Il 30 ottobre abbiamo avuto l’ennesima riprova, ma non ne avevamo
certo bisogno, che Don Clemente Mastella da Ceppaloni - noto democristiano
della peggior specie - è un personaggio sul quale nessuno può fare affidamento. L’attuale ministro della Giustizia si è reso
protagonista dell’ennesima vergogna di questo governo, insieme con il suo amico
(assai poco) nemico, l’ex pm filo-fascista - attuale ministro delle
Infrastrutture - Antonio Di Pietro. In
concreto, questi due luridi personaggi hanno contribuito ad affossare, in
commissione Affari costituzionali della Camera, uno dei pochissimi
provvedimenti giusti contenuti nel programma elettorale dell’Unione: l’istituzione
di una commissione d’inchiesta sull’infame comportamento tenuto dalle “forze
dell’ordine” nei giorni del G8 tenutosi a Genova nel luglio 2001. Il ripugnante
guardasigilli afferma di non sapere che la commissione fosse nel programma, di
non averla letta; l’ex pm, dal canto suo, contesta il fatto che essa si
riferisse esclusivamente ai comportamenti - indiscutibilmente delinquenziali -
tenuti dalla polizia, senza guardare ai metodi usati dai manifestanti. E’ pur
vero, a parziale scusante del Mastella, che è difficile leggere attentamente
ben 280 pagine di documenti, ma con la stessa scusa - perché di questo si
tratta - la cosiddetta “sinistra radicale” potrebbe facilmente vendicarsi su
altri atti voluti dal Ras di Ceppaloni (o da quello di Montenero di Bisaccia)
inseriti nel programma anche con la contrarietà di Rc-Se, Pdci e Verdi (all’atto
della compilazione del programma Sd era solo una corrente dei morenti, allora,
DS), o sul «rafforzamento qualitativo e quantitativo del contingente italiano
in Afghanistan e Kosovo» promesso dal ministro della Difesa - Arthur Parisi - al
suo omologo yanqui - Robert Gates - senza naturalmente consultare il resto
della compagine governativa (si veda al proposito “La Stampa” del medesimo
giorno, pagina 13, articolo dell’inviato a Washington Maurizio Molinari). Nonostante le dichiarazioni affatto
concilianti del ministro valdese Paolo Ferrero (Rc-Se) e dell’ex guardasigilli
del primo governo D’Alema (1999) Oliviero Diliberto (Pdci), il sultano campano
sa benissimo che questi signori non andranno mai oltre le parole, «perché se cade
il governo Prodi, in alternativa può essercene solo uno peggiore»: egli sa
perfettamente di avere a che fare con parolai che non concretizzeranno mai le
loro minacce, come dimostrato dal “pacchetto sicurezza” - voluto fortissimamente
dai due novelli Giustizieri della notte -
sul quale (a parte il ministro dei trasporti Alessandro Bianchi - quota
Pdci - che ha votato a favore) si sono tutti astenuti in Consiglio dei
ministri; tutta questa serie di episodi porta Don Mastella ad arrogarsi il
diritto di fare come meglio preferisce, seguendo nei fatti il suo amico
Senatore democristiano, ed ex presidente della Banca d’Italia, Lambertow Dini,
dichiarando nel contempo di essere fedele e leale al Mortadella.
P.S.: vorremmo sapere se esiste un altro Paese al mondo dove il
ministro della Giustizia, indagato, non rassegna le proprie dimissioni (in
certi posti, segnatamente il Giappone, arriverebbe persino a suicidarsi per la
vergogna, ma questo, disgraziatamente, non possiamo certo aspettarcelo da un
personaggio simile) e toglie ad un pm - Luigi De Magistris della Procura di
Catanzaro, in seguito anche trasferito di ufficio - la titolarità di una importante
inchiesta su affari poco chiari (la ormai famosa “Why not?”) perché questa
tocca, guarda il caso, un noto esponente del suo stesso partito: infatti, il presidente
della Regione Calabria - Agazio Loiero - è affiliato al partito dell’Udeur.
Stefano Ghio
Torino, 31 ottobre 2007