Sudan: imperialismo euro-americano in Africa.

di Fulvio Grimaldi

 

Sullo sfondo della Cap Anamur, la reale vicenda sudanese, di un paese in cui ripetutamente ho assistito di persona a come  l’imperialismo sionista, cattolico e statunitense, ora anche europeo, da almeno 40 anni, cioè dall’indipendenza e dall’ascesa al potere di successivi governi nazionalisti ed antimperialisti, cerca di sfasciare e ridurre all’obbedienza, con particolare accanimento da quando, dieci anni fa, si sono scoperti, accanto all’acqua e alla fertile agricoltura, ricchi giacimenti di idrocarburi. E’ bastato che il governo centrale di questo paese, tradizionalmente laico e con un’intellighenzia assai evoluta – che mai ha tentato di imporre la legge coranica agli animisti e ai pochissimi cristiani del Sud – riuscisse a combinare una pace con le varie bande ribelli del Sud, specialiste in stragi reciproche, ma dall’Occidente armate e pubblicizzate, che subito si è aperta l’altra morsa della tenaglia attorno alla sovranità e unità del paese: le divergenze tra musulmani nomadi e contadini musulmani  nel Darfur, area opportunamente piagata da un’avversità ambientale che è in massima parte responsabilità dello “sviluppo” occidentale e del sottosviluppo in cui i britannici, cacciati nel 1959, lasciarono, come ovunque, lo loro colonia. Già qualche anno fa mi ero inoltrato con un ottimo ambasciatore italiano (altri tempi!) in profondità nel Darfur. Già allora la siccità provocava carestie spaventose e fughe in massa, allora, non istigate e mascherate, proprio come in Kosovo, da atrocità governative, verso il centro Sudan, ma allora la "comunità internazionale umanitaria" era totalmente assorbita dalla necessità di destabilizzare il sud dei secessionisti neri e al Darfur non dedicava né una pagnotta, né "forze di liberazione".  

Da lì le versioni del tutto unilaterali e, come nel caso dell’Iraq e della Jugoslavia, razzisticamente sprezzanti verso le rettifiche delle autorità statali sudanesi, su “bande di milizie arabe janjawid” che sterminerebbero e espellerebbero i poveri contadini: leggende orrorifiche di tipo “kosovaro” mai verificate, “milioni” di profughi nel Ciad amico degli USA (come l’Uganda, da sempre fomentatore della secessione meridionale), “centinaia di migliaia” di massacrati, gente e villaggi a gogò bruciati, gli inevitabili stupri, voracemente illustrati da certi monumenti femministi, fino agli “orrori dipinti negli occhi dei 37 sudanesi” mai stati in Sudan. E, inevitabili, le “forze della democrazia”, variamente intitolate “Movimento per la giustizia e l’eguaglianza”, o “Esercito di Liberazione del Sudan” (del Sudan, capite, mica del solo Darfur!, ontologicamente buone, come l’UCK kosovaro, o gli stragisti di civili ceceni, con il corollario dei santuari nel paese “amico” filo-USA, Ciad, e dei mai menzionati armamenti forniti da misteriosi umanitari a stelle e strisce (ma, nella vulgata umanitaria, “strappati ai governativi”). Ed ecco l’esito pianificato, talmente banale, scontato e ripetitivo da ricordare i “selvaggi senz’anima” dei missionari (non per nulla la bandiera morale è agitata dai monaci comboniani che da cent’anni, con il pretesto delle scuole e delle cliniche private, rompono i coglioni ai sudanesi): la grandinata degli annunci di “interventi umanitari” delle potenze occidentali, in gara per sbranare il paese e rapirne le ricchezze nel quadro della generale “normalizzazione” del Medio Oriente e della ricattura euro-statunitense dell’Africa, in questo caso soprattutto del petrolifero Sahel.

A questo proposito, è opportuno un cenno sulla progressiva militarizzazione dell’Africa sahariana e subshariana da parte delle amministrazioni Clinton e Bush e, prima, la vicenda dell’infiltrazione tedesca in Sudan.

E’ per iniziativa degli USA e dell’UE, quest’ultima sospinta da Berlino, che il Consiglio di Sicurezza ha licenziato una risoluzione che, pur non nominandole espressamente, consente sanzioni contro il Sudan. Nuove sanzioni, visto che sono in vigore dai tempi dell’indipendenza di quel paese riottoso – e anche in disputa con l’Egitto, “nostro amico”, per la gestione delle vitali acque del Nilo, accaparrate in misura sproporzionata dal Cairo -  sanzioni, variamente giustificate, degli USA e, a intermittenza, degli europei. Sono stati i tedeschi e i britannici a esercitare il massimo della pressione morale sulla necessità di intervenire militarmente, ricorrendo alla drammatizzata rappresentazione della disperazione nella provincia occidentale del Darfur . Pressione denunciata ripetutamente dal ministro degli esteri sudanese Mustafa Osman Ismail, già artefice dell’accordo con i secessionisti del Sud, che a costoro concede buona parte dei proventi del petrolio a scapito della collettività nazionale (vedi Croazia), nonché un referendum sull’indipendenza tra sei anni. A nulla è servita questa davvero generosa disponibilità di Khartum, neanche a impedire che i negoziati con i “ribelli” del Darfur, ripetutamente avviati dal governo, venissero da costoro ripetutamente sabotati, nonostante l’impegno del presidente Omar El Bashir ad adoperarsi per la pacificazione della provincia entro il tempo impossibile di 30 giorni, arbitrariamente imposto dall'ONU contro il precedente impegno di 90 giorni concordato con Kofi Annan

Per i tedeschi c’è in ballo un grosso affare. Bypassando con disinvoltura predatrice le legittime istituzioni sudanesi, sotto gli auspici di Berlino, la multinazionale tedesca di infrastrutture Thormaehlen Schweisstechnik ha concluso in Kenia un accordo con gli esponenti del Sud Sudan per la costruzione di un corridoio ferroviario, stradale e di oleodotti di 2.500 km, tra la capitale della provincia meridionale Juba, sprofondata in giacimenti di petrolio, oro e uranio, attraverso il fidato Uganda, fino a Mombasa nel fidato Kenia. Oggi le vie di comunicazione e di trasporto dal Sud portano tutte al Nord, verso Port Sudan e rimangono quindi sotto controllo governativo. Un progetto con cui l’impresa tedesca favorisce oggettivamente lo smembramento del paese. “Si tratta dell’arteria femorale della nostra indipendenza”, si è infervorato Costello Garang, leader di una delle tante bande secessioniste alimentate dall’esterno. Al contrario, a rafforzare con il governo l’asse sud-nord, che finora ha tenuto insieme il grande paese multietnico, si sono impegnati paesi come Russia, Cina, Malaysia. Il loro contributo di 1,7 miliardi di dollari è però poca cosa rispetto ai 3 miliardi offerti dai tedeschi. Del resto, è da tempo che il neocolonialismo di Berlino tiene gli occhi puntati su quest’area dell’Africa, in evidente competizione con quanto gli USA vanno facendo sul fianco occidentale e nel Sahel: con sostegno tedesco sta per partire tra Kenia, Uganda e Tanzania un’unione economico-monetaria, cui dovrebbero associarsi presto i secessionisti del Sud Sudan, con il risultato di evidenti tensioni diplomatiche tra i filo-occidentali, oltrechè corrottissimi, regimi di Uganda e Kenia, da un lato, e Khartum dall’altro.

Non restano fuori dal gioco gli statunitensi che, fin dai tempi del primo mandato Clinton, hanno intrapreso una massiccia campagna di penetrazione e militarizzazione soprattutto dei paesi della Costa Occidentale e del Sahel. La definitiva presenza militare degli USA, in forma di basi permanenti, truppe e “istruttori” delle forze armate locali, è stata sancita il 23-24 marzo scorsi a Stoccarda, quando i capi di stato maggiore di Ciad, Mali, Mauritania, Marocco, Niger, Senegal e Tunisia hanno partecipato per la prima volta a una riunione presso la sede del comando europeo dell’esercito statunitense (Us-Eucom). Tema: “La cooperazione militare nella lotta globale contro il terrorismo”. L’autoattentato dell’11 settembre 2001 dei golpisti al potere a Washington è servito anche a questo. E per la prima volta, forze armate di Washington hanno partecipato nel marzo 2004 a operazioni militari in quattro paesi del Sahel: Ciad, Mali, Niger e Algeria, in quell’Algeria che gli USA stanno da anni destabilizzando e ricattando proprio manipolando il terrorismo, di patronato Al Qaida, cioè Cia e Mossad, del Gruppo Salafista per la predicazione e il combattimento. E’ con l’alibi della lotta a questi agenti dell’imperialismo, che gli USA hanno fornito armi in particolare al Ciad, con ogni probabilità per sostenere la ribellione dei movimenti nel Darfur (dove abitano sei dei 22 milioni di sudanesi). E all’interno della corsa statunitense al petrolio e ai minerali africani, con obiettivi Angola, Nigeria, Zambia, il ribelle Zimbabwe di Mugabe, il Congo, il Senegal, e il Sudan che prendono vita via via mezzi e strutture colonialiste statunitensi più articolate e potenti, come la Pan Sahel Iniziative, l’African Crisis Response Iniziative, l’African Center for Strategic Studies, emanazione diretta del Pentagono, l’Africa Contingency Operations Training Assistance “per il mantenimento della pace e per l’aiuto umanitario”.

Come scrive il giornalista francese Pierre Abramovic, analista dell’Africa, “Nell’arco dei prossimi dieci anni, il continente africano diventerà, dopo il Medioriente, la seconda fonte di petrolio, di gas naturale e di minerali indispensabili degli Stati Uniti”. Due percorsi strategici sono al centro del pensiero militare americano: a ovest l’oleodotto Ciad-Camerun verso l’Atlantico e, a est, l’oleodotto Higleig-Port Sudan. Il Sudan, orgogliosamente indipendente, sta nel mezzo. Sul posto, in Ciad, ci sono già i mercenari del MPRI, la massima compagnia USA di assistenza militare al Pentagono, collaudata in Kosovo,  Bosnia, Macedonia e Iraq. L’intera campagna politico-mediatica del Darfur, cui la Cap Anamur ha fornito pozzi di carburante, e l’intervento “umanitario” di Bush, Blair, Schroeder e del Consiglio di Sicurezza sono da collocarsi su questo sfondo. Difficile? No, a disposizione di tutti. Per la maggiore vergogna dell’informazione cosiddetta alternativa e di “sinistra radicale”, insieme al suo codazzo del “volontariato umanitario”.

P.S. Si direbbe che il capo di un partito sedicente comunista dovrebbe prendere provvedimenti contro quei suoi collaboratori esteri e giornalisti internazionalisti che di tutto questo al pubblico italiano non hanno fornito neanche un’acca, anzi hanno corroborato con entusiasmo degno di miglior causa l’enorme inganno teso a favorire il ritorno a ferro e fuoco dell’imperialismo nei confronti dei popoli. Nulla del genere, come abbiamo visto. Anzi, nei confronti di un modesto informatore come il sottoscritto, ha "agito" (cambiare l'intransitivo in transitivo è una di quelle radicali innovazioni che piacciono al capo) la mannaia inquisizionista del Collegio Federale di Roma, con la sospensione di nove mesi dal partito per aver difeso Cuba, Milosevic, la resistenza irachena, l’Intifada palestinese e aver schifato le piroette liberaldemocratiche ed entriste del vertice (provvedimento la cui esecutorietà è stata per ora sospesa dal meno obbediente Collegio Nazionale di Garanzia, “per evidente mancanza di motivi di gravità”). Intanto il “giornale comunista” “Liberazione” va per la sua strada. Il 29 luglio con un’intera copertina dall’agghiacciante titolo “MASSACRO DI DISOCCUPATI”, dedicato all’operazione della Resistenza irachena a Bakuba contro l’esercito di collaborazionisti in formazione, addestrato alla liquidazione e, come provato, alla tortura dei combattenti per la libertà e la sovranità del paese; con un editoriale di prima pagina del dirigente per gli esteri dal nome-burla, Migliore, il 3 agosto, in cui del tutto sprovvisto dell’elementare capacità di classe, ma anche di semplice mestiere, di distinguere tra atti della resistenza vera e terrorismi della provocazione eterodiretta (come se in Italia non ci fossero state le stragi di Stato), si ripete l’anatema contro “gli attentati alle lunghe file di chi cerca lavoro” (i partigiani che colpivano i collaborazionisti dei nazirepubblichini si rivoltano nella tomba) e, butta insieme  le operazioni autentiche della resistenza con l'assoldato Mossad e Cia e inquinatore della resistenza, Al Zarkawi, gli attentati alle moschee, universalmente riconosciute come di matrice israelo-statunitense per frantumare l’unità dello sforzo liberatore iracheno, e, infine, le bombe contro le chiese cristiane, evidentissimamente dello stesso stampo, ma dal Migliore definite “scontro di civiltà”, per la maggiore gloria e soddisfazione di Huntington, Bush e Berlusconi