Il
governo ha varato, il 28 giugno, il Dpef per il triennio 2008/2010, presentato
come il primo passo verso la normalizzazione finanziaria - «siamo usciti
dall’emergenza» dichiara il Ragioniere Folle - ed approvato all’unanimità dal
Consiglio dei Ministri.
Ciccio
Papero ed i suoi sgherri sono riusciti a fare questa operazione in tempo, prima
di sabato 30 giugno - ultimo giorno utile per la sua presentazione - grazie
soprattutto al fatto che si è deciso di non decidere (ci scusiamo per il bisticcio
di parole) sul tema più spinoso: le pensioni; su questa questione - come scrive
Antonio Sciotto sul “manifesto” del 29 giugno a pagina 4 - «la partita sullo
scalone potrebbe slittare a Settembre».
I contenuti del documento ce li illustra Sara Farolfi a pagina 5 dello
stesso ‘quotidiano comunista’, e qui cominciamo a scrivere il ‘cahier des
doléances’: infatti, accanto a misure condivisibili come il taglio - ma non
l’abolizione, come richiesto da Pane e Cicorie - dell’Ici sulla prima casa, ve
ne sono altri che i proletari non possono accettare di buon grado.
E’
vero che l’esecutivo stanzia 2,3 miliardi per lo stato sociale, 900 milioni
come una tantum per le pensioni (un assegno di circa 350 euro per le più basse
- circa 2 milioni) e 1,3 miliardi da gennaio 2008 per gli aumenti strutturali
delle stesse: peccato che, nel contempo, conceda 2,3 miliardi alle imprese -
sotto forma di interventi per la competitività - 1,9 miliardi alla sicurezza e
al funzionamento della pubblica amministrazione - leggasi aumenti degli
appannaggi dei politici e dei manager degli enti locali, 300 milioni alle
imprese «per incrementare il salario nella contrattazione decentrata e per gli
straordinari» - così i padroni risparmiano perché questi soldi li tirano fuori
gli stessi lavoratori attraverso ulteriori tasse! - ed infine circa 32 miliardi
per le infrastrutture stradali e ferroviarie, opere per la maggior parte
utilissime, ma delle quali fa parte l’inaccettabile TAV e l’altrettanto
vergognoso Terzo valico per i quali viene stanziata una parte della suddetta
cifra.
Come
si vede, ancora una volta si tratta di una manovra a favore dei ceti sociali
borghesi, appena mitigata da un piccolo contentino per le pensioni più basse:
il vero problema sarà l’abolizione dello scalone previdenziale, ma perché si
metta mano a quella materia - siamo certi - dovremo attendere il giorno della
chiusura delle grandi fabbriche per evitare ondate di proteste da parte degli
operai che avranno sicuramente molto da rimetterci in quella partita.
Stefano
Ghio
Torino,
29 giugno 2007