militanti di
organizzazioni armate, poi di quelli di organizzazioni non armate, in seguito
di riformisti ed alla fine persino di intellettuali e di democratici.
Eliminando tutte le forze d'opposizione, i fascisti miravano a
istituzionalizzare il regime fascista. Dovevamo contrastare quel progetto. Il
fatto più importante era che le operazioni contro il potenziale rivoluzionario,
già avviate prima del 12 settembre, sarebbero diventate ancora più brutali,
poiché lo scopo era quello di distruggere tale potenziale rivoluzionario.
Certamente l'oligarchia avrebbe dovuto fare i conti con il popolo che, pur
possedendo tattiche di lotta errate o insufficienti, aveva sempre sostenuto i
rivoluzionari, aveva sempre dimostrato fiducia in loro nelle lotte
antifasciste, era stato al loro fianco ed aveva sempre resistito. Il nostro
dovere di allora era quello di dimostrare al popolo che in qualsiasi
circostanza avremmo continuato a lottare e quello di convincerlo a combattere
esso stesso contro la giunta militare, poiché era prevedibile che,
diversamente, il popolo alla fine si sarebbe fatto intimidire, si sarebbe
arreso ed avrebbe maledetto i rivoluzionari. I rivoluzionari dovevano mantenere
le promesse. La fuga, l'abbandono del paese, la rinuncia alla lotta sarebbero
stati al pari di un tradimento. La nostra organizzazione, dalle avanguardie ai
simpatizzanti, doveva spronare alla lotta antifascista. La rinuncia alla lotta
e persino la più leggera esitazione in questa lotta avrebbero trasformato tale
esitazione in panico e il panico in fuga dal paese.
La nostra organizzazione
aveva dichiarato guerra alla giunta militare col seguente appello: “La
Giunta militare non può mettere in ginocchio 45 milioni di persone !”. Le
nostre azioni armate, sviluppatesi con azioni di punizione dei nemici del
popolo e di attacco, con bombe, dei commissariati, si erano diffuse in tutto il
paese ed erano state sostenute da numerose agitazioni, attività di propaganda e
proteste di massa.
Eravamo riusciti a dare un
sorprendente benvenuto alla giunta militare con la distribuzione di centinaia
di migliaia di volantini in quasi tutte le regioni e le località, fatta
contemporaneamente all'esposizione di striscioni in tutto il paese e a dozzine
dì azioni con bombe contro obiettivi nemici. Noi e le forze nemiche eravamo i
soli presenti sulla scena politica: il resto della sinistra se ne stava
paralizzata ed in silenzio.
La nostra decisione di
combattere la giunta militare fascista era stata anche una verifica per il
popolo, in quanto essa era la dimostrazione del nostro legame con il popolo e
con la rivoluzione e del fatto che ci saremmo sacrificati senza esitazione per
raggiungere tale obiettivo.
Dovevamo lottare in
condizioni ancora più dure ed eravamo consapevoli dei nostri difetti e limiti.
Durante la prima settimana della giunta militare un membro del Comitato
Centrale e diversi quadri importanti erano stati arrestati perché qualcuno
aveva parlato sotto tortura, ma erano stati subito rimpiazzati e la lotta era
continuata. Il nostro compagno Sinan aveva proposto cinque persone - delle
quali già si era discusso precedentemente senza però giungere ad una decisione
in merito - che avrebbero dovuto succedere nella direzione del movimento nel
caso in cui le operazioni nemiche contro i nostri quadri più importanti
avessero richiesto ciò. Infatti, poiché sia la nostra lotta che le operazioni
compiute dall'oligarchia continuavano, eravamo perennemente esposti ad ogni sorta
di pericolo e da parte nostra dovevamo mantenere vivo il nostro movimento in
qualsiasi circostanza. Sebbene fosse impossibile intraprendere una lotta ad
alto livello nel paese, il popolo avrebbe comunque visto e sentito la costante
presenza di una forza organizzata che agiva ed operava tra la gente. Per questa
ragione avevamo ritenuto necessario restare nel paese invece di andare in
esilio ed avevamo deciso di continuare a lottare in base a tutto ciò che era
possibile fare. Dopo pochissimo tempo anche il leader dell'organizzazione era
stato arrestato(8) e per noi questo era stato
un duro colpo, sferzato in concomitanza con il colpo di stato del 12 settembre,
ma la nostra organizzazione aveva continuato a lottare sotto la guida di un
nuovo Comitato Centrale il cui responsabile era il compagno Niyazi. Oltre ai
duri colpi subiti fisicamente dal nostro movimento nel corso di
quell'operazione di polizia, l'oligarchia aveva influenzato il nostro quadro
M.K. anche ideologicamente, rendendolo un elemento che all'interno del
movimento ne negava il passato e la storia in una maniera
opportunistico-menscevica e che presentava teorie incomprensibili e poco
chiare. L'oligarchia e gli opportunisti gli avevano dato molta importanza e gli
avevano fatto un'enorme ed incredibile propaganda per portarlo a creare
divisioni all'interno del nostro movimento. Prima del 12 settembre questo
traditore aveva militato nelle nostre Unità Armate Rivoluzionarie ed era sempre
stato di sinistra. Era uno di quei tipi che, dopo aver partecipato a qualche
azione armata, cominciano a credersi più importanti e quindi pretendono
un'attenzione speciale. Nel momento in cui le sue teorie e questo suo difetto
caratteriale di vantarsi per aver fatto alcune azioni non venivano più presi in
considerazione, aveva cominciato ad agitarsi, a cavillare su problemi di minore
entità e a tormentare in merito a questi ultimi. Non capiva la politica, la
prospettiva, la rete di relazioni del movimento e lo isolava dal programma,
dalle tattiche e dai criteri organizzativi propri della sinistra. Riusciva ad
udire soltanto il rumore delle sue azioni e cominciava a nuocere cronicamente
al movimento, mostrando un atteggiamento che si poteva definire
fazioso. Questo suo modo errato di pensare e di agire derivava da un atteggiamento
piccolo-borghese dell'esaltazione della forza: quando queste persone possiedono
questa forza si credono i padroni del mondo e si esaltano; quando poi la
perdono scoprono la propria inadeguatezza, diventano vulnerabili
ideologicamente e psicologicamente - e cioè completamente - e si fanno
influenzare da chi è più forte di loro. Il traditore M.K. era una di queste
persone. L'influenza della borghesia, iniziata nelle celle di
tortura e proseguita in carcere, lo avrebbe portato a perdere completamente le
caratteristiche rivoluzionarie.
Nonostante l'arresto di
centinaia di quadri e di simpatizzanti e nonostante avessimo attraversato delle
esperienze piuttosto negative, la giunta militare non poteva comunque
realizzare il suo sogno di spezzare il nostro movimento e di garantirsene la
distruzione. Gli aguzzini della giunta militare, i pubblici ministeri dello
stato d'emergenza ed i direttori delle carceri avevano tentato di spezzare il
nostro movimento attraverso una campagna coordinata ed attentamente pianificata,
di cui la parte più importante era costituita dalla presentazione di un finto
eroe da esaltare, ed avevano dato il via ad un'intensa campagna
propagandistica.
L’elemento principale di
questa propaganda era stata la menzogna che D.K. fosse un pessimo dirigente,
mentre M.K. veniva descritto come la persona forse più indicata e capace di
dirigere il movimento.
Alcuni opportunisti non
avevano perso tempo ed avevano preso parte a questo attacco. Molte riviste
avevano immediatamente pubblicato articoli sulla cosiddetta rottura all'interno
di Devrimci Sol e, non soddisfatte, avevano addirittura organizzato per un anno
intero la distribuzione di notizie su M.K. nel circuito carcerario.
La sinistra era distrutta e
non vedeva alcuna via d'uscita. Aveva riposto le sue speranze su quel
poveraccio poiché non credeva veramente nel processo rivoluzionario e non
capiva le questioni rivoluzionarie. Siccome non rappresentava una forza
antioligarchica, aveva cominciato a considerare la rottura all'intemo di
Devrimci Sol come qualcosa di vantaggioso. In tutta la loro storia gli
opportunisti avevano fatto circolare menzogne e speculazioni su di noi, tanto
che la loro diffusione e le discussioni in merito erano diventate la loro
attività vitale. Questo atteggiamento dura fino ai giorni nostri. Capiamo la
paura del fascismo. Il fascismo è diventato un esperto nel trovare e catturare
i rivoluzionari che attaccano le fondamenta del suo ordine. Uno dei motivi di
tutta l'ostilità che gli opportunisti hanno da sempre avuto nei nostri
confronti risiede anche in questo. Essa è profondamente radicata. Gli
opportunisti si sentivano sotto pressione a causa della nostra esistenza perché
loro erano ben lontani dalla guerra rivoluzionaria e perché noi avevamo reso
pubblico il loro opportunismo, non avevamo condiviso il loro status quo, avevamo rifiutato i loro
compromessi conciliatori e non avevamo voluto operare come degli affiliati di
qualche altra organizzazione. Nel momento in cui eravamo entrati in scena come
movimento politico, gli opportunisti avevano preso posizione con i rinnegati di
Devrimci Yol. Ora, per spezzare il
nostro movimento, sostenevano un traditore come M.K., insieme agli aguzzini
della giunta militare, ai direttori delle carceri ed ai pubblici ministeri, ma
M.K. era finito e non aveva più alcuna utilità né per gli opportunisti né per
nessun altro. Gli opportunisti non erano mai riusciti a capire le tradizioni
create dal nostro movimento ed era per questo che si aspettavano molto da M.K.,
tanto da farlo diventare, da uno che era, «centinaia» nelle loro parole e
menzogne. In quella situazione gli opportunisti potevano essere facilmente
distrutti, ma coloro che credevano che anche Devrimci Sol sarebbe finita in
disparte non avevano tenuto conto del fatto concreto che la nostra non era
un'organizzazione opportunista. Malgrado tutto lo sforzo e la fatica, M.K. non
era capace di avere neanche una sola persona dalla sua parte ed i suoi
tentativi di spezzare il movimento erano completamente falliti. Questo
traditore, con il quale l'oligarchia e gli opportunisti si complimentavano, in
un primo momento, come indipendente, aveva assunto il ruolo di collaboratore
della direzione del carcere, aiutandola a distruggere la volontà di resistenza
dei prigionieri; in seguito aveva appoggiato l’ideologia del TKP; infine,
diventato completamente completamente inutile, si era integrato nel sistema. Ed
è ancora vivo …
Contemporaneamente agli
arresti di molti di noi, anche la carenza organizzativa, la scarsa preparazione
alla lotta e l'atteggiamento dilettantistico erano diventati evidenti. Per
supplire a quei collegamenti che erano stati scoperti ed alla carenza di
quadri, dovevamo fare delle valutazioni, in pochissimo tempo e in base alla
nuova situazione, riguardo alle stutture dell'organizzazione. Dovevamo
occuparci di tutte le insufficienze e degli errori. Le reti ed i collegamenti,
che in precedenza erano consueti e piuttosto aperti, dovevano essere il più
possibile ridotti al minimo. In quella fase dovevamo compartimentarci, ma prima
di tutto, per intraprendere la lotta armata contro la giunta militare, dovevamo
rafforzare le unità armate, incrementando la loro compartimentazione e le loro
capacità d'azione. Sebbene avessimo continuato a lottare, dopo il primo duro
colpo che avevamo subito si erano diffusi un certo panico e una certa
demoralizzazione. Avevamo dunque bisogno di tempo per poterci ristrutturare e
per far ciò dovevamo sviluppare una tattica provvisoria che frenasse il ritmo
incalzante delle operazione di polizia contro di noi. Fino a che non avessimo
rafforzato la nuova struttura, le azioni armate sarebbero state rivendicate dai
Türkiye Halk Kurtulus Savascilari [Combattenti per la liberazione popolare
della Turchia], senza nessun riferimento a Devrimci Sol. Con questo nome, scegliendo
importanti obiettivi nemici per le nostre azioni compiute da due o tre unità
armate attentamente selezionate, avremmo potuto evitare un'ulteriore
demoralizzazione delle masse. Allo stesso tempo dovevamo valutare i criteri
organizzativi ed adattarli alla situazione. Tuttavia questa proposta, che
proveniva dall'interno delle carceri, fuori era stata fraintesa. Quasi tutte le
azioni e le campagne, specialmente quelle più importanti, erano state
rivendicate con questa sigla. Anche l'azione di punizione del vicecapo della
polizia di Istanbul, Mahmut Dikler, e delle sue guardie del corpo era stata
rivendicata dal THKS. Però, siccome anche altre iniziative, durante le quali
alcune persone erano state arrestate, erano state rivendicate sempre dal THKS,
la polizia aveva scoperto chi c'era dietro a questa sigla. Malgrado tutto,
avevamo comunque continuato a lottare contro la giunta militare.
Molti informatori e spie
della polizia, che prima del 12 settembre avevamo neutralizzato ed allontanato
da diverse località e regioni, erano riusciti a farvi ritorno traendo forza dal
colpo di stato militare. Al fine di fermare queste loro attività, avevamo
compiuto azioni di punizione e di violenza rivoluzionaria contro tali
individui. Dopo le azioni di punizione di grandi e piccoli nemici del popolo e
di distruzione di parecchie holding monopolistiche, la punizione di Mahmut
Dikler e delle sue guardie del corpo veniva annoverata tra le azioni più
importanti contro la giunta militare. Anche se in quel periodo la guerriglia rurale
era attiva, purtroppo e deplorevolmente non era organizzata in modo tale da
poter fungere da supporto e da riparo sicuro per la città: molti compagni, che
rischiavano di essere arrestati, non avevano potuto rifugiarsi sulle montagne.
La riorganizzazione della guerra. Gli anni della determinazione e della resistenza
Le operazioni
di polizia e gli arresti aumentavano giorno per giorno ed il movimento si stava
indebolendo. Già nei primi sei mesi la giunta militare era riuscita a sterzare
gravi colpi a tutte le organizzazioni, compresa la nostra. Il morale era
perennemente a terra e regnava il panico. Sempre in quel periodo, il popolo
turco e coloro che erano stati abbandonati da tutte quelle organizzazioni che
nel frattempo avevano lasciato il paese con la scusa della “tattica della
ritirata” si erano mostrati solidali con la resistenza e la lotta armata che
portavamo avanti contro la giunta militare. Molte persone, provenienti da
diversi gruppi politici e desiderose di combattere, si erano unite al nostro movimento.
Tuttavia non avevamo le possibilità ed un'organizzazione tale da poterle
organizzare alla lotta.
Ai primi di
novembre 1981 tutti i membri del secondo Comitato Centrale, tranne il
responsabile politico che in quel momento si trovava all'estero, erano stati
arrestati. Il responsabile politico del
secondo CC era il compagno Niyazi e dopo il suo arresto, avvenuto sempre nel
novembre 1981, il movimento aveva dovuto affrontare un nuovo periodo di crisi. La forza combattente si era
considerevolmente ridotta, la direzione del movimento si era venuta a trovare
nelle mani di compagni della base e si era aperta una breccia all'interno del
movimento, sebbene ciò non fosse evidente all'esterno. Diverse persone, non più soggette ad alcun
controllo diretto e che pensavano di aver assunto la direzione del movimento,
avevano cominciato a collegare quei contatti che erano separati e, invece di
continuare a lottare, si agitavano inutilmente a causa delle proprie paure
personali. Così, allo stato di demoralizzazione generale - dovuto comunque alla
situazione creata dalla giunta militare - nel quale i nostri quadri ed il
potenziale rivoluzionario si erano venuti a trovare, si aggiungeva il fatto che
queste persone, con la loro condotta indecisa e timorosa e con la loro sfiducia
nei confronti delle avanguardie dell'organizzazione, stavano aiutando la giunta
militare ad accrescere la propria superiorità psicologica e a diffondere la
paura. Il costante sforzo di alcuni compagni non era sufficiente a superare
questa situazione. D'altro canto, Pasa Güven, che era stato mandato all'estero
per intervenire in alcune questioni, aveva completamente dimenticato la
missione di cui era stato incaricato e si era smarrito nel pantano e nel tipico
andazzo del rifugiato, trascinandosi
così sulla strada del tradimento.
Centinaia di
nostri quadri e simpatizzanti si trovavano in carcere.
Era alquanto
difficile, o addirittura impossibile, intervenire dal carcere, data la
repressione esistente all'interno delle prigioni. Malgrado tutti gli sforzi da
parte del compagno Haydar Basbag e di un altro gruppo di compagni per
continuare ad esistere come organizzazione e per riuscire a mantenere il
livello dello scontro armato dando il via ad azioni di minore entità, eravamo
ben lontani dal raggiungere il nostro obiettivo. Eravamo però decisi a rimanere
nel paese ed a continuare la resistenza, tanto che il 15 marzo 1982, nel corso
del processo principale ai nostri quadri e simpatizzanti, la giunta militare
aveva ricevuto una nostra risposta del tutto inaspettata. La campagna “La
giunta militare non può condannare i rivoluzionari”, lanciata
dall'esterno del carcere, si era udita persino dentro i tribunali dello stato
d'emergenza. Era il periodo del maggior silenzio, in cui nessun movimento si
esprimeva: la giunta militare si vantava di aver «intimidito i rivoluzionari e
le masse» ed era riuscita a stabilire il proprio dominio in tutte le zone.
Difendendo la nostra organizzazione e condannando apertamente la giunta
militare proprio nel momento in cui i nostri quadri e simpatizzanti erano nelle
mani del nemico, avevamo dimostrato al popolo della Turchia che avremmo
continuato la lotta rivoluzionaria e che il fatto che fossimo prigionieri non
avrebbe cambiato nulla, né ci avrebbe fatto rinunciare a ciò in cui credevamo.
I nostri slogan, presentati ancora una volta all'opinione pubblica democratica,
al popolo e a tutta la sinistra, avevano dato a questi ultimi un forte sostegno
morale. Le avanguardie ed i quadri di quasi tutte le organizzazioni, eccetto
quelli che erano fuggiti dal paese, si trovavano in carcere. La giunta militare
aveva imparato diverse cose dagli avvenimenti susseguitisi nel resto del mondo:
sapeva che con gli arresti e le condanne a morte avrebbe potuto fermare ed
arginare la lotta solo momentaneamente. Infatti, poiché era al corrente che,
alla fine, una lotta molto più pericolosa e ancora più rivoluzionaria sarebbe
esplosa, aveva dato il via ad una vasta guerra di propaganda e di attacco ai
rivoluzionari prigionieri, facendo circolare menzogne del tipo che soprattutto
i quadri più importanti si erano arresi all’ordine costituito e si erano
pentiti. Dato che la repressione ed il terrorismo si erano dimostrati
inefficaci per intimidire e sottomettere il popolo, la giunta militare era
passata alla guerra psicologica. Da parte nostra dovevamo contrastare questo
gioco. Sebbene fossimo prigionieri, dovevamo resistere, e non solo per
mantenere la nostra dignità personale: dovevamo trovare tutte le forme di
resistenza ed i modi per informare il popolo della nostra lotta. Dovevamo
rendere noto il fatto che, malgrado tutto, mantenevamo vive le nostre
convinzioni rivoluzionarie e che il fascismo non ci avrebbe mai sconfitto.
Dovevamo evitare atteggiamenti e condotte tali che permettessero alla giunta militare
di presentare i rivoluzionari in cattiva luce e allo stremo delle forze. La
resistenza doveva diventare qualcosa di molto più che una resistenza condotta
soltanto da pochi rivoluzionari e le carceri, stracolme di migliaia e migliaia
di rivoluzionari e patrioti che dimostravano al regime fascista che non si
sarebbero mai sottomessi, dovevano trasformarsi nelle roccaforti di questa
resistenza. Oltre ad informare le masse popolari della nostra resistenza,
dovevamo creare un nuovo entusiasmo e risollevarne il morale, riattivizzando la
nostra organizzazione. Se un movimento non è in grado di resistere, prima o poi
si trascinerà a destra perché, perdendo tutte le sue idee e convinzioni etiche,
farà ritorno all'ordine costituito. Questo è prevedibile. Noi, sebbene fossimo
prigionieri e sebbene avessimo dimostrato parecchi difetti, dovevamo
innanzitutto conservare le nostre convinzioni e ciò in cui credevamo, curarci
le ferite e rialzarci per poter dirigere la lotta delle masse popolari. Per
poter fare tutto questo dovevamo resistere con forza e determinazione. Per
poter neutralizzare la superiorità psicologica della giunta militare,
continuare ad esistere come organizzazione e impedire che il popolo, in questa
situazione di sconfitta, venisse influenzato da oscure teorie di destra,
riformiste ed imperialiste, dovevamo erigere un muro altissimo attorno a noi,
spronare ed educare il popolo alla lotta. Ovviamente i risultati sarebbero
stati evidenti su larga scala soltanto negli anni successivi. Il compito della
nostra lotta era dunque quello di costruire un ponte fra noi ed il popolo, che
ci avrebbe guidato verso il futuro. Coloro che erano incapaci di guardare al
futuro e che non ci credevano, non avevano partecipato alla costruzione di
questo ponte, non riuscendo così ad evitare la propria fine.
Un partito
può avere tutte le sue avanguardie, i combattenti ed i quadri in carcere e può
dimostrare di avere grossissimi difetti.
Tutto ciò
rappresenta una verifica per i rivoluzionari: coloro che riescono a superare
tali prove, non avranno poi difficoltà a costruire dei solidi legami con il
popolo. Da parte nostra dovevamo trasformare il banco degli imputati dei
tribunali fascisti in quello dei testimoni, dal quale esprimere con forza la
nostra verità, la rivoluzione, e condannare il fascismo. Abbiamo dunque scritto
le pagine più brillanti della storia dell'organizzazione con la nostra
resistenza in carcere, diventando da imputati dei tribunali fascisti a
testimoni della rivoluzione, con la nostra resistenza ed il modo di affrontare
la dura situazione nei commissariati, dimostrando la nostra superiorità,
organizzando una pratica capace di sostenere e di risollevare il popolo, e
diventando un esempio per tutti i prigionieri. Abbiamo potuto scrivere queste
pagine storiche soprattutto grazie al grandissimo impegno e lavoro di Abdullah
Meral, Haydar Basbag e Hasan Telci, che non hanno esitato a sacrificare la loro
vita per l'organizzazione. Li ricordo qui con grande fiducia, rispetto ed
amore.
In seguito
all'arresto del compagno Haydar Basbag, avvenuto nell'estate 1982, le
condizioni generali del movimento e di chi ne avrebbe preso la direzione si
trovavano ad un punto fermo. Però, sempre in quel periodo, un compagno era
riuscito ad evadere dal carcere ed a prendere in mano la situazione,
ripristinando nuovamente i contatti.
Era giunto il
momento di tentare di occuparci della situazione del movimento dall'interno
delle carceri, con l'aiuto dell'esterno. Tale decisione si basava sul fatto che
il movimento possedeva ancora un notevole potenziale e che, con gli appropriati
criteri organizzativi, avremmo potuto proseguire la linea di resistenza. In
quel periodo i quadri avevano discusso delle condizioni del movimento ed
analizzato, in generale, come superare la fase nel miglior modo possibile. Il
movimento non era in grado di mettere in atto una valida e stabile tattica di
ritirata, poiché essa può essere realizzata soltanto da una forza organizzata e
noi non avevamo questo genere di organizzazione. A partire dal mese di dicembre
1982, la giunta fascista filoamericana era riuscita ad insediare i suoi organi
e le sue istituzioni in tutto il paese, eliminando quasi tutte le
organizzazioni rivoluzionarie e patriottiche - specialmente quelle armate - che
costituivano una sorta di opposizione. I sindacati erano stati messi al bando,
gli intellettuali e molte altre persone arrestati o costretti al silenzio.
Inoltre, la giunta militare era intenzionata ad estendere la propria base di
potere facendo sì che il popolo - costretto al silenzio con la violenza -
votasse per una costituzione che avrebbe legalizzato il regime fascista. Dato
che non c'era più nessun movimento in grado di ostacolare questo progetto
fascista, esso avrebbe potuto essere realizzato ed il plebiscito sulla
costituzione era un passo fondamentale in questa direzione. In generale le
posizioni più diffuse nella sinistra erano quelle del no, del boicottaggio
delle elezioni, o dell'annullamento del voto, ma essa non era sufficientemente
forte da riuscire a portarle avanti concretamente. Il nostro movimento stava
attraversando la fase della propria ricostruzione ed al contempo doveva anche
prendere posizione riguardo alla seria questione della sensibilizzazione
popolare sul problema del plebiscito. Per questa ragione avevamo dato il via,
nel paese ed all'estero, alla campagna “No alla costituzione fascista” e, al fine di politicizzare le masse,
a fare propaganda e a fare circolare il messaggio che un voto contro la
costituzione era un voto contro il fascismo. Sebbene non fossimo in grado di
compiere azioni ad alto livello nel paese, la nostra propaganda veniva condotta
nei modi più diversi. L'azione che maggiormente aveva segnato questa campagna e
destato l'attenzione delle masse popolari e dell'opinione pubblica mondiale era
stata l'occupazione e la presa in ostaggio degli impiegati del consolato
generale a Colonia. Per poter realizzare questa azione, prima di agire, avevamo
dovuto fare costanti pressioni sul nostro popolo all'estero ed eliminare
qualsiasi motivo ed ostacolo che avesse potuto farla fallire. Le armi
necessarie erano state inviate dalla Turchia. Anche se questa azione era stata
compiuta all'estero, essa aveva dimostrato al popolo che in qualsiasi
circostanza potevamo mettere in atto la politica del nostro movimento e che, nel
momento in cui la situazione lo richiedeva e prendendo le misure necessarie,
era possibile smascherare il fascismo. Su questo terreno, la caratteristica di
tale azione era stata quella di mettere in luce una diversa prospettiva di
militanza e di determinazione. Per quanto forti fossero stati gli attacchi
imperialisti nei nostri confronti, non erano tuttavia riusciti a ridurre gli
effetti e l'importanza di questa azione.
Da parte
nostra avevamo continuato la protesta contro la costituzione fascista e l'appello
alle masse popolari di dire no a tale costituzione anche dal carcere e nelle
aule dei tribunali dell'oligarchia, esprimendo appunto le nostre idee a
riguardo e le nostre dichiarazioni al popolo durante i processi e facendole
circolare all'esterno.
In quel
periodo il carcere aveva un ruolo importante. Gli opportunisti, trascurando il
fatto che fossimo prigionieri ed ignorando gli sviluppi avvenuti nel paese e la
particolare situazione in cui si trovava il movimento, agivano unicamente sulla
base dei loro problemi personali e cercavano di inserire nei loro programmi
assurdità del tipo: «Il carcere non è un organo centrale. È impossibile che dal
carcere possa uscire una politica in grado di influenzare l'esterno». Queste
affermazioni, finalizzate all'abbandono della lotta, erano soltanto un
atteggiamento conseguente al fascismo, il quale poneva i prigionieri
rivoluzionari alla stregua di qualsiasi altro criminale detenuto.
I prigionieri
appartenenti al nostro movimento avevano mantenuto una condotta dignitosa, in
base alle proprie possibilità, nel corso degli sviluppi che man mano erano
avvenuti nel paese. Avevano cercato di portare al popolo la politica
dell'organizzazione ed allo stesso tempo di aprire e di guidare
l'organizzazione verso l'esterno. Questo comportamento si era talmente radicato
tanto da riuscire, in situazioni di estrema difficoltà, a prendere una chiara
posizione su svariate questioni, persino su quelle inerenti alla politica
internazionale. Possiamo affermare di essere stati i primi a dare una seria e
complessiva valutazione dell'occupazione israeliana del Libano, i primi al
mondo ad assumere una posizione determinata a riguardo, nonostante la pesante
repressione cui eravamo sottoposti. Era stata la voce dei nostri prigionieri a
condannare, di fronte ai giudici dei tribunali fascisti, l'imperialismo
americano ed Israele, ad esprimere solidarietà al popolo palestinese e a
denunciare la partecipazione della giunta militare fascista turca a questi
massacri ed attacchi. La chiara posizione riguardo alla politica estera, la
resistenza e la convinzione di poter mantenere vivo il legame con il popolo
avevano mandato all'aria i piani del regime fascista. Lo scopo della giunta
militare era quello dì rinchiudere i compagni in carcere, di costringerli al
silenzio, di terrorizzarli al punto che non osassero più farsi vedere e di
portarli ad accettare e ad integrarsi nel sistema. Un corpo prigioniero come
quello dei militanti dì Devrimci Sol non si trova così facilmente in giro per
il mondo: non sono prigionieri normali e non accettano nemmeno lo status di prigionieri di guerra. Non si
fanno sottomettere e non restano in silenzio: sono una nuova forma di
prigionieri. Si potrebbe dire che i prigionieri di Devrimci Sol sono
“Prigionieri liberi". In breve tempo, la loro condotta e la loro
resistenza avevano fortemente inciso ed influenzato buona parte della sinistra,
compresi gli intellettuali democratici. Molti avevano cercato di emularli senza
riuscirvi. Questo è un aspetto della nostra storia che merita una maggiore
attenzione.
Nelle
condizioni di prigionieri, avevamo trascorso anche un periodo in cui non
avevamo nemmeno la possibilità di parlare e di discutere con i nostri compagni
ed era per questa ragione che avevamo pensato di rinviare il lavoro di analisi
e di valutazione della situazione del paese ad un momento migliore, in cui più
quadri avessero potuto partecipare a tale discussione. Però i nostri compagni
all'esterno, che dovevano far fronte a diverse questioni, per evitare di
assumere posizioni errate, ci avevano imposto un'immediata discussione. Avevamo
Così presentato ai compagni, discusso e terminato Le valutazioni del 1983, lavoro nel quale vi erano sicuramente
parecchie lacune ed imperfezioni.
Le condizioni
in cui versavano la sinistra ed i nazionalisti kurdi, a parte alcune
stupidaggini dette e scritte, erano diventate estremamente evidenti nel 1982,
durante il plebiscito sulla costituzione. La loro debolezza era palese ed essi
non avevano nemmeno la più esigua forma di organizzazione. Dozzine di
organizzazioni si erano rifugiate in Europa ed avevano assunto una condotta ed
una forma che poi avevano imposto a questi ultimi: ingannando le masse popolari
ed i propri sostenitori con lo slogan propagandistico della “lotta
antifascista”, avevano cercato di fare delle collette per le armi e
continuavano ad organizzare una manifestazione dietro l'altra. Erano Così
trascorsi mesi ed anni, ed apparentemente tutta la sinistra e persino il
nazionalista PKK potevano sembrare anche delle forze mature e ragionevoli,
mentre invece erano pronti ad invertire immediatamente la rotta al primo colpo
sferzato dai fascisti. Il PKK era arrogante, scontento di tutti, considerava chiunque un ostacolo alla lotta
e dunque un nemico da distruggere, definiva tutti gli altri «i tre quinti delle
persone moralmente inferiori», o servi degli sfruttatori kemalisti, o
addirittura elementi della controguerriglia, aveva persino teorizzato
l’eliminazione di tutte le altre forze, d’accordo con DY. Questa organizzazione, responsabile della morte di dozzine di
rivoluzionari, senza aver mai fatto autocritica neanche una volta, aveva dato inizio alle attività
del fronte con le seguenti parole: «Nessuna forza della sinistra può
organizzare le masse popolari della Turchia e del Kurdistan». I nazionalisti
del PKK, separati dalla realtà del paese ed i cui quadri, presi dal panico,
avevano abbandonato la Turchia dopo una totale sconfitta, non erano riusciti a
costruire un fronte antifascista interno e nemmeno un'unità d'azione e delle
forze all'estero, sulla base di princìpi e regole fondamentali. In breve, la
situazione era la seguente: la sinistra non riusciva a comprendere il vero
significato del fascismo e della lotta rivoluzionaria e non aveva superato la
posizione dell'opposizione piccolo-borghese; le sue avanguardie non possedevano
una coscienza rivoluzionaria e nessuna volontà di conquista del potere; la
sinistra era confusa e scossa e le sue organizzazioni erano costituite
unicamente da rifugiati politici, anche se i suoi membri insistevano a
mantenere un atteggiamento da professori.
A causa della
giunta militare fascista filoamericana, essi avevano perso la propria
supremazia psicologica ed anche il loro dinamismo stava diminuendo. Sempre più
distaccati dal paese per il fatto che si erano rifugiati all'estero, avevano
progressivamente perso tutte quelle caratteristiche positive che un tempo
avevano avuto almeno in parte. Un po' alla volta avevano subito un decadimento,
influenzati dall'ideologia europea della “società civile”, o dai trotzkisti, o
dalle tendenze anarchiche, ed avevano cominciato a definirsi democratici,
sostenendo e portando avanti questa linea. Ecco perché sono i responsabili
della perdita di centinaia di quadri che erano ancora intenzionati a combattere
per la rivoluzione -avessero o meno la linea giusta- e dello scioglimento delle
organizzazioni.
Coloro che
non avevano compiuto il loro dovere di avanguardie nella lotta antifascista,
avevano completato e perfezionato la teoria della fuga dalla guerra. Avevano
fatto in modo che migliaia di rivoluzionari e di patrioti si integrassero nel
sistema. Di fronte a tali risultati, la questione dell'
“oggettività/soggettività” non ha più alcun significato, poiché la questione
più importante resta il fatto che intere organizzazioni si fossero sciolte e
che migliaia di rivoluzionari fossero stati annientati. Queste organizzazioni
sono responsabili di tutto ciò. Adesso questi individui, integrati nel sistema,
dopo aver danneggiato migliaia di persone e dopo aver dato false speranze al popolo,
si comportano come se niente fosse, preoccupandosi esclusivamente del proprio
tornaconto personale. È nostro dovere chiamarli col loro vero nome: traditori,
traditori della rivoluzione e del popolo. Presto o tardi il popolo della
Turchia pretenderà giustizia e che i traditori paghino.
Avevamo
spesso detto che questo fronte "sensazionale", costruito all'estero,
sarebbe stato solamente un fronte esterno, dato che praticamente non aveva
contatti nel paese, e il 12 settembre ne aveva infatti evidenziato la
precarietà e l'artificiosità. Fatto sta che, alla fine, senza riuscire a
combinare granché, il fronte si era disgregato. Noi eravamo ben consapevoli che
questa sinistra, chiusa nella propria arroganza piccolo-borghese, non ci
avrebbe ascoltato. Tuttavia era nostro dovere affermare la verità ed avvertire
il popolo della Turchia, la sinistra ed i nostri sostenitori. Per questa
ragione avevamo pubblicato l'opuscolo A
proposito del Fronte, nel quale avevamo chiarito la nostra posizione.
Avevamo
sottolineato il fatto che, se la sinistra fosse stata realmente intenzionata a
combattere il fascismo, non avrebbe dovuto perdere il proprio tempo ad
inseguire cose irrealizzabili ed avrebbe anche dovuto smettere di ingannare il
popolo con false dichiarazioni e rivendicazioni. Avevamo inoltre affermato che
dovevamo tutti lasciare da parte quelle questioni che davano origine alle
divisioni e che dovevamo trovare invece un accordo su un programma antifascista
ed antimperialista, che si basasse su punti d'intesa, ed il cui obiettivo fosse
colpire la giunta militare, per poi metterlo in atto con la realizzazione di
azioni comuni compiute da forze unitarie. Purtroppo i nostri appelli erano
destinati a restare senza risposte per il semplice fatto che queste forze non avevano
il problema di dover realmente combattere nel paese.
Le
interminabili discussioni erano approdate alla stesura di un programma, al
quale loro, in fondo, non credevano e, dato che non ne avevano messo in pratica
un solo punto, soprattutto DY ed il PKK avevano cominciato ad accusarsi
reciprocamente, facendo sì che di quel fronte non restasse più alcuna traccia.
Era inutile dire: «Abbiamo fatto delle proposte», poiché tutti sapevano a che
gioco stavano giocando.
Queste
organizzazioni erano talmente irresponsabili da non aver nemmeno provato a fare
il benché minimo sforzo per spiegare al popolo le ragioni del loro scioglimento
e dell'incapacità di realizzare un programma che dopotutto avevano condiviso.
La realtà stessa avrebbe poi mostrato quale sarebbe stata la loro fine, proprio
a causa di questa irresponsabilità e mancanza di carattere. Per quanto
riguardava noi, ovviamente ci eravamo attirati le ire di questa sinistra
fortemente vincolata all'ideologia borghese, nel momento in cui, dicendo la
verità, avevamo pubblicamente svelato il loro volto falso e bugiardo.
Ora parleremo
brevemente del PKK che, con il suo fronte e senza un partito, aveva preso in
mano la situazione e che più tardi avrebbe messo in pratica criteri di lotta
radicali e di sinistra. Prima del 12 settembre, il PKK era in conflitto sia con
tutte le organizzazioni nazionaliste kurde che con tutti i gruppi della
sinistra. Inoltre aveva anche dei conflitti interni all'organizzazione per via
dei traditori. Tutto ciò gli aveva causato un grave indebolimento ed una
schiacciante sconfitta, tanto che i suoi militanti, presi dal panico, avevano
abbandonato il paese.
Anche se la
direzione del PKK definiva questa fuga dal paese una «ritirata ordinata»,
sappiamo tutti bene, così come lo sanno pure loro, che la verità è un'altra.
Infatti, mentre la sinistra in generale aveva subito la sconfitta dopo il 12
settembre, il PKK era già stato sconfitto prima del colpo di stato militare.
Allora, il
PKK aveva perso la propria forza e le sue avanguardie erano fuggite all'estero.
Aveva inoltre il morale a terra perché in Kurdistan, dopo il 12 settembre, i
fascisti avevano imprigionato nei campi di concentramento migliaia di persone,
fra quadri, simpatizzanti e popolazione civile. I fatti avvenuti dopo il colpo
di stato militare avevano mostrato chiaramente che la fuga del PKK non era
affatto una ritirata ordinata ed in questo periodo esso aveva dimostrato,
praticamente ovunque, in carcere, in Turchia e all'estero, la propria
debolezza e la propria demoralizzazione.
Prima del 12
settembre, il PKK aveva eliminato fisicamente gli altri gruppi di sinistra,
facendone addirittura una teoria. A causa di questi attacchi, tutta la sinistra
aveva emarginato il PKK, ma quest'ultimo non si era fermato ed aveva spinto
ancora ulteriormente la propria condotta irresponsabile, bollando come
controrivoluzionarie diverse organizzazioni.
Fuggendo
all'estero, non è che il PKK avesse abbandonato una forza combattente in grado
di sferzare un duro colpo al fascismo. Infatti in quel periodo l'obiettivo
principale era quello di impedire l'istituzionalizzazione del regime militare
del 12 settembre e di sconfiggere i fascisti, ma il PKK non aveva partecipato a
questa lotta.
Il PKK,
impaziente di uscire da quella situazione di isolamento politico che si era
costruito con le proprie mani, aveva risollevato il proprio morale e, per
cercare di riaprire un piccolo spiraglio a sinistra, aveva finto di fare
autocritica, ammettendo di aver commesso alcuni errori in passato.
La sinistra
però era debole e non aveva nessun piano d'azione, anche se affermava di essere
sempre stata pronta ad agire. Ecco, il fronte era entrato nella scena politica
proprio in questo modo e cioè esistendo a parole ma non di fatto.
Nel momento
in cui questo fronte aveva fatto la sua comparsa, noi avevamo affermato che il
PKK, nonostante avesse una tattica ed una linea errate, era un movimento
radicale che stava distruggendo le teorie provocatorie del revisionismo e che
meritava dunque di essere sostenuto. Avevamo inoltre affermato che la sua vera
strada era quella del radicalismo, ma che, se fosse rimasto nel fronte
pacifista, avrebbe finito col perderla. Dopo lo scioglimento del fronte
pacifista, il PKK aveva ripreso il suo cammino e, valutata la situazione
ottimale, nell'agosto 1984 aveva compiuto un salto di qualità, in seguito al
quale amava definirsi l'unica forza capace di resistere alla giunta militare
del 12 settembre: una chiara ed intenzionale distorsione della realtà.
A partire dal
mese di agosto 1984, la giunta militare aveva paralizzato tutte le forze
d'opposizione: la costituzione del 1982 era passata in seguito al plebiscito e
nel 1983 c'erano state le elezioni. Il programma del regime fascista di ritorno
alla democrazia stava proseguendo a tutto spiano. In questa prospettiva
l'entrata in scena del PKK non costituiva nessun ostacolo a tale programma.
Senza dubbio
vi sono stati anche molti fatti che hanno influenzato le masse popolari e la
sinistra, dai quali poter trarre, a diversi livelli, insegnamento ed un nuovo
dinamismo.
Ciò comunque
non toglie nulla al fatto che il PKK non avesse combattuto contro il regime
fascista del 12 settembre, che avesse abbandonato il paese prima del colpo di
stato militare e che se ne fosse stato in disparte - come d'altronde il resto
della sinistra - a guardare il fascismo istituzionalizzarsi giorno per giorno.
La verità è che il PKK, con la propria adesione al fronte opportunista, aveva
contribuito a distogliere il popolo dalla lotta rivoluzionaria.
Gli anni difficili, il sacrificio, la fedeltà e il tradimento
Nei mesi di
gennaio e di febbraio 1983, in un periodo in cui il movimento non era stato
ancora ricostruito, avevamo dovuto far fronte ad una vasta operazione della
controguerriglia. In quasi tutte le zone dove esisteva una nostra presenza
parzialmente organizzata, moltissimi compagni ed avanguardie erano stati
arrestati ed anche buona parte dei mezzi finanziari e del logistico erano
caduti nelle mani del nemico. Quest'ultima operazione di polizia ci aveva
lasciati col morale a terra: avevamo perso tutte le nostre forze combattenti e
non sapevamo nemmeno se i compagni rimasti erano in grado di dare continuità
all'organizzazione.
Il membro del
Comitato Centrale P.G., che si trovava all'estero, ormai si occupava unicamente
delle proprie questioni personali: si era sempre più allontanato dall'identità
rivoluzionaria e dalla realtà del paese e le operazioni della controguerriglia
in Turchia, i martiri e la resistenza dei prigionieri non lo interessavano più.
Ormai la nostra lotta non riceveva più alcun sostegno dall'estero. Infatti
l'organizzazione all'estero, invece di fornire un supporto economico o morale
all'organizzazione nel paese, era diventato solamente un onere.
Pur se
avevamo perso moltissime forze, l'importante era riunire i contatti rimasti e
dare continuità all'organizzazione. Ora, nonostante avessero una minore
esperienza, toccava ai compagni più fidati rimasti di assumersi la
responsabilità della direzione del movimento, poiché dovevamo assolutamente
rinforzarci e riuscire a compiere dei passi in avanti.
In questa
fase la responsabile del movimento all'esterno era Sabo.
Gülcan, che fino ad allora aveva dimostrato una condotta positiva, era
il compagno più vicino a Sabo. Erano stati questi compagni ad assumersi tutte
le responsabilità nel periodo più duro che il nostro movimento avesse mai
attraversato. Quasi tutti i contatti erano stati scoperti o non erano più
sicuri. Non era rimasto quasi più nulla del denaro, delle armi, delle basi e
della struttura gerarchica dell'organizzazione. Inoltre le persone che a
Istanbul ed in altre città non erano state arrestate erano disorganizzate, non
conoscevamo bene i contatti possibili e vi era una unità di guerriglia rurale,
ma inattiva in quel momento. Il compito di riunire tutti questi contatti, di
riorganizzare il movimento e di creare nuove possibilità d'azione era qualcosa
di estremamente difficile, ma questi compagni lo avevano accettato con
entusiasmo, nonostante l'onere e la loro inesperienza, sicuri di riuscirvi.
Accettando
questo compito al livello più alto, Sabo in breve tempo avrebbe imparato a
dirigere il processo rivoluzionario con senso di responsabilità, lealtà e
coscienza. Doveva scoprire da sola quali fossero le cose giuste da fare, in
base alla propria conoscenza, al buon senso, all'intelligenza e all'esperienza,
senza che nessuno potesse indicarle la strada.
Sebbene
ricevesse il sostegno dei compagni prigionieri, esso era comunque sporadico e
molto limitato. Nel momento in cui aveva cominciato, Sabo era in contatto
soltanto con pochissime persone che erano al corrente della sua vera identità.
Inoltre, allora le nostre compagne non erano ancora in grado di misurarsi nella
lotta, come invece fanno oggi, poiché erano ancora forti il retaggio di questa
società maschilista e la tendenza a guardare le donne con disprezzo e ad
impiegarle solamente in ruoli secondari, e Sabo, all'inizio, aveva dovuto
combattere anche contro questa realtà per poter essere riconosciuta.
In quel
periodo non avevamo i soldi nemmeno per pagarci gli affitti ed i biglietti
dell'autobus, così, riducendo al minimo le nostre spese in carcere, avevamo
potuto aiutarla a cavarsela almeno per un po’. Avevamo anche chiesto a tutti i
prigionieri che eravamo riusciti a contattare gli indirizzi di parenti e
conoscenti le cui abitazioni potessero essere utilizzate almeno per un breve
periodo e li avevamo passati all'esterno. Questo, almeno in parte e
momentaneamente, ci aveva evitato di lasciare per strada i nostri compagni.
Potremmo citare un sacco di esempi e raccontare atti di eroismo e di sacrificio
ed episodi drammatici, ma ciò non è necessario. Se abbiamo ricordato qui alcuni
di questi fatti è unicamente per far capire meglio la situazione di allora.
Le difficoltà del processo rivoluzionario, quelle che la teoria non affronta e che non diventano fatti evidenti, sono così tante che non è assolutamente possibile spiegarle con le classiche e note teorie e schemi. A volte è persino impossibile spiegarle con parole semplici. Quando queste particolarità, proprie di in movimento rivoluzionario, non vengono tradotte in parole, non possono venire comprese; ma quando si cerca di rinchiuderle in schemi teorici si verrebbe portati inevitabilmente fuori dalla linea rivoluzionaria.
Per portare
lo scontro ad altissimo livello, Sabo aveva proposto un'azione suicida, alla
quale avrebbe partecipato lei stessa. Tuttavia, non era questo il modo in cui
avremmo potuto ottenere importanti risultati, mentre invece era fondamentale
riuscire a raggruppare di nuovo l'organizzazione. Per questa ragione tale
proposta era stata respinta. Ricorderemo sempre la compagna Sabo per il suo
altruismo e la sua lealtà al movimento.
Il
responsabile dell'organizzazione all'estero, P.G., di fronte all'ordine di
ritornare in Turchia aveva fatto orecchie da mercante, asserendo di non aver
ancora terminato il proprio lavoro. Mentre i nostri compagni non potevano
neanche permettersi di pagare l'affitto di un appartamento o addirittura il
biglietto dell'autobus, lui, senza avvertirli, aveva preso loro del denaro e lo
aveva mandato in Turchia alla moglie e alla famiglia. In seguito, senza
chiedere e informare i compagni, aveva fatto espatriare la moglie, la cui
presenza era invece necessaria all'organizzazione in Turchia, e, incurante del
benché minimo principio morale, aveva proseguito questo genere di abusi e di
tradimenti. Ad esempio, si era fatto dare dei soldi -che avrebbe poi usato per
sé- anche dai simpatizzanti dell'organizzazione, ingannandoli con un mucchio di
fandonie riguardo a uno scontro imminente che non si sarebbe mai verificato.
Aveva inoltre utilizzato il nome dell'organizzazione per i suoi svariati
traffici infamanti con la criminalità organizzata, ma presto avrebbe dovuto
render conto del suo tradimento e ne avrebbe pagato il prezzo. P.G. non aveva adempiuto
i compiti assegnatigli e non aveva nemmeno voluto cooperare con i compagni più
giovani ed inesperti in questo periodo così difficile per il nostro movimento.
Approfittando del fatto che i leader dell'organizzazione erano in carcere,
aveva sfruttato il proprio carisma nei confronti dei compagni. Pensava di non
dover niente a nessuno e di poter utilizzare a suo piacimento ciò che invece
apparteneva all'organizzazione. Nessuno poteva fermarlo. Noi, in quanto
prigionieri, non eravamo in grado di agire: siccome non sapevamo esattamente
ciò che succedeva all'estero, dovevamo innanzitutto creare le condizioni che ci
avrebbero permesso di venire a conoscenza dei fatti. A volte capitava che i
compagni ricevessero la nostra rivista pubblicata all'estero: anche se
rispecchiava molto il contesto nel quale appunto veniva pubblicata, i contenuti
che vi erano espressi non avevano nulla a che vedere con la realtà della
Turchia e la rivista non era nient'altro che un rozzo pezzo di carta stampato
per pura formalità. Da parte nostra dovevamo riuscire a riunirci prima di tutto
nel paese. I compagni fuori dalle carceri non potevano risolvere i problemi
all'estero in tempi brevi.
Comunque, i
nostri compagni giovani ed inesperti erano giunti in pochissimo tempo a quel
grado di maturità, il cui raggiungimento richiede generalmente diversi anni.
Vivendo quella fase ed apprendendo da essa avevano imparato ad eludere i
controlli della polizia.
Nel frattempo
la giunta militare stava portando avanti, incontrastata, il programma di
transizione verso la democrazia. Dopo essere riuscita, pur se con qualche
difficoltà, a far approvare con un plebiscito la costituzione del 1982, ancora
reduce, per Così dire, da quella vittoria, non aveva trovato nessun ostacolo
che le impedisse di indire le elezioni nel 1983. Tutto, dall'atmosfera in cui
si sarebbero svolte tali elezioni, alla qualità dei partiti borghesi esistenti,
alla campagna elettorale, fino all'impazienza dimostrata da quei partiti
borghesi già esistenti da decenni, ne faceva presagire l'esito. Il regime, che
per svariati nonché importanti fattori interni ed esterni non avrebbe potuto
durare a lungo nella forma di giunta militare, stava cercando di trovare i modi
e gli strumenti per ottenere i propri obiettivi politici ed economici con la
truffa elettorale. Sebbene le elezioni avessero accresciuto la sensibilità
politica delle masse, la situazione richiedeva una presa di posizione da parte
delle organizzazioni rivoluzionarie. Avevamo perciò cercato di raggiungere il
popolo con il nostro messaggio, chiarendo la nostra posizione con dichiarazioni
fatte nelle aule dei tribunali e dall'interno delle carceri, distribuendo
all'esterno volantini, opuscoli e programmi ed applicando i metodi classici.
Non c’era nessun partito da votare e da sostenere che fosse realmente a favore
del popolo. Al fine di convincere le masse e di denunciare le elezioni truffa
della giunta militare, avevamo espresso chiaramente la nostra opinione in
merito: «Non entrate in cabina elettorale. Boicottate le elezioni. Non ci sono
né partiti né persone che vale la pena di votare e di sostenere». Ovviamente
non era un boicottaggio attivo, ma, pur se passivo, era comunque un
boicottaggio. A dispetto dei tempi duri, la nostra organizzazione continuava ad
esistere: alcune persone delle unità di guerriglia presenti sulle montagne di
Dersim erano state inviate in città per compiere azioni armate, ma tra queste
alcune avevano tradito ed erano fuggite. La situazione di inerzia del paese, le
battute d'arresto subite e l'incapacità di portare a termine gli obiettivi
antifascisti avevano contribuito ad accrescere la paura. Quando poi a questa
paura si era aggiunta anche una più pesante oppressione nelle città, il
tradimento era diventato qualcosa di inevitabile.
I provocatori e i traditori, che volevano
distruggere il movimento dal suo interno, avevano sempre fatto la loro
apparizione nei momenti più difficili e di debolezza. Ali Akgün, che aveva
fatto la sua comparsa proprio in quel periodo e che più tardi sarebbe stato
punito, era uno di questi individui. Prima del colpo di stato militare del 12
settembre aveva ricoperto l'incarico di responsabile per la zona del
Mediterraneo, in merito al quale aveva ricevuto diverse critiche per non aver
adempiuto il programma e le decisioni prese dal movimento, per il suo egoismo,
per aver creato confusione nelle questioni della regione e per aver utilizzato
abusivamente ciò che apparteneva al movimento. Consideravamo importante la zona
del Mediterraneo in quanto era proprio lì che ci aspettavamo di compiere dei
progressi, ma, a causa del comportamento
indisciplinato, dell'ottusità e del comportamento egoistico di Ali
Akgün, non eravamo riusciti a realizzare buona parte di tale programma. Prima
del 12 settembre gli avevamo chiesto di render conto seriamente delle sue
azioni, ma era ovvio che non sarebbe stato sincero. Infatti, Ali Akgün doveva
presentarsi a rapporto presso il comitato regionale, ma già al secondo giorno
di permanenza nella zona - prima senza avvertire l'organizzazione e poi mentendo
al comitato regionale - aveva tentato, insieme ad altri, di compiere
un'irruzione in una gioielleria, facendo arrestare tutti. Per questo crimine li
avevamo fatti retrocedere tutti al livello di semplici simpatizzanti e li
avevamo rimossi dai loro incarichi. Nel 1982, approfittando dell'occasione di
un'evasione decisa e coordinata da diverse organizzazioni, era fuggito dal
carcere di Elazig insieme a due compagni. La decisione di farlo partecipare
all'evasione era stata presa dall'organizzazione direttamente interessata
nell'azione e motivata dalla sua pesante condanna.
Sebbene ci
fossero state altre storie, Ali Akgün dopo l'evasione si era separato dai due
compagni per problemi personali e per altre ragioni e si era comportato in
maniera individualistica. Nel frattempo, poiché un altro compagno era stato
incaricato come responsabile del movimento, Ali Akgün aveva inviato un
messaggio in carcere per esprimere il proprio dissenso e per chiedere di
ricoprire lui l'incarico. Avendo ben presente la sua pessima condotta tenuta in
passato e la sua posizione, gli avevamo risposto che era un semplice
simpatizzante, che non poteva dunque assumersi certe responsabilità e che prima
avrebbe dovuto nuovamente mettersi alla prova. Tuttavia, siccome era uno di
quei piccolo-borghesi che sopravvalutano se stessi, non aveva dato retta alle
decisioni del movimento. Aveva trovato tre o quattro piccoli malavitosi,
bisognosi di denaro, che non avevano nessun contatto con il movimento ed
insieme a loro aveva compiuto furti, rapine ed ogni genere di sporco crimine
mafioso, continuando in questo modo a vivere come un gangster senza più
preoccuparsi dei compiti rivoluzionari. Sia i compagni all'esterno che i
compagni arrestati nel corso delle operazioni di polizia del 1983 avevano detto
che Ali Akgün nel gennaio 1983 non era stato arrestato, pur se la polizia aveva
avuto l'occasione per farlo. In quel periodo, mentre tutti i nostri compagni e
simpatizzanti si scontravano puntualmente con la polizia, lui si muoveva
liberamente tra i poliziotti. Senza controllarsi, aveva detto ai quattro venti
di essere lui l'autentico Devrimci Sol ed aveva fatto correre rischi a tutti i
quadri, o presunti tali, che conosceva. Diceva che la polizia non lo aveva
toccato perché aveva paura di lui. Invece l’oligarchia aveva riposto in lui le
speranze di spezzare il nostro movimento. Mentre Ali Akgün andava dicendo: «Noi
siamo l'autentico Devrimci Sol», i nostri compagni all'esterno non avevano
quasi più contatti con il traditore P.G., il quale aveva iniziato a cooperare
con Ali Akgün per tentare di legittimare il proprio tradimento. E così questi
due individui avevano fatto un accordo per spezzare il nostro movimento. Ali
Akgün, per realizzare tale piano, era in procinto di recarsi all'estero e nel
frattempo si faceva ospitare da un simpatizzante del DHB. Un giorno però la
polizia aveva scoperto e convocato in commissariato questa persona e Ali Akgün,
spaventato dalla presenza dei poliziotti, aveva cercato di scappare dalla
finestra e così era stato arrestato. La banda, che egli aveva riunito attorno a
sé, si era staccata da lui e quindi si era sciolta. Il traditore P.G., dato che
in quell'occasione aveva giocato la sua ultima carta, aveva deciso di far
ritorno nelle braccia del sistema. Di fatto, gli autori di tale cospirazione
non erano né P.G. né Ali Akgün, bensì l'oligarchia e gli opportunisti. Gli
opportunisti però non potevano accettare che tutti i loro sforzi per spezzare
il movimento andassero ancora una volta un fumo ed è per questa ragione che non
si sarebbero lasciati sfuggire nemmeno un'occasione per mostrare apertamente il
proprio atteggiamento ostile e di rancore. E la messinscena che avrebbero
orchestrato in seguito alla punizione del traditore Pasa Güven e di Ali “il
barbaro” ne sarebbe stato un risultato.
I nostri corpi trasformati in armi
Il nostro
movimento, mentre stava ancora curandosi le ferite, aveva dato continuità al
proprio antifascismo fondato sulla violenza rivoluzionaria. In seguito
all'ascesa al potere del governo ANAP, avevamo intrapreso una battaglia
propagandistica antigovernativa, smascherando il volto fascista del governo.
Oltre alla classica propaganda, avevamo anche compiuto attacchi con bombe,
distruggendo 10 sedi cittadine dell'ANAP ad Istanbul. In quel periodo la
situazione in Turchia era tranquilla e queste azioni - contro le quali si era
scagliata la violenza del governo - risultavano qualcosa di piuttosto
sensazionale. Tuttavia, mancando di una certa stabilità, non riuscivamo ad
intensificare queste azioni. Insomma, non essendo inserite in un programma
quotidiano, lasciavano soltanto un'impronta momentanea.
La giunta
militare continuava ad essere psicologicamente superiore. L'interno delle
carceri ormai rappresentava il centro dell'opposizione, caratteristica
garantita proprio dalla resistenza dei prigionieri. Ma, oltre alla lotta dei
prigionieri per l'identità e la dignità, dovevamo unire il loro potenziale di
resistenza e la loro forza con una lotta politica che potesse essere incisiva
nei confronti delle masse popolari, dar loro sostegno morale e contrapporsi
alla tattica di pacificazione della giunta militare.
Dopo il 12
settembre molti gruppi avevano scelto la “ritirata tattica”. Influenzati dalla
guerra psicologica della giunta militare, avevano cominciato a frammentarsi, a
deviare verso destra e a fuggire in esilio, poiché, fin dalla loro comparsa
sulla scena politica, non avevano mai pensato seriamente al fascismo, allo
stato, alla strategia, alla tattica o alla lotta. Il colpo di stato militare
del 12 settembre 1980 li aveva ulteriormente confusi e indeboliti.
Completamente disinformati sulla situazione del paese e sulla rivoluzione,
avevano teorizzato sull'imperialismo ed avevano imposto a se stessi
un'ideologia borghese che cominciava, in un modo o nell'altro, a condizionarli.
Era ovvio che con idee simili gli opportunisti pensassero di non essere in
grado di resistere, anche se, a dispetto della sua forza apparente, la
debolezza della giunta militare era evidente all'opinione pubblica all'estero e
nel paese. Essi avevano sopravvalutato la forza della giunta militare
considerandola esageratamente “invincibile” e ritenendo “inutile” la lotta
contro di essa. All'interno delle carceri avevano perseguito la linea
dell’“antiresistenza”, cioè la linea dell’“accettazione passiva”, ed avevano
cercato di legittimarla.
Questo
atteggiamento volto alla resa era diventato palese soprattutto nel TKP [Partito
Comunista Turco] e nell'Aydinlik che lo affiancava. Molti altri gruppi di
sinistra si erano divisi tra la linea della resistenza e la linea della resa,
quest'ultima perseguita appunto dal TKP. Se si osserva l'atteggiamento di
Devrimci Yol nel carcere di Mamak - molti prigionieri del carcere di Mamak
erano sostenitori di Devrimci Yol, inoltre anche i quadri dell'organo centrale
ed altre avanguardie di quel gruppo erano detenuti lì - risulta chiara la sua
responsabilità riguardo al processo di trasformazione di quel carcere in un
centro di riabilitazione della giunta
militare. Lì la giunta militare aveva giocato al gatto col topo con i prigionieri.
Il carcere di Diyarbakir, dove la maggioranza dei prigionieri era costituita
dai nazionalisti kurdi, era candidato a diventare il secondo centro di
riabilitazione. La giunta militare aveva fatto tesoro dell'esperienza di queste
due carceri per attaccare anche le altre nella speranza di ottenere i medesimi
risultati. I prigionieri di Mamak e di Diyarbakir non erano stati capaci di
prevenire le vittorie della giunta militare, il cui principale risultato era
stato quello di far vedere al popolo in Turchia e all'estero che i
rivoluzionari turchi e kurdi si stavano arrendendo e pentendo. Questa
propaganda abilmente progettata aveva influenzato negativamente le masse
popolari e si era anche spinta oltre, facendo diventare Mamak e Diyarbakir le
istituzioni dell'intimidazione e della pacificazione delle masse popolari.
La giunta
militare, fin dal primo giorno di ascesa al potere, era intenzionata ad
attaccare in maniera intensiva il carcere, al fine di costringere i prigionieri
alla resa prima che fossero in grado di riprendersi dalla confusione, e aveva
messo in atto questo piano. Un ruolo fondamentale in questa capitolazione,
confusione e deprivazione lo aveva giocato l'analisi insufficiente e non
rivoluzionaria riguardo alla forza e alla debolezza della giunta militare, al
periodo precedente il 12 settembre, al vicolo cieco in cui un regime
apertamente fascista viene a trovarsi e alla capacità che un movimento
rivoluzionario, contando sulle proprie forze, ha. Il primo attacco della giunta
militare aveva causato il panico. Si era arrivati a considerarla onnipotente
per paura di ulteriori e ben più gravi attacchi. Dicendo di voler prevenire una
capitolazione ancor più grande, le attività finivano poco per volta ad
adattarsi alla resa stessa. Una dopo l'altra, tutte le richieste della giunta
militare venivano accolte. Ogni accettazione portava a un nuovo attacco e ad
esso seguiva l'accettazione di un'ulteriore richiesta. Con questa tattica, in
breve tempo, la giunta militare era riuscita a sottomettere i prigionieri di
Marnak e di Diyarbakir e questa sottomissione era stata poi utilizzata con
successo contro il popolo per mezzo della propaganda. In quel periodo il
compito più urgente dei rivoluzionari era quello di contrastare questa
propaganda e mostrare che i rivoluzionari non si stavano arrendendo. Era
inevitabile che, per raggiungere tale obiettivo, per contrastare questa
politica di sottomissione e di conseguenza per essere incisivi nei confronti
della sinistra e del popolo, avremmo avuto dei martiri.
Nonostante i tentativi di ritirata da parte dell'intera sinistra e
nonostante l’annientamento di ogni genere di resistenza, avevamo applicato con
successo, fino alle elezioni del 1983, la nostra determinata e radicale linea
di resistenza, la quale all'interno delle carceri, insieme al rifiuto della
confessione in aula, aveva influenzato quasi tutti, dalla sinistra fino agli
intellettuali piccolo-borghesi. Gli opportunisti invece non avevano fatto
propria né la coscienza rivoluzionaria né la realtà del nostro paese e si erano
addirittura opposti alla lotta per la difesa dei più basilari diritti, dicendo
che la giunta militare durante quei primi anni era molto forte e che loro non
volevano compromettersi. Quando poi la giunta militare aveva indetto le
elezioni per il 1983, avevano creduto ad un ritorno alla democrazia, facendosi
ingannare dal sogno che la pressione e il terrorismo nei confronti dei
prigionieri si sarebbero attenuati fino a cessare del tutto. Di conseguenza
avevano sostenuto - in coro con i demagoghi - che era inutile prendere una
posizione politica in carcere poiché ciò era compito di coloro che stavano
all'esterno e che le carceri non erano centri di lotta. Dove non c'è fermezza
ideologica le deviazioni di destra o di sinistra sono inevitabili.
Mentre gli opportunisti fantasticavano, la giunta militare, quasi ne
avesse letto il pensiero, aveva imposto ai prigionieri di indossare la divisa
carceraria, confondendo ancora di più le idee agli opportunisti, e mentre
questi ultimi continuavano a sperare nella democrazia, il fascismo aveva
compiuto un attacco ben più duro dei precedenti. Se la giunta militare aveva
realizzato il proprio programma di transizione, distanziandosi da un regime
apertamente fascista, non aveva di certo accantonato quello inerente la
riabilitazione dei prigionieri. Coloro che non avevano capito che il fascismo
in Turchia cercava di agire dietro la
facciata della democrazia, sarebbero stati in grado, dopo dolorose
esperienze, di riconoscerne la realtà ? Purtroppo le fantasie degli opportunisti
non riguardavano solo il carcere, ma si erano spinte talmente avanti che alcuni
gruppi - come ad esempio Kurtulus che era fuggito dal paese ancor prima del 12
settembre al grido: «La giunta militare sta arrivando» - avevano fatto
addirittura ritorno in Turchia per riorganizzarsi, credendo che le elezioni del
1983 avrebbero instaurato di nuovo la democrazia, e così si erano trovati di
fronte a una situazione inaspettata. I loro sogni erano stati troppo grandi:
tutte le organizzazioni di sinistra avevano i propri militanti in carcere
oppure avevano cessato di esistere; tutto il paese era paralizzato. Essi
avevano creduto, ritirandosi, di aver sviluppato una gran tattica e di essere
riusciti a conservare le forze. Ora credevano di poter mandare queste forze
all’assalto del paese e di riuscire a catalizzare attorno a sé l'intero
potenziale rivoluzionario. Ovviamente, pensando ai possibili ostacoli, non
avevano trascurato l'attacco ideologico contro il nostro movimento. È assai
triste ma, a partire dall'istante in cui questa gente -che non aveva mai combattuto nel paese, estranea al popolo,
incapace di sbarazzarsi di tutti i pensieri astratti e contorti e di
quell'instabilità tipica degli intellettuali piccolo-borghesi, che aveva
coltivato solo scoramento e sfiducia, che
aveva addirittura importato dall'Europa alcune idee di destra- aveva rimesso piede nel paese, avrebbe
avuto soltanto un paio di mesi di vita. Ad esempio Kurtulus, che anche dopo il
ritorno in Turchia aveva esclamato con felicità: «Tutti gli altri sono crollati. Siamo gli unici ad esserne usciti
indenni», dopo qualche mese - dopo cioè
aver sbattuto la testa contro il muro del carcere ed aver riacquistato
coscienza (per davvero ? ) - aveva
dichiarato: «Siamo stati tutti colpiti e pure noi abbiamo ricevuto la nostra
parte». Avrebbero imparato ?
Gli anni
della sconfitta erano stati l'ambiente ideale per lo sviluppo di ogni sorta di
perversità, degenerazione ed immoralità ideologiche, di una maggiore distanza
dal popolo, del rinnegamento e dell'idealismo filosofico, come conseguenza
degli attacchi e della politica di sottomissione messe in atto dalla borghesia.
Per far sì che la nostra organizzazione continuasse ad esistere, che non
perdesse terreno e che fosse in grado di dirigere il popolo, dovevamo
combattere ogni genere di tendenza opportunista che attaccava la nostra
chiarezza ideologica, minava la nostra stabilità, sosteneva l'oligarchia e
foraggiava la mentalità della sconfitta. Dovevamo agire contro tutte quelle
tendenze che derivavano intenzionalmente dall'ideologia opportunista, che
volevano distruggerci, portandoci progressivamente allo sfacelo e alla
dipendenza dal sistema ed istituzionalizzando lo status quo. Non potevamo lasciar spazio all'influenza borghese in
qualsiasi forma e travestimento si presentasse: all'interno ed all'esterno, le
deviazioni di destra e di sinistra, il revisionismo e il compromesso. Dovevamo
tracciare una linea chiara la cui realizzazione non permetteva di dare troppo
spazio né ai dettagli né ai dubbi. L'esistenza dell'organizzazione dipendeva
dalla nostra capacità di superare in maniera ideologicamente stabile questo
processo ed era soltanto su tale questione che si sarebbe deciso il nostro
futuro. La linea della resistenza e la lotta in carcere erano allo stesso tempo
uno strumento per combattere e neutralizzare i nemici interni ed esterni.
Questa concezione e questa prospettiva avevano permesso ai nostri quadri e
simpatizzanti di accrescere la fiducia in se stessi e a noi di continuare la
resistenza per molti anni, contando sulle nostre forze, al di là di tutte le
differenze. Sapevamo di poter raggiungere risultati positivi.
Gli
opportunisti, a rimorchio dell'idea di democrazia contro l'obbligo per i
prigionieri di indossare le divise carcerarie, non erano in grado di far fronte
a una resistenza che esigeva sacrifici a lungo termine. Si trovavano così
impantanati in determinate posizioni ed erano ormai stanchi ed esausti. Essi da
un lato perseguivano questo atteggiamento, sognando una nuova democrazia, e
dall'altro mostravano tutta la loro debolezza di fronte alla nuova ondata di
attacchi, parlando ancora una volta di onnipotenza della giunta militare. In un
primo momento avevano pensato che sarebbe bastato un breve periodo di
resistenza generale per far sì che la giunta militare rinunciasse alle proprie
richieste/pretese. Il nemico e la sinistra avrebbero dovuto affrontare una
prova di determinazione: il più determinato avrebbe vinto. Purtroppo, il
modo di pensare degli opportunisti e la loro forma mentis non li avrebbero condotti alla vittoria. E così, alla
fine, più di 1.000 prigionieri avevano partecipato alla resistenza generale del
1983, che era diventata ben presto una guerra di forza di volontà tra il nemico
e la sinistra. Ma, giunti al culmine della resistenza, quando le
forze rivoluzionarie e democratiche del paese e del mondo stavano dando il
proprio sostegno ai prigionieri, quando il gioco che la giunta
militare faceva dietro la facciata democratica era stato smascherato, quando il
regime fascista si trovava in una posizione difficile ed obbligato al
compromesso, gli opportunisti avevano cominciato a nutrire sempre più dubbi e
avevano bruscamente interrotto la resistenza, dando in questo modo
alla giunta militare una facile vittoria. Le agenzie di stampa mondiali avevano
riportato: «La giunta militare è riuscita a spezzare la resistenza istigando i
prigionieri l'uno contro l'altro». Adesso il nemico poteva elevare il suo
programma di riabilitazione. Ancora una volta gli opportunisti avevano sbagliato
nel credere che l'interruzione della resistenza avrebbe portato a un
compromesso con il nemico e così quest'ultimo aveva distrutto le loro speranze
- che comunque non erano poi tante - di poter accrescere l'offensiva non appena
la resistenza fosse terminata. Gli imbecilli non erano stati capaci di imparare
dall'esperienza. Ora non avevano più la forza di organizzare una nuova
resistenza ed erano decaduti moralmente. Affermazioni come: «Resisteremo. Non
accetteremo le divise carcerarie» erano soltanto parole a cui nemmeno loro
credevano. Spinti da noi alla
resistenza, cominciavano a legittimare la ritirata: la tattica della ritirata
era sempre stata presente anche in carcere, ma fino ad allora non aveva mai
avuto la reale possibilità di affermarsi. Adesso i prigionieri, che
perseguivano quella stessa ideologia che la sinistra all'estero aveva scoperto
in seguito al colpo di stato del 12 settembre, potevano verificare questa
teoria con un ritardo di tre o quattro anni. Per riuscire ad autoconvincersi e
a convincere i loro simpatizzanti avevano dovuto fare notevoli sforzi e, nel
nome della ritirata tattica, avevano addirittura utilizzato parecchi esempi
storici, da Brest-Litovsk alla NEP, cercando di collegarli tutti alla
situazione carceraria, quando di fatto era ben chiaro ciò che dicevano e ciò
che volevano. Invece di dire semplicemente: «Non abbiamo la forza di resistere
ancora. Dobbiamo accettare le divise carcerarie», avevano bisogno di ricorrere
a giustificazioni teoriche, anche se ciò aveva raggiunto livelli assurdi. Con
la ritirata degli opportunisti era diventato ovvio che il grado di sacrificio
di coloro che continuavano la resistenza nel carcere di Istanbul sarebbe stato
maggiore rispetto a quello raggiunto nella situazione di resistenza generale:
dovevamo essere pronti a questo. Non potevamo regalare così al nemico quel
genere di individuo assoggettato che esso voleva creare per poterlo poi esibire
davanti al popolo, dopo aver costretto tutti i prigionieri ad indossare le
divise carcerarie.
Dovevamo
contrastare quel tipo di condotta, nata dalle carceri di Mamak e di Diyarbakir,
che, fornendo alla giunta militare altro materiale propagandistico, avrebbe
accresciuto il disappunto delle masse popolari e dovevamo quindi inviare al
popolo questo messaggio: «Non ci siamo arresi nonostante tutti gli attacchi del
nemico», pronunciato ad alta voce e nelle più dure condizioni oggettive.
Era ovvio che
la ritirata degli opportunisti dalla resistenza contro le divise carcerarie
avrebbe portato ad un massiccio declino della partecipazione e noi dovevamo
sostituire tale perdita. Per essere totalmente autonomi e poter contare sulle
nostre forze, dovevamo innalzare barricate contro la nuova ondata di attacchi
da parte dell'oligarchia e dovevamo impedire la sottomissione, anche se avremmo
avuto dei martiri. L'oligarchia aveva fatto buon uso della situazione emotiva
degli opportunisti dopo la loro brusca interruzione dello sciopero della fame
del 1983. La loro disponibilità ad accettare le divise carcerarie aveva accresciuto
le speranze dei fascisti, i quali avevano cominciato a dimostrare la propria
determinazione. Però, nonostante questa dimostrazione di forza, nonostante le
elezioni del 1983 e nonostante altre manovre in senso democratico, il fascismo
stava affrontando una profonda crisi economica e politica interna e doveva
misurarsi anche con l'isolamento esterno. Potevamo fermare questa ondata di
sottomissione se tenevamo conto del vicolo cieco nel quale la giunta militare
si era trovata intrappolata e se riuscivamo a porre le basi di una resistenza
determinata senza aver paura di sacrificarci. Potevamo giocare, in diversi
modi, un ruolo positivo all’interno e all’esterno del carcere, dando allo
spirito della resistenza un rinnovato dinamismo. L'abolizione delle divise
carcerarie e di altri strumenti di sottomissione avrebbero significato il
fallimento della politica fascista messa in atto dalla giunta militare contro i
prigionieri ed avremmo così dato inizio a una fase in cui le pressioni del
fascismo nei confronti dei prigionieri sarebbero diminuite e parte dei loro
diritti sarebbero stati riconosciuti. Il raggiungimento di tali obiettivi
dipendeva dalla nostra determinazione alla resistenza e dalla nostra politica
rivoluzionaria. I nostri quadri e simpatizzanti erano pronti ad assumersi
questo compito storico. Fin dall'inizio essi avevano affrontato questo
processo, avevano constatato la differenza tra la nostra politica e quella
degli opportunisti ed avevano saputo tener testa alle deviazioni di destra.
Questo era il contesto nel quale avevamo deciso di attuare lo sciopero della
fame ad oltranza. Poiché nessun altro gruppo di sinistra, eccetto il TIKB,
aveva accettato la proposta di una nuova resistenza generale o di uno sciopero
della fame ad oltranza, avevamo deciso per la seconda proposta, iniziando con
il TIKB lo sciopero della fame ad oltranza. Nell'ambito di una resistenza
organizzata a tutti i livelli, sia delle masse che dei quadri, i volontari
dello sciopero della fame ad oltranza avevano dato inizio alla protesta il 13
aprile 1983. L'oligarchia, ancora determinata, aveva lanciato la controffensiva
fin dal primo giorno. La resistenza, che sarebbe durata 75 giorni, era quasi
quotidianamente sottoposta ad attacchi fisici, psicologici e ideologici. Nel
corso di questa resistenza, che avrebbe avuto anche dei martiri, e nel momento
in cui l'oligarchia continuava gli attacchi contro i prigionieri mobilitati,
gli opportunisti avevano discusso delle divise carcerarie, avevano approfittato
delle condizioni migliori ottenute con la resistenza e, come se niente fosse,
si erano uniti alle chiacchiere e alle speculazioni dell'oligarchia. Non
potevano però aspettarsi che la resistenza si concludesse con una sconfitta.
Sebbene i
nostri compagni dirigenti Abdullah Meral e Haydar Basbag, il nostro quadro
Hasan Telci e un leader del TIKB, M. Fatih Öktülmüs fossero caduti come
martiri, non avevamo ottenuto l'immediata abolizione delle divise carcerarie.
Ma la resistenza, che aveva fatto conoscere all'opinione pubblica mondiale, con
ben quattro martiri, la questione delle divise carcerarie, si era trasformata
in un fronte di lotta contro la politica di oppressione attuata dalla giunta
militare contro i prigionieri. Essa aveva dato alle masse popolari il messaggio
che i rivoluzionari non si sarebbero mai arresi - anche a prezzo della loro vita - ed aveva impedito ai fascisti di ingannare la coscienza delle
masse. Adesso dovevamo scrivere la storia della resistenza dei prigionieri di
Devrimci Sol, che avremmo intitolato: "Sono morti, ma non si sono mai
arresi”.
In quel
periodo le masse non riuscivano a capire completamente l'importanza di questa
resistenza all'interno ed all'esterno del carcere, ma col passare del tempo
l'avrebbero compresa meglio e ne avrebbero colto i differenti aspetti.
Inoltre
questa resistenza era anche un processo che avrebbe ancora una volta messo alla
prova tutti coloro che stavano nelle nostre fila, dalle masse, ai quadri, ai
dirigenti, e nel quale avremmo altresì potuto verificare la nostra fermezza
ideologica.
Forse questa
resistenza non portava all'immediato ottenimento di importanti diritti
concreti: infatti lo scopo principale non era tanto questo, quanto invece i
risultati politici e in quel campo era una vittoria, e cioè la continuazione
della resistenza, nella quale
sviluppare ancora e costruire sui risultati politici ottenuti altre nuove forme
di resistenza. Non avremmo accettato le divise carcerarie e non avremmo
obbedito agli ordini: avremmo continuato la resistenza.
Per la prima
volta nella storia dei prigionieri dopo il 12 settembre 1980, l'accettazione da
parte degli opportunisti delle divise carcerarie aveva reso evidente la netta
divisione tra i prigionieri. Le teorie opportuniste erano state attentamente
riassunte con ragionamenti demagogici come Brest-Litovsk, la NEP e gli aspetti
individualistici dell'essere umano. Allora gli opportunisti dicevano: «La
giunta militare non vuole obbligarci ad indossare le divise carcerarie». Se
adesso ricordiamo quel fatto con un amaro sorriso, esso aveva comunque
costituito un esempio negativo nella storia dei prigionieri, poiché gli
opportunisti avevano presentato l'accettazione delle divise carcerarie
addirittura come una vittoria. Essi avevano pensato che, accettando di
indossarle, la giunta militare avrebbe cessato di esercitare pressioni,
concedendo loro una tregua, mentre invece, avuto ciò che voleva, aveva
continuato a volere di più, facendoli così precipitare di nuovo nella
confusione. Poiché ci eravamo rifiutati di indossare le cosiddette "bare
azzurre", a noi e ai prigionieri del TIKB erano stati negati tutti i
diritti, persino quello di presenziare ai processi, ma noi avevamo comunque
proseguito la nostra linea di condotta e fatto rivivere la libertà all'interno
del carcere. Inoltre ci tenevano separati dagli altri ed eravamo sottoposti a
continui attacchi, mirati esclusivamente contro di noi e non verso coloro che
indossavano le divise carcerarie, poiché, se la giunta militare avesse
attaccato anche questi ultimi, avrebbe annullato gli effetti della vittoria
appena ottenuta nei confronti degli opportunisti. Per questa ragione aveva
messo in atto il trattamento differenziato dei prigionieri, utilizzando le
divise carcerarie per attuare anche all'interno del carcere la politica del dividi et impera.
Era alquanto
difficile per la giunta militare spiegare all'opinione pubblica mondiale la
situazione dei prigionieri, che ormai da due anni non potevano presenziare ai
processi perché rifiutavano le divise carcerarie. In quel periodo
l'associazione dei nostri familiari si era sviluppata, diventando la voce che
faceva conoscere all'esterno la resistenza dei prigionieri. Il regime fascista,
costretto a mantenere la facciata democratica, non poteva più continuare tale
attacco. Noi dovevamo proseguire la resistenza. Il 15 novembre 1985 la giunta
militare aveva cominciato ad arrendersi di fronte alla nostra resistenza. Dopo
aver conquistato tutti i nostri diritti, nel gennaio 1986 avevamo completamente
abolito l'uso delle divise carcerarie, dando così una grossa sconfitta sul
fronte delle carceri alla giunta militare. Adesso anche gli indipendenti e gli
opportunisti potevano togliersi le 'bare azzurre". Per poter scrivere
questo capitolo di storia quattro compagni erano caduti come martiri.
La nostra
fermezza ideologica e la nostra determinazione organizzativa operavano su
diversi fronti. Infatti esse non potevano limitarsi al fronte delle carceri, ma
dovevano essere considerate un processo, ricco di lezioni politiche, importanti
ancora oggi, sulle quali basarci tuttora.
All'estero il
traditore Pasa aveva ormai interrotto tutti i rapporti con il nostro paese e si
occupava solamente delle sue questioni personali. In Turchia c'erano stati
altri arresti e Sabo era rimasta da sola: questo non era sufficiente. Avevamo
bisogno di nuovi militanti. Lo sciopero della fame ad oltranza dei prigionieri
aveva attirato forti simpatie da parte dei quadri, dei simpatizzanti e del
potenziale rivoluzionario in generale, ma purtroppo la nostra organizzazione
era troppo debole per poterne raccogliere gli effetti positivi. Il comandante
Necdet Pisimisler e diversi altri compagni dell'unità di guerriglia rurale
della regione del Mar Nero - che il 12 settembre non aveva fatto sentire
propria presenza combattente - erano caduti come martiri nel 1981 durante i
combattimenti con il nemico.
Sempre nel
1981 i combattenti dell'unità di guerriglia rurale della regione di Sivas-Tokat
erano stati fatti prigionieri, mentre l'unità di guerriglia rurale di Dersim
era riuscita a sopravvivere fino al 1984 compiendo poche azioni di minor
livello poiché, pur avendo maggiore esperienza di altre unità e pur operando in
un'area ad alta concentrazione di potenziale rivoluzionario, aveva stabilito la
priorità della conservazione delle forze ed aveva quindi deciso di non dare
inizio ad azioni rilevanti. In seguito all'arresto di questi combattenti,
avvenuto alla fine del 1984, la nostra attività dì guerriglia era cessata anche
in quella zona.
La necessità della ritirata
Fortunatamente
in quel periodo era stato scarcerato M.A.
Egli, dopo il 12 settembre, che aveva assunto alcuni incarichi nel
Comitato Centrale ed aveva partecipato alle discussioni inerenti i problemi e i
nostri doveri all'esterno, uscendo dal carcere con il morale alto. Pensavamo che l'organizzazione potesse ben
presto fare dei progressi perché ora, accanto a Sabo, c'era un altro dirigente
di cui avevamo fiducia, ma M.A. aveva utilizzato questa fiducia per affrontare
i propri problemi personali e, sebbene fossero già trascorsi un paio di mesi,
non aveva ancora cominciato nulla.
Decideva i
luoghi d'incontro, ma poi raramente si faceva vedere, mettendo a repentaglio la
vita dei nostri compagni migliori. Rinviava di continuo le proprie
responsabilità con la scusa di problemi familiari e di salute e dopo qualche
mese ne aveva trovata un'altra: gli “incubi”. M.A. si stava incamminando sulla strada del
tradimento: dopo il periodo degli incubi aveva cominciato ad avere paura,
concludendo così la sua vita di rivoluzionario. In quegli anni questa era stata
la linea perseguita da coloro che non volevano condurre la vita dei
rivoluzionari. Questi individui dovevano dimostrare alla polizia, all'ambiente
in cui vivevano e a tutti gli altri che non si sarebbero più impegnati in
attività rivoluzionarie e questa strada li portava a perdere il proprio
carattere e la propria dignità. La polizia li controllava e li osservava per
sapere che cosa stessero facendo e quando capiva che non volevano più essere
rivoluzionari li contattava e, facendo pressioni, li costringeva come minimo
alla delazione. Questo era stato il modo in cui la polizia aveva contattato
M.A., il quale si era umiliato a tal punto da arrivare a bere e a cenare con
gli stessi aguzzini che lo avevano torturato. Anche se non era diventato un
delatore, M.A. aveva promesso loro di non essere mai più un rivoluzionario.
Gli anni
della sconfitta erano stati anni difficili e del tradimento, ma nonostante ciò
noi avevamo proseguito la nostra strada. Per certi versi era più facile, da
prigionieri, resistere alle pressioni e alle torture, poiché in quella
situazione era chiaro chi fosse il nemico, ma il dolore infertoci dai
traditori, che avevano agito calpestando i loro stessi valori, era ancora più
forte. Per altri versi il tradimento aveva avuto l'effetto di una frusta,
rafforzando la nostra volontà di libertà e intensificando gli sforzi per
cercare di uscire dal carcere.
Il carcere
aveva due volti: da un lato era una scuola e dall'altro tritava come una macina
le persone, specialmente quando le organizzazioni fuori erano deboli ed il
nemico psicologicamente superiore. Finché non veniva messa a repentaglio la
vita delle persone e finché queste ultime non erano sovrastate dalla
situazione, era possibile seguire la linea della resistenza, mantenendo un
livello di vita e di resistenza collettivo. Quando però non c'era più una
chiara distanza tra rivoluzione e controrivoluzione e nemmeno una netta
separazione dal sistema, allora il ritorno al sistema non diventava poi così
difficile. Coloro che avevano affrontato il carcere e le torture, e che poi
uscivano e si trovavano dall'altra parte del muro, si sarebbero nuovamente
misurati con le torture, le pressioni e le difficoltà della carcerazione,
finalizzate a spezzare la loro identità rivoluzionaria.
Essere dei
rivoluzionari significa essere preparati a questo. All'intensificazione della
lotta rivoluzionaria segue un aumento della violenza controrivoluzionaria. In
questa lotta la morte è una possibilità concreta. Le persone sono obbligate a
scegliere immediatamente tra il sistema e la rivoluzione. Una personalità
indecisa e irresoluta - non realmente emancipata dal sistema - deve quindi misurarsi da un lato con le
aspettative dei propri compagni e del popolo e dall'altro con le minacce da
parte dell'oligarchia di tortura, terrore e morte. Coloro che non credono alla
superiorità della rivoluzione e che sono volubili si arrenderanno alle
pressioni e alla violenza del nemico e verranno reintegrati nel sistema.
Abbandoneranno il popolo e i compagni e li tradiranno. Questo genere di
personalità appartiene ai piccolo-borghesi, deboli e non preparati al
sacrificio, che vivono nella speranza di una rivoluzione immediata. In tempo di
vittoria essi sono i più radicali, mentre nella fase della sconfitta si chinano
di fronte al nemico e sono sempre sul punto di tradire. Essi sono i potenziali
portatori del tradimento all'interno della rivoluzione...
Il compagno
Niyazi era stato scarcerato nell'ottobre 1985. Fin dal 1970 egli aveva
partecipato a tutte le fasi di sviluppo del nostro movimento ed era sempre
stato pronto al sacrificio. Niyazi possedeva ancora una memoria della lotta che
il nemico e i più non conoscevano, un patrimonio che non era mai stato rivelato
fino ad allora. In qualsiasi situazione egli aveva sempre saputo mantenere la fiducia
che avevamo riposto in lui e dopo il 12 settembre, entrato nel Comitato
Centrale, gli erano stati affidati, senza alcuna esitazione, molti incarichi.
Il compagno Niyazi non era come M.A.: quest'ultimo non si era mai completamente
staccato dal sistema, né in passato né in carcere, mentre Niyazi era diverso;
aveva trascorso un'infanzia povera, fin da bambino, per vivere, aveva sempre
dovuto lavorare ed era cresciuto nei quartieri popolari più poveri. Tranne che
per la sua personalità intellettuale, egli non aveva nessun legame con il
sistema, dal quale si era nettamente staccato fin dall'inizio. Era uno dei
dirigenti del nostro movimento e la sua liberazione sarebbe stata indubbiamente
molto importante. Eravamo contenti e fiduciosi perché per noi era come se,
insieme a Niyazi, fossero stati scarcerati centinaia di prigionieri: egli
avrebbe portato all'esterno tutti i nostri ideali e sentimenti, il nostro
spirito combattente, la nostra rabbia e la nostra collera. Questa era
l'atmosfera al momento della sua liberazione.
Fuori lo attendevano un sacco di problemi.
Niyazi doveva misurarsi con compiti enormi: doveva riassestare
l'organizzazione, occuparsi del tradimento all'estero, ridare una nuova forma
al movimento, costruire una struttura centrale e sviluppare la lotta. Era
impossibile incrementare la lotta e stabilire un programma con l'organizzazione
che c'era allora, con la rete di rapporti esistente e con le rimanenti risorse.
Il regime fascista, malgrado la sua continuità, stava attraversando una fase di
rinnovamento, perciò sarebbe stato inutile cercare di ampliare la resistenza
impiegando le forze e la struttura esistenti: avremmo soltanto disperso ancora
di più le forze. Per poterci rafforzare e preparare alla fase di espansione
dovevamo prima di tutto concludere la discussione, iniziata alla fine del 1984, sulla ritirata tattica. Niyazi era
riuscito in breve tempo ad eludere la sorveglianza della polizia e a cominciare
così ad adempiere ai propri compiti. Ora Niyazi e Sabo guidavano il nostro
movimento.
La situazione del movimento era stata
valutata nei dettagli e discussa con i quadri più importanti, giungendo alla
decisione della ritirata tattica, che non doveva essere una fase di totale
passività, bensì una fase durante la quale compiere, di tanto in tanto e senza
disperdere le forze, azioni e iniziative di propaganda, ma essa doveva
principalmente servire a ridare forma e stabilità all'organizzazione, a riunire
le forze e ad accelerare il processo di costruzione del partito.
Avevamo dichiarato che ritenevamo P.G. - con cui tutti i contatti erano stati
interrotti e che aveva trasformato la nostra organizzazione all'estero in un
convivio per i propri interessi personali-
responsabile di tradimento. Dopo che avevamo pubblicamente esposto tutti
i suoi tentativi di dividere il movimento all'estero, si era isolato e, avendo
capito che non poteva più sfruttare il movimento rivoluzionario e le masse a
vantaggio dei propri familiari e conoscenti, lui e sua moglie, controllati
dalla polizia francese, avevano cominciato a trattare con la mafia. I quadri e
i simpatizzanti del nostro movimento avevano provato un'enorme rabbia verso
questo traditore che ci aveva abbandonati sotto il fuoco del nemico. Non lo
avremmo mai dimenticato.
Pur non avendo ancora
raggiunto un buon livello di stabilità, avevamo ugualmente compiuto degli
interventi all'estero, cominciando a fare pulizia. Inoltre avevamo lentamente
cominciato a ripristinare e ad ampliare i contatti, le cui possibilità finora
erano state limitate e distorte. Allora
il governo ANAP doveva attuare alcune riforme democratiche, anche se
limitate. Alcuni settori popolari
avevano cominciato a rompere il silenzio, imposto alle masse con il terrore e
le pressioni. Diverse classi e settori popolari, i familiari dei prigionieri, i
giovani, gli studenti, i lavoratori e persino alcuni partiti borghesi –sebbene
dentro a una linea riformista- avevano iniziato ad alzare la voce e a
rivendicare i propri diritti. Noi dovevamo essere la voce delle rivendicazioni
del popolo, che la giunta militare, per mezzo di pressioni e censura, aveva
appunto costretto al silenzio e dovevamo prendere in mano, insieme alla lotta
del nostro movimento, anche la lotta delle masse. Infatti, senza creare una
base costituita dal potenziale di massa, è impossibile avere un'ampia e solida
organizzazione di quadri. Dovevamo dirigere le masse nel loro tentativo di
rialzare la testa rivendicando i propri diritti economici e politici, senza
cadere nella trappola della legalità. Dovevamo prendere decisioni coraggiose
riguardo all'ideologia, alla politica e all'organizzazione delle masse,
dovevamo metterle in atto e, giorno per giorno, senza esporci, dovevamo
rafforzare sempre più il retroterra dell'organizzazione. Dovevamo analizzare
tutte le possibilità e nello stesso tempo diventare subito radicalmente attivi.
La nostra organizzazione non considerava invincibile il fascismo, né si
illudeva sulle elezioni e la democrazia. Dopo aver ben valutato la forza delle
masse e le forze a disposizione, eravamo stati in grado di compiere dei passi
in avanti. In breve tempo eravamo riusciti a estendere la direzione delle masse
e contemporaneamente anche ad allargare la formazione dei quadri: così facendo
avremmo potuto superare la fase della ritirata tattica. Inoltre avevamo perseguito
anche obiettivi molto importanti, quali lo sviluppo delle occasioni di
addestramento militare per la formazione di una guerriglia urbana e rurale
professionale e lo sviluppo di un fronte di retroguardia per la guerriglia
urbana e rurale. Per dirigere il movimento di massa, per prevenire le
sconfitte, per costruire un fronte di resistenza contro l'assalto
dell'opportunismo a livello mondiale e per sviluppare l'unità ideologica era
altresì necessaria la pubblicazione di un organo di stampa periodico e legale
che potesse raggiungere le masse. Era inoltre necessario ogni tipo di
organizzazione democratica in grado di riunire le masse e diventarne il
portavoce. Anche i familiari dei prigionieri dovevano mobilitare una parte
delle forze di massa e, per poterne aumentare l'effetto, dovevamo convergerle
all'interno delle organizzazioni democratiche. Al fine di riunire, per la prima
volta nella storia della Turchia, i familiari dei prigionieri in una
piattaforma democratica, ci eravamo rivolti a tutti i movimenti politici e
persino a qualche singola persona. Tutta la sinistra opportunista e riformista
non aveva reagito al nostro appello, ma aveva cercato furbescamente di crearne
un'altra identica. Sebbene lo scopo di tale mossa fosse ostile, essa era stata comunque
utile. Adesso nello stesso campo operavano due differenti organizzazioni: la
tradizione si ripeteva. Ancora una volta quasi tutti gli opportunisti e
riformisti si erano ritrovati insieme, compresi quelli che reciprocamente
avevano mosso accuse agli altri di essere “lupi grigi maoisti”, o “lacchè
dei Russi”, o “estremisti”, o "traditori controrivoluzionari”.
Ora, senza nemmeno una parola di autocritica, erano di nuovo insieme, più
"maturi”.
Sembrava che anche il TIKB - che aveva
partecipato con noi allo sciopero della fame ad oltranza, durante il quale i
prigionieri e i loro familiari avevano dato esempio di solidarietà - non avesse
in mente di stare con noi in futuro, visto che
non aveva perso l'occasione
per schierarsi a fianco degli
opportunisti e dei riformisti.
Noi eravamo
in un altro posto
Poiché la giunta militare sapeva che non
avremmo fatto compromessi e poiché temeva potessimo in qualche modo influenzare
il blocco riconciliatore degli opportunisti, aveva concentrato i prigionieri di
Devrimci Sol in braccetti isolati e separati. Tuttavia avremmo potuto sfruttare
a nostro vantaggio questa politica di isolamento messa in atto dalla giunta
militare. Agli inizi del 1986 quasi tutti i prigionieri di Devrimci Sol
rinchiusi nelle carceri di Istanbul erano stati concentrati nelle sezioni più
malsane. Anche se alcuni di noi si trovavano ancora nelle sezioni degli
opportunisti, vi erano comunque le condizioni per poter collettivizzare tra di
noi.
Dovevamo utilizzare questa opportunità.
Avevamo così affrontato un periodo di discussione, durato diversi mesi,
finalizzato alla rieducazione dei nostri compagni che per anni erano rimasti
isolati nei braccetti separati, lottando sulla linea di resistenza di Devrimci
Sol. Volevamo stabilire l'unità ideologica, fare un bilancio di tutta la nostra
politica e tattica del passato, constatare se avevamo imparato o meno dalla
pratica quotidiana. Volevamo inoltre approfondire i nostri pensieri riguardo al
futuro. Questo periodo di discussione aveva creato un'atmosfera vivace e noi
avevamo fatto nostra l'idea di democrazia di Devrimci Sol. Quelli erano stati
gli anni durante i quali, in seguito alla sconfitta, la bruttura, la
degenerazione e la rassegnazione che avevano investito la causa rivoluzionaria,
avevano avuto l’effetto di una palla di fuoco, devastando e bruciando ogni
cosa. Se da parte nostra eravamo riusciti a salvarci da tutto questo, o
perlomeno a non subire ferite insanabili, e a rimanere in piedi, lo dovevamo,
tanto per cominciare, alla nostra chiarezza ideologica e al nostro patrimonio
di conoscenza rivoluzionaria. Al decadimento ideologico e psicologico, dovuto
agli anni della sconfitta, si erano aggiunte anche le differenze, a livello
mondiale, tra i revisionisti del PCUS da un lato e gli opportunisti del Partito
Comunista Cinese e del Partito dei Lavoratori d'Albania dall'altro, che,
negando la realtà, avevano fatto sì che il popolo venisse assoggettato
all'ideologia dell'imperialismo. In particolar modo il PCUS, guidato da
Gorbaciov, aveva organizzato un grande complotto, trasformando la teoria di
“Superamento degli errori e dei limiti del socialismo, apertura e rinnovamento”
nella proclamazione del capitalismo, e coinvolgendo tutti i partiti
socialisti e comunisti dei paesi socialisti nella discussione, nuova e senza
precedenti, di questa teoria imperialista. E così, di punto in bianco, le
teorie borghesi -come ad esempio che
l'imperialismo ed il capitalismo erano mutati, rinnovandosi, e che di
conseguenza la ribellione e la rivoluzione proletarie non avevano più
senso- venivano inserite nel dibattito
dei rivoluzionari di tutto il mondo.
D'ora in poi
sarebbe stato possibile passare al socialismo attraverso il compromesso con
l'imperialismo. Queste teorie erano la forma ultima della politica revisionista,
sviluppatasi a partire dal l950, alla fine del periodo stalinista, con Kruscev
e Breznev, che avevano progressivamente condotto il PCUS alla decadenza sia
nella struttura che nella sovrastruttura, distruggendo lo spirito del
socialismo, sviluppando la cultura individualista del capitalismo e tradendo le
rivoluzioni nascenti e i movimenti di liberazione. Erano state così preparate
tutte le condizioni per la capitolazione e il ritorno al capitalismo ed era
stato Gorbaciov -che probabilmente
sarà ricordato come il più grande traditore della storia rivoluzionaria
mondiale- a dare l'ordine di sferrare
il colpo finale. Anche la propaganda aveva superato tutti i limiti e lo aveva
dipinto come un abile leader, addirittura più grande dello stesso Lenin. Questo
grandissimo complotto dell'imperialismo era stato presentato senza spendere una
sola parola sul socialismo.
I riformisti
ed i revisionisti del nostro paese, che per decenni non avevano mai deviato
dalla linea del PCUS, avevano anch'essi partecipato a questo tradimento a
livello mondiale attraverso la ricerca del compromesso e della sottomissione
nei confronti del governo ANAP, lunga mano della giunta militare.
Il complotto
era ancora così lontano dal realizzarsi che queste forze da un lato avevano cominciato
a fare appelli alle altre organizzazioni per “l'unità della sinistra” e per la lotta contro il sistema, e
dall'altro avevano mantenuto i rapporti con Özal, lavorando in questo senso per
far ritorno all'ordine costituito. Özal, in quanto collaboratore del complotto
imperialista, aveva ottimamente impiegato sia il metodo pacificatore che aveva
imparato dagli imperialisti, sia il raggiro che aveva ereditato dall'impero
ottomano, allo scopo di sbarazzarsi completamente del filosovietico TKP che, pur
essendo revisionista, per decenni aveva continuato ad utilizzare I'appellativo
di “comunista”. Alla fine
Özal era riuscito a trascinare questo partito nei giochi apparentemente
democratici fatti dal fascismo e a portarlo allo scioglimento con un'operazione
di polizia.
Certamente il
TKP voleva sciogliersi, ma intendeva farlo nel corso di un programma a lungo
termine, in base al quale avrebbe fatto ritorno nel paese, avrebbe organizzato
grandi manifestazioni, non avrebbe dovuto denunciare apertamente il socialismo
ed avrebbe convinto gli altri gruppi e partiti di sinistra. Ma i portavoce
dell'oligarchia, gli eredi dell'impero ottomano che comunque non erano poi così
sicuri della propria forza e cultura, non si erano fidati di questo programma a
lungo termine e lo avevano perciò bloccato, liquidando in breve tempo i leader
del TKP. Nel frattempo avevano cominciato a discutere sulle teorie di Gorbaciov
che avevano un'impronta imperialista.
Questo
dibattito aveva avuto luogo anche nel nostro paese e quasi tutti vi erano stati
coinvolti. Quelle organizzazioni che non erano mai state in grado di pensare a
qualcosa di diverso dalla linea del
PCUS e di sviluppare qualcosa di proprio, all'improvviso avevano cominciato a
elogiare il capitalismo e a scoprirne i lati buoni e positivi, nonostante fosse
evidente che teorizzassero il ritorno al capitalismo. Nemmeno gli ideologi
dell'imperialismo avrebbero mai potuto immaginare che la sinistra revisionista
fosse talmente corrotta da non credere affatto nella propria causa e nei propri
princìpi e che potesse quindi essere annientata in un solo colpo. Da parte
nostra dovevamo mostrare ai popoli di tutto il mondo in che stato si trovasse
il socialismo e quali fossero le mire della politica di Gorbaciov. Senza esitare avevamo mostrato chiaramente
quale fosse la nostra linea di condotta nei confronti di questo tradimento,
nata dalla critica, passata e presente, contro la politica del PCUS, del
Partito Comunista Cinese e del Partito dei Lavoratori d'Albania. Infatti, invece di unirci a loro negli
errori, avevamo basato la nostra politica sulla nostra lotta e sulla nostra
rivoluzione; i nostri quadri e simpatizzanti l'avevano poi fatta propria. Anche
se questi partiti avevano fatto la rivoluzione, avevano l'esperienza, avevano
guidato milioni di persone per decenni e possedevano un'immensa forza morale e
materiale, noi - pur non essendo né un partito né un'organizzazione - dovevamo
innalzare personalmente la bandiera del marxismo-leninismo, proprio nel momento
in cui le tesi del marxismo-lenirnsmo -valide a livello generale- venivano
poste sotto accusa
Una buona
parte della sinistra turca, che non aveva rapporti con i revisionisti e i
riformisti, non seguiva la politica di Gorbaciov, ma aveva imboccato la via
dell'opportunismo. Infatti, sostenendo che il capitalismo aveva sia «lati positivi che negativi», cercavano di
nascondere la propria politica di resa senza distinguere tra ciò che era
prioritario e ciò che era secondario. Altri dicevano che questa era la
dimostrazione che il PCUS sbagliava e che il Partito dei Lavoratori d'Albania
aveva ragione, non rendendosi conto che, in questo modo, anch'essi, in maniera
non troppo diversa dal PCUS, stavano portando la sinistra nel pantano, cercando
di liquidarla. La nostra posizione in merito era talmente chiara e aperta da
non lasciare spazio alle repliche. Gorbaciov voleva estirpare l'intero sistema
socialista offrendolo all'imperialismo. Il dibattito, che avevamo iniziato a
fare nei braccetti e finalizzato alla rieducazione dei nostri compagni, era
vivacemente continuato e il suo primo risultato concreto era stata l'analisi
della situazione del socialismo a livello mondiale e della politica di
Gorbaciov.
Avevamo poi
pubblicato e diffuso le nostre analisi. I nostri compagni, che per anni non
avevano potuto parlare né discutere fra di loro, erano assetati di ideologia.
Se consideriamo il maltrattamento in carcere, dobbiamo tener conto anche del
fatto che molti nostri compagni, non avendo potuto seguire gli avvenimenti via
via accaduti nel paese, non avevano potuto sviluppare le proprie opinioni e,
pur se il loro cuore batteva sempre per Devrimci Sol, erano stati
inconsciamente influenzati dalle teorie degli opportunisti, dei revisionisti,
degli intellettuali piccolo-borghesi e dall'umanitarismo borghese, che non
avevano niente a che vedere con Devrimci Sol e con la nostra politica. Però noi
avevamo gradualmente imparato a sbarazzarci di tutte queste differenze,
ambiguità ed errori e, credendo fortemente in ciò che facevamo, a rafforzare,
giorno per giorno, l'entusiasmo e lo spirito collettivo, riscoprendo noi
stessi, i nostri lati positivi e diventando ancora più entusiasti nel
constatare la nostra resistenza. Stavamo migliorando le nostre qualità e
sapevamo che avremmo ancora una volta scosso il mondo intero, stavolta dalla
Turchia. Eravamo entrati in una fase in cui, pur se per un periodo momentaneo,
l'ideologia borghese era superiore, le masse popolari non credevano più nel
socialismo e in cui sarebbe stato alquanto difficile difendere il marxismo-leninismo
nel mondo dicendo: «Sono un marxista-leninista. Sono un socialista».
Dovevamo
accelerare la nostra pratica, dovevamo conoscerla e difenderla ancora una volta
in tutti i suoi aspetti ideologici, filosofici, politici e storici, e dovevamo
assumerci le responsabilità a livello internazionale. I nostri quadri, nel
momento in cui avessero fatto proprio tale patrimonio di conoscenze, sarebbero
stati in grado di distruggere il complotto imperialista, di rafforzare la lotta
nel nostro paese, di dare un'impressione positiva alle organizzazioni sorelle
nel mondo e di contribuire al loro rafforzamento. L'imperialismo non avrebbe
mai potuto sollevare le masse popolari dalla miseria, né tantomeno liberarle,
poiché il sistema imperialista e capitalista, fondato sulla colonizzazione,
anche in questa fase continuava a mantenere salde le proprie posizioni riguardo
allo sfruttamento, alla tirannia e a tutto ciò che ne consegue. Quali che
fossero state le teorie utilizzate per camuffare, negare o schernire la realtà,
da parte nostra dovevamo capire che esse sarebbero servite unicamente a
prolungare l'esistenza dell’imperialismo e del capitalismo e dovevamo perciò
prendere una chiara posizione in merito. Il socialismo è l'unica alternativa
all'imperialismo e al capitalismo. Finché il sistema imperialista e capitalista
sopravviverà, il socialismo dovrà continuare ad esserne l'unica alternativa e
questa sua prerogativa dovrà essere difesa, anche se il percorso non sempre
sarà lineare.
La
responsabilità del fatto che al momento la borghesia fosse ideologicamente
superiore e del fatto che la sinistra non fosse stata in grado di resistere a
sangue freddo a questi attacchi ideologici va attribuita a quei movimenti di
liberazione che non avevano niente a che fare con il marxismo-leninismo e a
quei partiti revisionisti come il PCUS che avevano deviato fino a giungere ad
una situazione che non avrebbe più permesso il cambiamento sociale. Il
revisionismo aveva visto la proprie fine. Anche se pareva che la lotta
socialista si fosse sostanzialmente ritirata, in realtà il popolo, con il
passare del tempo, avrebbe constatato che era stata proprio la politica
revisionista a far crollare il socialismo e avrebbe visto il modo in cui i
revisionisti avevano eseguito con successo gli ordini degli imperialisti per
farlo fallire ed il modo in cui il sistema socialista era stato trasformato in
un mercato da conquistare. I partiti revisionisti si erano progressivamente
staccati dal popolo e non si erano più preoccupati di metterlo al corrente delle
questioni inerenti la rivoluzione per renderlo così partecipe alle loro
soluzioni. La rivoluzione non era più la rivoluzione del popolo. Nel momento in
cui questi partiti, ignorando il popolo ed estraniandosi da esso, avevano
cercato di mettere in atto la politica socialista, si erano trasformati in una
casta completamente estranea ai problemi del popolo. La rivoluzione non
apparteneva più al popolo e i revisionisti avevano cercato altre strade. Un
popolo che non partecipa direttamente alla soluzione dei propri problemi e che
non considera propri i problemi della società, non potrà mai essere creativo e
nemmeno disposto al sacrificio. Poiché questi partiti si erano trasformati in
caste revisioniste e burocratiche e poiché le masse popolari ed il proletariato
erano stati tagliati fuori dalla rivoluzione, il socialismo - che in precedenza
aveva ottenuto grandi vittorie, a
livello di base e di sovrastruttura,
contro il sistema imperialista e capitalista - non poteva più evitare la fase
di regressione.
Gli altri
movimenti di liberazione avevano utilizzato i metodi revisionisti per avviare i
negoziati con gli imperialisti, anziché assicurarsi la caduta del sistema
capitalista, rinnovare il marxismo-leninismo con le giuste rettifiche, rendere
il popolo partecipe alla soluzione dei problemi e dare ancora maggior sostegno
ai movimenti di liberazione nel mondo. Il meccanismo statale, governato dai
revisionisti e tuttora esistente nonostante i tentativi di ciò che restava
della borghesia e degli imperialisti di soffocare il socialismo, aveva assunto
la funzione di opprimere le masse, di costringerle al silenzio e di governarle
con i divieti. In tutte queste zone il socialismo, l'internazionalismo, la
creazione dell'uomo nuovo, ecc. erano decaduti e la degenerazione era
continuata.
Una tale
situazione - in cui nel nome del socialismo veniva messo in atto ogni genere di
politica economica che non aveva niente da spartire con il socialismo - non
avrebbe portato che alla distruzione delle speranze del popolo e del proletariato
nei confronti del socialismo, e alla fine essi si sarebbero fatti influenzare
dalle ideologie borghesi. Se al popolo non si racconta la verità dei fatti e
ciò che realmente accade nel mondo e nel paese stesso, con il passare del tempo
risulterà impossibile impedirgli, nonostante gli obblighi, le pressioni e i
divieti, di andare alla ricerca di qualcosa di nuovo. Tra l'altro, poiché
viviamo in un mondo dove i mezzi di comunicazione sono notevolmente avanzati,
le masse popolari, al di là di tutti i divieti e le coercizioni, erano state
influenzate ed affascinate dalle menzogne e dalla demagogia dell'imperialismo.
Dopo aver
subito la manipolazione della coscienza, con idee come ad esempio quella che
non avrebbero mai potuto trovare nel socialismo tutto ciò che invece il
capitalismo avrebbe offerto loro, spinte dagli imperialisti e dai revisionisti,
avevano abbattuto il socialismo. Tuttavia, ciò che avevano abbattuto, o che
cercavano di abbattere e che era loro estraneo, non era il socialismo, bensì il
revisionismo. Per poter comprendere la verità e ricominciare ancora una volta
la lotta nel nome del socialismo, era necessario che il popolo sperimentasse in
prima persona il fatto che il sistema imperialista e capitalista alla fine non
avrebbe cambiato nulla - come invece sostenevano i revisionisti - che lo
sfruttamento più disumano avrebbe continuato ad esistere e che le persone
sarebbero diventate una merce.
Non soltanto
il popolo, ma anche dozzine di organizzazioni che dicevano di essere comuniste
e marxiste-leniniste, avrebbero constatato la stessa cosa ed avrebbero ripreso
l'arma del marxismo-leninismo. All'interno di un sistema imperialista e
capitalista il socialismo deve costantemente far fronte ai problemi; se così
non fosse, vorrebbe dire che non esiste. Nonostante l'esperienza vissuta dai
popoli del mondo e dalle organizzazioni marxiste-leniniste, ci vorrà ancora
parecchio tempo prima che la lotta socialista possa di nuovo ricominciare e
questa fase difficile, proprio a causa dell'influenza dell'economia capitalista
e dell'ideologia imperialista, durerà appunto parecchio tempo. Anche se questa
fase presentava degli alti e dei bassi, da parte nostra eravamo assolutamente
certi, grazie all'esperienza accumulata osservando le mosse ed i tentativi fatti
dai revisionisti, che ogni giorno avremmo compiuto progressi e che saremmo
passati ad una fase ancora più viva e rapida di crescita rivoluzionaria. La
nostra politica all'esterno del carcere di direzione delle masse e di creazione
degli strumenti per metterla in atto si stava sviluppando in fretta.
In quasi
tutte le zone, tra i giovani e nella classe operaia, eravamo riusciti a riunire
ed a dirigere piuttosto rapidamente il potenziale che le masse racchiudono in
sé. La nostra attività editoriale aveva avuto un'ampia risonanza tra il popolo
e l'opinione pubblica, desiderosi di soddisfare il loro bisogno di ideologia.
Anche i gruppi di sinistra avevano dato il via, pur se in maniera timida e
debole, ad iniziative come la pubblicazione di giornali, come se volessero
dire: «Ci siamo ancora». Tuttavia la
loro attività editoriale si concentrava sulla discussione di problemi interni
ben lontani dalla politica rivoluzionaria. Questi circoli politici, che durante
il periodo della giunta militare per la maggior parte si erano rifugiati
all'estero e che non avevano intrapreso una lotta che richiedeva sacrifici,
avevano cominciato una battaglia per l'egemonia, anziché occuparsi dei problemi
urgenti della rivoluzione e dell'organizzazione delle masse. Avevano portato dall'Europa
dei pensieri antagonisti al marxismo-leninismo e avevano preso la direzione
delle organizzazioni. Avevano complicato la pura, semplice ed urgente realtà
della rivoluzione facendola diventare una questione insolubile, si erano
adattati al pensiero degli intellettuali piccolo-borghesi, avevano agito
distruggendosi reciprocamente e mettendo in atto scissioni, rendendo in questo
modo la propria vita un inferno, senza riuscire a lasciare né
un'organizzazione, né una struttura gerarchica, né rapporti fondati sulla
fiducia e sul senso di collettività, né altri valori. Avevano addirittura
sabotato le proprie organizzazioni. Avevano agito in questo modo soprattutto i
circoli del TKP, di Kurtulus e di Devrimci Yol. I circoli che nel nome della
democrazia si accusavano reciprocamente di dispotismo, nel momento in cui erano
riusciti a smantellare e a sciogliere le organizzazioni che essi stessi avevano
costruito con le proprie mani e alle quali avevano un tempo dedicato molto
lavoro, avevano finalmente trovato la pace, e tutto questo nel nome della
“libertà di dialogo”. Devrimci Sol non sarebbe mai diventata
un'organizzazione del genere. Certo, anche noi avevamo discusso di tutto. Gli
opportunisti ci guardavano pensando: «Bene, discutono. Presto ci sarà una scissione».
Avevamo riso
di loro, continuando a discutere di ciò che accadeva nel mondo e nel nostro
paese, del nostro popolo e persino di noi stessi, senza però mai dividerci.
Questo dibattito, durato diversi mesi ed al quale avevano partecipato centinaia
di compagni, ci aveva permesso di gettare le basi di HAKLIYIZ KAZANACAGIZ [Siamo nel giusto. Vinceremo.], che sarebbe
diventato la pagina d'oro della nostra storia durante il periodo della giunta
militare e dei processi; un libro che mostrava come si sarebbe formato il
potere rivoluzionario del popolo, definiva il nostro passato, presente e futuro
e diventava un testo educativo e da consultare. Quest'opera si era sviluppata
ed arricchita nel corso di tale dibattito, il quale aveva messo in atto l'unità
ideologica ad un livello superiore, garantendone l'ulteriore sviluppo, proprio
nel momento in cui eravamo attaccati ideologicamente dal fascismo del 12
settembre. E, non meno importante, l'attacco ideologico al socialismo da parte
dell'imperialismo era stato completamente vanificato proprio dalle nostre
prerogative: il messaggio che la ribellione rivoluzionaria sarebbe continuata,
un messaggio che avevamo inviato dalle aule dei tribunali fascisti ai popoli
della Turchia, del mondo, alle organizzazioni amiche e ai movimenti di
liberazione, era anche una risposta agli attacchi attuati dall'imperialismo e
dall'oligarchia. Questa linea di condotta portata avanti dalla nostra
organizzazione aveva giocato un ruolo importante -come una luce nell'oscurità
del fascismo- indicando la strada verso il futuro, facendoci superare gli
ostacoli, diventando una verifica della determinazione e portandoci ad un
livello che nessun'altra organizzazione avrebbe raggiunto.
Diversi
gruppi opportunisti già prima del 12 settembre avevano dato il via allo sfacelo
e al decadimento ideologico, allargandolo poi a tutti gli ambiti durante la
repressione fascista. Uno di questi ambiti erano i tribunali. Per noi i
tribunali dovevano essere i luoghi in cui avremmo chiesto ai fascisti la resa
dei conti, avremmo dato fiducia al popolo ed avremmo condannato le forze al
governo. Ma la politica di questi opportunisti aveva reso i tribunali un luogo
in cui le persone, direttamente o indirettamente, si ponevano in
maniera subordinata nei confronti dell'oligarchia e chiedevano pietà. Questi
individui non esitavano a dire di non essere mai stati un'organizzazione, di
non aver mai, in nessun modo, avuto intenzione di abbattere lo stato e -
mettendo in atto una linea di difesa - affermavano di aver intrapreso una lotta
legittima e legale contro i gruppi fascisti, di aver mostrato al popolo come
doveva difendersi dato che lo stato non riusciva a tutelare la vita della
gente, ma tutto ciò in termini di pubblicazioni di articoli su riviste legali.
A giustificazione di frasi demagogiche quali: «Gli scontri tra la sinistra e la
destra avevano messo a repentaglio la vita della gente e la democrazia era
quasi perduta», formulate dai pubblici ministeri, dai giudici e dai generali
della giunta militare, essi si erano dimenticati del fascismo,
dell'imperialismo, dell'oligarchia, sostenendo invece che una delle cause del
colpo di stato militare dei 12 settembre erano stati gli scontri tra le
organizzazioni di sinistra, come la nostra, e i gruppi fascisti. Il portavoce
del PCUS in Turchia aveva dato riconoscimento al sistema e in tribunale,
indicandoci, aveva detto: «Non diciamo che non si debbano prendere
provvedimenti contro i terroristi. Ci opponiamo però alle esecuzioni e alle
torture». Con tali parole e senza vergogna si era rivolto ai fascisti. In
sostanza, la posizione assunta da questi individui mostrava chiaramente che
essi agivano in base ad una loro paura personale e che stavano cercando di
salvarsi da una condanna da parte del tribunale fascista denunciando le proprie
attività e con arringhe di difesa in cui dichiaravano di non aver mai pensato
alla rivoluzione o che comunque non era stata questa la ragione del loro agire.
Questo comportamento aveva alimentato ed incrementato la loro stessa sfiducia,
dando origine al rinnegamento ed alla liquidazione delle loro organizzazioni.
Il valore storico della nostra condotta rivoluzionaria messa in atto nelle aule
dei tribunali diventa palese nel momento in cui la si analizza attentamente
dentro il programma politico dell'organizzazione. Le nostre conclusioni si
sarebbero dimostrate giuste negli anni a venire. A volte il valore storico dei
fatti e degli avvenimenti non viene compreso immediatamente. Coloro che avevano
storto il naso e che avevano definito «radicalismo a buon mercato» la nostra
linea di condotta rivoluzionaria, ben prima della fine avevano già dato inizio
alla propria disgregazione. Da parte nostra avremmo continuato a scrivere la
storia. Il dibattito sulla chiarezza ideologica, che avevamo iniziato
all'interno del carcere e che mirava a fermare le tendenze revisioniste, doveva
proseguire anche all'esterno, per giungere così ad una maggiore azione
collettiva. Tuttavia non eravamo riusciti a ottenere una partecipazione
dell'esterno e questo si era dimostrato un limite. Ciò poteva accadere anche in
altri ambiti. Così, se in un primo momento il materiale pubblicato presentava
evidenti ambiguità ideologiche e pensieri più o meno di destra, dopo qualche
numero, a seguito dell'intervento dei compagni in carcere, gli errori erano
stati corretti; era stata anche dichiarata la guerra al riformismo e ad altre
idee di destra. La rivista aveva così cominciato ad adempiere il suo vero
compito. Poiché il lavoro collettivo risultava insufficiente anche ad altri
livelli, c'era il rischio di considerare soltanto lo sviluppo democratico dei
movimenti di massa, dimenticandosi così degli obiettivi strategici o comunque
non lavorando abbastanza in questa direzione. Le difficoltà di quella fase -
dall'incapacità nella pratica di dirigere, alla scarsa costruzione di nuovi
quadri, agli attacchi ideologici provenienti dai diversi fronti - si potevano
superare soltanto attraverso un'ampia partecipazione collettiva ed un'azione
pianificata, senza mai perdere di vista gli obiettivi strategici. Purtroppo
mancava una sufficiente comprensione ed una ferma presa di coscienza delle
particolari caratteristiche di quella fase. Ciò aveva dato spazio ad un
pensiero unilaterale. In seguito ad un'apertura relativamente democratica del
paese -anche se molto debole- ed al nostro lavoro di direzione dei movimenti di
massa, erano sorte in diversi ambiti delle organizzazioni democratiche. Gli
opportunisti, avendo visto tali sviluppi e nonostante stessero attraversando
una grave e ormai cronica crisi ideologica, erano lentamente ritornati alla
politica.
I riformisti,
perseguendo la strategia del compromesso con il sistema, avevano
utilizzato le masse come strumento per raggiungere i propri scopi e per avere
il controllo dei movimenti di massa. Noi possedevamo una chiarezza ideologica,
cosa che invece mancava agli opportunisti e ai riformisti Essa ci avrebbe
guidato verso i movimenti di massa, alla creazione di nuovi quadri,
all'organizzazione e al raggiungimento, nei diversi campi, degli obiettivi
strategici. In breve tempo avremmo potuto creare un massiccio potenziale di
forze. Ma se i compagni all'esterno non avessero anch'essi raggiunto quella
chiarezza ideologica, che noi avevamo creato all'interno del carcere grazie
alla forte partecipazione di compagni, e se non fossero riusciti a crescere e
ad arricchirsi, allora saremmo stati condannati a restare una pura teoria
soggettivista. Se l'ideologia non viene fatta vivere in modo programmato e
pianificato nella lotta, allora c'è il rischio di deviare dal proprio obiettivo,
malgrado l'unità ideologica espressa a parole. Se non si perseguono
costantemente gli obiettivi e il programma, se non si discute a sufficienza sui
successi come anche sugli errori, se non si trae insegnamento dall'esperienza,
se non si verifica e non si fa vivere nella pratica quanto si è appreso, allora
è impossibile raggiungere i risultati voluti. E se non si raggiungono i
risultati voluti, allora gli errori si ripeteranno e il lavoro svolto subirà un
lento ma sicuro declino. Ciò si può prevenire con la critica e l'autocritica
aperte, attraverso il dibattito, l'insegnamento che ci viene dalla pratica e
dal lavoro collettivo, creando una nuova prassi. Per farlo dobbiamo sapere cosa
e come fare, conoscere la realtà esistente, proseguire una condotta che ci
renda fiduciosi del nostro ruolo in Turchia e nel mondo, determinati nel campo
degli obiettivi strategici. Se anche la più piccola ambiguità e confusione -
che sono inevitabili - non vengono immediatamente affrontate, allora, nel
momento in cui non si riesce a mettere correttamente in atto il programma, esse
porteranno a ricercare pretestuosamente la causa nelle "condizioni
oggettive", cosicché gli errori ed i limiti verranno di conseguenza
teorizzati. L'energico lavoro programmatico e collettivo e i princìpi e i
valori ad esso connessi perderanno di significato, diventando parole vuote e
astrazioni. Ovunque si diffonderanno scuse e chiacchiere sulle "condizioni
oggettive"; la conquista del potere e il centralismo dell'organizzazione
verranno in questo modo cancellati; i responsabili di zona e dei settori - e
persino i singoli individui -, ognuno sostenendo di «sapere di più»,
continueranno a ribadire i propri punti di vista; il popolo rifiuterà la
disciplina; l'organizzazione assumerà un'impronta anarchica, portando al caos e
alla stasi.
In un paese con caratteristiche particolari come il nostro, la ripresa del processo rivoluzionario non può avvenire all'improvviso, dopo un periodo di silenzio lungo, statico, difficile e senza vita. Una linea di lotta viene perseguita facendo attenzione a questi aspetti: relativamente al movimento di massa c'è un'educazione ideologica; relativamente all'educazione ideologica c'è la costruzione di quadri e dell'organizzazione; relativamente all'organizzazione c'è la crescita lenta ma costante delle azioni. Questa è una fase particolare e perciò dev'essere osservata attentamente; ogni argomento va analizzato scrupolosamente. Per potersi organizzare attorno a un obiettivo strategico, per evitare che gli errori del passato si ripropongano, per eliminare i limiti, è necessario conoscere bene, in tutte le loro caratteristiche, soprattutto i nuovi quadri, ci si deve concentrare sull'obiettivo strategico e sul raggruppamento delle forze per poter avanzare progressivamente. Sono necessarie la conoscenza e la formazione di tutti i quadri, così come il controllo e la pianificazione di tutte le attività come l'approvvigionamento di armi, di munizioni e di altro materiale necessario e la scelta dei luoghi adatti all'addestramento. In questa fase, nel momento in cui ci eravamo staccati ideologicamente, psicologicamente e come organizzazione dai risultati del 12 settembre, erano diventati evidenti gli enormi danni causati dal fascismo. A partire dall'oligarchia, passando per i riformisti e gli opportunisti, fino agli intellettuali piccolo-borghesi, si erano tutti uniti al coro ostile nei confronti delle organizzazioni rivoluzionarie, cercando di trascinare il popolo dalla loro parte per allontanarlo dalla lotta. Questa propaganda era stata così efficace che il popolo era arrivato al punto di svolgere i ruoli più incredibili per rimanere nella legalità, rendendo così continuamente conto di sé all'oligarchia. Questa ossessione, questo atteggiamento che conduce alla pacificazione, era presente anche nelle nostre fila. Alcune persone, spaventate nel corso di qualche operazione di polizia o durante qualche piccola azione armata, avevano cercato di proteggersi abbandonando l'organizzazione, senza avvertirla fino a quando non si sentivano al sicuro. L'operazione dì polizia avvenuta in seguito all'attacco con bombe contro la sede regionale dell'ANAP ad Istanbul nel dicembre 1987 ne era stato un esempio significativo: alcune persone, il cui ruolo era di alta responsabilità, non si erano nemmeno presentate agli appuntamenti e avevano cercato di mettersi in salvo abbandonando l'organizzazione. Possiamo affermare che, eccetto un esiguo numero di persone, nessuno aveva agito con una coscienza di organizzazione e di compagno. Una delle ragioni di tale comportamento risiede nella pacificazione, sorta dal 12 settembre. D'altro canto, il popolo era cosciente di tale realtà, ma non era stata sviluppata e completata una adeguata formazione dei quadri. Alcuni personaggi carismatici, i cui volti erano già ben noti a tutti, avevano collaborato con l'oligarchia, la quale aveva fatto di tutto per soffocare la crescita della lotta rivoluzionaria, diffondendo costantemente a livello legale una contropropaganda nei confronti delle organizzazioni e dei rivoluzionari. Questi personaggi carismatici, invitati a presentarsi presso gli uffici della contropropaganda, usati dalla borghesia per ottenere legittimità, stavano abbandonando una struttura organizzativa piena di rischi. Questa gente, conosciuta per il proprio comportamento dissidente, che cercava di usare l'organizzazione per il proprio tornaconto, voleva essere veramente responsabile di arrivare a un cambiamento della situazione, ossia essi non volevano svolgere alcun compito di un certo rischio. La gravità di questa situazione si sarebbe vista successivamente ed in misura molto maggiore.
NOTE
1)
Nel
1938 il governo turco del presidente Atatürk e del primo ministro Demirel aveva
soffocato la rivolta dei Kurdi aleviti,
guidati dallo sceicco Riza, nella regione di Dersim, assassinando più di 90.000
Kurdi aleviti.
2)
Il
27 maggio 1980.
3) A Maras, nel 1978, i fascisti avevano
assassinato centinaia di rivoluzionari, democratici e patrioti. La polizia e
l'esercito si erano astenuti dall'intervenire.
4)
Il
primo numero di Devrimci Sol era
stato pubblicato il 30 marzo 1980.
5)
Il
7 luglio 1980 i gruppi fascisti, appoggiati dall'oligarchia, avevano attaccato
la sinistra alevita a Çorum al fine di provocare un massacro. Incoraggiato
dall'azione di punizione di Gün
Sazak, il popolo aveva resistito sulle barricate. I fascisti non erano riusciti
ad intimidire il popolo con i massacri.
6)
Il
12 luglio 1980 a Fatsa, città dove la sinistra turca e soprattutto DY avevano
un grosso potenziale, la polizia e l'esercito avevano effettuato perquisizioni
nelle abitazioni di militanti della sinistra e dei patrioti. La polizia aveva
catturato e portato via coloro che erano stati denunciati dai fascisti.
Centinaia di persone erano state arrestate e torturate in una fabbrica adibita
in modo speciale per quell'occasione. Anche se alcuni avevano resistito, la
maggioranza della sinistra si era arresa e l'atteggiamento della sinistra
durante l'operazione Fatsa aveva fatto sì che il popolo perdesse fiducia nei
rivoluzionari. Un grosso potenziale rivoluzionario era stato tradito.
7)
A
partire dal 24 gennaio 1980 il governo aveva cominciato a prendere tutta una
serie di provvedimenti, i quali, preparati nel corso del 1979 e resi effettivi
in seguito al colpo di stato militare, consistevano in un congelamento dei
salari e nella svalutazione della lira. La posizione della borghesia
monopolista ne risultava rafforzata. Dopo Il colpo dì stato militare erano
stati sorpresi anche tutti i sindacati, eccetto il filogovemativo Türk-Is.
8)
Nel
mese di ottobre 1980, poche settimane dopo il colpo di stato di settembre,
Dursun Karatas veniva arrestato nel corso di un'operazione di polizia.