È in Perù e in Turchia, processi rivoluzionari in cui è dominante o molto importante il maoismo, che la repressione è stata più selvaggia e di massa che altrove, sin da quindici anni prima che in Afghanistan nel 2001, a parte la mostruosità del complesso repressivo “israeliano” (ancor oggi) e del Libano meridionale (fino al 2001). In Italia il massacro è più selettivo e diluito, ora tecnologico, mentre per anni ed anni è stato endogeno, come oggi è in Brasile e molti altri paesi.


ESTRATTO DELLA “PARTE I”

DEL “SISTEMA CARCERARIO”

Un sistema che non solo si pone in antitesi ai suoi stessi principi fondativi (l’“Umanità” della pena della privazione della Libertà), confortando noi comunisti della inesistenza di qualunque soluzione ai problemi della “devianza” all’interno di un sistema sociale che ne è motore e fucina, ma che è da svariati decenni in Italia uno dei più avanzati laboratori di annientamento e mediazione sociale che il capitalismo occidentale sia stato in grado di mettere in campo [NOTA 15]. Dietro all’avanguardia statunitense in materia di sedia elettrica e di annientamento della tortura bianca, dietro ma non di molto alle pratiche di isolamento del regime detentivo tedesco, è avanti a tutti nella capacità di sperimentare forme di annientamento che salvaguardino la “facciata” di “democrazia” e “diritto” necessaria al contenimento dei conflitti nella società.

La contestazione sociale del 1968 e degli anni successivi portò il nostro paese a rimettere in discussione un po’ tutte le istituzioni sociali; le istituzioni totali impattarono con la contestazione a tutti i livelli, venendone sconvolte: nacque così l’antipsichiatria, che elaborava diverse strategie di affrontamento dei problemi della emarginazione sociale e della malattia mentale e che giunse alla riforma Basaglia; e nacque un movimento di lotta dei detenuti, spesso sostenuto da organizzazioni politiche della sinistra che, controvoglia ma forzatamente, sin dal 1968 dovettero conoscere il carcere in misura crescente e massificata; il caso Valpreda permise di rimettere in discussione l’operato della magistratura, per la prima volta in maniera clamorosa e in un caso politico; il caso Pinelli permise di aprire uno squarcio sull’operato delle forze dell’ordine, ma questi due casi divennero tali solo dopo un periodo abbastanza lungo di criminalizzazione del movimento di contestazione e del movimento anarchico in particolare. Definire bombaroli gli anarchici per coprire le mani assassine degli stragisti legati a doppio filo ai servizi segreti per influenzare la politica e legittimare le parti più fasciste delle forze dell’ordine e della magistratura nel loro operato antisociale, è stato all’epoca un gioco da ragazzi, finché la sinistra istituzionale non si svegliò. Come sempre, in ritardo storico, e per breve tempo. Poi, tornò il cupo colore della repressione.

Nelle carceri, la contestazione sociale e politica di un ampissimo movimento di lotta dei carcerati (di cui molti ancora pagano con condanne lunghissime il prezzo, restando reclusi dopo 30 anni di galera) portò a molti miglioramenti solo nel 1975, con la riforma, ottenuta al prezzo di 7 anni di rivolte e di proteste anche inoffensive; prima della riforma praticamente il detenuto italiano non aveva diritti, nemmeno di leggere i giornali, e le poche cose che c’erano erano dovute ai cappellani od alle officine interne di lavorazione; la riforma apre invece al concetto di recupero sociale delle persone detenute, ai diritti soprattutto, inerenti il vitto, il decoro e gli abiti (poter vestire con i propri abiti), lo studio, l’accesso alle fonti di informazione, i colloqui, i pacchi. Però rimasero pochi gli educatori e gli assistenti sociali che con il tempo, soprattutto oggi, contano sempre meno nelle prigioni.

Questa situazione diventò impossibile da gestire per potere democristiano quando allo scontro politico tra componenti rivoluzionarie nel carcere e fuori da una parte, e lo stato dall’altro, si aggiunsero numerose le evasioni in moltissime carceri.

Ecco che il governo, all’inizio del 1977 seguì le idee espresse dal noto Andreotti e nell’estate istituì il circuito differenziato, ossia un certo numero di carceri e di sezioni ove le regole ed i diritti erano molto più pesanti e limitati. In queste carceri, all’inizio sei-sette, vennero trasferiti da un giorno all’altro circa 700 prigionieri, di cui meno della metà politici e gli altri scelti tra i detenuti che con il rispetto di cui godevano e la stima che si erano conquistati nelle lotte degli anni precedenti, erano in grado di mobilitare le carceri nelle proteste. La guida di queste carceri venne delegata al generale Dalla Chiesa, che si era già conquistato la fama in una strage inutile e gratuita con la repressione di un tentativo di evasione da Alessandria nel 1974. Questa opinabilissima scelta del governo democristiano si fondava sulla importanza attribuita al contenimento al controllo ed allo spionaggio sulle componenti più ribelli delle carceri, e si tradusse nei fatti nella costruzione di autentici Kampi, come venivano chiamati dai prigionieri per la durezza e la spietatezza delle condizioni interne di vita, ove non mancava violenza, negazioni, totale isolamento dalle famiglie, ed anche spesso omicidi. Va detto che il sistema interno di controllo di questi carceri avrebbe in teoria dovuto evitare proprio gli omicidi, ed invece questi accadevano con facilità inaudita: spesso venivano trasferiti insieme nella stessa sezione detenuti nemici tra loro od addirittura detenuti che avevano accusato altri insieme a quelli che erano stati accusati.

La situazione di queste carceri era così terribile che il governo e la sua articolazione carceraria, che allora si chiamava Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena (ora DAP), la quale dirigeva il lavoro del corpo degli Agenti di custodia (ora Polizia penitenziaria), ritennero di dover restringere ulteriormente le condizioni di vita e di sicurezza di queste sezioni, da una parte istituendo delle speciali sezioni dette “braccetti morti” (tra cui Foggia, il più tremendo, una sezione di Pianosa, Ascoli, ed altri), dall’altra applicando a tutto il circuito delle sezioni speciali di massima sicurezza (dette oggi di Elevato indice di vigilanza, sostanzialmente Trani, Palmi, Asinara, Nuoro, Novara, Cuneo, Fossombrone, a cui negli anni si aggiunsero Voghera per le donne -poi Latina-, ed altri istituti costruiti successivamente) il famigerato articolo 90, cioè in pratica venivano tolti tutti i diritti compresi quelli dei pacchi nella misura e a seconda delle decisioni dei direttori e del Dipartimento.

Questa situazione di totale negazione dei diritti, sostanzialmente a quel punto in gran parte per i prigionieri politici, perdurò sino alla fine del 1985, quando, dopo molte contestazioni e qualche rara critica di pochi garantisti, il direttore del Dipartimento, l’ex giudice Amato, decise di togliere l’articolo 90, forse anche perché il numero dei prigionieri politici irriducibili, causa la dissociazione di circa 2.000 di essi, era ridotto ad alcune centinaia e quindi controllabile con misure ancora pesantissime ma non più “eccezionali”. Lo Stato voleva dimostrare, dopo gli anni delle torture e dei lager e braccetti della morte, di poter garantire delle condizioni di vita meno disumane, definendole “più umane”.

Cosa c’è di umano in una cella ?

L’anno dopo venne la seconda legge di riforma, la Gozzini, che aprì le porte delle carceri anche agli ergastolani, con il lavoro esterno sostanzialmente, ed istituì la liberazione anticipata. Da allora il numero degli omicidi in carcere è calato drasticamente: si è data una speranza, spesso solo sulla carta, anche ai “duri” delle carceri, a chi non aveva “niente da perdere”.

L’emergenza creata nel paese dai potenti e dalla mafia, utile a far dimenticare Tangentopoli, servì nel 1992, dopo l’attentato a Falcone, che era un giudice antimafia scomodo a molti nel potere centrale, a far decollare un nuovo restringimento alla vita carceraria.

Si disse che era una misura utile a combattere la mafia, ma servì a creare nuovamente un circuito ulteriormente differenziato, (ancor più della massima sicurezza-dal 1998 denominato Eiv – che rimase attivo-), ossia il famigerato articolo 41 bis, sulla base del quale si è istituita di fatto la tortura in Italia, come Amnesty International e non solo qualche avvocato preso di mira dallo Stato ed i radicali, hanno più volte documentato in rapporti ufficiali internazionali.

Con il 41 bis, si è creato un nuovo circuito di sezioni o padiglioni interno alle carceri, sostanzialmente una dozzina di carceri hanno sezioni 41 bis ove vivono circa 700 detenuti. Nel circuito Eiv ne rimangono circa 400, mentre il Dipartimento ha ulteriormente, con la direzione del giudice Caselli nel 1999, esteso e massificato l’emergenza carceraria estendendo massicciamente una via di mezzo della sicurezza, il circuito Alta sorveglianza A.S., e facendolo diventare di fatto un circuito speciale a tutti gli effetti. Sicchè oggi ci sono in Italia 8.000 – 8.500 detenuti che hanno diritti molto più limitati dei detenuti “comuni” e ai quali l’usufruire dei benefici penitenziari è praticamente impossibile, nonostante per legge questi possano essere ottenuti solo dopo metà o 2/3 della pena.

In parte questa situazione era stata parzialmente attenuata come pesantezza dalla legge del nuovo regolamento penitenziario del 30.6.2000 (che sostituiva quello del 1976 successivo alla riforma del 1975), regolamento che estende a tutti, una serie di diritti, come le 6 ore di colloquio al mese invece di 4, la telefonata settimanale anziché le due telefonate al mese, i 20 Kg. di peso dei pacchi ogni mese, il computer in cella per ragioni di studio, ecc., con determinate esclusioni ai circuiti Eiv e 41 bis. Cose ottenute sostanzialmente con il ciclo di proteste sorte nella primavera del 2000 per l’indulto generalizzato e l’abolizione dell’ergastolo, che erano chiaramente obiettivi qualificanti e politici per il proletariato prigioniero, con gli scioperi prolungati e le lotte di massa di Rebibbia, Opera [NOTA 16], Genova e Torino, ecc, cui certo l’entrata in campo del Papa nel luglio 2000 a Regina Coeli non tolse il carattere di contestazione forte e radicale che il popolo delle carceri espresse a partire dal clamoroso pestaggio di massa di Sassari, che seguì altri gravi episodi come la morte di un detenuto a Parma subito dopo la repressione di una protesta [NOTA 17].

Nel 41 bis ancora oggi per poter telefonare ai familiari, questi devono recarsi in un carcere vicino alla propria residenza, non possono ricevere a casa la chiamata; in molti carceri effettuano colloquio dietro il vetro blindato, senza poter accarezzare la mano ai propri cari.

Soprattutto i detenuti in 41 bis, ma anche quelli del circuito Eiv ed As, hanno poi quasi totali impedimenti a vedersi accordare benefici e permessi, spesso impossibili per i divieti emergenziali dell’articolo 4 bis della riforma, aggiunto nel 1992, che vieta talune concessioni a chi è stato condannato per reati di mafia, “terrorismo”, sequestro di persona con omicidio, traffico internazionale di stupefacenti, qualora persistano dubbi sullo svolgersi dei fatti di reato o, nel caso dei rati di “terrorismo”, non vi sia una declaratoria di resa, più o meno esplicita nell’assenza provata di “contatti” che vengono individuati in pratica nell’interesse perdurante o meno alla politica.

Questi divieti oggi sono una normalità anche per motivi sanitari, dato che si impedisce praticamente di curarsi o farsi visitare in ospedali pubblici e si cerca di trasferire i detenuti che chiedono esami specialistici nei “centri clinici” (i più terribili sono notoriamente Parma ed Opera) e sezioni bunker ospedaliere (tra le più allucinanti quella delle Molinette di Torino) –delle specie di lager mascherati da ospedali interni alle galere– anche per semplici visite ortopediche od audiologiche. Infatti dal giugno 2003 è scaduto il decreto Bindi che gestiva le prestazioni specialistiche nelle carceri, e il Dipartimento non avendo più il fondo di spesa ha tolto moltissime prestazioni specialistiche esterne da quelle prescrivibili dai medici delle carceri, che a loro volta sono una categoria un po’ più corporativa e carceraria che sanitaria di quanto la Costituzione non vorrebbe.

Questa situazione è ben conosciuta in Europa oltre che da deputati ed avvocati italiani, e dalla inadempiente Commissione Carceri di Montecitorio [NOTA 18], ed ha portato più volte a condannare l’Italia per violazione dei diritti umani dei carcerati. Amnesty International ed il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura sedente a Strasburgo si sono più volte pronunciati, e non solo sulle gravissime condizioni di vita in carceri giudiziari sovraffollatissimi come San Vittore, Marassi, Poggioreale, ecc., ma anche e specificamente sulle sezioni speciali, ma senza ottenere grandi risultati.

Infatti anche nella “sinistra” istituzionale nel nostro paese, con rare e timide eccezioni, permane una cultura punitiva e di lassismo nei confronti di queste situazioni, che comportano oltretutto la morte per suicidio di 50-70 detenuti all’anno e la morte per motivi di salute per circa 200 detenuti ogni anno; detenuti ai quali spesso non è concesso da Magistrati di sorveglianza –allarmati ed impediti dall’opinione pubblica– neppure di morire in un letto di ospedale.

La mancata concessione di un indulto generalizzato da oltre 25 anni è ben coerente con questa realtà “speciale” per un paese che vorrebbe dirsi importante, ricco e democratico come il nostro.

La logica cui si è ispirato il braccio statale dell’ “amministrazione penitenziaria”, lungo diverse legislature, e specialmente da quando la “emergenza antimafia” è divenuta la norma per migliaia di detenuti, è stata come dicevo più volte smascherata da organismi internazionali di osservazione sulle carceri e sui trattamenti inumani e degradanti.

Non comprendendo nell’impegno umano e politico in carcere la denuncia delle condizioni di sopravvivenza e le politiche di annientamento per puro filantropismo garantista, come comunista mi devo rimboccare le maniche anche su quegli aspetti che meno appaiono “centrali” e “qualificanti”, pur senza sovrappormi alle espressioni del proletariato prigioniero, ma dialettizzandomi però alle sue esigenze, anche quando sono diverse dalle mie, in maniera dialettica e non solo critica come fossero “estranee” alla lotta di classe le necessità di chi è privato della Libertà. Per questo dò una valutazione positiva delle lotte e proteste di massa anche quando sono ad un livello basso di conflittualità: in particolare a quelle del 2000, molto meno a quelle del 2002. Queste infatti sono state in qualche modo preparate a tavolino in maniera concordata con l’apparato in un tentativo di costruire anche giustamente il “diritto” alla lotta nelle carceri (ancor oggi una semplice raccolta di firme può costare rapporti disciplinari, licenziamenti, trasferimenti) su una rivendicazione però troppo legata ai “tempi” dei parlamentari e del Papa (tipica la sospensione delle lotte nel novembre 2002), per poi mancare l’obiettivo minimo di un indulto comunque generalizzato. Potenza del medioevo, e non certo colpa ma limiti, delle lotte, a testimoniare il grado cui si è giunti nella capillarità del controllo e della cogestione carceraria !

Non menziono questi passaggi per interesse personale, dato che non mi avvalgo né di “programmi trattamentali” né chiedo alcun beneficio alla “amministrazione” di questi magazzini senza speranza di carne umana che sono oggi le carceri italiane, bensì per far notare a codesta Corte come in realtà le Vostre condanne non sono a ciò che la legge prescrive, ma a trattamenti del tutto in contrasto persino con lo spirito Costituzionale comunque interclassista sorto dalla Resistenza Partigiana e con l’Eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Eguaglianza del resto che l’attuale esecutivo, con qualche eccezione per la famiglia reale di un tempo, intende verso la restrizione e non verso il “favor rei”. Leggi del resto continuamente eluse e glissate da montagne di circolari ministeriali e disposizioni interne arbitrarie.

Migliaia e migliaia di detenuti “speciali” (oramai la “emergenza è estesa a tutte le galere) e decine di migliaia di detenuti nelle carceri “normali” (la normalità dell’orrore) patiscono così da 12 e passa anni, grazie agli “onestissimi” Scotti e Martelli [NOTA 19], ed a tutta la classe politica, che necessitava di sfuggire al capestro di Tangentopoli, oltre all’emergenza “antimafia”, una condizione di oggettivo abbandono e di illegalità delle Vostre stesse strutture, come per esempio nell’inapplicata giurisdizionalità sui reclami bocciati o privi di risposte che il singolo detenuto o gruppi collettivi di detenuti con raccolte firme, avanzano.

Il mostro burocratico della Cassazione tuttavia non può certo, come del resto non possono gli “oberatissimi” Magistrati di Sorveglianza, rispondere a tutti i ricorsi dei detenuti in tempi tali da costituire un freno agli abusi di Direttori e Comandanti carcerari, più spesso di questi ultimi, tesi sempre più a “limare” diritti secolari acquisiti.

L’istituzione ora dei difensori civici non si traduce in una nuova stabile presenza interna alle galere ma solo in una figura aggiuntiva che può avere accesso alle carceri senza preavviso, come già possono del resto parlamentari nazionali e regionali, ai quali tuttavia non è possibile scrivere senza il controllo della censura a chi è sottoposto a questa misura. Ben poco, con 134 morti senza causa accertata in 25 mesi nelle carceri italiane (uno alla settimana di media) [NOTA 20], solo per restare alle cifre più recenti, e senza considerare suicidi, tentati suicidi e pestaggi [NOTA 21].

Con dei Magistrati di Sorveglianza in genere supini, intimoriti dallo strapotere della categoria emergente dei facenti funzioni direttive ufficiali di rango della Polizia Penitenziaria, elevata a corpo politico dall’esecutivo con funzioni anche di repressione sociale esterna alle carceri nelle giornate di Genova del 2001, [NOTA 22] spinti ad un orientamento forcaiolo di chi concepisce gli anni, le decine di anni, di carcere, ed il carcere a vita persino, (contro l’orientamento abrogativo del 1998 che pareva accolto dall’opinione pubblica nella legislazione precedente), non come un periodo al massimo di privazione della libertà in senso lato, bensì come un indiscutibile periodo di pena edittale da scontare sino all’ultimo giorno senza alcun “cedimento” né per motivi di salute (visto l’orientamento supino al Ministero, della corporazione della “Medicina Penitenziaria” -diretta dal reggente il centro clinico del carcere di Pisa- corporazione a cui, ho scoperto, sono aperte le iscrizioni a qualunque altro medico, per rafforzarne la potenza) né per motivi di umanità, fatta eccezione per i nomi famosi.



Quasi che la boria vendicatrice di “vittime” spesso neppure esistenti, come nei casi dei “reati associativi contro la personalità dello Stato” (altra aberrazione giuridica di cui van fieri i paladini del giustizialismo di tutto l’arco parlamentare) debba apparire in incubi quotidiani ad uomini e donne già privati della cosa più cara ed importante della vita (in ordine di importanza seconda solo alla Dignità), la Libertà, nonché vessati ed umiliati da norme il più delle volte restrittive, o, se liberali, inapplicate.

In questo modo, dopo aver superato con la emergenza “antimafia” la fase pre-rivoluzionaria dell’inizio degli anni ’90 creatasi nel nostro paese dal binomio Tangentopoli-Guerra Imperialista, dei processi alle associazioni a delinquere di regime e le tante condanne a piede libero dei loro caporioni dopo il riciclaggio dei vari Cubani, Segio, Sofri, a “difensori d’ufficio e del niente” non richiesti né eletti dal popolo delle carceri, dopo la castrazione dell’intervento del volontariato, dopo la fondazione dei GOM e dell’UGAP sulle ceneri dello SCOP, si intenderebbe ora nell’epoca della “tolleranza zero” per gli immigrati e della “certezza” della pena, da parte di un’esecutivo fascista nella sostanza, eludere quelle che sono le regole del rispetto della vita dei carcerati e delle loro condizioni di libertà residue non negate dalla privazione della libertà in senso lato, ossia dalle regole del diritto penitenziario, sino a giungere alla NEGAZIONE DELLA LIBERTA’ E PRIVATEZZA DEL PENSIERO STESSO (cioè ben oltre la negazione della libertà di espressione, ma proprio alla negazione del diritto al pensiero, ossia la soglia massima della tortura e della violenza contronatura su una persona che si rappresenta come una morte che continua senza arrivare mai).

Ma quale diritto, niente da dire dunque, a sentir parlare il ghigno feroce del Guardasigilli, ed a calcolare qual è la vita effettiva di chi come il sottoscritto vive questa allucinante esperienza del controllo mentale totale ?



DEL DIRITTO

Il vostro diritto, monopolio della violenza e della coercizione non è né democratico né tantomeno cristiano, è semplicemente classista.

Per il Vostro diritto e quindi per Voi, è molto più grave rapinare una banca di 20 milioni di lire che sottrarre al fisco, rubando a tutti, 20 miliardi al giorno. Per il Vostro diritto e quindi per Voi, è molto più grave sequestrare e liberare vivo un ricco possidente piuttosto che sequestrare e stuprare una comunità indigena, perché ai primi date comunque 30 anni di galera, e coi secondi, in Colombia o in qualsiasi paese del terzo mondo, ci mantenete rapporti economici, politici, diplomatici. Per il Vostro diritto e quindi per Voi, Milosevic è stato un presidente della repubblica criminale di guerra, perché era inviso alla politica degli USA, e invece Fujimori, Uribe, Banzer e Pinochet, Gualtieri e Marcos, Ecevit e Sharon, tanto per fare qualche nome, sono o sono stati dei legittimi presidenti della repubblica.

Oggi che l’ambito giuridico e penale è divenuto globale, per Voi sono molto più colpevole io che sono accusato di qualche graffio ad una palazzina piuttosto che gli ufficiali americani che hanno fatto morire 21 innocenti al Cermis o quei generali che hanno ordinato quelle manovre militari che hanno portato all’abbattimento del DC-9 dell’Itavia sui cieli di Ustica nel 1980. Per Voi sono molto più colpevoli dei tossicodipendenti che si massacrano tra loro per una bustina che non quei criminali di guerra in divisa USA che nelle strade di Caserta hanno fatto l’”arancia meccanica” a dei giovani del luogo.

E sono cose normali, quotidiane. Per i Vostri carabinieri e poliziotti è molto più grave toccare gli interessi costituiti che non massacrare dei giovani in piazza o al coperto nelle vostre caserme. Non a caso i primi sono stati fondati dai Savoia due secoli fa ed i secondi erano all’inizio dell’istituzione del corpo, degli ex-spioni della mala meridionale passati dall’altra parte del fossato a stuprare le donne dei loro ex-amici.

Cinicamente, la logica che sottende a questo sistema giuridico indicato dall’Europa come il peggiore del continente (non considero europea la Turchia, questo è uno schiaffo all’intelligenza voluto dagli interessi politici ed economici dell’imperialismo principalmente yankee, come il perorato ingresso di “Israele” chiesto dai ben strani aderenti alla Lista Pannella-Bonino, “partito radicale” ben diverso da quello che negli anni settanta metteva in crisi la cultura ipocrita della buona borghesia settentrionale), ossia la logica del “peccato”, della “punizione” e della “redenzione condizionata all’abiura”, sono i capisaldi di una struttura penitenziaria che pare ondivaga a seconda dell’umore più o meno cristallizzato dell’assenza della regione, agitato da anchorman panzuti e da cronisti d’accatto su media sempre più monopolizzati e controllati, (omogenei attorno all’argomento del giorno, della settimana, molto più raramente del mese perché ad uno scandalo va fatta seguire una celebrazione, quindi una tragedia e poi solo dopo si potrà parlare di un altro scandalo, altrimenti crolla tutto il sistema della “fiducia dei cittadini” -SIC quale fiducia ?-) su cui far ruotare tutta la censura e la manipolazione dell’informazione sulle altre questioni, che poi sono quelle di sempre, il malessere oramai endemico e strutturale a tutte le generazioni e classi sfruttate, il carovita costantemente esponenziale, la disoccupazione che spinge al lavoro nero all’extralegalità all’alcolismo ai drammi familiari, la chiusura ed il ridimensionamento delle strutture industriali (agli industriali conviene oggi il furto finanziario, immobiliare, turistico e commerciale, quando non la delocalizzazione in paesi meno sviluppati e lontani -ove i salari sono molto più infimi di quelli italiani- come Cirio e molti altri casi dimostrano, tanto il valore aggiunto ricavabile con certe operazioni è incommensurabilmente maggiore dello sfruttamento di migliaia di “braccia” -come vengono considerati gli operai, pur impegnatissimi nel livello tecnologico dei macchinari attuali !-), la privatizzazione selvaggia, i morti sul lavoro ed a causa dello sfruttamento del lavoro (gran parte dei morti sulle strade sono causati dai mezzi pesanti o dai problemi dati dalla “velocità” schizoide dei processi produttivi di oggi –nonostante internet, anzi forse anche per internet, le merci devono correre sempre più veloce-), la distruzione dell’ecosistema, la follia del capitale elevata a legge universale, la perdita dei valori comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne –meno recettive in questo senso dell’anomalia da basso impero di questo grado di sviluppo delle società capitalistiche ‘avanzate’-, l’esibizionismo ed il sessismo più squallidi ed impersonali, IN UN SISTEMA DI MORTE E MERCIFICAZIONE SELVAGGIA mascherato da ipocrisie, paure, luci e palcoscenici come mai prima d’ora.

IL CAPITALISMO IMPERIALISTA.

Per i falsi democratici, il sistema “migliore”.

Per noi comunisti, l’ultimo stadio della barbarie dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, prima della Liberazione Rivoluzionaria delle energie e potenzialità di ogni persona, nella società Comunista, che chiamiamo tale in quanto SENZA GALERE.



DEI PROCURATORI

Un guasto della specularità della politica critica dell’ex area governativa di centro-sinistra verso l’attuale area governativa fascistoide è che per contrastare la politica di auto-difesa personale del presidente del consiglio, i primi riprendono ancora una volta le difese della categoria più discutibile e plenipotenziaria della storia italiana dell’ultimo trentennio, ossia di quella corporazione di potere (sorta spesso dai commissari come Di Pietro e dagli ufficiali dei carabinieri, e debordata più spesso ancora ad altre cariche della magistratura) che più di qualunque altra si è “presa la responsabilità” di difendere il capitale e la borghesia dall’assalto al cielo della rivoluzione proletaria. Stando dalla parte sbagliata con la massima liberalità verso i propri mezzi e sistemi (dalle unghie strappate degli anni ’50 alle finestre aperte del ’69 agli elettrodi sui ciglioni dell’82 al controllo mentale totale di oggi) e al contempo con la massima determinazione politica a mantenere stabilmente legato agli interessi della borghesia imperialista, il baricentro della politica. Salvo poi incappare in incidenti di percorso inter-borghesi più o meno frequenti, costoro oggi occupano tutte le cariche strategiche dello Stato borghese, e lo fanno da corporazione (se Berlusconi dice di abolire l’appello per gli assolti, Grasso subito dopo afferma che l’appello è da abolire e basta), così che questi fattori e tanti altri definiti non a caso genericamente “crisi della giustizia” non sono sufficientemente mascherati da far iniziare a porre dei dubbi in Europa, -pur ubriaca di ovazioni autocelebrazioni e progetti neo-costituzionali da insalata andata a male- (Nota 23) sulla salute mentale del nostro paese, in quanto gli uomini di cultura stanno iniziando a comprendere sempre più coscientemente che in Italia siamo già dentro un nuovo ventennio fascista, il problema è che è un fascismo “bi-partisan” e che quindi le forze della resistenza sono molto più deboli e confuse, in quanto ancora una parte del popolo segue gli “eredi” del vecchio Pci.

Facile quindi capire che le motivazioni di un prigioniero rivoluzionario che venga brutalmente allontanato nel circuito penitenziario dai luoghi di prigionia degli altri compagni (in una logica “tedesca” che si sta estendendo, oggi sono circa la metà i prigionieri rivoluzionari che sono soli in un carcere nel nostro paese), come è avvenuto a me nel 1996 e nel 2002, siano così poco accettate in un quadro di totale illegalità interna, non solo quando afferiscono ad un sistema di tortura via radio e quindi “invisibile” ma anche quando sono legate a questioni che in altri tempi non si sarebbero neppure poste, dato che siamo in un clima in cui un massacratore di giovani proletari come l’ex pm Sabella poteva stracciarsi le vesti per il “turismo carcerario” ed un guardasigilli come l’attuale definire “grand hotel” ma per scherzo, dato che su certe tragedie come Buoncammino, in Italia è meglio scherzarci su.

Più difficile sostenere le ragioni omissive secretanti delle montature atte a cogestire con i servizi segreti l’allarmismo terrorista utile ai padroni, dei Procuratori della Repubblica “antiterrorismo” d’assalto al diritto alla politica ed alla libertà d’opinione della classe sfruttata –e non certo dei boie miliardari al potere- dell’ “emergenza” (un morto della borghesia significa EMERGENZA, migliaia di morti proletari e centinaia di morti bianche nelle galere significano NORMALITA’, a fronte delle denunce dei prigionieri, su questi argomenti più vicini ai “problemi tecnici e satellitari” (richieste su uso Internet, su uso DNA, su uso satelliti, forse il tutto per leggere la testa dei cittadini ?), in una fase storica in cui il più grande potere Terrorista di sempre dopo Gengis Khan e gli imperi delle epoche a.C., quello di Hiroshima e Nagasaki per intenderci, gli U.S.A., cercano e trovano a volte l’adesione anche dell’Unione Europea alle proprie campagne di occupazione militare e di terrorismo, come sulle “Liste nere delle organizzazioni ‘terroriste’” ivi comprese quelle rivoluzionarie e Palestinesi, in una fase storica dunque nella quale persino uno Stato indipendente ed ex-colonialista come il Belgio è costretto a cancellare dalle proprie leggi contro i Crimini di Guerra, o nella quale il Tribunale Penale Internazionale è snobbato dallo Stato sionista così come dal paese che ospita la sede delle Nazioni Unite … appunto gli U.S.A., che con la Gran Bretagna sono stati capaci di ottenere il plauso ad un assalto militare motivato da false notizie della CIA e dei servizi segreti militari, pare pure italiani (Nota 24).

NOTE:

  1. [cfr.le dichiarazioni del direttore del DAP Tenebra, ex PM antimafia, raccolte da “FuoriLuogo”, circa i corsi di aggiornamento per colleghi di altri paesi occidentali tenuti da “specialisti” penitenziari italiani]

  2. [cfr. per la Piattaforma dei detenuti di Opera del maggio 2000, “Liberazione” del 21.5.2000, “Resistenza” n.6 giugno 2000 e “Foglio di Informazione ASP” n.1 del giugno 2000]

  3. [cfr. per l’esito stupefacente quanto a moderazione dei giudici, del processo per i pestaggi di massa di Sassari ad oltre 80 tra agenti e funzionari penitenziari, “Diario della settimana” del 7.3.2003 e “Su Gazetinu” n.10-11 del gennaio-aprile 2003]

  4. [commissione retta dall’on.Pisapia che incontrai durante gli scioperi del 2000 e mi chiese se ciò che avevo scritto nel testo “Per un libro bianco sul campo di sterminio di Opera” del gennaio 2000 corrispondeva totalmente a verità, ed ottenuta risposta affermativa, non mi risulta abbia portato sui media la morte del detenuto Moro nel centro clinico di Opera come aveva invece fatto per le perquisizioni con denudamento obbligatorio nel novembre 1998; subito dopo avvennero nel dicembre 1998 le evasioni “pilotate” che giustificarono la successiva stretta: si trattava in tutti i casi di detenuti che avevano diritto a permessi o che erano in regimi attenuati]

  5. [già Ministro della Giustizia e “delfino” del capo del governo Craxi, condannato in via definitiva a fare ciò che gli comoda da un Tribunale della Repubblica]

  6. [dati relativi al periodo gennaio 2002-settembre 2003, pubblicati il 26.11.2003 nel dossier “Morire di carcere” degli on. Boato, Boemi, Ruggeri, stilato con l’aiuto di volontari autorizzati dal DAP ad entrare nelle carceri; cfr. “L’Unità” 27.11.2003]

  7. [si calcolano mediamente in 2000-2500 i gesti autolesionistici ogni anno nelle galere senza che ciò significhi dichiarare pazzi chi li compie, giustamente perché è nella cultura carceraria questa forma di protesta di diverso grado, ed in circa 60 all’anno i suicidi nel decennio 1991-2000; il che, sommandosi a circa altri 120-150 decessi all’anno, -aspetto che le statistiche del Ministero di Giustizia non documentano più da qualche anno- per motivi di “salute”, porta il bilancio dei gesti autolesionistici a circa 22.000 in un decennio –su circa 150.000 ingressi annuali- ed a circa 2.000 la cifra della morte da carcere nel decennio 1991-2000]

  8. [ed anche dallo scandalismo dei media “informati” da zelanti e solerti funzionari di qualche componente l’”Interforze di polizia” che il tale detenuto “pericolosissimo” è in permesso, magari dopo che ne usufruisce da 2 anni, al solo scopo di farlo chiudere]

  9. [ma non nell’estabilishment dell’Unione Europea, dato che sono abituati a pensare all’Italia, fianco debole dell’imperialismo nel mediterraneo, come ad un paese in cui un tasso di repressione politica maggiore è giustificabile se la sinistra non dice nulla o, il che lo stesso, se la sinistra dedica miliardi di colonne di giornale a Berlusconi e poche righe alla dittatura borghese ed alle sue pratiche]

  10. [rifattisi una verginità grazie all’11 settembre; una strana amnesia pare colpire tutti i politici nostrani: sono sotto controllo mentale anche loro ? Dal mio punto di vista materialmente fondato –il sistema di percezione che vivo e mi è imposto da due anni oramai, non è sensazione ed è materiale essendo uditiva, tattile, sensibile, dolorosa–, qualora non fosse riscontrabile nella mia testa ciò che denuncio, significherebbe che esiste un centro di potere in grado con strumenti di puntamento e lettura delle radiazioni cerebrali e corporee di influenzare chiunque senza che se ne avveda.]

  11. [E le ovvie assoluzioni in Italia, ma non altrove come in Canada, delle violenze e stupri commessi dai militari sugli uomini e donne catturati/e da questi epigoni sanguinari cinici e sadici, purtroppo di giovane età a dimostrazione dei “valori” che sono consegnati oggi in eredità ai giovani dagli apparati dello Stato oramai indegno della Resistenza Partigiana da cui è sorto, delle avventure imperiali e regie di casa Savoia in terra africana]