Anche dalle notizie peggiori a volte si possono trovare spunti
utili per capire come va il mondo da quando è governato da un’unica
superpotenza: il paese degli yanqui. E’ di questi giorni la notizia che in
Myanmar - fino a pochi anni fa conosciuto come Birmania - si stanno svolgendo
delle rivolte popolari, ufficialmente innescate dal triplicamento del costo
della benzina, contro la giunta militare guidata dal generale Than Shwe, che
vedono alla testa del movimento i preti locali - essendo questo un paese a
stragrande maggioranza di religione buddhista si tratta dei famigerati bonzi
(gli stessi che da decenni pretendono - con l’aiuto di una parte della comunità
internazionale - di avere un loro stato confessionale nella regione del Tibet,
attualmente divisa tra Cina, Nepal e Bhutan) - che marciano, insieme con
moltissimi cittadini, nelle strade della ex capitale Yangoon (ex Rangoon) per chiedere
la democrazia di tipo occidentale. “La
nuova enciclopedia geografica Garzanti”, nell’edizione del 1988, definiva il
Myanmar - all’epoca ancora Birmania - «una repubblica socialista, che in base
alla costituzione del 1974, affida il potere legislativo al congresso del popolo
(475 membri) eletto nelle liste uniche del Partito del programma socialista
birmano»; ecco spiegato tanto livore da parte dell’occidente contro questo
paese asiatico: è uno dei pochissimi stati socialisti rimasti, e come tale non
può essere tollerato dagli yanqui e dai loro fedeli sudditi.
La giunta militare al
potere ha scatenato una sanguinosa repressione, in stile “macelleria messicana”
tipo G8 di Genova 2001, contro i manifestanti - almeno 15 morti in due giorni -
e a sorpresa contro i giornalisti (ucciso un fotoreporter giapponese – forse è lo
stesso fotoreporter presente a Genova per il G8); ci chiediamo come questo sia possibile,
dato che la stampa occidentale - ivi compresa quella di falsa sinistra come “il
manifesto” o “Liberazione” - ha sempre dipinto questo paese come uno dei più
isolati del mondo, dove i giornalisti non possono entrare: se così fosse
realmente, se non si trattasse di pura propaganda occidentale, non ci sarebbero
a disposizione filmati e foto della repressione. Che ci abbiano sempre
raccontato fandonie?
P.S.: “il manifesto” di sabato 29 settembre riporta la notizia che
gli yanqui non gradiscono continuare a chiamare questo paese col proprio nome,
ma vogliono tornare al nome coloniale, Birmania; i giornalisti del ‘quotidiano comunista’
si sono subito adeguati: escluso Piergiorgio Pescali tutti gli altri sono
subito corsi a chiamarlo come l’avevano battezzato gli sfruttatori inglesi. Bell’esempio di autonomia dal potere!
Stefano Ghio
Torino, 30 settembre 2007