Il «giusto processo» non si applica
ai «terroristi»
La corte europea chiede un nuovo giudizio per Dorigo, condannato per
l'attentato di Aviano del `93
ALESSANDRO MANTOVANI
Il 7 ottobre a Strasburgo il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa
tornerà ad occuparsi di Paolo Dorigo, in carcere da dieci anni
per l'attentato del `93 alla base Usa di Aviano (Pordenone). E l'Italia
riceverà l'ennesimo invito ad approvare una legge che assicuri
a Dorigo il nuovo processo al quale ha diritto, come stabilito dalla
Commissione europea per i diritti dell'uomo nell'ormai lontano 1999.
Il comitato dei ministri è appunto l'organo che sovrintende all'esecuzione
delle decisioni. Ma è un balletto inutile, per Dorigo non cambierà
nulla neanche quando il senato avrà dato via libera alla legge
sulla revisione dei processi in seguito alle pronunce della corte europea,
che la destra pomposamente definisce «del giusto processo».
Ne sono infatti rimasti esclusi, oltre ai reati di mafia, quelli di
terrorismo, come se i diritti processuali potessero dipendere dal tipo
di reato. Così dispone l'incredibile emendamento diessino al
progetto approvato dalla camera a fine luglio, ed è piuttosto
difficile che Palazzo Madama modifichi il testo in senso garantista.
Il 44enne veneziano rischia dunque di scontare fino all'ultimo giorno
la condanna a 13 anni e sei mesi rimediata per quell'attentato senza
vittime firmato «Brigate rosse», colpi d'arma da fuoco e
una bomba a mano contro il muro esterno della base. E poco importa che
sia stato condannato sulla sola base delle parole di un pentito, Angelo
Dalla Longa, verbalizzate in carcere da un pm e da un ispettore di polizia
e mai confermate in aula, come era consentito dal vecchio articolo 513
del codice di procedura. Poco importa che la Commissione di Strasburgo
abbia riconosciuto che il processo non fu «equo» perché
i legali di Dorigo non ebbero modo di controinterrogare il testimone,
in violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo. Nell'Italia delle leggi «salva Previti» non conta
neanche che il «giusto processo» sia stato inserito nella
Costituzione: «La consapevolezza dell'imputato - dice il nuovo
articolo 111, introdotto nel `99 - non può essere provata sulla
base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
sottratto volontariamente all'interrogatorio da parte dell'imputato
o del suo difensore». Sembra scritto apposta per Dalla Longa,
che con un verbale di una paginetta e mezzo ha mandato in galera Dorigo
e altre tre persone: «L'attentato fu materialmente compiuto da
me, Aiosa, Dorigo... - diceva il pentito - Politicamente fu gestito
dal Pizzarelli e credo anche altri... Le pistole furono procurate dal
Dorigo». Poche frasette scarne, dal pm nessuna domanda. E il pentito
fu condannato solo per le armi.
A giugno l'avvocato Vittorio Trupiano, che difende Dorigo, ha presentato
un'istanza di revisione del processo alla corte d'appello di Venezia,
ma se fosse accolta sarebbe davvero una novità assoluta. Più
probabile che il comitato dei ministri di Strasburgo continui, come
fa da quattro anni, a rivolgere inutili inviti all'Italia. Prima o poi
la vicenda potrebbe finire alla corte costituzionale e la legge sulla
revisione dei processi rischierebbe di cadere per violazione del principio
di uguaglianza, ma intanto Dorigo avrà fatto altro carcere.
Per questa e altre ragioni il detenuto porta avanti a Spoleto un parziale
sciopero della fame e altre forme di protesta. Ha dovuto aspettare per
mesi anche per la visita medica che richiede per accertare gli effetti
di maltrattamenti, torture e controlli anche di tipo elettronico che
ha denunciato in questi anni (soprattutto a Biella e a Livorno) e sulle
quali Paolo Cento (Verdi) e Giovanni Russo Spena (Prc) hanno presentato
diverse interrogazioni parlamentari. Giovedì, annuncia l'avvocato
Trupiano, Dorigo finalmente vedrà il medico. Vedere un nuovo
giudice sarà molto più difficile.
Il Manifesto del 2/9/2003