VIII. DEL PROLETARIATO MONDIALE E DELLA CONGIUNTURA INTERNAZIONALE
DEL CASO CINESE
Nel più popoloso paese del mondo, ove il sistema capitalista viene imposto manu militari nelle principali concentrazioni operaie e mescolato alla economia a guida statale dell’agricoltura e degli altri comparti, la lotta di classe si sviluppa da quindici anni più apertamente in scontro aperto con il potere e le masse impugnano tutt’ora e giustamente l’arma ideologica del maoismo tanto che peiodicamente se ne ha traccia nelle agenzie, magari in occasione di arresti di operai e contadini, in processi, in duri scontri di piazza, in incendi di municipi e prefetture. Ma non solo, anche nelle modalità più dure con cui il partito revisionista al potere gestisce la repressione dei crimini burocratici e della corruzione, con migliaia di membri della classe burocratica e del partito (alla teoria delle 3 classi oggi la cricca revisionista del PCC oppone una lettura più articolata della società cinese, con 10 classi una delle quali costutuita proprio dagli appartenenti agli apparati burocratici di potere) che vengono processati o messi in fuga all’estero, sia perché il popolo non tollera il sistema di corruzione sia perché il revisionismo cinese non intende ripetere alcuni errori di quello sovietico successivo alla morte del compagno Stalin, dal 1955 in poi.
Sistema di corruzione che si era innestato in Cina dopo il congresso del 1978 successivo al colpo di Stato controrivoluzionario dell’ottobre 1976.
D’altronde le preoccupazioni occidentali non sono casuali perché il livello di integrazione economica di questo paese (così come per diversi aspetti dei paesi del’ex-Comecon -NOTA 17-) nel sistema capitalista mondiale non ha portato a rilevanti benefici per il sistema stesso né al superamento della crisi da taluni propettata in maniera trionfalistica dopo Tien An-Men, ma solo ad una estensione quantitativa della borghesia cinese) ed alla pauperizzazione crescente di enormi masse del proletariato urbano e rurale cinese.
Questo perché è il ciclo di valorizzazione capitalista a non potersi basare esclusivamente sulle considerazioni relative all’infimo costo della forza-lavoro (oltretutto se il mercato è internazionale, i prezzi sul piano interno seguono criteri diversi) e secondariamente perché i profitti che sorgono dallo sfruttamento di questa forza-lavoro non sono sufficienti ai capitalisti per uscire dal continuo corto circuito sempr riproducentesi con il “successivo balzo tecnologico” con nuovi investimenti e ampliamento dei mercati dato che il livello di concorrenza tra essi è tale da impedire qualsiasi “adattamento” o “riequilibrio” al sistema (usuale illusione dei riformisti che sognano di dirigere il corso economico con le riforme).
È proprio -e forse è il caso di dirlo, finalmente- l’abbandono da parte della borghesia “illuminata” della scienza del marxismo -a condurre il ceto politico di regime nel laborinto infinito delle politiche imbelli di riaggiustamento dinanziario e di riequilibrio sul piano internazionale, soprattutto nella situazione economica di crisi strutturale caratterizzata ai due poli dalla catarsi tecnologica e dalla recessione economica. D’altronde l’estensione del sistema capitalista ai paesi del Sud del mondo genera nuovi livelli di sfruttamento in paesi prima ridotti a riserva di materie prime, con l’accrescimento quantitativo sia dei profitti sia della classe operaia come parte progresivamente maggioritaria anche delle classi “subalterne” del Sud del mondo. Non a caso la popolazione attiva sta crescendo ad un tasso doppio della crescita demografica nel Tricontinente.
E fa da base allo sviluppo della nuova ondata della rivoluzione proletaria mondiale che vede protagonista non principalmente ma anche il popolo delle lotte anti-globalizzazione, nonché i popoli del Tricontinente che resistono e sono la maggioranza sfruttata e schiavizzata della società, di una società che non ha più alibi alcuno (“mancanza di civiltà”, “aretratezza”, “popoli primitivi”) alla propria infamia data dal sistema capitalista imperialista prodotto dall’imperialismo colonialista sorto dalla necessità di accumulare e depredare ricchezze incalcolabili lungo secoli di assalti e ruberie delle monarchie europee.
DEL PROLETARIATO MONDIALE
Giustamente nel 1992 si lottò contro il cinquecentenario della “scoperta delle Americhe” del mercenario Cristoforo Colombo, in tutto il mondo ed anche nel nostro paese ove vi è una certa sensibilità democratica al rispetto dei popoli nativi dell’America Latina.
Cinquecento anni che hanno demarcato uno sviluppo ben preciso degli assetti del mondo.
Assetti che non hanno storicamente più alcuna legittimità storica e che non sarà certo la follia dei petrolieri texani a determinare, con o senza l’aiuto delle lobbies multinazionali anche europee.
COMPOSIZIONE DEL PROLETARIATO MONDIALE - STIMA SU STATISTICHERIELABORATE -
DATI 1997 SU POPOL.2001 (STATISTICA MARZO 2004 CORRETTA APRILE 2004)
Una Internazionale Comunista potrebbe produrre, attraverso una propria analisi di classe in ogni sua sezione nazionale, una analisi più vicina alla realtà in divenire della composizione di classe, attraverso indagini sul posto e non derivanti dalla errata segmentazione nei 3 settori, ossia adatta a rilevare lo sfruttamento (estrazione di plusvalore) e le altre forme di lavoro. Qui si è cercato di stimare, paese per paese, sulla base dei dati complessivi dell'economia e sociali, la composizione del proletariato; le cifre sono le somme per aree geografiche subcontinentali ed i dati in dettaglio sono già stati diffusi nel movimento comunista. Si considera arbitrariamente come stima un 20% di popolazione attiva nell’agricoltura,pastorizia, pesca e forestale come parte della classe operaia perché coinvolta nelle attività agricole in cui il lavoro è immediata fonte di plusvalore, un 90% di popolazione attiva del settore secondario (industria, miniere, estrazione) come coinvolta direttamente nell’estrazione di plusvalore, un 15% di popolazione attiva nel settore terziario come coinvolta direttamente in attività assimilabili all’industria (produzione di software, di particolari servizi, sport, spettacoli ed altro, direttamente produttiva di plusvalore). Naturalmente le % di attribuzione rispecchiano un grado di conoscenza ed analisi del tutto discutibile, che tuttavia si crede abbia una sua validità sulla base della conoscenza dei processi produttivi e della realtà economica e sociale, ovviamente anche prima della fondazione della Internazionale Comunista i compagni dei vari partiti avranno uno spunto da questa analisi per affrontare questo genere di problema su scala mondiale: la classe operaia è senza frontiere, oggi più che mai prima. In ogni caso abbiamo una composizione per sub-continenti significativa politicamente. I dati percentuali confermano l'analisi internazionalista antirevisionista e antisocialsciovinista, sono riferiti alla percentuale sul totale mondiale e sul piano marxista dimostrano l'inconsistenza delle tesi della perdurante importanza sul piano umanistico, del “centro imperialista”. Una testa, un voto. Siccome il trend, guera permettendo, è di maggiore sviluppo industriale e produttivo nel Tricontinente, la datazione abbastanza vecchia della statistica è comunque significativa. Infine, i dati sulla popolazione attiva femminile sono carenti di alcuni piccoli paesi, per difetto, riguardo al Tricontinente.
Dato statistico: |
Popolaz. *1000 |
Popolaz.In % sul totale |
Popol. attiva Stima calcolata sul totale mondiale %: |
Popol.attiva femminile |
Agricolo-Pesca Pastorizia Forestale
|
Di cui: Popolazione operaia stimata nel primario 20 |
Indust.-Estratt.
90 |
Servizi 15 |
Totale stima Proletariato mondiale |
In % |
Africa equatoriale |
179.396 |
2,92 |
2,64 |
3,05 |
56.601,0 |
4,72 |
1,05 |
1,19 |
19.315 |
1,97 |
Africa meridionale |
127.654 |
2,08 |
1,95 |
2,18 |
34.714,9 |
2,89 |
1,23 |
1,28 |
16.135,5 |
1,65 |
Africa Orientale |
80.005 |
1,3 |
1,16 |
1,33 |
25.587,2 |
2,13 |
0,25 |
0,57 |
7.436,0 |
0,76 |
Africa settentr. occ. |
238.021 |
3,88 |
4,57 |
4,22 |
61.535,0 |
5,13 |
1,97 |
5,51 |
32.311,5 |
3,30 |
NordAfrica |
194.639 |
3,17 |
2,4 |
2,15 |
36.460,1 |
3,04 |
1,68 |
2,07 |
20.346,8 |
2,08 |
America Latina |
355.934 |
5,79 |
4,99 |
4,49 |
37.515,0 |
3,13 |
5,58 |
6,77 |
50.659,3 |
5,17 |
Centro America |
169.339 |
2,76 |
2,25 |
1,88 |
18.007,3 |
1,5 |
1,98 |
3,28 |
20.231,0 |
2,06 |
NordAmerica |
310.207 |
5,05 |
5,42 |
6,43 |
3.312,3 |
0,28 |
11,91 |
7,36 |
81.713,8 |
8,35 |
Asia centrale |
1.333.586 |
21,71 |
26,87 |
31,3 |
380.764,7 |
31,77 |
28,13 |
20,02 |
272.130,7 |
27,82 |
Asia meridionale |
1.311.842 |
21,36 |
19,64 |
13,02 |
339.267,5 |
28,27 |
15,25 |
12,2 |
175.850,6 |
17,98 |
Asia orientale |
301.926 |
4,92 |
4,53 |
5,18 |
23.039,1 |
2,07 |
5,78 |
6,66 |
48.956,3 |
5,00 |
Caucaso |
16.096 |
0,26 |
0,27 |
0,3 |
2.923,0 |
0,24 |
0,24 |
0,37 |
2.549,5 |
0,26 |
Medio Oriente |
414.296 |
6,74 |
5,07 |
3,71 |
56.568,9 |
4,71 |
4,62 |
5,74 |
47.237,0 |
4,28 |
SudEst Asiatico |
346.039 |
5,63 |
5,36 |
5,92 |
78.247,5 |
6,52 |
4,2 |
4,65 |
47.304,3 |
4,84 |
Artico |
3 |
|
|
|
0,2 |
|
|
|
1,7 |
|
Europa atlantica |
159.571 |
2,6 |
2,57 |
2,86 |
2.910,9 |
0,24 |
2,56 |
5,36 |
23.724,4 |
2,43 |
Europa centrale |
98.927 |
1,61 |
1,71 |
1,85 |
1.422,7 |
0,12 |
2,46 |
3,13 |
19.454,9 |
1,99 |
Europa orientale |
340.432 |
5,54 |
6,17 |
7,55 |
32.752,5 |
2,73 |
8,25 |
8,82 |
68.502,9 |
7,00 |
Europa settentr. |
24.184 |
0,39 |
0,44 |
0,53 |
521,5 |
0,04 |
0,48 |
0,9 |
4.284,6 |
0,44 |
Mediterraneo |
109.815 |
1,79 |
1,48 |
1,51 |
3.521,5 |
0,29 |
1,88 |
2,61 |
15.739,1 |
1,61 |
Oceania |
30.542 |
0,5 |
0,49 |
0,54 |
2.761,7 |
0,23 |
0,42 |
0,86 |
4.285,6 |
0,44 |
Tot. x 1000 |
6.142.455 |
100 |
100 |
100 |
1.198.536 |
100 |
100 |
100 |
978.171 |
100 |
La classe operaia mondiale del resto ha superato il miliardo di componenti attivi, cui si sommano i familiari, e la classe contadina. Insieme sono un buon 85 % dell’umanità.
Ed i potenti membri della borghesia imperialista non superano i 250 milioni di persone. Tutta la ricchezza del mondo è per loro. Una situazione inaccettabile a questo livello di sviluppo produttivo tecnologico e sociale, anche per il Vaticano, reduce da una storica autocritica della “Sacra Inquisizione”, il che è tutto dire (NOTA 18).
L’agricoltura, in particolare laddove i pescecani delle multinazionali della biologia e dei “brevetti” della natura hanno già messo piede (come nel caso del riso nella regione indiana, ai danni non solo dei produttori ma di tutta la popolazione già ridotta alla fame da un regime filo-imperialista e organizzato tuttora, nonostante i legami con il “civile” occidente, secondo caste che contemplano anche la riduzione in schiavitù degli uomini, delle famiglie, e regimi di vita e legislativi allucinanti per le donne -NOTA 19-), continua a subire processi di industrializzazione e quindi di trasformazione del lavoro contadino in una sorta di livello inferiore del lavoro operaio.
Complessivamente il lavoro contadino subisce riduzione di diritti e conquiste mano a mano che cresce la penetrazione delle multinazionali ma anche nei paesi del Mediteraneo (spesso con il ritorno persino qui in Italia al caporalato -NOTA 20-), basato sul cottimo e su forme di schiavismo ove tuttavia la violenza dei compradores delle loro truppe private non può impedire la maturazione delle lotte,della coscienza e dell’organizzazione sindacale, ma che complessivamente in molti paesi (NOTA 21) costituisce un grosso freno ed ostacolo al superamento di questi rapporti sociali (NOTA 22).
Non a caso le parole d’ordine del socialismo, dell’uguaglianza, dell’antimperialismo, (ossia principalmente della lotta contro la guerra imperialista, categoria politica che in occidente è stata espressione del movimento rivoluzionario sin dalla fine degli anni settanta, andando oltre il contenuto difensivo dei movimenti contro la guerra “del Vietnam” e del precedente movimento mondiale della pace, avviato nel dopoguerra dal Partito comunista (bolscevico) dell’URSS e dai comunisti di tutto il mondo dopo lo shock causato dall’utilizzo da parte dell’USAF delle bombe atomiche sulle città giapponesi), della cacciata delle basi americane (giornata mondiale del 20 marzo indetta dai movimenti di Mumbai-Resistance), così come le parole d’ordine dell’azzeramento del debito estero dei paesi del Sud del mondo verso i singoli paesi e verso FMI e Banca Mondiale, sono oramai espressione unitaria di un amplissimo movimento mondiale di resistenza antimperialista che trova proprio nei paesi del Tricontinente le sue forze più mature, che si caratterizza criticamente verso l’opportunismo imbelle (inquinato da ogni genere di componente politica e dal “movimento” delle ONG) presente nelle sedi mondiali di confronto dei movimenti dei “forum sociali”. Quanto alle “trasformazioni” fantasmagoriche che la scienza e la tecnica avrebbe apportato al mondo anche con il superamento del bipolarismo USA-URSS, sono state ben poca cosa per il proletariato mondiale ed i popoli oppressi. Ora che le Bic francesi, i collant di nylon, i jeans e le Nike hanno invaso oltre che la Russia anche i paesi del Sud del mondo, pare agli osservatori ed agli studiosi oltre che ai dati statistici ed alla semplice vista dei turisti di Mosca o di Calcutta, che le condizioni e la qualità della vita delle masse proletarie del mondo non sia molto migliorata ! Di quali edotti argomenti era ricca la propaganda anti-comunista ed anti-URSS negli anni sessanta e settanta, quando i reazionari scientamente continuavano a demonizzare il blocco sovietico mirando esclusivamente a depredarne le ricchezze ! (NOTA 23)
Non a caso a 50 anni dalla decolonizzazione mondiale i regimi dei paesi già coloniali sono rimasti in gran parte nelle stesse mani di borghesie nazionali o di casta essenzialmente vincolate alle politiche centrali dell’imperialismo che erano già state segnate dal processo di colonizzazione nell’unico segno dello sfruttamento.
Ed è aumentato il peso che le multinazionali occidentali rivestono nel mondo intero, anziché diminuire con l’ampliamento dei mercati. Questo peso non ha portato il benessere, la salute, o al diffondersi di “politiche economiche di investimenti ed occupazione” (la litania sindacale che prevede la politica come guida dell’economia rivela ancora una volta il suo fallimento nella società capitalista), ma solo ad un aumento dello sfruttamento e della povertà. La delocalizzazione industriale è stata condotta allo scopo di decentrare le produzioni obsolete e nocive verso i paesi poveri. L’aumento della ricchezza nel mondo non ha portato alla fine della fame e delle malattie sociali né ad una generalizzazione dei progressi della medicina (come nel caso dell’AIDS)m se non per l’autonomo sforzo dei paesi poveri stessi (es. l’India).
“Il problema del debito va analizzato prima di tutto partendo dalle sue origini.
Quelli che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzati,
sono gli stessi che hanno per tanto tempo gestito i nostri stati e le nostre economie;
essi hanno indebitato l’Africa presso i donatori di fondi.
Noi siamo estranei alla creazione di questo debito, dunque non dobbiamo pagarlo.
Il debito, inoltre, è legato a meccanismi neocoloniali; i colonizzatori
si sono trasformati in assistenti tecnici … o dovremmo dire assassini tecnici,
e ci hanno proposto dei meccanismi di finanziamento con i finanziatori (…)
I finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei
vantaggi finanziari. Così ci siamo indebitati per decenni e per decenni
abbiamo rinunciato a soddisfare i bisogni delle nostre popolazioni.
Il debito nella sua forma attuale, controllato e dominato dall’imperialismo,
è una riconquista coloniale organizzata con perizia, affinché l’Africa,
la sua crescita, il suo sviluppo, obbediscano a regole che ci sono del
tutto estranee, e che ciascno di noi diventi finanziariamente schiavo,
o peggio, schiavo tout court (…)
Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché, se noi
Non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno,
possiamo esserne certi; invece, se paghiamo, saremo noi a morire,
possiamo esserne altrettanto certi.”
Thomas Shankara, discorso al vertice OUA, Addis Abeba 1986
In Africa, i conflitti generati dalla storica presenza francese ed auropea, nonché quella delle multinazionali petrolifere (es.la Shell in Nigeria,con un tasso di povertà pari quasi al 50% della popolazione, la Esso in Ciad, ecc.), rispetto ai quali forze popolari e comunità di base invise ai governi non mancano di produrre rivolte continue che però, in molti di questi paesi, prive di una direzione politica comunista, finiscono per diventare dei conflitti endemici incapaci di avviare nuovi processi di decolonizzazione e di rovesciamento dei governi fantoccio. Infatti, anche laddove si danno rivoluzionamenti politici significativi, come in Congo nel 1998, le forze sostenute dai paesi subordinati alle potenze occidentali, continuano nella loro opera di aggressione. E laddove, come in Costa d’Avorio, si era raggiunto un certo grado di benessere, l’intima natura puramente formale della “democrazia” instauratasi non manca di generare conflitti armati e rivolte popolari. Come accade in Liberia, ove l’economia dei diamanti e della guerra hanno creato una situazione di un popolo allo sbando, con un tasso altissimo di mortalità infantile ed un 70% di disoccupati, o come in Sierra Leone, dove le ricchissime risorse minerarie vedono il reddito medio di ogni abitante essere tra i più bassi dell’Africa. Come accade anche nella repubblica Centrafricana, o come in Nigeria continua incessante, in presenza di interessi occidentali fortissimi e di una dittatura spietata del tutto tollerata dalle grandi potenze. Per non parlare delle cifre astronomiche, che riguardano anche l’Asia e l’America Latina, del lavoro minorile (si calcolano in 246 milioni i lavoratori tra i 5 ed i 14 anni, senza regole né diritti, che lavorano sino a 15 ore al giorno, secondo dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro, che, non si capisce perché, si distinguono da una analoga stima del lavoro “forzato” ossia schiavistico, che vedrebbe circa 6 milioni di bambini in queste condizioni. Centinaia di migliaia sono poi i bimbi impegnati in conflitti militari (la stima della “coalizione” Stop all’uso di bambini soldato, è di 120 mila), in pratica diventano dei mercenari sanguinosi come i piccoli torturatori della dittatura di Somoza in Nicaragua esperti cavatori di occhi, oppure delle vittime e degli invalidi dei loro stessi compagni. Tutti motivi buonissimi ai popoli africani per abbattere regimi e scatenare insurrezioni popolari, ma l’aiuto dei paesi capitalisti in questi frangenti viene meno, e si traduce invece in sostegno miratissimo, anche di addestramento antiguerriglia, alle peggiori dittature ed alle più nefaste false “democrazie”.
In generale si può dire che ancora oggi, “nonostante” la politica dei “diritti umani” e la “presidenza” di Kofi Annan all’ONU, l’occidente continua ad esportare dipendenza e morte e ad importare ricchezze e petrolio dal continente africano, continuando a reprimere, ed abbattendo, come fanno dagli anni sessanta, ogni governo ostile a questo regime di asservimento.
Quasi che in qualche modo l’Africa debba giocoforza svolgere il ruolo storico di riserva di schiavi cui hanno attinto in passato tutti, USA compresi. Laddove ciò non è stato possibile, come nei paesi a direzione socialista (Mozambico, Zimbabwe, Angola, e per certi aspetti Sud Africa), la discriminante dell’aggressività occidentale imperialista è la politica economica e sociale interna, ed è per questo che si sono svegliati ad esempio contro lo Zimbabwe oggi che vede il movimento della rioccupazione delle terre occupate dai coloni già schiavisti bianchi, oggi e non trent’anni fa, ovviamente.
Quindi, anche nell’epoca della mondializzazione del modo di produzione capitalista, il continente africano continua ad essere terra di conquista e futuro campo di battaglia dell’assalto finale che i popoli oppressi scateneranno contro l’imperialismo, qui principalmente francese ed americano.
La sottocultura borghese degli “aiuti” delle non disinteressate “Organizzazioni non governative”, strumenti della penetrazione imperialista e del dominio culturale e politico e non più solo economico sui popoli del Sud del mondo, specie di quelli di natura politicamente orientata -cattolici- ma anche quelli inerenti aspetti più marcatamente “scientifici” e “medici”, è in questo senso solo una maschera degli interessi politici ed economici di frazioni di borghesia imperialista interessate a mantenere il controllo su questi settori più che a permettere ai popoli di questi paesi una autonoma gestione della medicina e dell’alimentazione, riducendosi a mero sostegno ai regimi al potere (è il caso degli “aiuti alimentari” con il latte in polvere, per esempio, tecnica di penetrazione poco costosa e politicamente redditizia, usata in Africa nord occidentale come in Perù).
Con una mano gli tolgono il petrolio ed i diamanti scatenando guerre pilotate, con l’altra gli porgono bende e lattosio, mentre reggono le catene ai piedi dei bimbi.
In America Latina si calcola sia il 17 % dei bambini al di sotto dei 15 anni a lavorare. In Brasile i bambini senza famiglia che vivono nelle strade come animali, sono milioni. Quelli occupati nelle industrie del sisal lavorano anche 50 ore a settimana per 5 dollari. Più di 2 milioni di bimbi sono oggetto di sfruttamento sessuale solo in Brasile. In Asia, secondo l’Unicef le bambine che si prostituiscono sono un milione. In India, paese che fornisce tecnici informatici alle multinazionali angloamericane, le cifre ufficiali e le stime internazionali sul lavoro minorile sotto i 14 anni sono enormemente divergenti, a causa dell’organizzazione sociale delle caste e della “proprietà” delle persone acquisite con il debito: si parla di 100 milioni di bambini sfruttati e senza alcuna vita fuori dal luogo di lavoro. La contraddizione Nord/Sud non significa escludere nei paesi capitalistici “avanzati” lo sfruttamento dei minori. In Italia si calcolano in 71.500 i minorenni sfruttati illegalmente nel lavoro nero, negli USA, in prevalenza ai confini con il Messico, sono 300.000 i bambini impegnati in agricoltura e commercio, e 14 mila bambini dai 9 anni in su lavorano nelle manifatture tessili (quelle ove in Messico al confine con gli States sono sfruttate decine di migliaia di donne operaie di origine indigena, oggetto anche di una lunga catena di omicidi sessuali). Sorvoliamo nsul turismo sessuale delle spiagge del centro America e dei paesi del Sud asiatico. Negli USA, infine, per questa breve carrellata dell’orrore celato dietro i villaggi turistici e le spiagge assolate dell’Atlantico, il numero dei minorenni oggetto delle attenzioni dei pedofili sarebbe addirittura di 3 milioni, una cifra rilevantissima.
La mentalità ottusa della sinistra borghese che ofusca l’intelligenza nei paesi del sistema capitalista imperialista è talmente in via di estensione che abbiamo potuto leggere su un quotidiano impegnato italiano, che “le guerre sono la causa della povertà in paesi diversi come il Nepal, la Colombia, la Palestina” (“il manifesto”, 24.1.2003, C.LA.). Un luogo comune così ottuso da lasciare attoniti, a togliere dignità alle lotte di liberazione ed a negare che l’origine di ogni conflitto sociale sta nella diseguaglianza economica e nei privilegi delle classi e caste al potere, che è fatto proprio da quella genia di interessati/e pacifisti/e che cercano nel Sud del mondo la realizzazione sociale che non gli è propria in occidente, attraverso una impostazione interclassista ed antistorica che non sa riconoscere la differenza tra guerre di liberazione in cui il popolo è protagonista, e guerre di confine, etniche ed interimperialistiche, giudicate invece queste in maniera fatalistica, sulla base di un’ulteriore concezione abnorme, della nostra superiorità civile per cui in questi popoli è inevitabile per es. il massacro tra hutu e tutsi, creato invece, per esempio, proprio dalle politiche di penetrazione coloniale ed imperialistiche occidentali (che ad ogni deflagrazione sociale si lavano le mani circa la propria responsabilità ed ottengono dall’ONU la priorità della propria presenza militare nelle stesse terre che avevano colonizzato: tipiche le minacce di intervento statunitense in Liberia e Sierra Leone, o la presenza francese in varie aree di conflitto in Africa).
Inoltre la struttura di comando dell’imperialismo si avvale nelle sue varie componenti del ruolo, come già trent’anni fa, delle potenze regionali in funzione di supporto ed avamposto strategico (Turchia, “israele”, Messico, Indonesia, India, Sud Corea, ecc.) nonostante la crisi non risparmi molti di questi paesi. Lo stesso Sud Africa è ancora politicamente orientato in maniera contraddittoria: mentre Mandela critica l’occidente per la questione dell’AIDS (NOTA 24 ), fornisce di armi l’Arabia Saudita, e mentre al governo ora c’è un governo che rappresenta la maggioranza nera, non viene d’altronde perseguita una politica di esporpriazione dei latifondi, generandosi una situazione sociale disastrosa specie nelle metropoli, il cui tasso di violenza non ha nulla da invidiare alla periferia metropolitana di New York e di Los Angeles. E Mbeki non ha mancato di essere presente alle celebrazioni in Haiti. Non solo, il Sudafrica collabora alla tortura degli islamici catturati dagli USA, come altri paesi la cui popolazione è in maggioranza islamica, e non ha superato il problema della dominazione economica dei bianchi, oramai asserragliati nelle loro cittadelle e colonie, ad impedire al popolo nero un miglioramento sociale dato dalla riappropriazione del proprio suolo e ricchezza.
PER UNA NUOVA INTERNAZIONALE COMUNISTA:
INNANZITUTTO ANTI-REVISIONISTA
Lavorare alla ricostruzione di un autentico partito comunista che sappia dirigere la classe operaia e il proletariato nello scontro per la conquista del potere politico facendo tesoro delle esperienze più recenti come dell’intero patrimonio del Movimento Comunista Internazionale non può mancare di una visione internazionalista complessiva e non eurosciovinista.
È di questi aspetti che occorre ragionare noi comunisti, accanto alle realtà di scontro e di lotta presenti nel mondo arabo, ma nei dovuti discrimini dai movimenti reazionari ed anticomunisti che pure vi si esprimono, nella considerazione della diffusione e dei caratteri di unitarietà che caratterizzano i movimenti di resistenza di classe, antimperialisti e di indipendenza nazionale nel mondo di oggi, capaci di anticipare, nella loro varia composizione, i caratteri di una nuova Internazionale Comunista libera da ogni escrescenza o residuo di passate esperienze revisioniste (e dall’opportunismo neo-trotskista che oggi non a caso lo fiancheggia in Italia), che in occidente allignano attorno alle erre moscie dei parlamenti borghesi e dei circoli viziosi della piccola borghesia.
Nella nostra realtà politica, alla crisi del revisionismo è seguita una frantumazione, per certi versi anche necessaria alla sopravvivenza di pezzi di memoria proletaria sedimentati in specifiche realtà, del movimento di classe e comunista, che non ha però saputo produrre un’estensione qualitativa né quantitativa del concetto di UNITA’ dei comunisti. Il minoritarismo che ne è seguito pare diventato endemico e questo va combattuto. Occorre dire con chiarezza che il partito di Gramsci è sorto, grazie anche al contributo di Bordiga prima della sua rottura con l’Internazionale, come elemento di unità dei comunisti. Essere comunisti significa innanzitutto sapere unire le masse, situazione per situazione, e non dividersi per portare avanti linee che non sono mai all’altezza complessiva della situazione.
Una unità sui princîpi che tuttavia non può prescindere da una condivisione di analisi politica e storica, che oggi, da rivoluzionari, non può che coincidere con il marxismo-leninismo-maoismo, così come negli anni trenta e sessanta non poteva che coincidere con il marxismo-leninismo, e all’inizio del secolo XX con il marxismo scoentifico e rivoluzionario di Lenin contro il dogmatismo socialista dei menscevichi.
L’aspetto qualitativo principale che occorre non dimenticare né sottovalutare è quello dei processi rivoluzionari condotti secondo la linea ideologica e politica dei tre strumenti della rivoluzione e di una corretta analisi politica e storica.
In queste realtà, da periodi più lunghi o da pochi anni, sono persistenti e acquistano terreno tra le masse e sul campo, numerose guerre popolari guidate da partiti comunisti di tipo nuovo, articolata in eserciti del popolo, e rafforzate dai movimenti di massa di resistenza e liberazione, rivoluzioni in via di svolgimento che l’imperialismo ha avversato ed avversa direttamente ed indirettamente.
In tutte queste realtà basandosi sull’ideologia marxista-leninista-maoista i partiti comunisti che dirigono guerre popolari hanno saputo innanzitutto mettere alle corde nel popolo i partiti revisionisti, quindi avanzare con le masse nell’equilibrio strategico ed in certi casi verso l’offensiva strategica.
Invece nei paesi occidentali dopo 35 anni di amplissimi movimenti di massa e di esperienza guerrigliera dei movimenti rivoluzionari, siamo ancora nel mezzo della difensiva strategica. Questo vorrà pur significare qualcosa. Impareremo dagli errori ?