Il 14 ottobre è una data storica, nasce il Pd; viene incoronato
segretario Uolter Veltroni con il 75,74 per cento - mentre i suoi avversari
racimolano rispettivamente il 13,91 per cento Rosy Bindi, il 10,15 per cento
Enrico Letta (nipote, per chi non lo sapesse, del forzitaliota Gianni), lo 0,14
per cento Mario Adinolfi, lo 0,06 per cento Piergiorgio Gawronski (non sappiamo
se imparentato con il più noto Jas, già corrispondente Rai da Varsavia, attuale
parlamentare europeo forzitaliota) - e, accanto a lui, viene eletta una
infinita pletora di cortigiani lo aiuteranno a scrivere il programma del
partito. Dal bel dépliant patinato distribuito dai suoi sostenitori piemontesi
delle liste per Gianfranco Morgando - il candidato vincitore della corsa alla
carica di segretario regionale piemontese, con il 51,6 per cento delle preferenze,
sull’uomo deciso dallo Smilzo e da Pane e Cicorie, Gianluca Susta, che si è
fermato al 48,4 per cento - si possono cominciare ad intuire le linee-guida del
futuro programma del Pd, una accozzaglia di persone delle più disparate
tendenze politiche i cui valori «non devono essere abbandonati, ma anzi
promossi e rinnovati» all’interno dell’unione delle «forze del riformismo italiano
d’ispirazione socialista, cattolico-democratica, liberaldemocratica e
ambientalista».
Mr. Uolter, a questo proposito, dimentica un ‘piccolo’ particolare:
i socialisti non sono più da tempo con lui, bensì divisi tra Sd e Ps, quindi
può tranquillamente smettere di illudere quella parte della base del suo ex partito
che ancora, poveri ingenui, credono di stare in una formazione ancorata al
Partito Socialista Europeo; è del tutto evidente che l’approdo naturale del Pd
saranno i lidi liberaldemocratici.
Se qualcuno avesse dei dubbi in proposito, gli potrebbero bastare
i cinque punti programmatici inseriti nel volantino per fugarli.
Il primo recita l’impegno a «dar valore al lavoro: il Partito
Democratico dia voce a chi produce valore e ricchezza con il proprio lavoro»;
peccato che questa nobilissima enunciazione sia del tutto contraddetta da quanto
si trova al terzo posto: «deve promuovere le piccole e grandi riforme
necessarie a liberare l’Italia dai freni che bloccano lo sviluppo», che
significa, né più né meno, aiutare concretamente i padroni a fare tutto quello
che vogliono sulla pelle dei lavoratori in nome di un supposto sviluppo dell’economia
italiana.
Per quanto concerne la questione ambientalista ci viene in aiuto
il quarto punto dove si esplicita che «le priorità ambientali si trasformano in
“cantieri d’innovazione” per uno sviluppo realmente sostenibile»; sarà forse
per questo che in Piemonte la giunta regionale, dominata dal Pd, cerca idee per
rendere più leggero l’impatto visivo dell’autostrada A32 Torino-Bardonecchia:
se riuscisse nell’intento, potrebbe pensare di costruire la linea ferroviaria
ad alta capacità (il TAV Torino-Lyon) facendo credere di rispettare l’ambiente.
Il secondo impegno concerne il diritto alla sicurezza e alla
legalità (essa non è né di destra né di sinistra, secondo l’Amerikano: è sempre
e solo quella borghese, aggiungiamo noi) che «è un diritto fondamentale del cittadino
(naturalmente borghese, n.d.a.)» che lo Stato deve garantire.
Come quinto e ultimo punto troviamo la promessa di un partito «sano,
vivo e vitale» nel quale «iscritti ed elettori possano esprimersi, confrontarsi
e decidere insieme, democraticamente. Siamo contrari a un partito che sia un
comitato elettorale al servizio dei potenti di turno»; ci permettiamo di
dubitare fortemente che ciò possa avvenire.
In primo luogo vorremmo sapere come può essere democratico un
partito che organizza delle primarie truccate (vedasi “il manifesto” di
domenica 14 ottobre, l’articolo in prima pagina di Alessandro Robecchi, dove si
dice che, se un elettore fosse entrato in cabina bendato e avesse fatto una
croce su una scheda a caso, avrebbe avuto il 72 per cento di possibilità di
votare per Veltroni... alla faccia delle eguali condizioni di partenza per
tutti i candidati!), ed in seconda battuta ricordiamo che il paese degli
yanqui, da sempre preso a modello dal sindaco di Roma, i partiti non sono altro
che comitati elettorali al servizio dei potenti, i cui sostenitori sono
chiamati a partecipare attivamente alla vita politica solamente in occasione
delle elezioni.
Stefano Ghio
Torino, 16 ottobre 2007