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di questa
copertina nessuno è autorizzato a farne uso, e in vita questa è l’unica
copertina prevista
Paolo Dorigo
Militante comunista prigioniero marxista-leninista-maoista principalmente maoista
IL LIBRETTO ROSSO DELLA
NUOVA RIVOLUZIONE PROLETARIA ITALIANA
Visto il sabotaggio psichico dei
torturatori del controllo mentale a questo lavoro, ne viene pubblicata qui per
la prima volta questa 1° edizione parziale, anche per il rischio di vita che la
tortura che sto subendo comporta; è vietata la diffusione commerciale – La
diffusione commerciale sarà molto probabilmente curata a lavoro concluso dai
maoisti italiani.
Paolo Dorigo, 8 febbraio 2006,
21° anniversario della prima delle operazioni controrivoluzionarie dei boie dei
ROS deviati e della Procura Inquisitoriale veneziana contro il Centro di
Documentazione marxista-leninista di Marghera, il Coordinamento Veneto-Friuli
contro la repressione, il Bollettino del Coordinamento dei Comitati contro la
repressione, e due familiari di prigionieri rivoluzionari, operazioni e
montatura crollate con la sentenza del 2 ottobre 1991 della Corte d’Assise di
Venezia.
IN CORSO DI STESURA
CAPITOLI 1-10 COMPLETI
CAPITOLO 11 IN CORSO aggiornato al 17-9-2006
CAPITOLI 12-33 IN PROGRAMMA TORTURA CONTROLLO MENTALE PERMETTENDO
Di eventuali estremizzazioni,
esagerazioni di cui qualcuno, parte del conflitto di classe dalla parte
sbagliata dovesse averne a male, od errori lessicali, sono responsabili
unicamente i torturatori essendo stato scritto questo testo durante la tortura
permanente del controllo mentale sin dal 2003 nel carcere di Spoleto. Infatti
sono benissimo in grado di esprimere le mie idee senza queste suddette forme,
tuttavia causa tortura del controllo mentale non sono in grado di correggere le
bozze di questo lavoro.
Paolo Dorigo
Questo lavoro è stato il più sabotato ed il principale obiettivo della controrivoluzione con il sequestro del 25 gennaio 2005, organizzato minuziosamente nei particolari sin dall’arrivo di un sedicente “antimperialista” nel lager spoletino. Il capitolo 8 è stato riscritto in seguito a questo sequestro, e qui, dopo averlo recuperato, ne proponiamo le due versioni. Precedentemente sono stati salvati i primi 7 capitoli al 8 ottobre 2004. E’ tra gli elementi in valutazione dei rivoluzionari di questo paese se gli agenti DIA e ROS-ROC che operarono quel sequestro lo abbiano compiuto solo per mansioni di servizio o anche per far piacere a componenti neorevisioniste interne alle istituzioni, che al pari dei fascisti e dei democristiani, anziché dare più democrazia alle masse, dal 1998 hanno inmfiltrato i servizi deviati carcerari attraverso il partitino del prode diliberto.
Le citazioni sono state riferite alla più recente ed ampia raccolta italiana di Opere di Mao Tse-Tung (disponibile anche su cd-rom) per puro riferimento a semplificare la lettura e a stimolarla, ai giovani compagni, dato che ci è nota la poca propensione alla paziente ricerca di un brano in testi non sempre brevi né facilmente reperibili, indipendentemente dalla qualità più o meno fedele delle traduzioni di questa raccolta ed alle scelte politiche sottese dai responsabili di questa raccolta (come quella di definire compagno il criminale revisionista hua kuo-feng), non sempre discusse con i collaboratori alla stessa, all’epoca del lavoro di cura e redazione dei testi. Infatti invece i testi sono quasi sempre letteralmente copiati dall’edizione in lingua italiana del Libretto rosso e non dalla traduzione in italiano delle Opere edite suddette.
I termini cinesi usati sono riferiti alla traslitterazione del sistema in corso alcuni decenni fa. Socialimperialisti (Cina) e imperialisti (Germania) di oggi, concorrono a corpose modificazioni linguistiche allo scopo di cancellare i principali periodi di potere della classe operaia nei rispettivi paesi, come per altri versi i principali imperialisti (SS.UU.A.).
Infine, a proposito delle interpretazioni e diverse posizioni nel movimento maoista, diciamo chiaramente che consideriamo guida generale nell'esperienza del m.c.i. l'esperienza della guerra popolare in Perù, che non consideriamo deviazionista a causa delle fenomenologie resaiole e di LOD interne ai prigionieri, in quanto non maggioritarie e comunque ininfluenti nello scontro di classe interno, a differenza di quanto avvenuto purtroppo a causa del soggettivismo militarista, in Italia. Che consideriamo l'interpretazione destrosa ed opportunista del Co.Mri nociva e distruttiva della maggiore esperienza sviluppatasi in seno al MRI dal 1980 (prima della sua fondazione, voluta dal PCP), su questa esperienza, e che consideriamo l'esperienza della guerra popolare in Perù fondamentale per la nostra F.E.S. in quanto la più vicina (basti pensare alla metropoli Lima) a quella dell'occidente capitalista. Questo senza nulla togliere all'ondata rivoluzionaria in corso nell'Asia meridionale ed ai successi della g.p. in Nepal.
L’autore
2.
Le classi e la lotta
di classe
3.
Il socialismo e il comunismo
4.
La giusta soluzione
delle contraddizioni in seno al popolo
6. L’imperialismo
e tutti i reazionari sono tigri di carta
7. Avere
il coraggio di lottare, avere il coraggio di vincere (fino a qui
scritto nel 2004)
8. La guerra popolare (prima stesura) e (rifacimento
dell’agosto-ottobre 2005)
9.
L’esercito popolare
(commenti del novembre 2004)
10. Il ruolo dirigente dei comitati di Partito
(commenti del novembre 2004)
11.La linea di massa (in corso)
Il nucleo dirigente della
nostra causa è il Partito comunista.
Il fondamento teorico in
base al quale si orienta il nostro pensiero è il marxismo – leninismo –
maoismo.
La storia degli oppressi e
dei proletari è diffamata e mistificata a più non posso dai borghesi e dai
novelli cantori delle più diverse ed insignificanti opposizioni
piccolo-borghesi. Noi riaffermiamo:
marxismo
·
perché
corrisponde all’analisi della società capitalista, alla centralità della classe
operaia e del Partito comunista quale suo dirigente storico nelle varie
formazioni economico – sociali e tempi storici che portano ineluttabilmente il
capitalismo a creare le condizioni stesse della transizione al comunismo
attraverso l’instaurazione, paese per paese, delle società socialiste, ove ad
ognuno corrisponde sulla base del proprio lavoro e non della propria condizione
sociale precedente, ed ove la proprietà dei mezzi di produzione è collettiva e
statalizzata;
·
perché
ci ha insegnato l’internazionalismo quale principio di identità dei comunisti
ovunque nel mondo.
leninismo:
·
perché
corrisponde all’esperienza rivoluzionaria del Partito comunista e popolare dei
Soviet (assemblee e consigli del popolo) e dell’Unione Sovietica (socialista dal 1917 al 1955) quale guida
della necessaria fase della dittatura del proletariato, nella trasformazione
della società e nel miglioramento delle condizioni di vita delle masse, nella
loro emancipazione collettiva, culturale, individuale e di ogni sua parte al di
fuori dei vincoli e dei limiti imposti dalla società borghese;
·
perché
ci ha insegnato con la guerra patriottica del popolo sovietico contro il
nazifascismo, che l’unità del popolo è invincibile anche di fronte alla più
terribile aggressione militare;
·
perché
ci ha insegnato l’imperialismo nel suo caratterizzarsi come ultima e
putrescente fase di espansione del sistema capitalista mondiale.
maoismo
·
perché
corrisponde alla centralità nell’ultima fase della società mondiale capitalista
imperialista, delle masse popolari, lavoratrici e contadine dei popoli oppressi,
che costituiscono la maggioranza dell’umanità sfruttata ed oppressa da una
esigua minoranza di alcuni milioni di individui asserragliati nelle proprie
cittadelle corrispondenti alla borghesia imperialista;
·
perché
ha tradotto in teoria ed esperienza la guerra popolare delle masse oppresse
·
perché
ha saputo portare sino alle estreme conseguenze la lotta di classe anche
all’interno il Partito comunista al potere con la gloriosa Rivoluzione
Culturale Proletaria, riconoscendo il rischio che la borghesia si affermi anche
al suo interno –come è avvenuto peraltro in maniera pressoché indolore in tutti
i paesi occidentali-.
Qualsiasi altro partito si
qualifichi di essere comunista al di fuori di questa base ideologica è falso e
venduto alla borghesia ed al suo sistema sociale di contenimento delle istanze
popolari e della classe operaia, nella migliore delle ipotesi è un partito
anchilosato sulla venerazione dogmatica del solo leninismo. Non possono
esistere in una stessa formazione sociale in uno stesso momento storico due più
partiti autenticamente comunisti. O uno di questi, o entrambi, o tutti,
deviano, qualora non trovino la via dell’unità rivoluzionaria della maggioranza
del popolo, diretta dalla classe lavoratrice. Il Partito che non devia è quello
che costruisce la prospettiva rivoluzionaria e di liberazione del popolo e
della classe operaia quale suo nucleo di avanguardia.
Per fare la rivoluzione,
occorre un Partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un
partito fondato sulla teoria rivoluzionaria marxista – leninista – maoista e
sullo stile rivoluzionario marxista – leninista – maoista, è impossibile
guidare la classe operaia e le grandi masse popolari ala vittoria nella loro
lotta contro l’imperialismo ed il sistema sociale e di interessi tra loro
interconnessi che ne è concausa.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci disse anche il 24 aprile 1945:
“… senza gli sforzi del
Partito comunista della Cina, senza i comunisti cinesi, spina dorsale del
popolo cinese, sarebbe stato impossibile realizzare l’indipendenza e la
liberazione della Cina, come sarebbe stato impossibile realizzare
l’indipendenza e la liberazione della Cina, come sarebbe stato impossibile
realizzare l’industrializzazione in Cina e la riorganizzazione dell’agricoltura
su basi nuove.”
(“Sul governo di
coalizione”, Opere di Mao Tse-Tung,
ed.Rapporti sociali, vol. 9,
117-174 )
L’autentico Partito comunista, una volta costituitosi nel fuoco della lotta di classe, costituisce per sua stessa natura e genesi il nucleo dirigente dell’intero popolo italiano. Senza un simile nucleo, che nasce sulla base dell’esperienza della classe operaia e del suo patrimonio storico, la causa del comunismo non potrà mai trionfare.
Ci ha scritto il 30 giugno
1949 il Presidente Mao:
“Un partito disciplinato,
armato della teoria marxista-leninista-maoista, solito a praticare
l’autocritica e legato alle masse popolari; un esercito diretto da un simile
partito; un fronte unito di tutte le classi sfruttate ossia della maggioranza
assoluta della popolazione, guidato dalle classi rivoluzionarie del popolo e
sostenuto da tutti i gruppi rivoluzionari sotto la direzione di un simile
partito; ecco i tre strumenti fondamentali per portare a compimento la tappa
rivoluzionaria della rivoluzione socialista nel nostro paese.”
( “Sulla dittatura democratica popolare”,
Opere
di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.11, pag.123-136)
La causa del comunismo
come scopo finale dell’emancipazione e dell’eguaglianza tra tutti gli uomini e
le donne senza distinzione di sesso, nazionalità, lingua, credenze e
superstizioni, età e origini sociali della vecchia società, potrà essere
raggiunta solo su base mondiale attraverso una serie di rivoluzioni
nazionali o regionali che porteranno alla costituzione di stati socialisti o
comunistici e attraverso continui processi di transizione comunistica
frutto della lotta di classe.
Se il carattere comune di
questi stati e di questi processi
di transizione è quello che dirige verso il miglioramento delle condizioni
sociali di tutto il popolo senza discriminazione alcuna sul piano sociale e
lavorativo espropriando le classi possidenti di ogni loro terra, proprietà
industriale e finanziaria, (in quanto frutto di espropriazione, furto, rapina,
saccheggio e violenza ai danni della maggioranza dei popoli sfruttati
dell’umanità sin dai tempi più antichi), ciò che distingue uno stato socialista
da un processo di transizione in atto verso il comunismo non è solo la
dimensione mondiale del processo (e quindi la sconfitta dell’imperialismo e la
dissoluzione del capitalismo sul piano
internazionale) ma è anche il carattere statale della proprietà dei mezzi di
produzione, con i problemi storicamente già evidenziati nella pianificazione e
nel controllo in relazione al rispetto dei principi di eguaglianza sociale,
carattere che deve essere però sempre soggetto all’esercizio della critica e
del potere dal basso verso l’alto con la Sovietizzazione dell’intera macchina
statale, ossia uno stato diretto dai Consigli – Assemblee – Comuni popolari a
tutti i livelli ed in ogni campo. In questo senso il Partito comunista è
l’espressione più matura di questa Sovietizzazione e non è più –dopo
l’instaurazione dello stato socialista- una autorità separata nella gestione
del potere, ed è suo compito quindi reprimere le insorgenze della burocrazia e
della borghesia e non favorirne il ritorno, come è stato in URSS dopo la morte
di Stalin ed in Cina dopo la morte del Presidente Mao Tse-Tung.
Il comunismo realizzato su
scala mondiale sarà una sorta di anarchia pacifica dove al lavoro ed alla
riproduzione sarà affiancata parimenti
per tutta l’umanità la libera espressione artistica, culturale e umana
senza alcuna limitazione. Per questo ci
diciamo comunisti, perché consideriamo raggiungibile il comunismo attraversi
questi passaggi, perché ci poniamo il problema di “come” ed attraverso quali
passaggi poter raggiungere la pace la
serenità l’eguaglianza e la prosperità su scala mondiale.
Proprio perché la situazione
di arretramento odierna è ben più grave
di quella che certi dogmatici vogliono intendere e sottovalutare per campare
politicamente sull’onda delle parole, occorre che facciamo capire ai
rivoluzionari non comunisti che consideriamo il patrimonio storico dei paesi
socialisti come una importante base di esperienza per i futuri paesi socialisti
ma non come un vincolo od una corda al collo del nostro domani, avendo così la
capacità di superare gli errori e di evitare certi deviazionismi e revisionismi
di destra che si sono succeduti nei paesi socialisti. Parimenti dobbiamo
spiegargli che certe credenze (la guerra di Spagna a Barcellona, i “crimini” di
Stalin e Pol Pot, la “follia” della rivoluzione culturale cinese) sono falsità
e stravolgimenti che la borghesia usa, ha usato ed enfatizzato, proprio
sull’onda dei numerosissimi drammi vissuti all’ interno del movimento comunista
e rivoluzionario.
L’unità che oggi ci avvicina
a diversi rivoluzionari di diverse esperienze nell’affrontare la società
repressiva imperialista, deve essere un patrimonio da tutelare nei secoli,
proprio perché non abbiano a ripetersi logiche fratricide, carrieriste,
dirigiste, di cannibalismo politico, che in talune situazioni hanno disastrato
la direzione del movimento rivoluzionario portando nel popolo sconforto e
sfiducia.
Bisogna avere fiducia nelle
masse; se non si ha fiducia nelle masse, è impossibile costruire il Partito di
avanguardia della classe operaia e del popolo.
Il Partito comunista, armato
della teoria marxista-leninista-maoista, non dimentica né l’esperienza della
guerra partigiana anti-fascista e della partecipazione internazionalista alle
Brigate Internazionali nella guerra civile in Spagna, né tantomeno l’esperienza
storica delle Brigate Rosse che, nel periodo storico delle loro più mature
offensive, hanno sedimentato nel popolo italiano una nuova coscienza di classe
e che hanno saputo dar vita ad un nuovo stile di lavoro, i cui tratti
fondamentali sono l’unione della teoria con la pratica, uno stretto legame con
le masse, lo sviluppo dell’autocritica e la parità tra l’uomo e la donna.
Mentre ricorda con il senno del poi e con la ricchezza dell’esperienza, i
numerosi errori pratici, le divisioni fratricide nelle carceri, ed anche gli
errori di linea politico-militare che ne hanno contraddistinto la seconda fase
negli anni ‘80 del secolo scorso.
Un Partito non può guidare
fino alla vittoria un grande, diffuso e articolato movimento rivoluzionario,
prodotto della inarrestabile coscienza politica e storica della classe operaia
nel maturare della crisi capitalista, della guerra imperialista e
dell’aberrazione del suo potere, se non comprende il movimento nella sua realtà
effettiva, se non fa inchiesta di classe, se non basa il suo programma politico
sulla effettiva formazione economico-sociale del paese e delle varie regioni e
realtà di cui è composto.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci disse anche il 12 marzo 1957:
“La rettifica è, come
dicevamo, un “movimento generale per l’educazione marxista”. È infatti lo
studio, in tutto il Partito, del marxismo per mezzo della critica e
dell’autocritica. Nel corso di questo movimento, noi approfondiremo certamente
la nostra conoscenza del marxismo.”
(…)
“È un arduo compito quello di garantire un degno
livello di vita a tutto il popolo italiano e a tutti i lavoratori, gli esuli, i
perseguitati sociali e politici dall’imperialismo, ed ai loro familiari,
qualsiasi sia la loro provenienza geografica e la loro religione ? Finché non sapremo far superare al popolo
italiano la sua atavica arretratezza culturale, le sue superstizioni,
vigliaccherie e subalternità al potere (e potremo farlo solo riconoscendo e
combattendo il persistere di caratteri semi-feudali nella gestione del potere a
tutti i livelli) non potremo portare la classe operaia fuori dal pantano della
lotta per la sopravvivenza cui le catene dell’imperialismo la costringono con
la maggioranza del popolo. Ed è per
meglio affrontare questo compito e per meglio lavorare insieme con tutte le
donne e gli uomini di buona volontà che stanno al di fuori del Partito ma che
sono solidali alla causa di liberazione dal lavoro salariato e schiavistico,
che noi, decisi a realizzare fino in fondo le trasformazioni, ora come in
avvenire, dobbiamo mettere in atto movimenti di rettifica e correggere senza
tregua ciò che di erroneo è in noi”.
(“Intervento
alla Conferenza nazionale del Partito comunista della Cina sul lavoro di
propaganda”, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, vol.14, pag.197-210)
Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse anche il 27 febbraio 1948:
La politica è il punto di partenza di qualsiasi azione pratica di un partito rivoluzionario e si manifesta nello sviluppo e nelle conclusioni delle azioni di questo partito. Ogni azione di un partito rivoluzionario è l’applicazione della sua politica. Se esso non applica una politica giusta, applica una politica errata; se non applica una politica consapevolmente, la applica ciecamente. Ciò che noi chiamiamo esperienza, è il processo di applicazione di una politica e la conclusione di questo processo. Soltanto attraverso la verifica della pratica del popolo e della soggettività nel popolo, cioè attraverso l’esperienza, noi possiamo verificare se una politica è giusta o errata, e stabilire in quale misura è giusta e in quale misura è errata. Ma la pratica degli uomini, e specialmente la pratica di un partito rivoluzionario e delle masse rivoluzionarie, va necessariamente connessa a una politica o a un’altra. Di conseguenza, prima di intraprendere una azione, dobbiamo spiegare con chiarezza ai membri del Partito e alle masse la politica che noi abbiamo formulato alla luce delle circostanze. In caso contrario, i membri del Partito e le masse si scosteranno dalla direzione politica decisa dal nostro Partito, agiranno alla cieca e applicheranno una politica errata.
“ A proposito della politica riguardante l’industria e il commercio”,
Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.10, pag. )
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci disse sullo stesso argomento anche questo, il 1 aprile 1948, nel fuoco dell’ultima
lotta per la conquista popolare del potere:
“Il nostro Partito sta
attraversando un lungo periodo di costruzione nella lotta, tuttavia molto
spesso ci si dimentica la linea generale rivoluzionaria e si rimane incagliati
nei particolarismi delle realtà locali e delle situazioni sociali che si
vivono; inoltre la controrivoluzione continua incessante a reprimere ed a
costruire provocazioni e demonizzazioni nella peggiore delle tradizioni
clericali e fasciste delle congreghe di potere del nostro paese, secondo la
linea controrivoluzionaria dettata dai 36 boie di regime nel 1984, tendente a
destabilizzare il campo rivoluzionario con ogni mezzo politico, mediatico,
miltare, giuridico e scientifico. Dimenticarsi di questo aspetto, o comunque
esserne speculari, rischia di far deviare dal raggiungimento dell’obiettivo di
tappa, la costruzione del Partito comunista, che a sua volta rischia di
divenire un mito perfetto verso cui tendere, anziché essere la pratica stessa
dell’agire unitario e coeso dei sinceri comunisti. Per questo non dobbiamo
cadere nell’errore di trasformare in dogma il nostro insieme di conoscenza e
scienza politica della critica del sistema capitalista e della concezione
materialista dialettica e storica, della nostra ideologia marxista-leninista-maoista.
Facendo questo errore, o costruendo dei mostri nelle nostre menti, o elevando
noi stessi ai ranghi dei nostri nemici, mitizzando e mitizzandoci, oppure
rinchiudendoci nei nostri particolarismi locali fatti di odi e mezzucci, di
miserie e di incapacità di superare le sconfitte, noi non rrenderemmo un buon
servizio alla nostra causa. Se ci dimentichiamo effettivamente della natura
solidale e progressista della nostra causa, ci trasformiamo in esseri incapaci
di condurre il Partito per cui diamo la nostra esistenza, quale volano e attore
principale della trasformazione rivoluzionaria cosciente dell’umanità.
“ Discorso pronunciato a una
conferenza dei quadri della regione liberata dello Shansi-Suiyuan”, Opere di
Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, vol.10, cit., pag.167-178 )
Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse il 20 marzo 1948:
La politica e la tattica sono la vita stessa del Partito; i compagni dirigenti a tutti i livelli devono prestar loro la massima attenzione e non devono mai mostrarsi negligenti a questo proposito.
(“Circolare sulla situazione”,
Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,
cit., vol. 10, pag.159-166)
Mentre leggo, scrivo, correggo e rivedo questo testo, ossia la copiatura ed il commento delle “Citazioni”, sotto la tortura del controllo mentale, penso alle banalità dei controrivoluzionari ed al loro voler indossare con me le vesti degli inquisitori contro l’eretico di turno. Non mi sono mai considerato un eretico, ma un comunista conseguente. Il che tuttavia, in periodi di controrivoluzione galoppante, è eresia anche per quei rivoluzionari e per quelle organizzazioni per cui il mantenimento della propria linea “politica” ha più importanza della correttezza della stessa, con tutta la gamma di conseguenze del caso. In questo senso vi è un gioco sottile dei controrivoluzionari di diffamare i rivoluzionari ottusi, che pare a volte collidere con la realtà tanto è il potere che il controllo mentale dà loro.
Ma con il marxismo-leninismo-maoismo questo non gli è concesso, se non drogando e somministrando psicofarmaci mescolati in maniera micidiale ai combattenti torturati, al che non avrebbero sotto mano un marxista-leninista-maoista nell’esercizio delle sue capacità e qualità politiche ed umane ma un uomo privato di senso critico e di sé, come hanno fatto con me nel maggio-giugno 2002, gli infami fascisti o sedicenti carabinieri.
2.
Le classi e la lotta di classe
Nella società
“post-moderna”, formula usata dagli intellettuali al servizio del potere
finanziario dei grandi capitalisti e del sistema politico culturale ed
ideologico che ne sottende il controllo dell’opinione pubblica e delle masse,
dicono questi numerosi e ben pagati cantori dei fasti della ricchezza e
dell’inevitabilità e civiltà della società capitalistica, che le classi sociali
sono una categoria superata ed obsoleta.
Lo dicono con la prosopopea
di chi “in passato ci ha creduto, e si è accorto poi” dell’inutilità ed erroneità
di concetti come conflitto, classe, ideologia.
Parlano così solo ed
esclusivamente perché sono del tutto integrati nel sistema di sfruttamento e
morte dettato dagli interessi che si sono sedimentati via via nei secoli
attraverso una classe emergente, la borghesia,
formatasi nello sviluppo sociale da e contro la classe nobiliare, ossia
la classe dei predoni che sullo sfacelo della civiltà antica costruirono il
potere feudale.
Parlano così solo perché
sono ben pagati per i loro servigi che fanno in ogni campo ai membri della
classe della borghesia imperialista, quale che sia il ruolo, spesso
apparentemente di oppositori e critici (come l’ex operaista e filosofo
lagunare Massimo Cacciari approdato recentemente ai misteri dell’anima quale
definitivo abbandono di ogni pretesa e speranza di un reale cambiamento), che
gli è riconosciuto da altri giullari e cantori dell’infame sfruttamento, i
giornalisti impegnati al servizio dei grandi magnati dell’editoria, spesso e
volentieri impegnati pure in altri settori industriali, finanziari, e di
potere.
Il fatto che monopolizzino
la gran parte dei notiziari, delle rassegne stampa, delle trasmissioni
televisive, della cultura ufficiale (quella cultura di rappresentanza
commerciale per cui ogni libro di un giornalista già leccacelo della DC negli
anni settanta è per forza di cose un’ “opera” e come tale va presentata
giocoforza su 7-8 canali televisivi e su un centinaio di quotidiani), non
significa non solo che le loro idee a tal proposito abbiano il benché minimo
valore, ma nemmeno che le loro analisi reggano alla più semplice delle
disamine, quella dei fatti concreti.
Riprendendo il metodo
marxista e leninista di Marx, Engels e Lenin, Mao Tse-Tung, prima di
addentrarsi nella tremenda e durissima esperienza della guerra popolare di
liberazione del popolo Cinese, che gli costò beninteso innumerevoli lutti anche
familiari (anche da qui il valore eccelso delle sue idee e delle sue parole),
si dedicò a studiare a fondo la struttura sociale della società cinese.
Studiare a fondo significa
non solo enumerare statisticamente (con gran fatica traendo numeri significanti
dai dati manipolati e difettosi forniti all’opinione pubblica dagli istituti
statistici della borghesia imperialista) le componenti della società, ma conoscere
a fondo i processi produttivi, le realtà sociali, le difficoltà i problemi i
dolori ed i lutti vissuti dal popolo e dalla sua classe più significativa, la
classe operaia, nella quotidiana lotta per la sua sopravvivenza.
In Italia non vi sono molti
lavoratori agricoli oggigiorno, per cui l’Italia di oggi non è certo la Cina
semifeudale del 1927. Ma in Italia vi sono moltissime ipocrisie e false realtà
che celano una realtà durissima e sanguinosa di sfruttamento e disperazione su
cui i ricchi e potenti capitalisti fanno leva per sfruttare alla massima
potenza le classi subalterne, che costituiscono insieme ai loro familiari quasi
50 milioni di cittadini ed un numero imprecisato di proletari immigrati e loro
familiari.
Analisi di classe non
significa solo conoscenza del territorio sociale e della realtà, ma anche
analisi politica. A partire dalla lotta di classe, che è, a dispetto dei
cantori della post-modernità, il dato fondamentale di ogni società nella storia.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci disse anche il 14 agosto 1949:
“Lotta di classe –certe classi sono vittoriose, altre vengono eliminate. Questa è la storia, la storia delle civiltà, da millenni. Interpretare la storia da questo punto di vista è quel che si dice materialismo storico; porsi all’opposto di questo punto di vista è idealismo storico.”
(“Respingete le vostre
illusioni e preparatevi alla lotta”-, Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti
sociali, cit., vol.11, pag.137-144)
La prosopopea anticomunista
vorrebbe far credere alle masse che la classe operaia è una classe in
estinzione, che l’automazione e la tecnologia tendono ad eliminarla. Confondono
così il loro desiderio di giungere un giorno a nuove forme di schiavismo –di
animali addestrati, di robot, di “razze” inferiori– con la realtà.
Noi sappiamo invece che, così come in tutto il mondo il ciclo della rivoluzione industriale non si è concluso ed è ancora in espansione, come nel Tricontinente (termine quanto mai attuale ed appropriato che indica i continenti dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia, dal nome della Tricontinental sorta sull’onda dell’internazionalismo guevarista), così a determinare l’identità della classe operaia non è l’utilizzo del martello e dello scalpello, bensì la collocazione di classe del lavoratore salariato nell’ambito del ciclo di riproduzione del capitale. Così, possiamo tranquillamente affermare che oggi nel mondo gli operai sono un quinto dell’intera popolazione, e che negli stessi paesi capitalisti la classe operaia è composta da molti più lavoratori di quanto le stupide statistiche borghesi (divisione in settore primario, ergo agricolo, secondario, ossia industriale, e terziario, ossia dei “servizi”) non indichino, sia per un dato oggettivo (molti operai sono nell’agricoltura, data la natura capitalista di numerose aziende agricole, moltissimi lavoratori dei servizi sono nella classe operaia per lo stesso tipo di lavoro che fanno), sia per un dato analitico (la produzione di plusvalore è l’attività centrale della maggior parte delle aziende capitalistiche dei servizi).
L’analisi di classe, la
conoscenza profonda che noi comunisti dobbiamo avere del nostro territorio,
della struttura economica e sociale delle nostre regioni, comportano una
visione d’insieme che condurrà chiunque la conduca con serietà, ad un risultato
estremamente contraddittorio con quello che ci spacciano le statistiche
borghesi degli istituti preposti come l’Istat o della divisione del “mercato
del lavoro”.
A questo si aggiunga che il
lavoro extralegale, nero, precario e sommerso, è molto più significativo di
quanto si riconosca, perché la borghesia al potere costringe i lavoratori
dipendenti a decurtazioni fiscali e previdenziali dei salari che ben superiori
in proporzione e spesso in assoluto a quelle adottate con il trattamento
fiscale dei lavoratori statali delle forze dell’ordine alle quali sono concessi
stipendi ben superiori alla media degli altri lavoratori, ai lavoratori
indipendenti, autonomi, e dei capitalisti.
Il Presidente Mao Tse-Tung
scrisse nel luglio 1937:
“In una società divisa in
classi, ogni uomo vive in una determinata situazione di classe, e ogni
ideologia porta un marchio di classe.”
(Mao Tse-Tung, “Sulla
pratica – Sul rapporto fra la conoscenza e la pratica, fra il sapere e il
fare”,
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol.5, pag.169-182)
Contrariamente a quanto vogliono farci credere i borghesi, i loro insegnanti e filosofi, i loro giornali e mezzi di comunicazione, secondo i quali il progresso è il frutto di trasformazioni sempre necessarie frutto del loro denaro e della loro ricerca scientifica, e per cui il progresso umano e le trasformazioni della società dovrebbero essere esclusivamente il frutto delle modificazioni qualitative e strutturali indotte dalla tecnologia, le trasformazioni della società sono generate in gran parte dallo sviluppo delle contraddizioni esistenti all’interno della società e del suo modo di produzione.
Per cui, oltre generare risposte dirette, esecutive
(gerarchizzazione dei poteri, esclusione delle masse dalla vita politica), legislative
(modificazioni strutturali, perdita di garanzie sociali e lavorative, sostegno
ai capitalisti) e di potere (repressive e militari), la borghesia sostiene e
sospinge la ricerca scientifica secondo criteri ben precisi voluti da ristrette
cerchie di interesse che si rifanno ad importanti gruppi economici.
Ma questi criteri sono
anch’essi determinati dalla natura del conflitto di classe tra le classi
dominanti ed in particolare la borghesia imperialista., e le classi subalterne
principalmente il proletariato.
Dominanti permangono quindi
le contraddizioni tra le forze produttive ed i rapporti capitalistici di
produzione, le contraddizioni tra le classi, le contraddizioni tra ciò che di nuovo
esprime il popolo ed il proletariato e ciò che di vecchio permane, dietro ogni
ammantato modernismo tecnologico, nella società, (DA QUI RICOSTRUZIONE DEL TESTO SABOTATO DAI MIEI TORTURATORI
DICEMBRE 2003)
nelle strutture e nei
sancta-sanctorum connaturati al dominio borghese della società. Alla
generazione infatti degli intellettuali rivoluzionari al servizio delle classi
oppresse e della loro emancipazione, persone che sapevano lavorare tre volte
tanto gli altri, e che non cercavano, come Marx, il profitto e la fama, ma solo
di dare, dare e dare, si è oggi nei marci e putridi, infami e laidi paesi
occidentali capitalisti, sovrapposta una classe di intellettuali narcisisti,
quasi pedofili, gente che ogni anno deve pubblicare un testo per Natale, gente
che se non ha una intervista con foto su un quotidiano nazionale ogni mese, sta
male, gente che fa ricerca scientifica segretamente e al servizio degli
eserciti e della morte, e che al contempo in calzini di seta e fifì, riempie le
sale delle prime teatrali, gente che depriva la classe degli sfruttati, che
tutto produce, del sapere e della conoscenza, offrendogli pattume e
rimasticamenti della storia ad uso e consumo dei potenti che gli comprano
lautamente critiche, citazionismi, saggi e lavori vari, gente che occupa le
cattedre universitarie e coltiva sciami di ricercatori e borsisti, che
pedissequamente devono conoscere non questo o quel grande, ma la loro stessa
opera omnia, gente che in vita vuole, senza nulla pagare, tutto avere, ma solo
per sé.
Nel campo scientifico, i
gruppi di ricercatori che utilizzano grandissimi e planetari “poli
tecnologici”, oscuri e vietatissimi spazi defiscalizzati e statali, quindi
creati per il bene del popolo, per scopi occulti e segreti, e che tirano fuori
tutte le scuse per nascondere i come e perché del loro operato, costituiscono
oggi la stessa controrivoluzione.Essi infatti non hanno etica, cercano solo la
“scoperta” come merce, non ne curano l’etica della finalità.
Lasciano la definizione
dell’etica ai loro datori di lavoro, alle multinazionali che ne governano lo
spirito, e che stanno spiando quanto sto scrivendo.
I loro codici di
regolamentazione etici, che non sono discussi dal popolo né dai parlamenti,
sono eticamente pari alle regole che i tagliagole si danno per scannare meglio
e più gente possibile per poi guardare dall’alto al basso i parenti delle
vittime. La follia del potere nel capitalismo tecnologico è tale è talmente
sviluppata da produrre un nuovo medioevo, quella “new age” da tanti
bastardissimi reazionari, cani schifosi maledetti assassini attaccati al denaro
ed ai propri lussi sfrenati, da rendere vieppù attualissima la lettura e
l’attento studio della rivoluzione cinese, del superamento operato con grande
successo ed in pochissimo tempo dopo grande ritardo storico dato
dall’oppressione millenaria, del feudalesimo, dal popolo cinese e dai comunisti
che lo hanno diretto.
Oggi, con una classe
intellettuale e scientifica del genere, asservita alle branche più reazionarie
della ricerca scientifica, mentalmente diretta all’uso delle cavie o a
sfruttare il cervello dei più giovani per continuare ad apparire grandi, con
della gente del genere, la rottura sociale è diventata maggiore, ed i pochi
intellettuali rivoluzionari pratici passano tempi amari, come il “negro” che se
ne fuggiva per l’Europa continuando instancabile il suo lavoro, la sua
scelta.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci ha scritto nel 1937:
(…) “le trasformazioni della
società sono generate soprattutto dallo sviluppo delle contraddizioni esistenti
all’interno di questa, cioè delle contraddizioni tra le forze produttive e i
rapporti di produzione, delle contraddizioni tra le classi, delle
contraddizioni tra il vecchio e il nuovo. Lo sviluppo di queste contraddizioni
spinge la società in avanti, conduce alla sostituzione della vecchia società
con una nuova.”
(FINO A QUI RICOSTRUZIONE
TESTO)
(“Sulla contraddizione”,
agosto 1937,
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol.5, pag.183-230)
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci ha scritto nel dicembre 1939:
“Lo spietato sfruttamento
economico e l’oppressione politica esercitata sui contadini da parte dei
proprietari fondiari costrinsero a più riprese i contadini a ribellarsi contro
il loro dominio … Queste lotte di classe
dei contadini -sollevazioni contadine e
guerre contadine- costituirono appunto la forza motrice reale dello sviluppo
storico nella società feudale cinese.”
(“La rivoluzione cinese e il
Partito comunista cinese”,
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol.6, pag.55-182)
Nella società capitalistica mondiale attuale, definita “globalizzata” da alcuni, da altri dipendente dal superamento di ogni “distanza”, la classe contadina mondiale è ancora maggioritaria, ma tendenzialmente è il proletariato che sta diventando la classe principale anche numericamente in termini assoluti nella popolazione attiva mondiale. Questo comporta che la povertà dei contadini del mondo intero dipende, non più solo relativamente alle colonie e semicolonie, ma direttamente, dalla divisione del lavoro su scala mondiale e dalla proprietà capitalista dei mezzi di produzione. Le lotte di classe dei contadini –sollevazioni, rivolte e guerriglie- in particolare nel Tricontinente (America latina, Africa, Asia), sono allora ancora oggi la forza motrice che porta alla trasformazione dei residui feudali nella società mondiale verso la società dei lavoratori, il socialismo.
I contenuti egualitari e di necessità, le forme ed i metodi di lotta utilizzati nel Tricontinente dai movimenti contadini sono espressione infatti degli ideali fatti propri dai Comunisti sin dalla rivoluzione francese e dai successivi movimenti operai che portarono in Europa alla definizione del partito comunista e del suo programma.
Le guerre popolari condotte dai partiti comunisti nel Tricontinente assieme alla classe operaia unita alla classe contadina, sono l’avanguardia della lotta mondiale di liberazione del proletariato perché rappresentano nei contenuti, nelle forme, nella attuazione del programma comunista tra le masse nelle zone liberate, gli stessi ideali del movimento rivoluzionario cresciuto nella società capitalista negli ultimi due secoli di storia dell’umanità.
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto l’ 8 agosto 1963:
“La lotta nazionale è in ultima analisi una lotta di classe. Negli Stati Uniti, i soli ambienti dirigenti reazionari della razza bianca opprimono i negri. Essi non potrebbero in alcun modo rappresentare gli operai, i contadini, gli intellettuali rivoluzionari e le personalità illuminate che costituiscono la schiacciante maggioranza della razza bianca.”
(“La questione razziale è una questione di classe -Dichiarazione per sostenere i negri americani nella loro giusta lotta contro la discriminazione razziale praticata dall’imperialismo americano”,
Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali, cit., vol.20, pag.123-124)
Lo è in molti paesi del mondo, anche nel mondo occidentale, come in Irlanda, Corsica, Euskadi, Sardegna , così come in Palestina, Kurdistan, Iraq, Afghanistan, nel Caucaso, in Sri Lanka, Timor. Anche le guerre popolari e contadine del Tricontinente sono pure lotte nazionali, perché la dipendenza economica dai complessi economici multinazionali e dai loro Stati imperialisti è talmente grande da negare a questi paesi lo sviluppo di una propria politica, di una propria struttura economica, e spesso anche di una propria cultura, per non parlare della propria difesa nazionale, sempre più influenzata e determinata da quella voluta dagli Stati imperialisti, principalmente gli USA.
Quindi si può affermare che l’identità nazionale non è ancora un dato acquisito e riconosciuto dall’attuale sistema mondiale rappresentato dai lacci stretti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ove certi paesi hanno diritto di veto ed altri, principalmente gli USA, agiscono con o senza il rispetto di tale organismo, spesso contro le istanze giuridiche internazionalmente riconosciute.
Il fatto che l’identità nazionale non sia un dato di fatto riconosciuto mondialmente, né nelle singole nazioni vi sia il rispetto delle minoranze etniche e delle nazionalità oppresse (come in Amazzonia o tra gli Indios andini o in Birmania, per esempio), e che tali mancanze di rispetto che si traducono in una repressiva e sanguinosa oppressione, non siano affrontate dalla comunità internazionale se non in chiave di dominio e di controllo sulle ricchezze di questi paesi o di intere regioni di questi paesi, costituisce la cartina di tornasole per comprendere molte contraddizioni di classe, che si rifanno sostanzialmente a quelle tra multinazionali e borghesia compradora (gamonales, latifondisti) e classe contadina e comunità indigene.
Il fatto che anche nei paesi cosiddetti “democratici” non vi sia in realtà il rispetto delle nazionalità la dice lunga sull’estensione di ulteriori conflitti di classe tra le classi dominanti dei paesi imperialisti e le nazioni ad esse subalterne ancora prive di un proprio Stato: gli Stati Uniti d’America sono nati per definizione sull’espropriazione dei territori dei nativi, ed hanno proseguito su questa strada da oltre 120 anni, mantenendo ancora subalterno per esempio il Portorico; la Russia dopo lo scioglimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche -che era una volontaria associazione di stati rivoluzionari ove non esistevano conflitti nazionalistici- ha concesso l’indipendenza ad alcuni paesi come l’Armenia, ma continua ad influenzarne altri con ogni mezzo come la Georgia, e a mantenerne schiavi altri ancora come la Cecenia; l’Italia è una federazione politica imposta con la forza dal Regno Sabaudo ai popoli del meridione, e successivamente al Sud Tirolo e a parte della Slovenia così poi ereditata dalla Repubblica postfascista; la Francia è una entità nazionale di ben più lunga data impostasi grazie ai balzelli delle monarchie su Nizza e la Corsica, in precedenza rientranti nell’insieme degli stati e staterelli italici ed inoltre mantiene il controllo su vari territori nel Tricontinente; mentre l’Inghilterra mantiene numerosi possedimenti d’oltremare per i quali ha anche fatto recentemente una guerra con l’Argentina, e mantiene soggiogata e divisa l’isola Irlandese in virtù di antiche imposizioni e conquiste; ancora, la Spagna continua a considerarsi legittimata come monarchia a proseguire la dominazione di altri antichi Stati come le Asturie, Euskadi, la Galizia, la Catalogna; la Turchia continua a negare al popolo Kurdo la sua parte di territorio e spesso anche il diritto alla propria lingua, e continua a mantenere occupata una parte dell’isola di Cipro, il tutto con il placet delle potenze imperialiste occidentali; Israele è nato come Stato religioso voluto dall’Inghilterra e dalle potenze occidentali in seguito al genocidio nazifascista perpetrato in Europa grazie alla negligenza dell’ Inghilterra e delle altre potenze occidentali, a spese della nazione Palestinese araba, e via dicendo.
In India la divisione tra le caste, come negli Stati Uniti d’America il colore della pelle bianco della stragrande maggioranza della borghesia imperialista, rappresentano ancora oggi, nonostante tutto il “progresso tecnologico” avvenuto, la più evidente dimostrazione delle divisioni di classe e dei privilegi sociali esistenti, tra una classe a cui tutto è permesso, ed una maggioranza della popolazione oltre a numerose minoranze (come in India gli “intoccabili” e negli Stati Uniti d’America i negri ed i “latinos”) a cui non è possibile sopravvivere senza incorrere nelle maglie della repressione.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci ha detto il 30 dicembre 1948:
“Il nemico non perirà
spontaneamente. Né i reazionari cinesi, né le forze aggressive
dell’imperialismo americano in Cina si ritireranno spontaneamente dalla scena
della storia.”
(“Condurre la rivoluzione fino in fondo”,
in Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti
sociali, cit., vol.10, pag.231 e segg.)
I reazionari americani sono fuggiti dall’Asia alla vittoria Sovietica in Cina nel 1949; successivamente sono ritornati, in Indovina ed altrove, e sono ancora fuggiti; ancora dopo anni, si sono dovuti ritirare anche dalle Filippine; ora stanno ritornando ancora; questo andirivieni di truppe militari imperialiste americane continuerà per decenni, forse per centinaia di anni, finché i popoli del mondo non si sbarazzeranno di ogni esercito imperialista, di ogni potere imperialista, di ogni vincolo capitalista, di ogni sfruttatore.
La grande verità che ci
viene esemplificata qui sopra da Mao,
subito dopo la vittoria sul nazifascismo, [mentre l’URSS è presa dalla
ricostruzione e dalla sua posizione “per la pace” che riflette la situazione
volutamente mediatoria assunta ad Yalta con le potenze imperialiste a danno
delle rivoluzioni greca ed italiana condotte nell’ambito della guerra
partigiana dalle forze combattenti comuniste -principalmente le Brigate
Garibaldi e i Gruppi di Azione Patriottica in Italia, l’Esercito Popolare di
Liberazione Nazionale e il Fronte di Liberazione Nazionale in Grecia-],
riflette la corretta comprensione internazionalista ed antimperialista di Mao
che, indipendentemente dall’essere la Cina di allora una realtà ancora
influenzata dal semi-feudalesimo delle campagne, con la sua Guerra Popolare si
pone sin da allora alla testa del movimento comunista internazionale per la sua
corretta comprensione dell’epoca imperialista e del ruolo delle forze in campo
sullo scenario mondiale.
Oggi, oltre cinquant’anni
dopo, non possiamo che riconoscere che è la guerra mondiale antimperialista dei
popoli e delle nazioni oppresse dall’imperialismo a rappresentarsi quale
contraddizione principale quantomeno per il livello di scontro cui si pone,
assieme alla contraddizione classe operaia – capitale multinazionale, che però
non ha sbocco politico alcuno fuori da essa contraddizione.
Anche la individuazione
dell’imperialismo americano è corretta.
La ripresa del potere da
parte del revisionismo traditore in Cina con il colpo di stato dell’ottobre
1976 e la farsa del processo alla “banda dei Quattro” (i principali dirigenti
rivoluzionari cinesi della classe operaia, dei soldati e degli studenti di
allora) NON smentisce il ruolo americano in Cina e nel mondo; in questo senso l’ingresso
dei capitali occidentali in Cina rappresenta solo una minuscola controtendenza
rispetto allo svolgersi della contraddizione principale tra le forze dei popoli
e le forze del capitale.
Infatti, oggi che in Cina,
sono arrivati anche gli americani dopo cinquant’anni, con i loro finanziamenti,
le loro Coca-Cola, le loro fabbriche, lo sfruttamento del lavoro salariato è
diventato in Cina predominante, come lo era prima il lavoro dei contadini sotto
il potere feudale. Con loro, è ritornata con forza la lotta di classe e la
repressione. La borghesia, che si è rimpossessata del Partito comunista dopo
esserne stata espulsa con la Rivoluzione Culturale Proletaria, dirige questo
processo di “liberalizzazione”, in realtà di restaurazione del proprio potere. Potrà
durare in eterno tutto questo ? No,
certo. Attualmente, già ora, almeno
alcune centinaia di operai ribelli e di comunisti sono in carcere in Cina, e la
costruzione di un nuovo Partito comunista è questione affrontata da gruppi
rivoluzionari già da anni, dopo l’attacco del governo alle Comuni. E del resto
in Piazza Tien-An-Men nel 1989 gran parte del sangue versato non era quello di
studenti piccolo-borghesi ma di operai
rivoluzionari.
Le immagini di Mao stanno
ritornando, ed ecco i sinologhi di turno dire che è una moda, che non c’entra
la politica. Devono rassicurare i circoli finanziari ed industriali che già ora
banchettano sul sangue della classe operaia cinese e sulla povertà conseguente
alla perdita di milioni di posti di lavoro nelle campagne e nelle
fabbriche. In realtà, le immagini di
Mao tornano in Cina come in Italia i partigiani portavano la effige di
Garibaldi.
Anche in Italia stiamo
vivendo una restaurazione, peraltro sadica perché ci sentiamo dire che l’Italia
è messa come è messa per colpa dei comunisti che sono stati al governo per
cinquant’anni ! Qui la mistificazione è più importante che in Cina, perché la
gente partecipa meno alla politica che in Cina, e quindi è più facile ottenere
dei risultati politici con la mistificazione, di quanto non sia in Cina. Ma anche in Italia abbiamo lo stesso
problema, sappiamo che ci sfruttano a sangue e ci ammazzano e ci fanno crepare
di lavoro senza alcuna garanzia sociale né di salute né di previdenza né di
condizioni economiche. Per questo pur non negando, anzi dicendo pane al pane e
vino al vino ciò che occorre a proposito del governo di centro-sinistra che ha
governato per 5 anni come i governi borghesi di sempre, occorre ricordare al
popolo, che a volte si fa ottenebrare la mente dalle facili congetture, dai
dietrologismi e dai revisionismi storici di comodo, che cosa sono stati 45 anni
di governi democristiani, costellati di ruberie, stragi, complotti reazionari,
traffici segreti con gli imperialisti americani e con i fascisti, che cosa è stato
il tradimento del Partito socialista, che cosa è stata la deviazione dalla
stessa difesa dei diritti del popolo, da parte dei dirigenti del Partito
“comunista” italiano scioltosi nel decennio scorso.
L’immaginario del popolo è
importante, la Rivoluzione si nutre anche di questo, se ne alimenta e lo
riproduce.
La Rivoluzione, e spesso
anche oggi la sola ribellione, come quelle degli operai cinesi, è un po’ come
sognare. Per questo l’immaginario è importante. Senza la fantasia creatrice dell’umanità, alla morte seguirà la
morte, e non la vita.
Questo ci insegna l’attuale
situazione in Cina.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ha scritto nel marzo 1927, affrontando la situazione della divisione di classe
nella società dello Hunan:
(…) “la rivoluzione non è un
pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo; non
si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta
grazie e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza, è l’azione implacabile
di una classe che abbatte il potere di un’altra classe.”
(“Rapporto d’inchiesta sul
movimento
contadini nello Hunan”, in
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol.2, pag.91-122)
Perché in Italia si parlò di “rivoluzione” quando dodici anni fa un investigatore di Stato avviò un’inchiesta che portò allo smembramento dei principali partiti politici della borghesia e del principale partito politico della classe operaia ? In realtà si trattò di un’inevitabile passaggio nella ridefinizione degli equilibri di potere tra i capitalisti del nostro paese. La Confindustria era attaccata da forze economiche meno influenti ma più diffuse, che non si ritrovavano più garantite dal quadro di compatibilità definito da Craxi, dalla Cisl e dalla Confindustria nel decennio precedente. Contemporaneamente a livello internazionale, con l’avvio del nuovo ciclo di guerre imperialiste di aggressione e conquista in Iraq da parte degli USA e delle forze NATO nel 1991, l’Italia non era più in grado di garantire quella stabilità sociale ed economica che doveva corrispondere al proprio ruolo politico: il debito pubblico superava il prodotto interno lordo di un’intero anno, le industrie risentivano dei colpi della recessione che aveva scosso a più riprese i mercati finanziari a partire dalle crisi che avevano per epicentro gli USA negli anni ottanta; a livello politico, il proporzionale non garantiva più alla borghesia il completo controllo del potere legislativo; il potere giudiziario aveva perso potere con le nuove regole processuali. Occorreva catalizzare attorno ad una “liberalizzazione” economica e politica un nuovo insieme di forze; ma queste forze nuove non esistevano, quindi occorreva rimescolare la situazione creando nuove alleanze ed integrazioni economico-politiche. Di qui l’attacco al quadro politico del “pentapartito” e del centro sinistra a maggioranza democristiana che era servito ad impedire alla classe operaia l’affermazione dei suoi diritti lungo gli anni della vendetta padronale (dal 1980 in poi). Questo attacco doveva presupporre una autorità che se ne facesse carico. Occorreva prevenire un’insorgenza popolare che era all’ordine del giorno a causa della nuova situazione creatasi a partire dal crollo del blocco dei paesi già socialisti. Questa, infatti, non avrebbe portato, questo lo sapevano gli analisti, a un nuovo progresso economico, ma al massimo a nuove speculazioni.
La reazione a questa situazione si catalizzò nell’entrata in politica, come già in altri momenti della storia del nostro paese, delle consorterie mafiose con gli attentati alla magistratura del 1992, stranamente contemporanei all’attacco giudiziario al complesso politico economico delle partecipazioni statali e del sistema degli appalti e delle tangenti.
Questo obbligò il sistema politico ad una nuova “solidarietà nazionale” quindi veicolando la mobilitazioni di massa contro il terrorismo mafioso inibendo quelle contro il sistema borghese di latrocinio e sfruttamento, “solidarietà nazionale” che si tradusse nella concertazione sindacale fallimentare e assassina del luglio 1993, di completa svendita del residuo potere contrattuale della classe operaia portando il governo ad essere parte in causa e non più sede di sola mediazione tra le parti sociali. Concertazione che significò nuova stasi e incapacità di intervento politico della sinistra legalitaria e borghese, e che creò le premesse per un nuovo arrogante ingresso in politica del potere economico, come già con Bonomi in un altro momento delicatissimo della nazione.
Questo il significato quindi di “Tangentopoli”, un “liberalismo” prodotto che significò di fatto l’abbandono da parte della nuova forza politica capitalista di governo dei presupposti costituzionali che in qualche modo DC e PSI garantivano al quadro politico e legislativo.
Un potere in perfetto stile latinoamericano, con il “personaggio” al governo, ove gli unici che ci guadagnano sono i padroni.
La reazione popolare all’inesperienza di questa nuova compagine di delinquenti in doppiopetto –in questo assolutamente coerenti a Forlani e Craxi, ma più arroganti e disinvolti– portò presto ad una prosecuzione dei governi di solidarietà nazionale e quindi all’effimero successo del centro-sinistra nel ’96, i cui frutti marci si poterono apprezzare sia in campo sindacale che politico con la partecipazione militare all’assalto armato dei bombardieri contro la Repubblica Federativa Socialista Jugoslava e con la progressiva militarizzazione della società e del sistema della “giustizia”.
In definitiva, nel 1992 ci fu l’inizio di una una “rivoluzione” all’interno delle classi dominanti in Italia, allo scopo di impedire una Rivoluzione popolare.
Oggi i politici sono in parte cambiati, c’è chi dice in peggio, ma gli operai sono sempre pochissimi tra i parlamentari, mentre numerosissimi sono i giudici, gli avvocati, i militari, gli industriali ed i “professionisti”.
Le loro leggi lo dimostrano abbondantemente.
In qualche modo il sistema industriale editoriale e televisivo è del tutto sotto il controllo di poche mani, solo apparentemente conflittuali (chi accusa a “destra”, chi a “sinistra”, ma in sostanza del tutto conformemente e parallelamente), che rispondono agli interessi di riferimento del capitale multinazionale. Quindi l’opinione pubblica è del tutto nelle mani della borghesia, tanto che il principale partito oggi all’opposizione è ridotto ad un quotidiano marginalizzato rispetto alla funzione che svolgeva dieci anni fa e ad alcune emittenti private.
La dittatura della borghesia che oggi imperversa nel nostro paese dietro ogni “incidente” nei posti di lavoro, dietro ogni suicidio e ogni ricovero in clinica psichiatrica, dietro ogni crisi familiare e ogni tragedia, si ammanta del sostegno non disinteressato del complesso giuridico-repressivo, autentica polizia mercenaria della borghesia, oggi del tutto traditore dei principi costituzionali di eguaglianza e rispetto dei più deboli che erano stati delineati dopo la guerra partigiana di liberazione dal nefasto nazifascismo.
Tuttavia si giova anche della nostra latitanza politica, dall’assenza di un autentico Partito comunista, mentre si maschera dietro la colpevolizzazione degli ex democristiani e degli ex revisionisti di ieri (Prodi e D’Alema), gridando, è il colmo, al comunista !
Evidentemente il livore antioperaio ed il veleno sanguinolento degli stragisti di ieri, governanti di oggi, è assolutamente in linea con il progetto politico espresso dalla loggia Propaganda 2 tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Cui partecipavano, beninteso, importanti uomini dell’apparato repressivo, che non avevano più potuto appoggiarsi come in precedenza ai sogni golpisti di stampo fascista aleggianti nei servizi segreti militari e nell’arma dei Carabinieri.
Se non temessimo di cadere nella farsa della storia, si potrebbe dire che la rimasticatura della dittatura della borghesia in chiave “liberal” avvenuta negli ultimi dodici anni, assomiglia alle povere concessioni che lo Zar di Russia fece ai democratici dopo la repressione dell’insurrezione di Pietroburgo, mentre scatenava la più sanguinosa repressione ed i pogrom antiebraici, che oggi somigliano molto alla “caccia all’extracomunitario” ossia al “clandestino” coniato da Schengen in poi dai regimi capitalistici europei.
Dovremmo allora noi Comunisti essere all’altezza dei compiti di ricostruzione ed organizzazione rivoluzionaria che i bolscevichi seppero porre al proletariato russo in quel momento storico.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci ha detto il 13 agosto 1945”
“Siamo noi che dobbiamo
organizzare il popolo. Siamo noi che dobbiamo organizzarlo per abbattere la reazione
in Cina. Tutto ciò che è reazionario si somiglia: fintanto che non lo si
colpisce, è impossibile abbatterlo. E come quando si pulisce un pavimento: dove
la scopa non arriva, la polvere da sola non se ne va.”
(“La situazione e la nostra politica
dopo la vittoria
nella guerra di resistenza
contro il Giappone”,
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol.9, pag.195-208)
Il Partito comunista deve
condurre a vittorie qualitative sempre più significative il movimento di lotta
della classe operaia. Viceversa, abbarbicandosi su obiettivi parziali e di mera
resistenza, il Partito comunista perde la propria identità, assecondando così
oggettivamente, causa l’assenza della propria presenza politica nel paese, le
peggiori politiche padronali e reazionarie. Nel nostro paese, come in molti
altri paesi, la degenerazione del revisionismo, pur evidenziata in maniera
eclatante dall’abbandono degli stessi ideali e nome comunista da parte di
questi partiti cosiddetti comunisti, ma in realtà borghesi e dipendenti dalla
cultura, dalla storiografia, dai sotterfugi della borghesia, non è bastata a
portare alla costituzione di un autentico partito della classe operaia e
proletaria in grado di porsi alla testa delle lotte delle masse popolari.
L’esistenza di un paio di partiti sedicenti comunisti nel campo parlamentare
del nostro paese, corrisponde oggi a circa un quarto dell’elettorato comunista
di vent’anni fa, senza che a sinistra sia sorta una nuova ideologia. Dove sono
andate disperse le energie e le risorse del partito revisionista ? Si sono
congelate, disperse nella società, articolate in forme nuove ma fuori dal campo
propriamente politico. Questo è un bene, non è un male. Meglio un vuoto da
colmare che una quercia marcia al suo interno. Questo vuoto da colmare si
chiama riconquista al comunismo delle masse popolari e del proletariato
italiano. Per condurre questa riconquista al successo, occorre saper vincere
quante più battaglie anche piccole sia possibile, ma anche saper riconoscere in
ogni singola battaglia parziale l’obiettivo generale di fase della
ricostruzione del Partito comunista.
Ricostruzione non significa
nomi nuovi e facce vecchie, significa partecipazione dell’avanguardia del
popolo e del proletariato alla politica rivoluzionaria quale unica politica
praticabile in dignità e nel rispetto delle esigenze di progresso e civiltà del
popolo e del proletariato, e costruzione in questo contesto.
Ricostruzione non significa
nuova affermazione elettorale. Si può condurre una importante Rivoluzione, come
oggi in Nepal e un secolo fa in Russia, anche con pochi voti e seggi in
parlamento. Però certamente ricostruzione significa dire pane al pane e vino al
vino in ogni campo su ogni cosa ed aspetto della politica e della vita sociale.
Quindi il Partito comunista
deve saper andare ben oltre la Resistenza, deve sapersi affermare e saper
dirigere. Viceversa non è Partito, e spesso non è nemmeno Comunista.
Questo significa che nella
società imperialista odierna, non è il Comunismo ad essere morto, bensì sono i
Comunisti ad avere ancora delle rilevanti incapacità di intervento nella
realtà.
Ridurre l’intervento nella
realtà da parte dei Comunisti, alla lotta armata ed alla guerriglia contro lo
Stato imperialista delle multinazionali e le consorterie al potere di ogni singolo paese, così come ridurre la
politica dei Comunisti alle interrogazioni parlamentari, alle raccolte firme,
agli scioperi della fame ed ai presidi di solidarietà, alle denunce ed ai
processi, significa nel primo caso non rendersi conto della sommità dei
problemi che i Comunisti devono contribuire a risolvere con le masse popolari
prima durante e dopo l’avvio della guerra popolare, e nel secondo caso
significa ridurre il ruolo dei Comunisti a quello di meri testimoni di Geova
dell’eguaglianza. In un caso e nell’altro, sottrarsi alla propria
responsabilità storica di affrontare TUTTI i compiti della Rivoluzione.
Nessuna Rivoluzione può
sorgere al di fuori delle necessità e degli interessi, frutto della coscienza
di sé e della propria esistenza, che ha il proletariato avanguardia del popolo.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci ha detto ancora il 13.8.1945:
“Ciang Kai-shek [il capo del
partito e dell’esercito nazionalista che successivamente fonderà la
“repubblica” di Formosa] cerca costantemente di strappare al popolo anche la
minima frazione di potere, il minimo vantaggio acquistato. E noi ? La nostra
politica consiste nel rispondergli colpo su colpo e nel batterci per ogni zolla
di terra. Noi agiamo come lui. Ciang Kai-shek cerca costantemente di imporre al
popolo la guerra, con una spada nella mano sinistra e un’altra spada nella
destra. Seguendo il suo esempio, anche noi ricorriamo alle spade … E poiché
Ciang Kai-shek ora sta affilando le sue spade, noi dobbiamo affilare le
nostre.”
(“La situazione e la nostra
politica dopo la vittoria
nella guerra di resistenza
contro il Giappone”,
Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,
cit., vol.9, pag.195-208)
A leggere queste parole,
pare di assistere ad una commedia tragicomica se si pensa a dove si è arrivati
con Berlusconi dopo la politica miserabile ed assassina della DC dal dopoguerra
al ‘68 (morti nelle piazze e nelle campagne) e dal ’69 al ’93 (stragismo di
reazione per dare spazio operativo e legittimità politica alla
controrivoluzione ed alla repressione sociale). La violenza operaia si è esplicata dal dopoguerra ad oggi lungo
quattro linee direttrici:
·
la
giustizia proletaria sui fascisti impuniti
·
l’insurrezione
del luglio 1948 e la situazione prerivoluzionaria del marzo 1977
·
le
rivolte e la violenza di strada
·
la
lotta armata.
In tutti i casi si è
trattato di una reazione storicamente legittimata e giustificata alle forme di
violenza dello stato borghese:
·
la
repressione dei movimenti di lotta sociali come a Reggio Emilia nel ’60, ad Avola
e Battipaglia nel ’68, in varie città nell’aprile 1975, a Genova nel 2001, con
uccisioni in piazza (oltre 300), pestaggi, arresti, tortura nei commissariati e
nelle carceri
·
le
stragi come a Portella della Ginestra e gli assassinii selettivi di sindacalisti
e compagni nel meridione come in misura minore in tutto il paese
·
le
stragi di persone innocenti come a Piazza Fontana e in Calabria nel 1969, a
Brescia, Savona e sul treno Italicus nel 1974, a Bologna nel 1980, sul treno
704 nel 1984, in varie città italiane nel 1993
·
gli
“incidenti” mortali ai danni di compagni, di familiari di prigionieri, di
persone scomode
·
i
tentativi di colpo di stato con gli allarmi e le simulazioni come nel
1970-1974, l’utilizzo dell’esercito contro le lotte sociali dei lavoratori come
nel caso dei “servizi essenziali”
·
le
morti sul lavoro considerate dalla “giustizia” come incidenti, lo svilimento
del lavoro dei magistrati democratici nel campo del diritto del lavoro, degli
incidenti sul lavoro, della “nocività” (CVM, amianto, diossina), dei “disastri”
creati dall’incuria e dall’interesse al profitto in ogni campo senza alcun
rispetto della volontà popolare (Vajont, Stava, ecc.)
·
il
disinteresse della “giustizia” agli interessi delle classi più indifese della
società, delle donne e dei bambini(dalle violenze sessuali, per es.), degli
anziani (dalle morti facili negli ospedali, per es.)
Tutto ciò ed altro ancora è
sempre e solo il prodotto del dominio del capitalismo sulla politica e sugli
interessi popolari sicché i diritti Costituzionalmente riconosciuti restano
tali solo sulla carta ed anzi la borghesia imperialista si permette di cercare
continuamente di modificarla per “adattarla” al livello di dominio di classe
raggiunto dalla borghesia con la controrivoluzione a partire dal 1979-1980
(licenziamenti politici e di massa alla FIAT, legge sui “pentiti”).
Senza una linea politica
sull’uso della violenza, nessun partito comunista sedicente tale riuscirà mai
ad articolare una strategia vincente con il popolo, nel popolo e per il potere
del popolo.
La borghesia è un cane che
affoga solo quando è attaccata e le sue colpe e responsabilità storiche
appaiono chiaramente a tutti; nelle altre fasi, di stasi della situazione
rivoluzionaria, è una belva spietata che minaccia, perquisisce, licenzia e
demonizza chi dissente (come i militanti comunisti espulsi dalla CGIL perché
portatori di idee non conformi a quelle dell’estabilishment), arresta e
violenta (come i giovani scesi in piazza a Genova), tortura e uccide (come i
prigionieri politici vittime della sistematica violenza organizzata del sistema
carcerario). Le belve che hanno il potere e che si servono di mercenari per
difenderlo, vanno denunciate, minacciate, colpite e affrontate per ucciderle,
non esiste altra possibilità di liberazione dell’umanità. Ciò non significa che
la nostra violenza debba avere una valenza solo simbolica o di sfida al
peggiore dei poteri e delle tendenze reazionarie in atto; ridurre la violenza
del proletariato rivoluzionario all’eliminazione di pochi avversari importanti
significa permettere la criminalizzazione e l’isolamento della pratica della
violenza del proletariato rivoluzionario.
Inoltre ogni atto di
violenza del proletariato rivoluzionario deve essere calibrato alla situazione
storica e specifica, nonché giusto ed
intelleggibile dalle masse sfruttate, e quindi non deve essere cieca
violenza che colpisce a caso né atto di perfezione e distanza dalle masse,
perché è ad esse, alla loro coscienza e mobilitazione rivoluzionaria, che è
rivolto, e non ad altri.
Il Presidente Mao Tse-Tung
scrisse nel marzo 1926:
“Quali sono i nostri amici e
quali i nostri nemici ? Ecco un problema che nella rivoluzione ha un’importanza
capitale. Se nel passato tutte le lotte rivoluzionarie in Cina hanno avuto
scarso successo, ciò si deve soprattutto all’incapacità dei rivoluzionari di
raccogliere attorno a sé i veri amici per poter colpire i veri nemici. Un
partito rivoluzionario è un dirigente di masse, e non si è mai dato il caso in
cui una rivoluzione, incanalata da un partito rivoluzionario su una via
sbagliata, sia stata coronata da successo. Per essere certi di non incanalare
la rivoluzione su una via sbagliata e di raggiungere sicuramente il successo,
dobbiamo preoccuparci di raggruppare intorno a noi i veri amici per poter colpire
i nostri veri nemici. Per distinguere i veri amici dai veri nemici, occorre
analizzare, nei suoi tratti generali, la situazione economica delle classi che
compongono la società cinese e l’atteggiamento di ognuna di esse nei riguardi
della rivoluzione.”
(“Analisi delle classi nella società cinese”,
marzo 1926,
Opere di Mao Tse-Tung, Ed.Rapporti sociali,
cit., vol.2, pag.47-56)
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci scrisse ancora nel marzo 1926:
“… tutti i signori della
guerra, i burocrati, i compradores e i grandi proprietari ferrieri in
collusione con gli imperialisti, così come la parte reazionaria degli
intellettuali ad essi asservita, sono i nostri nemici. Il proletariato
industriale è la forza dirigente della nostra rivoluzione. Tutto il
semiproletariato e la piccola borghesia sono i nostri amici migliori. Quanto
alla media borghesia, sempre esistente, può esserci amica l’ala sinistra, e la destra nemica; dobbiamo però stare
sempre in guardia e non permettere alla media borghesia di disorganizzare il nostro
fronte.”
(“Analisi delle classi nella società cinese”,
marzo 1926,
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol.2, pag.47-56)
A chi corrispondono, oggi in
Italia, i compradores nella Cina semifeudale ed i gamonales in Perù, o i ricchissimi
possidenti texani o i nobili del Nepal ?
Oggi in Italia questi
corrispondono a quella composita e variegata schiera di elementi ricchi coesi
bene o male con gli interessi della borghesia imperialista, che, pur marginali
rispetto alle scelte politiche centrali dell’esecutivo, vi aderiscono di fatto;
costoro appartengono al jet-set, al mondo della televisione e dello
spettacolo, alla grande malavita
organizzata del traffico internazionale di droghe pesanti in particolare della
cocaina, dello sfruttamento della prostituzione delle donne immigrate; a questi
settori più collegati alla borghesia imperialista si aggiungono quelli dello
sfruttamento del lavoro minorile, al mondo dell’edilizia e del lavoro nero su
chiamata, dell’agricoltura semischiavistica nello sfruttamento degli immigrati
e nel caporalato, dei signorotti locali e dei “capi-bastone” che nelle piccole
località governano di fatto anche la politica e l’amministrazione locale,
congiungendo di fatto piccoli interessi e grandi poteri nel controllo del
proletariato e del sottoproletariato.
Ad esempio in Sicilia ci
furono campagne omicidarie nei confronti di appartenenti alla malavita detta
“Stidda” che compivano rapine senza chiedere prima l’autorizzazione ai
“capi-mandamento”. Questo perché nel controllo del territorio di fatto la
mafia, legata alla borghesia imperialista da rapporti occulti, era più potente
dello Stato borghese stesso.
A Milano, è documentato
l’intreccio tra fascisti, settori di imprenditoria e grande malavita
organizzata attorno ai prolungamenti delle organizzazioni mafiose
nell’intreccio di interessi che si è venuto a creare a partire dalla fase del
“rinascimento goliardico” craxiano degli anni ’80 e che ancora oggi è presente
nonostante la repressione subita con Tangentopoli e la politica “antimafia” di
settori speciali dello Stato.
O ancora, in Veneto ci fu la
cosiddetta “mafia del Brenta”, collegata agli interessi del potere locale in
alcuni suoi aspetti di corruzione più che di controllo del territorio, di per
sé molto decentrato ed incontrollabile, che agì di concerto a settori dei corpi
repressivi dello Stato (uomini dei carabinieri e dei servizi) per assicurarsi
il controllo del mercato della cocaina e dell’eroina, lasciando a questo scopo
dietro di sé una lunga scia di sangue, salvo poi “pentirsi” i loro principali
esponenti ottenendo così grandi vantaggi e liberalità in cambio della loro
“riconversione” ad agenti dello Stato borghese.
Nelle Puglie, il controllo
sociale del territorio e del mercato del lavoro fu coeso strettamente
all’intreccio tra classe politica locale ex-democristiana e “Nuova corona
unita”, ma alla repressione dello Stato non è seguita una politica sociale di
superamento del caporalato e dello sfruttamento selvaggio della manodopera
agricola, specie femminile, spesso controllata da mascalzoni armati al servizio
dei latifondi, anzi, il PDS stesso ha permesso il ritorno del caporalato.
Nel caso dell’immigrazione
clandestina, l’enorme serbatoio di manodopera costituito dalle popolazioni
approdate alle coste della Puglia, della Calabria e della Sicilia (quando non
muoiono affogati in mare) costituisce una forma di legittimazione alla
militarizzazione crescente di parti di territorio. Dalla padella del controllo
territoriale di una singola cosca alla brace della militarizzazione statale di
un territorio, questo il cambiamento più evidente.
Sotto il profilo sociale
invece ciò che è più evidente è la possibilità per le forze armate statali, di
polizia ed esercito, di essere sempre più presenti nel controllo dei deboli e
dei diseredati, e non di chi i “reati” li pianifica e dirige.
I “Centri temporanei” per
gli immigrati sono poi dei veri e propri luoghi di repressione e tortura che,
istituiti dalla politica della “fortezza Europa” allo scopo di “governare” il territorio
e il mercato del lavoro, costituiscono l’unica risposta possibile della
borghesia imperialista alle conseguenze della propria politica criminale di
sfruttamento dei paesi del Tricontinente e delle loro risorse.
La “mobilitazione”
permanente che si viene così a creare –a parte le varie “emergenze” che di
volta in volta muovono i vari ministeri degli interni e della difesa-
rappresenta la “normalità” che si vuole imporre alle masse, ossia una
condizione di coercizione della “forza-lavoro” permanente e costante.
Tutte queste forze, lungi
dal costituire il perno fondamentale della borghesia imperialista che è coeso
ancora oggi –e non potrebbe essere diversamente- attorno ai maggiori gruppi
industriali e finanziari (spesso in conflitto tra loro, con conseguenze
disastrose, come la gestione HDP della Fila per esempio), costituiscono un
importante freno alla rivoluzione e un significativo motore
controrivoluzionario che agisce nei modi più subdoli ed infami contro il
proletariato, gli immigrati, i giovani, le donne, i bambini e gli anziani,
contribuendo a far arretrare la condizione sociale raggiunta dalle classi
sfruttate nel nostro paese, ad un livello certamente peggiore di quello
raggiunto con le lotte degli anni sessanta e settanta.
Per esempio, riguardo al
diritto alla casa, la politica di speculazione dei grandi gruppi industriali e
finanziari (comprese le assicurazioni, le grandi immobiliari ed i costruttori
edili) è strettamente congiunta al riciclaggio del denaro sporco da parte di
questa “borghesia NERA” di cui più sopra abbiamo cercato di dare uno spaccato.
Come in Cina nella
Rivoluzione, i cui nemici non erano solo i giapponesi, ed i nazionalisti, ma
gli stessi interessi legati ai signori feudali ed alla gestione sociale del
loro potere, come in Perù dove al potere della grande borghesia connessa alle
multinazionali si somma quello dei grandi proprietari terrieri e dei loro
scagnozzi (gamonales), come in India e Nepal dove al potere della borghesia
imperialista multinazionale delle grandi metropoli si somma la feudalità e la
struttura delle caste, in Italia al potere della borghesia imperialista si
affianca quello dei settori più oscuri dell’economia, della malavita e della
politica, che sono strettamente connessi a decine e centinaia di parlamentari
delle più diverse forze politiche ed alla massoneria stessa che ne è uno dei
luoghi di incontro e congiunzione.
In tutte queste realtà, la
Rivoluzione Socialista è insieme di classe e di Nuova Democrazia, quindi questo
è il carattere che anche in Italia deve assumere la Rivoluzione Proletaria
verso la transizione al Comunismo attraverso la dittatura del Proletariato con
i suoi organi di governo e rappresentanza della stragrande maggioranza del
popolo.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ci disse il 23 giugno 1950:
“Colui che si allinea al
fianco del popolo rivoluzionario è un rivoluzionario, mentre colui che si
allinea al fianco dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo
burocratico è un controrivoluzionario. Colui che si allinea al fianco del
popolo rivoluzionario, ma soltanto a parole, e agisce altrimenti è un
rivoluzionario a parole; è un perfetto rivoluzionario colui che si allinea al
fianco del popolo rivoluzionario non soltanto a parole ma anche coi suoi atti.”
(Discorso di chiusura alla
II sessione del I Comitato nazionale della Conferenza consultiva del Popolo
cinese,
“Essere dei veri
rivoluzionari”, in
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol.9, pag..211-214)
(“Essere attaccati dal
nemico è un bene, non un male” ,
Opere di Mao Tse-Tung,
Ed.Rapporti sociali, cit., vol. 7, pag.87-88)
Le classi subalterne spesso
intromettano i valori e i principi delle classi dominanti. Nella nostra
società, questo processo di assimilazione e di dominio delle coscienze, che
solo la lotta partecipata della classe operaia e delle classi sfruttate può,
per brevi periodi, spezzare, passa attraverso la cultura, l’informazione, le attività ludiche,
sportive, ecc. Perché invece, nella attività lavorativa dove lo sfruttatore
spreme fino all’ultima goccia di sudore fisico o di energia psichica il
lavoratore sfruttato, i termini per una assimilazione complessiva dell’uomo ai
valori dominanti non vi sono. Se non altro, non vi sono per la maggioranza dei
lavoratori, e di conseguenza per i loro figli e familiari che vivono del loro
lavoro.
Engels diceva che in una
società divisa in classi sociali diverse le idee delle classi dominanti sono
sempre dominanti. Questa situazione viene spezzata appunto solo nelle
situazioni rivoluzionarie, che per loro natura, al di là del carattere
prolungato dello scontro tra classe operaia e borghesia oggigiorno, sono
estremamente brevi, rapide e volatili, per cui si è giustamente esaltata la
genialità leninista di saper cogliere in una data situazione la possibilità di
mobilitare le masse attorno ad un programma rivoluzionario non costruito a
tavolino, come nella “congiura degli Eguali”, ma nato nello sviluppo stesso del
processo di scontro con le forze borghesi che caratterizzavano l’”altra”
soluzione alla crisi rivoluzionaria.
Per cui si può sostenere
tranquillamente che compito dei Comunisti nelle fasi controrivoluzionarie, non
rivoluzionarie e pre-rivoluzionarie è quello di mantenere ben saldi i principi
attorno ai quali ruota il proprio programma politico – proposta alla classe
operaia – . Privarsi di questa saldezza di principi significa di fatto
scivolare verso il pantano della mediazione e della compatibilità. Questo è
giusto.
Essere attaccati è appunto
un bene, essere torturati, uccisi e combattuti con tutti i sistemi dalla
borghesia è anche questo un bene, purchè, se sopravviviamo, riusciamo a
mantenere noi stessi con lo stesso sapere e senso critico di prima; oggi con le
droghe e i controlli mentali, con gli scanner cerebrali ed il SCC-succinile
coline colide, con le droghe e gli acidi, i nazisti capitalisti addetti alle
torture hanno strumenti più duraturi di tortura, possono uccidere Abu Abbas in
un anno anziché in poche settimane, per esempio. Ma comunque, se noi sappiamo
combattere in ogni circostanza legati ai nostri principi rivoluzionari di
solidarietà di classe, sempre distinguendo tra ciò che ci distingue dal nemico
e tra ciò che ci unisce, rimaniamo imbattibili, prima di tutto politicamente,
sia nel bene che nel male.
Il popolo e la classe, se la
battaglia è persa nel breve e medio periodo, sapranno comunque riconoscere
nella nostra resistenza quel valore e quel significato di profonda
trasformazione che hanno appunto il nostro sacrificio come il sacrificio
quotidiano di sangue degli oppressi e degli sfruttati.
Vi è tuttavia un’altra serie
di fattori e di errori che possono portare un quadro politico di avanguardia a
divenire obsoleto o incapace di riprodurre maturità e chiarezza nella classe
operaia. Tra questi vi è la necessità di essere “riconosciuti” dal proprio
nemico.
Sembra paradossale, ma
questo concetto è stato usato apertamente dalla borghesia imperialista negli
anni del tentativo rivoluzionario di fine anni ’70, allorquando i media della
borghesia e dei traditori revisionisti affermavano che lo Stato non doveva
“mediare” e “riconoscere” così valenza e dignità politica al proprio nemico
interno. In realtà questo è un falso storico, perché l’avanguardia
rivoluzionaria combattente in Italia in quel periodo storico non era affatto
interessata al “riconoscimento” dello Stato bensì solo ed esclusivamente a
scatenare un processo rivoluzionario capace di coinvolgere il proletariato e di
rovesciare la dittatura borghese traditrice tra l’altro dei valori e dei
principi su cui si è fondata la Costituzione borghese del 1947.
Questo concetto è riapparso
spesso, come diceva Marx (la storia si ripete due volte, la prima
nell’esplicarsi di una tragedia, la seconda traducendosi in una farsa), negli
ultimi anni nel nostro paese. Questo ha generato una situazione per cui la
politica è divenuta una farsa e le masse sono rimaste sempre più disilluse
nelle possibilità di un rivoluzionamento delle cose. Per cui la borghesia ha
avuto buon gioco nel portare avanti nel nostro paese, ancor più che in altri
paesi capitalistici avanzati in cui è in corso una restaurazione sociale senza
precedenti negli ultimi 200 anni, una riduzione della politica alle mere
funzioni di dittatura sociale di un’esecutivo. Che senso ha allora porsi il
problema di essere “riconosciuti” dallo Stato se non quello di essersi privati
di una propria autonoma capacità di iniziativa a tutti i livelli, veicolando
così il processo rivoluzionario come puro spauracchio politico e sociale e non
più come progetto in armi in atto ?
Solo il senso di ammalarsi
progressivamente di sé stessi, privandosi di quello spirito rivoluzionario
senza il quale nessun gesto e nessuna azione hanno valore di trasformazione
sociale e quindi non possono essere colti dalle masse sfruttate per la loro
giusta e corretta valenza.
Il Presidente Mao Tse-Tung
ha dichiarato in una intervista il 16 settembre 1939:“Noi dobbiamo sostenere
tutto ciò contro cui il nemico combatte, e combattere contro tutto ciò che il
nemico sostiene.”
(“”Rapporto alla seconda
sessione plenaria del VII Comitato Centrale del Partito comunista della Cina”,
5 marzo 1949,
(“Della giusta soluzione
delle contraddizioni in seno al popolo”, 27 febbraio 1957,
della Cina sul lavoro di
propaganda”, 12 marzo 1957,
Vi
è poi la questione della unità nazionale cinese, che non è interesse qui
mettere in discussione, anzi, ma che non deve essere letta come “principio” buono per tutti i paesi. In Spagna, per esempio, vi sono molte
nazionalità oppresse da un regime capitalista che dà continuità ad una secolare
oppressione monarchica dei Paesi Baschi, Galizia, Asturie, Catalogna, ecc.
Ma
anche in Italia, paese geograficamente unitario ma storicamente diviso e
frammentato per millenni, vi sono nazioni oppresse come la Sardegna, la Sicilia
(duplice oppressione, nazionale e delle consorterie mafiose di borghesia nera eredi dei latifondisti e del
potere clericale), il Sud Tirolo, e regioni ed aree con specificità e lingue
proprie, che nell’unità nazionale non hanno avuto certo più spazio per le
esigenze più profonde delle classi oppresse. Per cui questa questione va
rimandata al concetto, soprattutto ora che l’Europa dei padroni va
trasformandosi in una Unione Europea sempre più invasiva ed oppressiva,
revanscista e reazionaria, dell’Europa dei popoli ossia delle varie aree e
regioni che debbono tornare indipendenti entro una entità in trasformazione
progressista verso il socialismo e non certo venire annientate ulteriormente
vedendosi valorizzate solo negli aspetti a discapito del popolo (devolution).
Un
altro aspetto ci interessa qui evidenziare ed è quello relativo al concetto di
società. Nel nostro paese, città e campagna oramai si sono fuse in una
distribuzione abitativa sempre più invasiva del territorio. Oramai l’elemento
dominante non pare nemmeno più la terra, l’erba, il sole, ma invece le strade
asfaltate. In una società del genere,
il concetto di popolo risente di un deficit sociale pesantissimo, e questo non
a caso, perché i nuovi feudatari sono vassalli d’un sistema fondato sul potere
speculativo dell’immaginario e non sul concreto bisogno quotidiano. Questo
comporta un allontanamento della base sociale oppressa dai contesti collettivi
(al di fuori dei posti di lavoro dove ancora resistono), perché l’insieme
degenerativo della società borghese nega l’evidente e cerca di ricondurre tutto
a questioni di rapporti personali, familiari, e di piccole cerchie. Si è perso cioè il nesso tra le piccole
cerchie, strutturalmente necessarie alla convivenza, e le altre entità nella
società. All’individualizzazione si
somma così la schizofrenia di una società sempre più veloce ed oppressiva. Purtroppo questa deviazione è
strutturalmente riuscita a radicarsi in Italia più che altrove (un po’ come
negli USA), nonostante sia uno “scherzo” della natura dei rapporti di
produzione. Cioè strutturalmente nel
nostro paese l’egoismo quale aspetto dominante e necessario paradossalmente
alla sopravvivenza lo è molto di più di quanto non sia il lavoro nella
generalità dei paesi capitalistici.
Questo perché è dominante il banditismo in ogni aspetto sociale. Facciamo l’esempio del governo, che deve
“reprimere” il lavoro nero. Ossia non
dovrebbe reprimere l’esistenza di attività lavorative, magari in subappalto,
dalla sua stessa politica generate,
bensì solo il mancato rispetto delle regole e leggi di rispetto dei
lavoratori. Se capita però che viene
scoperto che un’attività di lavoro è gestita in barba all’INPS ed alla
previdenza sociale infortunistica, a farci le spese non sono tanto i gestori
dell’attività, piccoli capitalisti, bensì gli extracomunitari che, se
clandestini, anziché venire regolarizzati come lavoratori iper-sfruttati,
vengono espulsi dal paese. Questo
perché, in un paese dove i diritti sono negati, finanche quello alla salute,
alla casa e ad una esistenza dignitosa, per i cittadini stessi originari, il
lavoro nero è quasi quasi desiderato da fasce sociali di emarginazione dette
“deboli” che nel guadagno extra-fiscale trovano il compenso allo sfruttamento
impostogli socialmente.
Nel
nostro paese così si assiste ad una crescente internazionalizzazione
lavorativa, quasi che potessimo diventare d’un tratto il PRIMO processo
rivoluzionario in occidente a colmare il vuoto tra il capitalismo ed il
comunismo e a fare d’un tratto un balzo in avanti, grazie alle particolari
condizioni che lo rendono molto ricco e produttivo. INVECE si assiste ad una
crescente desolidarizzazione sociale, a pedofilia diffusa, alla cocaina che
sostituisce la magnesia sul tavolo dei professionisti, al sessismo isterico di
chi s’accorge della grettezza e nefanda negazione del piacere tra le cose che
la cultura cattolica d’origine ci ha consegnato, ed il tutto in un vortice di
armi, controlli e telecamere, microspie e controlli mentali che nessuno
confessa, di pazzia, suicidi e stragi in famiglia che in altri paesi non hanno
riscontri così omogenei e distribuiti equamente tra tutti i ceti sociali (meno
i ricchi, a cui tutto è permesso e a cui ogni cosa ha una soluzione). Questo
comporta quindi che è molto più difficile all’organizzazione sociale del
proletariato . Quindi sorgono teorie e
tendenze che cercano di “aggirare” la questione del conflitto di classe.
Il
conflitto di classe mosso dal proletariato è positivo per l’insieme della
società perché risveglia e smuove, crea e distrugge, ma in positivo, obbligando
le concezioni borghesi e privatistiche ad asserragliarsi sempre più nella
propria diversità blindata. Invece il
conflitto nascosto delle società segrete, dei circoli viziosi e degli intrighi
è negativo perché ricatta, uccide, annienta ed isterilisce la società negando
spazi e bisogni. Per questo non vi può
essere processo rivoluzionario alcuno che affermi assolutistici principi senza
avere la capacità di valorizzare appieno le contraddizioni reali all’interno di
un sistema di concezioni che deve essere riconquistato.
Le
società di mutuo soccorso e le case del popolo, le leghe ed i primi sindacati,
rappresentarono l’Identità classista contro la miseria e l’oppressione. Era il
mondo contadino e quello dei primi operai di fabbrica che si esprimeva.
Oggi
questo esiste ancora, ma in forma normata da strutture borghesi, e non si dà
espressione ai lavoratori, ma solo agli aggettivi sessuali od edonistici dei
primattori. Questo fa parte delle contraddizioni antagonistiche, ossia i
lavoratori sono succubi anche di quelle parti di classi medie che sposano ed
ammirano le peggiori manifestazioni della società borghese. Per questo il monopolio dei mezzi
televisivi, per esempio, non è tanto o principalmente quello del Cavaliere,
come vorrebbe farci intendere certa sinistra, bensì più in generale, quello
della borghesia imperialista e dei loro valletti, soubrette e buffoni
imbellettati, che nega spazio e valore alle espressioni concrete della società
anche nei contenuti di costume, cercando di relegare nell’immaginario
collettivo (colossale opera di mistificazione) in posizione subordinata o
“scomparsa” (di qui le false tesi della scomparsa della classe operaia e le
corrispondenti forme allarmistiche con cui i servizi di regime reagiscono alle
espressioni più mature e conflittuali di lotta).
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il
27 gennaio 1934, prima dell’inizio della Lunga marcia successivo alle sconfitte
delle basi rosse nella Cina centromerdionale, ossia nell’ultimo periodo della
Guerra rivoluzionaria agraria, nelle conclusioni al secondo Congresso nazionale
dei rappresentanti degli operai e dei contadini tenutosi a Juìchìn, prima della
caduta della città nelle mani del Kuomingtang. “In gennaio a Juichin si apre
il secondo Congresso nazionale dei
oviet della Repubblica sovietica cinese. Il Congresso adotta la Costituzione, la legge organica, la
risoluzione sull’Esercito rosso e alcune disposizioni per la costruzione
economica e la riorganizzazione dei
soviet. Mao Tse-tung pronuncia il discorso di apertura e quello di chiusura.
Parti di questi discorsi sono pubblicati sotto i titoli La nostra politica
economica e Preoccuparsi delle condizioni di vita delle masse, fare attenzione
ai metodi di lavoro. A Juichin si riunisce anche il quinto plenum del CC del
PCC. Gli intervenuti divergono aspramente sul problema delle alleanze nella lotta
contro l’invasore giapponese. Viene riconfermata la linea di Wang Ming di non
ammettere distinzioni all’interno della borghesia. Mao Tse-tung viene privato
di quasi tutte le sue funzioni.” [dalla Cronologia delle Opere di Mao Tse-Tung,
cit., 1934). Solo
in seguito sbaraglierà i suoi avversari e farà trionfare la linea della guerra
popolare e della linea di massa nel Partito, nell’Esercito e nelle basi rosse
(ampie regioni di territorio completamente sotto il controllo dell’Esercito
popolare di liberazione).
“Poiché la guerra rivoluzionaria è la guerra
rivoluzionaria delle masse popolari, è possibile condurla soltanto se si
mobilitano le masse popolari, soltanto se ci si appoggia sulle masse popolari.”
“Che cosa costituisce una vera muraglia
insuperabile ? Il popolo, le immense masse di popolo che sostengono con tutto
il cuore e tutti i pensieri la rivoluzione. È questa una vera muraglia
insuperabile, che non cadrà mai, che nessuna forza potrà abbattere. La
controrivoluzione non ci abbatterà, saremo noi ad abbatterla. Dopo aver
raggruppato le masse popolari attorno al governo rivoluzionario e dato nuovo
impulso alla nostra guerra rivoluzionaria, noi sapremo distruggere
completamente la controrivoluzione, sapremo liberare tutta la Cina.”
(Maggior sollecitudine per la
vita del popolo,
maggior attenzione ai metodi
di lavoro,
27 gennaio 1934, in Opere di
Mao Tse-Tung, cit., vol.5,
pagg.106-110)
I due problemi che Mao Tse-Tung affrontò in
questo difficile momento della guerra rivoluzionaria, che dette il via ad un
percorso politico-militare storico ed indimenticabile per la sua tenacia, i
sacrifici che costò ed i risultati che comportò per la Rivoluzione, sono stati
in primo luogo quello della difesa delle condizioni di vita accettabili e
coerenti ai fini prefissati dalla guerra rivoluzionaria, delle masse delle zone
toccate e coinvolte dalla guerra stessa. I rivoluzionari cioè non sono
unicamente dei sovversivi decabristi che scatenano offensive più o meno costose
per il nemico, ma sono i dirigenti effettivi del processo rivoluzionario che
riescono nella conduzione della guerra con la partecipazione del popolo e delle
principali componenti delle classi sfuttate in particolare, ad organizzare sia
la guerra che la vita delle masse. Aspetto qusto che non possono trascurare,
pur non potendo escludere le sconfitte a tavolino, le quali sono in qualche
modo inevitabili tatticamente ma evitabilissime strategicamente se ci si muove
in una corretta linea politica e di massa (la quale è condizione
imprescindibile anche se non di per sé sufficiente –ma quasi perché informa
continuamente l’agire- della affermazione rivoluzionaria); in seconda istanza
il problema del metodo di lavoro all’interno della guerra. Questo viene ripreso
continuamente da Mao lungo tutta la sua esperienza, perché si accorge che
l’insorgere dei problemi nasce proprio dalle tendenze accentratrici,
burocratiche, opportuniste, militariste, di riduzione insomma dell’insieme dei
fattori politici e sociali del processo, a delle direttive di volta in volta imposte
da linee di principio o di necessità che trascurano gli effetti dei
sacrifici e delle limitazioni che impongono al corpo militante ed alle masse.
In questo senso Mao fa presente che solo con una intensa e completa
partecipazione popolare la guerra rivoluzionaria e la costituzione del potere
rivoluzionario possono applicarsi con successo senza deviazioni.
Se pensiamo alle due recenti fasi storiche
prodrome nel nostro paese alla futura guerra popolare, ossia alla guerra
partigiana (1943-1945 e anni seguenti di progressivo tradimento dei partigiani
e delle loro rivendicazioni antifasciste e legate alle ragioni più profonde
della lotta di classe che ne costituì il nerbo) ed alla lotta armata per il
comunismo fino alla ritirata strategica del 1982, noi non possiamo non
notare alcuni aspetti. In primis, la guerra partigiana fu contenuta dalla
politica del revisionismo e nonostante la sua estensione e forza nel
centro-nord del paese, le repubbliche partigiane e l’appoggio loro dato dalle
masse, la persistenza della guerriglia
contro le colonne militari tedesche e repubblichine, nonché il calibramento e
il costante sfiancamento dell’avversario nella guerriglia urbana, e l’appoggio
politico delle masse con la protezione dei ricercati, il deposito delle armi, il
passaggio di informazioni, gli scioperi operai e la difesa delle fabbriche
dalla distruzione, il sacrificio enorme di sangue dato da migliaia di
rastrellamenti e da centinaia e centinaia di stragi. Fu quindi partecipata
dalle masse ma diretta da un insieme di formazioni in gran parte borghesi ed
interclassiste, anche se il contributo più grande di sangue arresti e
deportazioni lo pagarono i comunisti del PC d’Italia divenuto PCI con la svolta
di Salerno, di Stella rossa in Piemonte, di Bandiera rossa nel Lazio, ed i
socialisti del PSIUP nonché i repubblicani di Giustizia e libertà. Negli anni
della lotta armata per il comunismo fino alla ritirata strategica (1970-1982),
le masse parteciparono in maniera significativa sia alle lotte che generarono
le avanguardie di questo processo stroico, sia contribuirono alla lotta armata,
ma fino a quando persistette la capacità di direzione della lotta di classe
stessa all’interno della realtà sociale e di fabbrica. Da quando i revisionisti
ed i sindacati di regime si fecero delatori e spie contro le avanguardie della
lotta che lavoravano fianco a fianco con le masse, e contro i giovani e le
componenti dell’autonomia operaia, la lotta armata subì una repressione ed una
criminalizzazione crescenti. La lezione più sintetica ed elementare che si può
comprendere da questo secondo passaggio storico fu che laddove i comunisti
perdono la direzione della lotta di classe a favore dei revisionisti (che si
declamavano anch’essi di essere autenticamente comunisti, ma che in realtà erano
traditori della rivoluzione in linea con Palmiro Togliatti ed Enrico
Berlinguer), la lotta armata non può crescere e svilupparsi positivamente in
guerra civile di lunga durata. Il problema , postosi numerose volte in
successione, non è stato quindi risolto dalle Brigate rosse che diressero il
processo rivoluzionario fino ai primi anni ’80, e si pone oggi nei termini
dell’avvio e della direzione della guerra popolare di liberazione dal giogo
capitalista della guerra imperialista, della miseria, dello sfruttamento, del
razzismo, della privazione della libertà a tutta la società, del controllo dei
mezzi di informazione e della negazione del liebro pensiero, e
dell’abbruttimento morale delle masse,
nel coinvolgimento articolato e crescente delle masse nel processo
rivoluzionario, sotto la direzione di un Partito comunista autenticamente in
grado di dirigere l’insieme del conflitto, che non cerchi cioè di ridurlo a
mero problema militare o di “governo” della propria linea politica “imposta”
dall’alto di fragili scranni da un ceto politico rivoluzionario sconfitto ed
incapace di autocritica.
Il Presidente Mao Tse-Tung, nel maggio 1938,
raccolse in un testo i discorsi fatti in un ciclo di conferenze all’interno della
base liberata di Yenan, nell’ambito di una Associazione per lo studio della
Guerra di resistenza contro il Giappone:
“Le grandi forze della guerra hanno le loro
sorgenti profonde nelle masse popolari. È soprattutto perché le masse del
popolo cinese sono disorganizzate che il Giappone si è sentito incoraggiato ad
aggredirci. Basta che noi rimediamo a questa insufficienza, e l’invasore
giapponese, di fronte alle centinaia di milioni di uomini del popolo cinese
sollevati, si troverà come il bufalo selvaggio di fronte a una barriera di
fuoco: ci basterà emettere un grido nella sua direzione perché esso, per il
terrore, si getti nel fuoco e sia bruciato vivo.”
(Sulla guerra di lunga
durata, maggio 1938,
in Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.6, pag.173-240)
In qualche modo, anche se molti degli aspetti
della guerra di resistenza antimperialista in Irak ed Afghanistan non ci sono
noti o lo sono frammentariamente, e anche se i media occidentali ci bombardano
di immagini anche queste create in una logica mediatica di autorappresentazione
con le immagini dei sequestrati e delle esecuzioni, che in qualche modo serve
ai resistenti islamici come compensazione delle stesse logiche militaristiche
dell’imperialismo assassino invasore, l’aspetto comunque preminente della
guerra popolare in corso in Irak, oltre ad essere segnato dalla non preminente
direzione di un partito rivoluzionario bensì, come nella resistenza italiana,
dall’insieme delle forze nazionali in difesa del suolo e del popolo vilipeso e
stuprato dalle forze di occupazione, è quello della partecipazione delle masse
alla guerra di resistenza, che addirittura supera la contraddizione storica tra
sunniti e sciiti, dopo una prima fase in cui questa appariva preminente, e si
rivolge invece nella contraddizione tra popolo irakeno (ed afghano) ed
imperialismo da una parte, e tra popolo resistente e collaborazionisti (come in
Afghanistan) dall’altra. Che questo carattere sia preminente lo dimostrano
anche le modalità operative di forze solo sulla carta di difesa dei diritti
umani, come quelle italiane, che invece si adoprano a catturare masse e gente
inerme senza alcun serio indizio o prova, solo per fare numero, terrorizzare e
comprimere popolazioni di quartieri e città indicate dai boie generali yankee
come “da colpire”. Al contempo gli opportunisti ed i falsi riformisti in
Italia, oltre a gridare scandalizzati per la cattura dei poveri “volontari”,
che in fin dei conti non si capisce con quale ipocrisia vadano in sandaletti a
fingere che tutto stia volgendo al meglio con l’abbattimento del dittatore
anticomunista Saddam Hussein già amico degli americani in tempi remoti, da
parte dei ancora peggiori anticomunisti americani stessi, discettano dell’errore di essere “antiamericani”,
come se per esserlo sia sufficiente gridare qualche slogan per la pace e votare
in parlamento, come al solito perdendo, per il ritiro delle truppe nazionali
italiane dai luoghi di conflitto. È dal 1982-1983 che va avanti questa
barzelletta, da quando carabinieri ed esercito e marina furono impegnati in
Libano, laddove sintomaticamente andarono a combattere con i falangisti molti
fascistoni milanesi ed italiani in genere.
Ancora nello stesso testo il Presidente Mao
Tse-Tung ci ha insegnato:
“La guerra non ha altro scopo se non quello di
‘conservare le proprie forze e distruggere quelle del nemico’ (distruggere le
forze del nemico significa disarmarle, ‘privarle di ogni capacità di
resistenza,” e non disarmarle tutte fisicamente). Nell’antichità, per fare la
guerra ci si serviva di lance e di scudi: la lancia serviva ad attaccare e a
distruggere il nemico, lo scudo a difendere e conservare se stessi:la lancia
serviva ad attaccare e a distruggere il nemico, lo scudo a difendere e a
conservare se stessi. Fino ai giorni nostri, dallo sviluppo di questi due tipi
di armi derivano tutti gli altri sviluppi. I bombardieri, le mitragliatrici,
l’artiglieria da lunga gittata, i gas sono sviluppi della lancia, mentre le
trincee, i caschi d’acciaio, le fortificazioni di cemento armato, le maschere antigas, sviluppi dello scudo. I
carri d’assalto costituiscono un’arma nuova, in cui si combinano la lancia e lo
scudo. L’attacco è il mezzo principale per distruggere le forze del nemico, ma
non è possibile prescindere dalla difesa. L’attacco mira a distruggere direttamente
le forze del nemico, e nello stesso tempo a conservare le proprie forze, poiché
se non si distrugge il nemico, sarà il nemico a distruggere voi. La difesa
serve direttamente alla conservazione delle forze, ma è nello stesso tempo un
mezzo ausiliario d’attacco o un mezzo atto a preparare il passaggio
all’attacco. La ritirata è in rapporto con la difesa, ne costituisce una
continuazione, mentre l’inseguimento costituisce una continuazione
dell’attacco. Va notato che tra gli scopi della guerra, la distruzione delle
forze del nemico è lo scopo principale, e la conservazione delle proprie forze
lo scopo secondario, poiché non è possibile garantire efficacemente la
conservazione delle proprie forze se non distruggendo in massa le forze del
nemico. Da ciò consegue che l’attacco, in questo mezzo fondamentale per
distruggere le forze del nemico, svolge il ruolo principale e che la difesa, in
quanto mezzo ausiliario per distruggere le forze del nemico e in quanto è uno
tra i mezzi per conservare le proprie forze, svolge un ruolo secondario.
Sebbene in pratica si ricorra in numerose situazioni soprattutto alla difesa e,
in altre, soprattutto all’attacco, quest’ultimo resta tuttavia il mezzo
principale; ciò se si considera lo sviluppo della guerra nel suo insieme.”
“Senza preparazione, la superiorità delle
forze non è una effettiva superiorità, né è possibile avere l’iniziativa. Se si
comprende questa verità, determinate truppe, inferiori di forze ma preparate,
possono spesso, con un attacco a sorpresa, battere un nemico superiore.”
(Sulla guerra di lunga
durata, maggio 1938,
in Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.6, pag.173-240)
Facendo un bilancio brutale delle perdite e
dei caduti nel primo periodo della lotta armata per il comunismo (1970-1976) e
in quello immediatamente successivo (1976-1979), il bilancio delle perdite e
dei colpi subiti nel campo del nemico era politicamente e numericamente ben
superiore a quello delle perdite subite dal movimento rivoluzionario. Invece
nel terzo periodo (1980-1982) il bilancio è notevolmente ma non totalmente
negativo per le forze rivoluzionarie in formazione nei territori metropolitani
e nella sostanziale crescente clandestinizzazione. Nel periodo della ritirata
strategica (1983-1999), se pure la dimensione del processo assume una
dimensione assolutamente più contenuta
numericamente (non oltre le 15 perdite in campo nemico, una dimensione
assolutamente fuori dalle cifre di qualsiasi conflitto bellico) anche se a
volte significativamente capace di infuenzare gli avvenimenti politici, le
perdite (quasi solo compagni e simpatizzanti catturati) nel campo
rivoluzionario sono assolutamente sproporzionate, peggio che nel rapporto di
1:10 che veniva fatto pagare dai nazisti alle Fosse Ardeatine; se nei primi due
periodi la tenuta dei compagni e dei simpatizzanti catturati è quasi totale,
nei periodi successivi è sostanzialmente elitaria. Cosa è accaduto ? Si è
passati dall’agire diffuso ed esteso a livello nazionale (imparare a fare la
guerra facendola) all’agire elitario e
clandestinizzato alle masse. Non si è certo superata la sconfitta del gennaio
1982 con la sola definzione della ritirata strategica, né si è usciti da questa
morsa con il periodo definito impropriamente delle “nuove BR” (1999-2003). I
problemi politici che il Presidente Mao ha analizzato nell’esperienza cinese
sembrano cielo stellato di fronte alla miseria che connota la nostra esperienza
attuale. Solo conquistando le masse al processo rivoluzionario, solo costruendo
il partito rivoluzionario della classe operaia e del proletariato e del popolo,
il partito marxista-leninista-maoista, sarà possibile invertire la tendenza e
costruire un autentico e vincente processo rivoluzionario in un paese
antidemocratico, ancora semi-feudale eppure con una struttura industriale in
parte molto avanzata, ed un carattere imperialista della politica statale
dominante della borghesia interna e multinazionale, dato anche dalla
integrazione militare alle forze americane e da quella economica e in misura
crescente politica ed istituzionale nella unione europea.
Il 29 settembre 1958 il Presidente Mao
Tse-Tung in una intervista ci disse:
“Gli imperialisti commettono tali vessazioni
contro di noi che occorre prendere serie misure nei loro confronti. Non soltanto ci occorre un potente esercito
regolare, ma è anche necessario
allestire divisioni della milizia popolare. Così, se volesse invadere il nostro
paese, l’imperialismo si vedrà privato di ogni libertà d’azione.”
(Intervista con un
giornalista della agenzia Hsinhua,
in Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.16, pagg.175-176)
In Italia negli ultimi quindici anni si sono
fatti molti passi indietro, tra questi, la costituzione dei carabinieri, corpo
storicamente reazionario ed antiproletario, costituito, formato ed addestrato
dai peggiori principi antidemocratici e classisti della borghesia già
monarchica e sabauda, come primo corpo d’armata dell’Esercito; la
professionalizzazione della leva; la partecipazione della marina e
dell’aviazione ai bombardamenti in Iraq, Bosnia e Serbia; l’utilizzo dell’esercito nel contenimento
delle proteste dei lavoratori dei servizi; l’utilizzo della polizia
penitenziaria e della polizia di Stato nella repressione dei moti sociali e
nella detenzione amministrativa degli immigrati “clandestini” (cosa ovvia in
paesi in cui è negato il diritto stesso alla sopravvivenza, che del resto da
noi spesso è garantito solo da filantropiche ed interessate associazioni
caritatevoli). Per questo il problema della presenza minacciosa ed influente
delle basi militari e delle spie degli Stati Uniti d’America, che si protrae
dal 1945, ed in particolare dalla fondazione della NATO nel 1949, pare finito
in secondo piano. In realtà è questo esercito, marina ed aviazione militare
americana, a costituire la principale base reazionaria ed imperialista nel
nostro paese, perché la nostra partecipazione alla guerra di aggressione
in Iraq ed Afghanistan come in passato in Somalia, Bosnia, Albania e Serbia, è
da essi diretta e determinata. Che dei comunisti e dei rivoluzionari sedicenti
si strappino le vesti per le nostre avventure militari e dimentichino
opportunisticamente e vigliaccamente il cancro che ci teniamo nel ventre stesso
del nostro paese, responsabile di aver appoggiato l’ingresso delle droghe
pesanti nei primi anni ’70, di aver appoggiato le stragi nere di Piazza Fontana
e della questura di Milano e della stazione di Bologna ed altre, di aver
permesso e taciuto innumerevoli complotti anticomunisti e schedature e
spionaggio di massa anche all’insaputa degli stessi servizi segreti
democristiani, di effettuare tuttora dannose e pericolose manovre militari
(Ustica e Cermis insegnano), e di lasciare mano libera alla violenta e
prepotente occupazione del territorio da parte della feccia del loro popolo, la
leva militare, nelle nostre città, viene dimenticato e volutamente sottaciuto
da quella genia infame di borghesi e proprietari che aderiscono al blocco
reazionario che grida allarme per i poveri immigrati che giungono nel nostro
paese. Questi infami nazionalisti a trucco, che infangano la nostra stessa
bandiera nazionale con una dipendenza supina ed infingarda al potere economico
e soprattutto tecnologico e militare degli USA, vengono dimenticati come
problema politico da quella parte di sinistra che cerca di “mobilitare per la
pace” mentre il mondo è in fiamme.
Nel dicembre 1936, nel bel mezzo della guerra
di resistenza antigiapponese, il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse:
“Dal punto di vista della guerra popolare
considerata nel suo insieme, la guerra popolare di partigiani e le operazioni
dell’Esercito rosso quali forze principali si completano a vicenda come le due
mani dell’uomo. Avere soltanto le forze principali costituite dall’Esercito
rosso, senza la guerra popolare dei partigiani, sarebbe come combattere con una
mano sola. In termini concreti, e in particolare dal punto di vista delle
operazioni militari, quando parliamo della popolazione delle basi d’appoggio
come di uno degli elementi della guerra, parliamo del popolo in armi. È questa
la ragione principale del fatto che l’avversario considera pericoloso
avventurarsi tra le nostre basi d’appoggio.”
“Indubbiamente l’esito della guerra è
determinato soprattutto dalle condizioni militari, politiche, economiche e naturali
nelle quali si trovano le parti belligeranti. Ma ciò non è tutto. L’esito della
guerra è determinato anche dalla capacità soggettiva dei comandanti. Il capo
militare non può cercare di conseguire la vittoria uscendo dai limiti posti
dalle condizioni materiali, ma la può e la deve conquistare entro questi
limiti. Sebbene il campo di attività del capo militare sia limitato da
condizioni militari oggettive, in questo campo egli può impostare azioni vive,
brillanti, di un’epica grandezza.”
(Problemi strategici della
guerra rivoluzionaria in Cina,
dicembre 1936, in Opere di
Mao Tse-Tung, cit., vol. 4, 189-256)
Nel primo di questi due passaggi il
riferimento alla nostra realtà può essere colto nel fatto che la lotta
dell’Esercito popolare e proletario da sola non può risolversi in un processo
vittorioso senza la guerriglia nelle zone urbane e rurali usata come
penetrazione offensive nelle linee nemiche e come costante umiliazione dello
strapotere nelle sue roccaforti preminentemente urbane. In questo senso, la
lotta armata per il comunismo fu nel suo periodo d’oro (1970-1981)
preminentemente limitata alle zone urbane, e scarsamente impegnata
nell’offensiva militare, prediligendosi quella di propaganda e di attacco alle
sole forse di polizia (controrivoluzionarie). Questo, nel definirle
controrivoluzionarie, significava riconoscere nella fase in corso una fase
rivoluzionaria, il che non era propriamente esatto, anche se certo erano anni
di felicità nella lotta per le masse sfruttate, molto più limpidi delle fosche
annate odierne.
Nel secondo di questi passaggi, si focalizza
la necessità di una conoscenza specifica nel campo di battaglia, nel
combattimento, che non è propriamente data dalla sola esperienza né tanto da
quella fatta nella piazza, quanto complessivamente invece dalla necessità di
avere formati quadri militari. In questo caso, l’imperitorium di avere
compagni complessivi pare storicamente di più lenta formazione nel processo
principalmente politico della guerriglia, superabile nell’agire incessante e
solo in esso, quale scuola militare di fatto. Neppure si può né si deve
escludere la formazione di scuole militari dell’Esercito proletario onde
avviare il processo rivoluzionario, anzi queste devono essere costituite onde
andare oltre le differenze delle varie soggettività e dei limiti che ad esse
sono imposte dalla società borghese.
Il Presidente Mao Tse-Tung, il 25 dicembre
1947, giunto allo scontro con le forze americane e nazionaliste oramai alle
corde, a meno di due anni dalla presa del potere, ci scrisse:
“Ecco i nostri
principi militari:
(L’EPL
che combatte in particolare nella Selva peruviana, che per primo sin dal 1980
ha attuato dopo il periodo delle rivoluzioni di liberazione dal colonialismo
–in particolare Vietnam, Laos, Kampuchea, elementi della teoria rivoluzionaria
della guerra popolare di Mao, nei suo attacchi annienta le forze del nemico
durante il combattimento ma ne salva i feriti accettando l’arruolamento degli
arresi volontari, ed evita di giustiziarli, come invece fanno, oltre che gli
americani direttamente, le forze armate e paramilitari peruviane, indiane,
nepalesi, filippine, turche, israeliane, nelle loro campagne genocide di
accerchiamento ed annientamento sostenute dalle basi militari americane, anche
i carabinieri italiani nelle nostre città e boscaglie, come nel caso del
bandito Lupo a Roma e tante altre volte come nel caso del compagno Rocco Taverniti
nell’Aspromonte, che rimase oltretutto vivo dopo due ferite che bastavano ad
uccidere un bisonte, sparategli quando era ferito, compagno che apparteneva al
movimento rivoluzionario del nostro paese, nel giugno 1983, e che va annoverato
tra i tanti compagni caduti di cui non vi è traccia nei libri, nonostante le
mie indicazioni al riguardo)
“(…) senza dar loro la possibilità di sfuggire
dalla rete. In certi casi particolari,
infliggere al nemico colpi micidiali, vale a dire: concentrare tutte le nostre forze
per un attacco frontale e per un attacco su uno dei fianchi del nemico o sui
due, annientare una parte delle sue truppe e mettere in rotta il resto, allo
scopo di permettere al nostro esercito di spostare rapidamente le sue forze per
schiacciare altre truppe nemiche. Sforzarsi di evitare le battaglie di
logoramento, in cui i guadagni sono inferiori alle perdite oppure le coprono
appena. Così, benché nell’insieme siamo
(numericamente parlando) in stato d’inferiorità, godiamo di una superiorità
assoluta in ogni determinato settore, in ogni battaglia, il che ci garantisce
la vittoria sul piano delle operazioni. Con l’andar del tempo, noi otterremo la
superiorità d’insieme e alla fine annienteremo tutte le forze nemiche.
5.
Non
ingaggiare battaglia senza preparazione, né ingaggiare una battaglia in cui
l’esito vittorioso non sia sicuro. Compiere i massimi sforzi per prepararsi
bene ad ogni scontro e per garantirsi la vittoria in un dato rapporto di
condizioni stabilito tra il nemico e noi.
6.
Applicare
pienamente il nostro stile di combattimento –bravura, spirito di sacrificio,
sprezzo della stanchezza e tenacia nei combattimenti continui (scontri
successivi scatenati in un breve lasso di tempo e senza riposo alcuno).
7.
Sforzarsi
di annientare il nemico ricorrendo alla guerra di movimento. Nello stesso
tempo, attribuire la dovuta importanza alla tattica d’attacco delle posizioni,
allo scopo di impadronirsi dei punti fortificati e delle città del nemico.
8.
Per quanto riguarda l’attacco alle città,
impadronirsi risolutamente di tutti i punti fortificati e di tutte le città
debolmente difese dal nemico. Impadronirsi nel momento propizio di tutti i
punti fortificati e di tutte le città
che il nemico difende moderatamente, a condizione che le circostanze lo
permettano. Quanto ai punti fortificati e alle città che il nemico difende
potentemente, aspettare che le condizioni siano mature, e poi impadronirsene.
9.
Integrare
le nostre forze con l’aiuto di tutte le armi e della massima parte degli
effettivi sottratti al nemico. Le fonti
principali di uomini e di materiale per il nostro esercito sono al fronte.
10.
Saper
mettere a profitto l’intervallo tra due campagne per riposare, per istruire e
per consolidare le nostre truppe. I periodi di riposo, d’istruzione e di
consolidamento non devono essere, in generale, molto lunghi, e, nella misura
del possibile, non si deve lasciare al nemico il tempo necessario per
riprendere fiato.
Questi sono i
metodi principali applicati dall’Esercito popolare di liberazione per battere
Chiang Kai-shek. Essi sono stati elaborati dall’Esercito popolare di
liberazione nel corso di lunghi anni di combattimenti contro i nemici interni
ed esterni, e si addicono perfettamente alle nostre attuali condizioni […].
La nostra
strategia e la nostra tattica si fondano sulla guerra popolare; nessun esercito che si opponga al popolo può
utilizzare la nostra strategia e la nostra tattica.”
(La situazione attuale e i
nostri compiti, 25 dicembre 1947,
in Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol. 10,
pagg.109-126)
Per quanto riguarda questi principi della
guerra popolare rivoluzionaria (rurale ed urbana) e di movimento, invito i
compagni a leggersi il mio testo, reperibile chiedendolo al mio sito, sulla
guerra popolare in Perù. La prima parte analizza questa contundente e fondamentale
esperienza storica contemporanea proprio in relazione a questi principi. Un altro importante testo di riferimento è
nel Pensiero Gonzalo, che in Italia circola in varie traduzioni ufficiose,
pubblicato da L.A.Borja in Belgio, in lingua spagnola, nel 1989, con il titolo:
Basi di discussione del primo congresso del Partito Comunista del Perù, 1987,
Linea Militare, pagg.341-365 del volume “Guerra Popular en el Perù – El
Pensamento Gonzalo”.
La guerra popolare in Perù diretta dal Partito
Comunista del Perù, nelle Filippine diretta dal Partito Comunista delle
Filippine, nel Nepal diretta dal Partito Comunista (maoista) del Nepal, così
come altre importanti esperienze storiche contemporanee di liberazione del
popolo dal giogo imperialista capitalista e semi-feudale del capitale
burocratico e del capitale multinazionale, costituiscono ancora oggi,
l’esperienza più matura della teoria e della pratica militare rivoluzionaria.
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha
detto nel suo rapporto al VII congresso del PCC:
“Senza un esercito popolare, il popolo non ha niente.”
“Questo esercito è forte perché di esso fanno parte uomini coscienti e
disciplinati che si sono uniti e combattono, non nell’interesse di un piccolo
gruppo di persone o di una qualsiasi cricca ristretta, ma nell’interesse di
larghe masse, nell’interesse di tutta la nazione. Stringere compatte le proprie
file attorno alle masse popolari cinesi, servire con tutto il cuore il popolo
cinese: questa è l’unica aspirazione che muove il nostro esercito.”
(“Sul governo di coalizione”, 24.4.1945;
la prima citazione è ripresa anziché dall’originale
del PCC del 1967, dalle Opere di Mao Tse-Tung, cit., , vol.9, pagg.117-174)
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto nel dicembre 1929:
“L’Esercito rosso cinese è una organizzazione armata fatta per affrontare
i compiti politici posti dalla rivoluzione. Specialmente oggi l’Esercito rosso
non può assolutamente limitarsi soltanto a combattere; oltre al compito di
combattere per distruggere le forze armate del nemico, sono ad esso affidati
altri importanti compiti nel campo della propaganda fra le masse, della loro
organizzazione, del loro armamento, dell’aiuto da prestar loro per la creazione
del potere rivoluzionario e anche per la creazione di organizzazioni del
Partito comunista. La guerra che l’Esercito rosso conduce non è una guerra
fatta per amore della guerra, ma per sviluppare la propaganda fra le masse, per
organizzarle, per armarle, per aiutare a creare il potere rivoluzionario; se si
rinunciasse a questi compiti la guerra non avrebbe più senso e l’esistenza
stessa dell’Esercito rosso perderebbe ogni ragione d’essere.”
(“Sradicare le concezioni errate nel Partito, dicembre
1929, in Risoluzione del 9° congresso del PCC del IV Corpo d’Armata
dell’Esercito rosso, I parte, in Opere di Mao Tse-Tung, cit., vol.2, pagg.187-220)
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 5 marzo 1949:
“L’Esercito Popolare di Liberazione sarà sempre una forza
combattente. Anche dopo la vittoria sul
piano nazionale, durante il periodo storico in cui le classi non saranno ancora
state soppresse nel nostro paese e in cui il sistema imperialista continuerà ad
esistere nel mondo, il nostro esercito resterà una forza combattente. Su questo punto non deve sorgere alcun
malinteso, né manifestarsi alcuna incertezza.”
(Rapporto alla seconda sessione plenaria del Comitato
centrale uscito dal VII Congresso del Partito comunista cinese, 5 marzo 1949,
in Opere di Mao Tse-Tung, cit., vol.11,
pagg.79-90)
Nel rapporto a questa riunione Comitato centrale, nella fase
preparatoria dell’assalto ai residui baluardi del potere feudale cinese, Mao
pone in evidenza il rischio che la borghesia riemerga tra le fila del Partito
una volta conquistato il potere; delega tuttavia tutto il potere militare
all’Esercito Popolare, anche una volta conquistato il potere; i successivi
eventi e la stessa necessità della guerra popolare dimostrano che sarebbe
opportuna una rivisitazione teorica nel progredire storico della costruzione
del socialismo nei paesi del mondo onde definire una dualità di potere militare,
data dalla fondamentalità dell’Esercito Popolare rispetto ai rischi esterni ed
alle sommosse controrivoluzionarie e fasciste della borghesia e delle classi
reazionarie, ma anche dalla permanente condizione di armamento delle masse dirigenti
il processo rivoluzionario, per evitare che una sola cricca dirigente nera del
Partito determini e conduca l’Esercito a muoversi secondo linee
controrivoluzionarie e contrarie alle masse, come avvenuto nell’ottobre 1976.
La presenza dell’EPL in ogni territorio solo durante la prima fase della
rivoluzione e durante la GRCP garantì il socialismo dalla degenerazione, mentre
dopo la morte di Mao fu diretto con alcune limitate resistenze dalla cricca
nera di Hua Kuo-Feng e soci che demonizzando i compagni della ‘banda dei quattro’
produsse le condizioni per l’affermazione del revisionismo nel campo economico,
politico e anche militare, come dimostra la repressione dei moti operai e
contadini a partire dalla seconda metà degli anni ’80, e non solo la
repressione delle opinioni liberali tra i giovani piccolo borghesi da Piazza
Tienammen nel 1989 (che non vedeva solo la presenza di studenti liberali, anzi,
in gran parte della sinistra operaia e studentesca maoista) in poi. Questo
permanente stato di armamento delle masse è stato sperimentato con successo
nella Repubblica Popolare dell’Albania (Shqipërisë) ed era stato ipotizzato
addirittura negli anni sessanta dai dirigenti borghesi del sistema di potere
democristiano nel nostro paese in funzione di difesa della Costituzione repubblicana
da colpi di mano fascisti. Si tratterebbe insomma di avere una Milizia
proletaria permanente costituita dai lavoratori d’avanguardia di ogni zona e
provincia, dipendente dalla Comune del rispettivo territorio, quindi non
necessariamente diretta da membri del Partito, per lasciare alle masse la
possibilità di liquidare le cricche nere prima che sia troppo tardi e che la
dirigenza del Partito, che potrebbe non intervenire per tempo, lasci che la situazione degeneri, come
avvenuto in URSS prima del 1956 e in Cina prima dell’ottobre 1976 (ma anche in
paesi dell’America Latina come il Cile, nel settembre 1973).
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 29 novembre 1943:
“Noi abbiamo un esercito che combatte e un esercito del lavoro. Il
nostro esercito combattente è costituito dalla VIII Armata di marcia e dalla
Nuova IV Armata. Ma l’esercito
combattente viene impiegato in due direzioni: esso combatte e si dedica
all’attività produttiva.
Avendo due eserciti quali l’esercito combattente e l’esercito del
lavoro, e quando l’esercito che combatte è capace sia di condurre la guerra che
di lavorare nella produzione e, inoltre, di svolgere il lavoro tra le masse,
noi possiamo superare tutte le difficoltà, possiamo sconfiggere gli
imperialisti giapponesi.”
(“Organizziamoci !”, in Opere di Mao Tse-Tung, cit., vol.8 , pagg.243-252).
Qui il riferimento è alle zone liberate nella conduzione della guerra
popolare, nelle quali il lavoro ed i vari compiti tra i quali il sostentamento
dei combattenti sono essenziali al
Nuovo Potere in costruzione ed alla pulizia ed autonomia della linea
rivoluzionaria conseguente costruita nel processo rivoluzionario.
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha detto il 21 settembre 1949:
“La nostra difesa nazionale verrà rafforzata e noi non permetteremo agli
imperialisti, chiunque essi siano, di invadere di nuovo il nostro territorio.
Le nostre forze armate popolari devono essere mantenute e devono svilupparsi
sulla base dell’eroico Esercito popolare di liberazione, che è passato
attraverso tutte le sue prove. Avremo, non soltanto un potente esercito di
terra, ma anche una potente aviazione e una potente marina da guerra.”
(“Il popolo cinese si è alzato in piedi”, Discorso
inaugurale alla I sessione plenaria della Conferenza consultiva politica del
Popolo cinese, in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,
vol.11, pagg.171-174)
Il Presidente Mao Tse-Tung ci ha scritto il 6 novembre 1938:
“Il nostro principio è: il Partito comanda ai fucili, mentre è
inammissibile che i fucili comandino al Partito.”
(“La guerra e i problemi della strategia”, parte delle
conclusioni alla sesta sessione plenaria del sesto Comitato centrale del
Partito comunista cinese, in Opere di Mao Tse-Tung, cit., vol.7, pagg.55-72)
Il Presidente Mao Tse-Tung il 10 ottobre 1947 ci ha scritto:
“Tutti i nostri ufficiali e i nostri soldati devono sempre tener
presente che noi siamo il grande Esercito Popolare di Liberazione, le truppe
dirette dal grande Partito comunista cinese. A condizione di osservare
costantemente le direttive del Partito, possiamo essere sicuri della vittoria.”
(“Manifesto dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese”, in Opere di
Mao Tse-Tung, cit., vol.10,
pagg.103-106)
È comunque opportuno che i quadri di base dell’Esercito e le masse
popolari non si accontentino mai di riporre la massima fiducia in loro, e
sottopongano a periodica verifica e controllo dal basso tutti i dirigenti,
quindi anche quelli dell’Esercito.
10. Il ruolo dirigente dei comitati di Partito
Il Presidente Mao Tse-Tung ci scrisse il 20 settembre 1948:
“Il sistema del comitato del Partito è un’importante istituzione del
Partito volta a garantire la direzione collegiale e a impedire che una singola
persona si accaparri la direzione del lavoro. Ora, di recente s’è constatato
che in certuni dei nostri organi dirigenti (evidentemente non in tutti) è uso
corrente che una singola persona si accaparri la direzione del lavoro e prenda
le decisioni in merito ai problemi d’importanza. Non la riunione del comitato
di Partito decide le soluzioni da dare ai problemi importanti, bensì una
singola persona, mentre i membri del comitato di Partito sono lì soltanto per
la forma. Le divergenze d’opinione tra i membri del comitato non possono venir
risolte e vengono lasciate a lungo in sospeso. I membri del comitato del
Partito mantengono tra loro soltanto un’unità formale e non di fondo. Occorre
modificare questo stato di cose. È ormai necessario che ovunque si stabilisca
un buon sistema di riunioni del comitato del Partito, dagli uffici del Comitato
centrale ai comitati provinciali, dai comitati del fronte ai comitati di
brigata e alle regioni militari (sottocommissioni della Commissione militare
rivoluzionaria del Partito o gruppi di dirigenti) e, inoltre, di gruppi
dirigenti del Partito negli organi governativi e nelle organizzazioni popolari,
e all’agenzia di informazione e ai giornali. Tutti i problemi importanti (non,
evidentemente, le questioni prive d’importanza o i problemi la cui soluzione,
discussa in riunione, è già stata oggetto di una decisione che richieda
semplicemente di essere applicata) devono essere sottoposti a discussione in
seno al comitato; bisogno che i membri presenti esprimano i loro punti di vista
senza riserve e che giungano a decisioni precise, la cui applicazione sarà
garantita rispettivamente dai membri interessati … Le riunioni di un comitato
del Partito devono essere di due specie: riunione del comitato permanente e
riunioni in seduta plenaria; esse non vanno confuse. Inoltre, teniamo presente
quanto segue: la direzione collegiale e la responsabilità personale sono in
ugual misura indispensabili; non bisogna trascurare né l’una né l’altra.
Nell’esercito, durante le operazioni o quando le circostanze lo esigono, i capi
responsabili hanno il diritto di prendere decisioni d’urgenza.”
(relazione per il Comitato centrale del Partito
comunista cinese, in “Rafforzare il sistema del comitato del Partito”
in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,
Ed.Rapporti Sociali, vol.10, pag.195-196,
esclusa la prefazione che legittima il porco
revisionista Deng Tsiao-Ping chiamandolo “compagno” )
Coloro che senza ritegno di falsificare storicamente il nostro
patrimonio ideologico e storico di noi comunisti, attribuisce a Mao il culto
della personalità, ed altre cose fasulle, leggendosi questo semplice invito al
metodo di direzione collettiva ed al sistema di discussione, potrebbero trovare
al fondo della propria concezione una mitologia del tutto estranea alla
concreta natura del partito rivoluzionario, che è classista e comunista
insieme, e non luogo di esercizio od aspirazione al potere. I comunisti non
cercano di “andare al potere” ma di dare alla classe proletaria ed alle masse
popolari strumenti ed indirizzi per assicurare alle masse la completa
padronanza della società, il potere per i comunisti non è un fine ma un mezzo
non proprio ma espressione della classe e delle sue organizzazioni, cui dare
direzione non è un imperativo che astrae dalla dialettica e dalla verifica del
ruolo, e non solo, non è neppure un dato astratto dallo sviluppo storico.
Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse durante il discorso conclusivo alla
seconda sessione plenaria del settimo Comitato centrale del Partito comunista
cinese, il 13 marzo 1949:
“Il segretario di un comitato del Partito deve saper essere un buon
“caposquadra”. Un comitato del Partito conta da dieci a venti membri; esso è
paragonabile a una squadra dell’esercito, e il segretario è paragonabile al caposquadra.
Certamente, dirigere bene questa squadra non è facile. In questo momento, ogni
ufficio e ogni ufficio regionale del Comitato centrale ha sotto la propria
direzione una regione vasta e deve assumersi compiti assai ardui. Dirigere non
significa semplicemente determinare l’orientamento generale e le misure
particolari di una politica, ma anche elaborare giusti metodi di lavoro. Anche
se l’orientamento generale e le misure particolari sono giuste, se non si
presta sufficientemente attenzione ai metodi di lavoro possono insorgere
problemi. Per svolgere il proprio compito, che è quello di dirigere, un
comitato del Partito deve contare sugli uomini della squadra e metterli
in condizione di svolgere a fondo il loro ruolo. Per essere un buon
“caposquadra”, occorre che il segretario studi senza tregua ed esamini a fondo
le questioni. Un segretario o un segretario aggiunto difficilmente riusciranno
a dirigere come si deve gli uomini della loro “squadra” se non adotteranno la
precauzione di fare tra loro un certo lavoro di propaganda e di organizzazione,
se non sanno mantenere buoni rapporti tra i membri del comitato o se non
studiano i mezzi atti a dirigere con successo una riunione. Se tutti gli uomini
della “squadra” non comminano allo stesso passo, non possono presumere di poter
dirigere milioni di persone nella lotta e nella edificazione. Beninteso, le
relazioni tra il segretario e i membri del comitato sono tali per cui la
minoranza deve sottomettersi alla maggioranza: sono perciò diverse dalle
relazioni esistenti tra un caposquadra e i suoi uomini. Ma qui abbiamo parlato
soltanto per analogia.”
“Gettate i problemi sul tappeto. Questo devono fare, non soltanto il caposquadra,
ma anche i membri del comitato. Non formulate critiche dietro la schiena. Appena si pone un problema, convocate una
riunione, gettatelo sul tappeto, discutetelo, prendete delle decisioni, e il
problema sarà risolto. Se esistono problemi, ma non vengono gettati sul
tappeto, questi problemi rimarranno a lungo privi di una soluzione, e
rischieranno di trascinarsi per anni. Il “caposquadra” e i membri del comitato devono
mostrarsi comprensivi nelle loro reciproche relazioni. Non c’è nulla di più importante della
comprensione, del sostegno e dell’amicizia tra il segretario e i membri del
comitato, tra il Comitato centrale ei suoi uffici, e così tra gli uffici del Comitato
centrale e i comitati territoriali del Partito.”
“Scambiatevi informazioni. In atri termini: i membri di un
comitato del Partito devono tenersi vicendevolmente al corrente e devono
scambiarsi i loro punti di vista sulle cose che sono giunte a loro conoscenza.
Ciò è molto importante al fine di trovare un linguaggio comune. Ora, certuni
non lo fanno e, come diceva Laotse, ‘non si frequentano in vita, benchè i
galli che cantano e i cani che abbaiano presso i primi possano essere sentiti
dagli altri.’ Ne deriva che manca
loro un linguaggio comune.”
“Consultate i compagni dei gradi inferiori in merito a ciò che non
capite o a ciò che non conoscete, e non esprimete alla leggera la vostra
approvazione o la vostra disapprovazione … Non bisogna mai pretendere di
conoscere ciò che non si conosce e ‘non bisogna vergognarsi di consultare i
propri subalterni,’ bisogna bensì saper
prestare orecchio ai pareri dei quadri dei gradi inferiori. Siate allievi prima
di essere maestri; prima di promulgare ordini, consultate i quadri dei gradi
inferiore. (…) In ciò che i quadri dei gradi inferiori affermano c’è del giusto
e c’è del falso; è nostro compito attuarne l’analisi. Le idee giuste, noi
dobbiamo ascoltarle e seguirle. (…) Anche i giudizi errati che vengono dal
basso, noi dobbiamo ascoltarli; sarebbe un errore non ascoltarli, ma invece
di adottarli, occorre criticarli.”
“Imparare a suonare il pianoforte. Per suonare il pianoforte,
occorre muovere le dieci dita; è impossibile farlo con poche dita soltanto,
lasciando immobili le altre. Tuttavia, se si premono le dieci dita tutte in una
volta, non si dà melodia. Per fare della buona musica, occorre che i movimenti
delle dita siano ritmati e coordinati. Un comitato del Partito deve afferrare
bene il suo compito centrale e comporaneamente, attorno a questo compito
centrale, deve sviluppare il suo lavoro in altri campi di attività. In questo
momento dobbiamo occuparci di numerosi àmbiti: dobbiamo vigilare sul lavoro di
tutte le regioni, in tutte le unità armate e in tutti gli organismi; non
dobbiamo dedicare la nostra attenzione soltanto ad alcuni problemi, escludendo
gli altri.
Ovunque si ponga un problema, occorre premere sul tasto; è , questo, un
metodo in cui dobbiamo acquisire una certa maestria. Certuni suonano bene il
pianoforte, altri lo suonano male, e la differenza tra le melodie che ne
traggono è enorme. I compagni dei comitati del Partito devono imparare a suonare
bene il pianoforte.”
“Prendete in mano fermamente le vostre incombenze. Intendiamo
dire con ciò che un comitato del Partito, non soltanto deve prendere in mano
le sue incombenze principali, ma anche che deve prenderle in mano fermamente.
Non è possibile tenere bene una cosa se non prendendola solidamente in mano,
senza mai allargare le dita, nemmeno di un po’. Non prendere in mano una cosa
solidamente equivale a non prenderla in mano affatto. Naturalmente, non è
possibile affermare una cosa con la mano aperta. E quando si chiude la mano, ma
senza strimgere forte, si dà l’impressione di tenere una cosa, e invece la cosa
non è stata veramente afferrata. Alcuni dei nostri compagni, certo, prendono in
mano le loro incombenze principali, ma siccome non le prendono in mano
solidamente, non sono in grado di svolgere un buon lavoro. Le cose non andranno
per il loro verso se non prenderete in mano le vostre incombenze; ma le cose
non andranno per il loro verso neppure se non le prenderete in mano
fermamente.”
“Cercate di avere in testa le cifre. Ciò significa che noi
dobbiamo prestare attenzione all’aspetto quantitativo di una situazione o di un
problema e farne un’analisi quantitativa di fondo. Ogni quantità si manifesta
tramite una quantità determinata, e senza quantità non può darsi qualità. Oggi
ancora, numerosi tra i compagni non sanno che devono prestare attenzione
all’aspetto quantitativo delle cose –alle statistiche fondamentali, alle
percentuali principali e ai limiti quantitativi che determinano la qualità
delle cose; non hanno affatto le cifre in testa; da ciò risulta che essi
non possono evitare di commettere errori.”
“Avviso alla popolazione. Occorre annunciare le riunioni in
anticipo, come se si affliggesse un avviso alla popolazione, affinchè ognuno
sappia ciò di cui verrà discusso e quali sono i problemi da risolvere, e
affinchè ognuno possa prepararsi in tempo. In certe zone vengono convocate
riunioni di quadri senza che siano pronti i rapporti e i progetti di soluzione;
questi vengono improvvisati alla bell’e meglio quando i partecipanti sono già
presenti in aula; un simile stato di cose ricorda il detto: Le truppe e i
cavalli sono presenti, ma i viveri e il foraggio non sono ancora pronti.
Questo modo di procedere non è buono. Non affrettatevi a convocare riunioni se
queste non sono ben preparate.”
“Meno truppe ma migliori, e semplificare l’amministrazione. Le
conversioni, i discorsi, gli articoli e le risoluzioni devono essere di tipo
chiaro e conciso. Del pari, le riunioni non devono essere troppo lunghe.”
“Prestate, attenzione alla collaborazione nell’unità con i compagni i
cui punti di vista divergono dai vostri. Negli organismi locali, come
nell’esercito, occore prestare attenzione a questo principio, che va ugualmente
applicato anche alle nostre relazioni con le persone che sono estranee al Partito.
Siamo venuti da tutti gli angoli del paese e dobbiamo saper collaborare
nell’unità, non soltanto coi compagni che condividono i nostri punti di vista,
ma anche con quelli che ne hanno altri.”
“Evitate di essere orgogliosi. Si tratta di una questione di
principio per tutti i dirigenti, ed anche di una condizione importante per
il mantenimento dell’unità. Anche coloro che non hanno commesso errori gravi e
che hanno ottenuto grandi successi nel loro lavoro non devono essere
orgogliosi.”
(“Metodi di lavoro dei comitati di Partito”,
in Opere di Mao
Tse-Tung, cit.,
Ed.Rapporti Sociali, vol.11,pag.91-95)
Nella nostra realtà di società imperialista e tuttavia molto localizzata
legata alla burocrazia ai piccoli poteri e ai misteri dei palazzi, alla ricchezza
molto diffusa che ha fatto regredire anziché migliorare la natura della
borghesia, una società cioè anche semi-feudale per i caratteri di potere del
quartiere, del luogo, della città, della regione, che sono assunti da compagini
criminali anche politiche in ogni ambito, società in cui questi caratteri
ancora erano meno totalizzanti di oggi, negli anni ’70, essere militanti ed
avanguardie significava essere anche spesso dei sovversivi operativi, e questo
creava delle figure abbastanza legittimate e riconosciute. Certi caratteri di
compagni, anziché vivere questa cosa con maturità e anche fermezza ma senza
profittarne, diventavano colonnelli, cioè piccoli ras in università per
lo più e a volte in situazioni locali. Questo fenomeno non riguardà la classe
operaia che aderiva in parte minoritaria ma significativa al campo
rivoluzionario, ma apparteneva a quei gruppi operaisti, Autonomia, Prima Linea,
che vedevano nella gestione della violenza sul piano sociale ed universitario
uno strumento diffuso e anche troppo utilizzato non tanto o solo sul terreno
combattente ma anche su quello proprio dei rapporti sociali e politici nella
classe. Non era solo settarismo, ma proprio violenza come metodo, e peraltro
nasceva dal gruppismo soprattutto del MS e MLS (gruppi stalinisti milanesi di
Capanna) e in Avanguardia Operaia (loro corrispettivo trotskista), ma anche in
Lotta Continua. Queste pratiche, di cui facevano le spese i gruppi meno corposi
e meno rappresentati sul territorio, come gli m-l, la sinistra comunista, i
bordighisti, ecc., creavano delle metodologie scorrette dal punto di vista
politico che però si sedimentavano.
Nei rapporti con i gruppi opportunisti di destra rispetto alle
collocazioni che si assumono nel movimento proletario, non è scorretto usare
allorquando avvengono provocazioni, la violenza, sia pure moderatamente. Il
problema non si poteva porre verso i gruppi combattenti, dato che per lo più
agivano quando agivano con provocazione, in maniera clandestina. Tuttavia
queste cose si sono sedimentate e hanno creato delle forme perdenti di lavoro
anche all’interno delle situazioni. Non si era nel potere rosso del socialismo,
eppure lo si simulava, creando così una ridicola ed antistorica imitazione di
ciò che avveniva nella rivoluzione culturale cinese, dove invece il problema si
poneva perché non vi era un nemico contro il quale combattere (lo Stato
borghese) ma vi era tutta una serie di forme di potere ed abusi che chi poteva
compiere, a volte compiva, e quindi si trattava di reprimere una degenerazione
interna al movimento comunista ed al partito comunista ed alla classe operaia e
contadina. Oggi l’esistenza ancora di queste forme di orgoglio e presunzione di
potere, è un retaggio, una maschera piccolo borghese, propria di vari compagni,
che nuoce all’unità delle forze del proletariato nell’assalto rivoluzionario
prossimo venturo. In genere sono le compagne a sputtanare queste cose ed a
permettere di superarle, se sono così palesi da poter essere fermate prima
della degenerazione.
Il centralismo democratico, in forma adeguata al livello storico dei
rapporti sociali, è tuttora il metodo corretto con il quale si deve gestire
l’autorità nelle organizzazioni comuniste. Privarlo del secondo termine,
significa passare a forme estranee alla nostra storia e patrimonio teorico e
pratico, uscire dal marxismo, dal leninismo e dal maoismo.
La decadenza del metodo paternalistico, adatto al periodo in cui gli
intellettuali ed alfabetizzati erano una esigua minoranza e quindi il rapporto
dipendeva molto dalla immagine del dirigente, è una cosa positiva, chi
vuole impedirla mantenendo diviso il proprio gruppo o gruppetto dagli altri,
crea un danno all’intero movimento proletario, che, come comunismo in atto, è
il movimento reale che trasforma e supera lo stato presente delle
cose (Marx).
Cosa significa oggi il termine autorità Politica, o Politico-Militare, o
della Esperienza, quando non esiste ancora né un partito né una guerra popolare
degna di questo nome ? Nel primo e nel secondo caso sono termini
autorappresentativi abbastanza insufficienti dal punto di vista marxista a
giustificare altre cose; dal punto di vista operaio e proletario, dirigente è
l’Esperienza e la Sintesi di cui il dirigente di fatto del contesto specifico
riesce a superare nel migliore dei modi con minori perdite e maggiori successi
possibili, ogni frangente, ogni tornante. (batticuore altrui)
Oramai l’esperienza ha sedimentato metodi organizzativi a un certo
numero di lavoratori e compagni; nel nostro paese ciò che è tuttavia cresciuto
in essa è sempre dipeso anche da una visione mitologica di derivazione
togliattiana e revisionista, che si è rilevata alfine fasulla e corrotta da
concezioni borghesi nella stragrande maggioranza dei militanti del ciclo
politico ininterrotto degli ultimi trentacinque anni ; va evitata
l’ostentazione dell’orgoglio fuori dai contesti di scontro col nemico, ed è
dannosissimo e incalcolabile il rischio di forme di espressione dell’orgoglio
tra i compagni. Può anche generare malintesi ed equivoci che si possono
trascinare per anni e magari, per le circostanze della vita, non risolversi
mai.
In questo, le priorità poste da alcuni verso altri, assumono un ruolo
controrivoluzionario poiché sono quasi sempre servite a ridurre il dibattito e
sfiduciare, allontanandoli, i compagni meno esperti o quelli più sensibili. (male
alle tempie)
Nella logica assunta da molte formazioni rivoluzionarie dalla fine dei
settanta ad oggi, si è assistito al protrarsi di guerre giudiziarie tra
militanti, di guerre carcerarie anche al di fuori delle galere dopo la pena,
alla decadenza alla logica di setta, di clan. (male alle tempie, pressione
sulle mandibole) - (male agli stinchi)
Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse durante il discorso conclusivo alla
seconda sessione plenaria del settimo Comitato centrale del Partito comunista
cinese, il 13 marzo 1949:
“Tracciate due linee di demarcazione. Innanzitutto tra la rivoluzione e
la controrivoluzione, tra Yenan e Sian.” [Yenan fu la sede del Comitato
centrale del PCC dal gennaio 1937 al marzo 1947; Sian fu il centro del dominio
reazionario del Kuomingtang nella Cina del Nord-Ovest.” (provocano
morsicatura lingua) Il compagno Mao Tse-Tung le cita come simboli della
rivoluzione e della controrivoluzione].
“Alcuni non sanno che devono tracciare questo combattono la burocrazia,
parlano di Yenan come se a Yenan non ci fosse stato “niente di buono”, e non
stabiliscono un confronto tra la burocrazia a Yenan e la burocrazia a
Sian. In questo modo commettono un
errore fondamentale. Inoltre, tra i
rangi della rivoluzione, è necessario tracciare una linea di demarcazione tra
ciò che è giusto e ciò che è falso, tra ciò che costituisce un successo e ciò
che è mera insufficienza, e, ancora, è necessario discernere quale di queste
due cose prevale. Per esempio: i successi
sono nell’ordine del 30 oppure del 70 per cento ? Evitare le sottovalutazioni e le sopravvalutazioni ! Occorre valutare globalmente il lavoro di
una persona; e stabilire se i suoi successi sono del 30 per cento e i suoi
errori del 70 per cento, o invece
l’inverso.”
(“Metodi di lavoro dei comitati di Partito”,
in Opere di Mao Tse-Tung, cit., vol.11,pag.91-95)
[Se poi ci sono troppi ,
magari 10 per cento contro 90 per cento di successi, accompagnati da troppa
franchezza politica e disponibilità umana, ecco che si viene odiati. Ma questa
è una cosa che accade nella società borghese e che si riproduce nel movimento
comunista dei paesi imperialisti causa ciò che ci insegnò Engels sulle idee
dominanti. Ed è in questi casi che, nella società della politica come in
quella della mafia, si ha quello che Orsini e i fratelli Taviani
definirono nel 1962 “Un uomo da bruciare”, e non l’ “Uomo che ride”,
di Victor Hugo. Nel movimento comunista questo accade anche quando un compagno
rivoluzionario è troppo conosciuto e stimato, viceversa non accade mai ai
revisionisti camuffati, anche se sono “armati”]
Il Presidente Mao Tse-Tung continuò nel passo citato:
“Se i successi sono del 70 per cento, il lavoro di questa persona va
approvato nelle sue linee essenziali. È del tutto falso asserire che prevalgono
gli errori quando invece prevalgono i successi. Nell’esame di un problema, non
dobbiamo mai dimenticare, quella che
separa la rivoluzione dalla controrivoluzione e quella che separa i successi
dalle insufficienze. Teniamo presenti queste due linee di demarcazione, e tutto
andrà bene; in caso contrario confonderemo la natura dei problemi.
Naturalmente, per tracciare queste linee correttamente, è indispensabile
compiere dapprima uno studio e un’analisi minuziosa. Il nostro atteggiamento nei confronti di ogni persona e di ogni
problema dev’essere costituito dall’analisi e dallo studio.”
(“Metodi di lavoro dei comitati di Partito”,
in Opere di Mao
Tse-Tung, cit.,
Ed.Rapporti
Sociali, vol.11,pag.91-95)
Nel dicembre 1929, il Presidente Mao tse-Tung, affermava dei concetti
che riprenderà meglio nella Critica del liberalismo del 1935. Questo testo
nasce quando l’esercito regolare del regime indipendente della zona di confine
Hunan-Kiangsi aveva assunto il nome di 4° corpo d’armata
dell’Esercito rosso. Per l’organizzazione del Partito comunista in seno
all’esercito e sul suo ruolo, si possono vedere anche nella relazione di Mao
Tse-Tung al Comitato centrale del 1928, intitolata La lotta sui monti
Chingkang, i capitoli Problemi militari e La questione
dell’organizzazione del partito.
Il testo di questa relazione da cui è tratto il passaggio che segue, si
intitola nella più precisa traduzione, Come correggere le idee errate nel
Partito, ma nel libretto rosso del 1967 porta il titolo più trionfalista di
Sradicare le concezioni errate nel Partito.
“Dal punto di vista dell’organizzazione, occorre applicare con rigore il
principio della via democratica sotto una direzione centralizzata, e ciò
secondo le seguenti indicazioni:
1)
Gli organi dirigenti del
Partito devono definire una giusta linea direttiva, devono trovare la soluzione
dei problemi che insorgono, ed erigersi così a centri di direzione.
2)
Gli organismi superiori
devono conoscere bene la situazione negli organismi inferiori e devono
conoscere bene la vita delle masse, allo scopo di avere una giusta base per una
giusta direzione.
3)
Gli organismi del Partito
ai diversi gradi non devono risolvere i problemi alla leggiera. Una volta presa
la decisione, essa deve venire applicata con fermezza.
4)
Tutte le decisioni
importanti degli organismi superiori del Partito devono essere portate
rapidamente a conoscenza degli organismi inferiori e della massa dei membri del
Partito …
5)
Gli organismi
inferiori del Partito e la massa dei membri del Partito devono discutere
dettagliatamente le direttive degli organismi superiori, devono afferrarne
interamente il senso e determinare i metodi appropriati alla loro
applicazione.”
(calci virtuali alle ginocchia)
(“Sradicare le concezioni errate nel Partito”,
in Opere di Mao Tse-Tung, cit.,
Ed.Rapporti Sociali, vol.2., pagg.187-220)
Tutte queste indicazioni presuppongono una esistenza tutt’altro che
astratta o divina degli organismi di Partito, ossia di quelle funzioni vitali
permanenti che danno all’insieme del Partito ed alla sua linea politica i
correttivi e gli indirizzamenti necessari a non uscire dal seminato e a
svolgere al meglio i compiti. Questo presuppone il materialismo dialettico e
l’analisi della realtà, la verifica pratica delle cose e la massima libertà
possibile ai vari livelli di organizzazione rispetto ai lacci e lacciuoli
sociali e propri del conflitto che si frappongono al raggiungimento dei nostri
compiti. Per questo motivo non si sta
qui parlando, all’inizio della guerra popolare cinese, quando dopo i massacri
di Canton e Shangai i comunisti decidono di intraprendere una diversa forma di
guerra, a pochissimi anni dalla fondazione del Partito e mentre in altri luoghi
del mondo i capitalisti subiscono i contraccolpi della propria crisi generali
oppure danno mano libera ai propri sciacalli onde costruire regimi
dittatoriali, degli organismi dirigenti di un gruppetto o di una piccola
organizzazione e tantomeno di una setta religiosa, ma di un organismo complesso
e vivo quale è un Esercito popolare.
All’interno del quale il Partito ha un suo ruolo non in termini tanto formali, quanto in termini sostanziali, e questo perché questo
suo ruolo se lo costruisce e perfeziona di giorno in giorno. Viceversa si
avrebbe solo un organismo di combattimento popolare, e non un Esercito Popolare
(allora si chiamava Esercito Rosso, o Armata Rossa). Questo perché un Esercito presuppone una guerra e non solo un
conflitto, ed una linea, che nel caso di una guerra popolare non riflette i
modi di pensare e di fare la guerra degli eserciti borghesi o semi-feudali, ma
quelli dell’interesse generale rivoluzionario, del quale solo un Partito
Comunista autenticamente tale può garantire il rispetto.
Il Presidente Mao Tse-Tung ci disse in una conferenza dei lavoratori della cultura e dell’istruzione della regione di confine Shensi-Kansu-Ningsia, il 30 ottobre 1944:
“Per stabilire uno stretto contatto con le masse occorre conoscere le loro esigenze ed i loro desideri. In ogni lavoro con le masse occorre partire dalla conoscenza delle loro esigenze e non da moventi puramente personali, anche se lodevoli. Spesso avviene che nelle masse l’esigenza di determinate trasformazioni esista già oggettivamente, ma la consapevolezza soggettiva di questa necessità non è ancora maturata in loro; esse non sono ancora decise, né provano alcun desiderio di mettere in atto queste trasformazioni: allora noi dobbiamo attendere pazientemente; e solo quando, come risultato del nostro lavoro, le masse nella loro maggioranza avranno piena coscienza della necessità di realizzare decisamente e volontariamente determinate trasformazioni, solo allora, bisognerà attuarle, altrimenti si corre il rischio di allontanarsi dalle masse. Ogni genere di lavoro in cui la partecipazione delle masse è necessaria si trasformerà in una vuota formalità, e fallirà totalmente, se le masse non saranno consapevoli della necessità di questo lavoro e non avranno manifestato il desiderio di parteciparvi volontariamente. . . . In questo caso agiscono due principi: il principio delle esigenze reali delle masse, e non di quelle immaginarie, esistenti soltanto nelle nostre menti, ed il principio della volontà delle masse, della decisione manifestata dalle masse stesse, e non di quella che noi manifestiamo per loro.”
“Il fronte unico nel lavoro culturale” (30 settembre 1944),
Opere scelte di Mao Tse-Tung, vol.III, titolato “Il fronte unito nel lavoro culturale” nel vol.8 delle Opere di Mao Tse-Tung, cit., Edizioni Rapporti sociali)
Queste tre ultime citazioni ci portano a capire la necessità di attenerci strettamente ad alcuni principi metodologici di fondo:
a) Noi comunisti interveniamo tra le masse non come corpo estraneo né come evangelizzatori, ma intelligentemente come parte cosciente di esse.
b) Noi comunisti cerchiamo di suggerire ciò che occorre comprendere come necessario, ma ci atteniamo alla valorizzazione di ciò che le masse sentono e percepiscono come necessario, alla fine dei conti.
c) In questo noi comunisti agiamo sia come volano sia come approfonditori della risoluzione tramite la lotta e non tramite la mediazione.
d) In assoluto noi non ci dimostriamo incapaci di discutere, anzi, ma nella pratica dimostriamo che ignoriamo le false discussioni.
e) Noi comunisti non veneriamo i nostri dirigenti, li riconosciamo all’interno di un pensiero guida e di un metodo politico e di una ideologia m-l-m nella misura in cui mantengono il loro ruolo, operiamo nel rispetto e nella chiarezza verso le masse, affinché siano esse alla fine a pesare nelle cose.
f) Noi comunisti non cerchiamo di esasperare le contraddizioni in seno al popolo, ma al contrario, di ricondurle all’unità degli intenti del rispetto, della pace, della democrazia e del benessere. Non costruiamo la guerra in seno al popolo, ma tra il popolo ed i nemici della pace, della democrazia, della libertà più autentiche e non semplicemente formali.
g) Noi comunisti sappiamo attingere al cuore ed alla sensibilità delle masse perché ne siamo parte ed avanguardia: diversamente non siamo ancora, o non siamo più, comunisti.
h) Noi comunisti non ci isoliamo in piccole unità ma cerchiamo di costruire dall’unità di poche avanguardie con il metodo della chiarezza l’unità, nella linea rivoluzionaria, delle grandi masse sfruttate contro sfruttatori e parassiti.
Attraverso il rispetto di questi principi è possibile passare dall’agitazione e dal sostegno, dalla solidarietà e dalla semplice declamazione, all’attacco ed all’unità delle masse per determinati obiettivi specifici e più in generale per conquistare passaggi politici, ossia il rispetto NELLA PRATICA dei principi che le masse esigono nei loro cuori ed esperienza, al di là e contro gli steccati e le falsità di cui sono intrise le istituzioni borghesi e falsamente rappresentative.
Ma non basta: quando Mao ci parla della “coscienza delle masse”, non esclude differenze e contraddittorietà in questa “coscienza” al loro interno (delle masse). Questa “coscienza” è un grado di consapevolezza che si esprime diversamente tra le situazioni su scala geografica (località), di lavoro (professioni ed attitudini, esperienze più o meno collettive, più o meno interdipendenti, livelli di gratificazione e di alienazione individualizzati dal processo produttivo di plusvalore, o dalla via di fuga scelta dal singolo lavoratore di fronte alla crisi), sicché quando si parla di “coscienza” delle masse non si intende uniformemente un punto di vista su una singola questione, ma quella “idea generale” della situazione che Lenin pone, nell’essere divenuta coscienza di una intollerabile condizione, tra le tre condizioni della rivoluzione proletaria.
Il Presidente Mao Tse-Tung, nella Conversazione per i redattori del Quotidiano dello Shansi-suiyuan, ci disse:
“Se noi cercassimo di passare all’offensiva nel momento in cui le masse non hanno ancora preso coscienza, cadremmo nell’avventurismo. Se noi volessimo a tutti i costi indurre le masse a fare qualche cosa contro la propria volontà, sbaglieremmo infallibilmente. Se non avanzassimo, mentre le masse chiedono di avanzare, cadremmo nell’opportunismo di destra”.
cit., vol.10, pagg.180)