VI. DEL “PACIFISMO” E DELLA “POLITICA” ITALIANA
La guerra imperialista, sia essa mondiale -come nel 1939-1945- o fatta di conflitto molteplice e dissimmetrico sul piano mondiale, costituito da più situazioni regionali, più interventi imperialisti sostanzialmente unitari (sotto l’egida dell’ONU), è quindi il “necessario” costo da pagare alla riproduzione del potere e dei privilegi dei capitalisti, che ha la necessità -ad ogni colpo di virata storico, più pesantemente- di bruciare enormi risorse per garantire la sopravvivenza del potere della classe borghese imperialista.
In nome della pace, fanno la guerra. Perché allora il proletariato ed i popoli oppressi del mondo, come auspicherebbe gran parte della “sinistra” occidentale, dovrebbero dirsi “pacifisti” ?
E perché gli “antagonisti” danno spazio e legittimità a chi d’altronde di questo “pacifismo” fa una bandiera, se non perché la borghesia domina queste aree dal punto di vista politico ed ideologico spingendole a ruoli sostanzialmente non pericolosi per il proprio potere politico ?
Del resto ai problemi del mondo di oggi le politiche borghesi “di sinistra” non offrono altro che le solite ricette riformiste che sono oggettivamente e storicamente sterili ed inefficaci senza sostituire il sistema capitalista dominante con il sistema socialista. “Ricette” e programmi politici specularmente ipocriti -anche se meno laidi e sanguinari- che costituiscono oggettivamente (e a volte anche soggettivamente per la propensione di certi “milieu” politici al mantenimento anche dinastico di ruoli politici, contrari al socialismo ed al potere della “plebe”, abbarbicati alle formule lessicali del politichese di moda, sempre teso alla “stabilità” ed al “governo” delle contraddizioni -NOTA 12-) una truffa politica verso gli elettori prima ancora che verso gli sfruttati (il che è ovvio, fa parte del “gioco”) a cui dalla fine della seconda guerra mondiale continuano a raccontare che la Rivoluzione è sbagliata ed inutile, oltre che “impossibile”.
In un coro che unisce altrettanto significativamente personaggi provenienti dalla goliardia borghese milanese, dalla borghesia industriale torinese, dalla borghesia dei latifondi pugliese, dalla borghesia fascistoide napoletana, dalla borghesia mafiosa siciliana, dalla borghesia clericale patavina e veneta, dalla borghesia illuminata fiorentina, dalla borghesia papalina bolognese, e via discorrendo in un crescendo di urla dissolute.
Per questo non si capisce bene quale spazio di “sinistra” voglia riempire il gruppuscolo revisionista cossuttiano (legato non più a ricordo dei picchetti operai e della Volante rossa, ma bensì incapace di uscire dal giogo stretto del colletto e della cravatta ministeriale, delle apparenze e dei “tu” con il nemico di classe), formazione che non a caso ignora lo spazio elettorale dell’astensionismo in quanto conscio della sua irrecuperabilità, con uno stile in questo poco consono all’Ideale che afferma di servire, ma che presta molta attenzione, probabilmente troppa, alle “figurine Panini” delle varie agenzie private di previsione e sondaggi, la cui funzione principale nel giochino è peraltro quella di “normalizzare” le aspirazioni del corpo elettorale dentro orizzonti di compatibilità ben precisi.
Mentre già si comprende con il dibattito su violenza e non violenza, che la sinistra, quella del partito di Bertinotti, ha compreso di essere l’unica formazione parlamentare che in qualche modo è interna ai conflitti sociali. Purtroppo senza trarre una conseguente linea politica dalla lettura della situazione internazionale e delle guerre (NOTA 13), a dimostrazione di essere in realtà uno “spazio” politico anch’esso vincolato alle regole della “democrazia” borghese, quindi imbelle di fronte ai compiti rivoluzionari che il proletariato ha dinnanzi. Spazio comunque buono per lavarsi la coscienza, un po’ come i “cristiani per il socialismo” e le Acli operaie negli anni ’60 …
Che persino tali aree politiche siano oggetto di criminalizzazione, è buona dimostrazione del fascismo in atto nel nostro paese da parte della borghesia (e non solo, pur se principalmente, della sua componente reazionaria costituita dalla maggioranza degli industriali degli editori e dei finanzieri, dai latifondisti, dai costruttori edili, dagli speculatori e dai potentati economici mafiosi, dagli armatori, dai petrolieri, dalla maggioranza del clero e delle forze armate, ecc.).
La componente reazionaria usa il fascismo in campo legislativo, sociale, mediatico ed economico, e usa il manganello con una frequenza paranoide e crescente, ben sostenuta dai media che possiede, dando continuità sia al regime democristiano prima e craxiano poi, sia dei governi dei tecnici, sia dei governi Prodi e D’Alema (forse convinti che lo schifo totale della destra italiana li assolva dalle colpe di cui portano responsabilità storica, che citavamo in precedenza). Ma sia la componente reazionaria sia la componente progressita della borghesia (come quella più semplicemente popolare dei piccoli produttori agricoli, degli artigiani e dei piccoli commercianti che costituisce periodicamente l’ago della bilancia nelle competizioni elettorali in Italia, che nei periodi di recessione economica perde la testa e rivolge attenzione ai populisti reazionari di turno -Bossi, Di Pietro, ecc.-), legittimano e danno spazio alla repressione dei sindacati di base (criminalizzati non disinteressatamente dagli opportunisti e dai sindacati di regime), degli anarchici e dei comunisti, all’annientamento dei prigionieri rivoluzionari e ribelli, alla criminalizzazione delle forme di dissenso interne alla società in ogni ambito.
La totalità dei mezzi di informazione e di “costruzione del consenso” è così ridicolmente oggetto nel nostro paese di una caccia al tesoro di regime che ci sarebbe da ridere se non fosse un fatto reale e concreto che ha delle conseguenze anche nella vita delle masse nonché nella progressione allucinata con cui diritti acquisiti sino a pochi anni fa sono divenuti pallidi ricordi di conquiste ottenute a duro prezzo (NOTA 14).
L’idealismo di facciata e il movimentismo dei “salotti” girotondini rappresentano eloquentemente l’accettazione fattiva del sistema vigente e del fascismo montante di regime, al di là delle belle parole.
In pratica l’accettazione da parte dell’attuale “socialdemocrazia” occidentale ed italiana (ovviamente in Italia il senso delle cose è sempre più tragico o più comico che altrove), della falsa ideologia della “fine della storia” e della fine del comunismo”, ha prodotto una serie di conseguenze che portano i comunisti a doversi scontrare un’altra volta con una fase di profonda restaurazione.
DELLA REPRESSIONE COME ARMA DELLA POLITICA BORGHESE
Mentre l’Europa assiste alla sconfitta yankee in Vietnam, alla fine delle colonie portoghesi, all’esaurimento del periodo della dittatura sanguinaria del franchismo spagnolo (NOTA 15), ed al placet yankee alla dittatura dei colonnelli greci, ben collegata alle reti fasciste europee, in USA si sta consumando la repressione dei movimenti di contestazione studentesca e delle esperienze guerrigliere, in particolare del Black Panther Party, con il “Counter-insurgency act” che legittima l’assassinio di polizia come metodo di repressione diffusa, e che cerca di coinvolgere il Partito Comunista e le organizzazioni rivoluzionarie nella repressione feroce dei diritti civili. Un diritto di guerra, appunto. Questo inizia a fare scuola in Europa grazie alla Trilateral cui aderisce tra l’altro Agnelli, ed alle prime strutture di scambio e coordinamento tra gli uffici governativi antiterrorismo europei, soprattutto dopo l’estensione continentale molto spinta ed offensiva che la guerriglia Palestinese imprime alla lotta rivoluzionaria popolare (dopo Lod, Monaco, ecc.). Le RAF iniziano la loro attività nel segno dell’internazionalismo, contro la politica imperialista americana A Stoccolma nel 1975 l’occupazione armata della sede diplomatica tedesca da parte di un commando RAF aveva obbligato alla mediazione l’imperialismo. La forza d’impatto della guerriglia non mancava di farsi sentire in Italia, in Francia, così come in Spagna, nei Paesi Baschi ed in Irlanda. Ma non era certo, come non lo è oggi l’azione d’avanguardia dei rivoluzionari europei, “terrorismo”. Era azione selettiva tesa ad ottenere obiettivi politici ed in genere la scarcerazione di prigionieri. Entebbe (intervento blitz di “israele”), Mogadiscio e Stammheim (repressione delle teste di cuoio tedesche in terra africana dopo l’azione congiunta politico-militare della RAF –Schleyer- e del FPLP –dirottamento e rivendicazione SAWIO-), rappresentano emblematicamente il livello di scontro su cui la rivoluzione nella forma guerrigliera e le forze controrivoluzionarie si confrontano. L’ipocrisia borghese fingerà di ignorare questo aspetto durante la successiva Campagna di primavera in Italia, mentre invece il grado di integrazione controrivoluzionaria dei servizi segreti dei paesi imperialisti occidentali ed anche dell’Europa orientale, contro la guerriglia, è massimo. Sintesi di questo passaggio è il “club di Trevi”, nel suo indirizzare le politiche emergenziali e sinergia di forze speciali di intervento. La soglia più alta su cui si attesta la guerriglia nel suo percorso, e su cui impatta sul livello repressivo più alto, è l’attacco all’imperialismo americano. Vero che gli USA avevano già concluso in perdita la guerra di aggressione e genocidio del Vietnam, Laos e Cambogia, però la loro politica imperialista continuava a determinare ed imporre passaggi importanti nel mondo intero ed in Medio Oriente in particolare. Frutto principale dell’acutezza dello scontro è il trattamento dei prigionieri rivoluzionari, che nel 1977 in Italia vengono convogliati nelle prime sezioni speciali di massima sicurezza e nell’isola dell’Asinara (ove si avranno fondamentali passaggi pratici e contributi alla guerriglia), mentre in Germania vengono subiscono la strategia della dispersione. Attorno a queste due modalità di gestione controrivoluzionaria del problema (che in Italia è tipicamente Mediterraneo, con migliaia di prigionieri rivoluzionari nel momento più alto della lotta armata) si articola lo scontro rivoluzione-controrivoluzione nel cuore dello scontro rivoluzionario, le carceri. In Germania, ma anche in numerose sezioni di isolamento in Italia, dette i “braccetti della morte” ove viene negato ogni diritto a prigionieri accusati di rivolte carcerarie, si sviluppa il modello della deprivazione sensoriale, della tortura bianca, del divieto di ogni rapporto umano e del massimo contenimento e controllo dei residui diritti di colloquio e comunicazione con l’esterno, fino a giungere all’arresto ed alle montature contro gli avvocati dei prigionieri. In Germania questo livello di repressione nazista nell’essenza può operare così perché la classe operaia è fondamentalmente estranea in massima parte all’esperienza guerrigliera, a differenza che in Francia, in Spagna ed in Italia, dove il radicamento sociale è massimo. La vendetta della borghesia imperialista è tanto più alta e selettiva quanto meno è sviluppata la guerriglia. Il contenuto della guerriglia in Germania è immediatamente antimperialista, in Francia ed Italia è principalmente classista, in Spagna è ancora legato alla natura fascista del passato regime. Nelle grandi fabbriche italiane e francesi sorgono le prime organizzazioni di guerriglia, perché è nella fabbrica che matura lo scontro con il revisionismo e l’opportunismo dei bonzi sindacali di regime. La linea revisionista poi si farà Stato, e porterà essa lo scontro nella classe operaia, con la delazione organzizata, e non la guerriglia, che dovrà affrontare queste infamie etiche prima ancora che politiche e sociali. La vendetta borghese intanto nelle carceri miete vittime, spesso tra i compagni che hanno saputo meno affrontare la repressione al livello necessario. Ma è la guerriglia, che all’incirca dalla seconda metà degli anni settanta guida la lotta di classe in Italia, favorendo quel processo di emancipazione dal revisionismo che già l’autonomia di classe sapeva esprimere. Il periodo più ricco ed affermativo della guerriglia è quello in cui si fa vivere la linea di massa nella realtà dello scontro, portando così felicità e speranza nei cuori e negli sguardi degli sfruttati, dei giovani e dei vecchi compagni partigiani estranei alla logica revisionista. Ecco la direzione del movimento comunista nel suo periodo di massima affermazione dalla liberazione dal nazifascismo in poi. Oggi che ci risiamo, col fascismo, ecco la guerriglia,altra cosa dal “terrorismo” stragista e utile alle fazioni più reazionarie e corporative della borghesia imperialista.
Che la repressione di oggi in Italia ed Europa sia puramente espressione di dittatura politica, ne è traccia tra le migliaia di prove che lo attestano storicamente in termini classisti, il furore reazionario con cui da anni si è a più riprese colpito il movimento comunista che si esprime apertamente e pubblicamente nell’arena della lotta di classe. Repressione mirata non certo a “sconfiggere la lotta armata” come i bollettini progressivamente speranzosi di Pisanu volevano far sembrare, ma ad impedire i processi di aggregazione politica e di unità dei comunisti nel nostro paese. Anticipazione non solo di un regime fascista prossimo a venire, ma meglio, di una “partecipazione” politica miratatissima e specifica, della magistratura emergenziale, delle polizie politiche (Ros, Digos, ecc.), delle strutture “interforze” (polizia penitenziaria compresa) e dei servizi (dal “premier” al comitato di controllo, dal Cesis all’ex-Ucigos, dal Sisde al Sismi, ai servizi deviati del Viminale, legati a doppio filo all'élite politica ed istituzionale filo-yankee), che si fonda non a caso sull’adesione unitaria di tutte le forze politiche borghesi e revisioniste sempre e solo nel caso dell’ “eversione di sinistra” -cui si vuole negare agibilità politica-. Questo a prescindere dalla sua approvazione o meno da parte dei grandi circuiti finanziari mondiali e dall’esito più o meno favorevole per l’attuale “premier” e la sua cordata di interessi sul piano elettorale.
Questo perché il progressivo svuotamento di funzioni del Parlamento, la crescita di competenze ed arroganti decisioni ministeriali e degli apparati burocratici, la delega ai servizi segreti per operazioni sempre più politicamente orientate anche sul piano interno -ed integrate agli USA ed al loro Terrorismo della “nuova crociata del bene” contro il “male” che sarebbe enfatizzato dall’11 settembre come alibi storico-, la collaborazione non episodica dei servizi alle indagini degli organi di polizia (tra i quali i Ros sono sempre più coinvolti e sputtanati in gravi e delicate indagini che vedono compromessi molti loro vertici così come dei servizi) e delle Procure (continuamente confuse con la magistratura), la loro dipendenza ed illegalità diffusa (di cui sono prova i molteplici scandali, cicli suicidari, stragi interne, avvenuti nei carabinieri, nella polizia, nelle carceri, sin dalla fine degli anni ’80, e di cui mancano statistiche e riquadri cronologici nei giornali quando avviene un nuovo episodio, proprio perché la gente non si deve ricordare “in che mani siamo”), le nuove attribuzioni di potere e rapporti internazionali ed autonoma acquisizione di armi anche strategiche e di personale anche scientifico, date all’arma dei carabinieri (oggi IV corpo d’armata), le leggi antisciopero e le operazioni sempre più frequenti di repressione delle proteste sociali, le operazioni di normalizzazione verso quei rappresentanti sindacali dei lavoratori invisi al regime, il privilegio accordato da politici borghesi ai media concentrati in poche mani, tutto questo ed altro ancora caratterizzano il nuovo fascismo italiano a prescindere dalla tinta di appartenenza ed indipendentemente dagli appelli alla autorità vigile del Presidente della Repubblica ed ex partigiano borghese Ciampi (NOTA 16), comel’esplicarsi di una forma di società repressiva, autentico stato politico di polizia, indipendentemente dal modello francofono o yankee di riferimento.
Nello stesso senso vanno le politiche di maggiore attribuzione di potere agli interessi dominanti anche sul piano economico (Senato federale) e di maggiore concentrazione del controllo (Corte Costituzionale con passaggio del peso della Camera dei deputati nella scelta dei suoi componenti che passerebbe da 1/3 ad 1/6 !), volute dal “premier” anche per scopi personali.
Tutto questo non è casuale e risponde alla crescente paura della borghesia di perdere terreno sul piano della subordinazione politica al sistema economico dominante con una maggiore trasparenza delle istituzioni in seguito al crollo delle associazioni a delinquere democristane e craxiane (come dimostrato da innumerevoli episodi e scandali noti a livello internazionale, tra tutti quello “Lockhed” che portò alle dimissioni di Leone e quello della Loggia Propaganda 2 di Gelli, nonché dai processi milanesi degli anni ’90).
All’epoca del nuovo ciclo guerrafondaio post-crollo del revisionismo nei paesi già socialisti dell’Europa orientale, infatti, il ciclo giustizialista e populista di Tangentopoli rischiava di aprire pericolosamente varchi significativi al proletariato anche sul piano istituzionale, e ci fu quindi la stagione della guerra interna alla borghesia (attentati e stragi “mafiose” ) prontamente utilizzata per aprire una nuova emergenza con la quale “ripristinare” gli equilibri di potere con esecutivi riferiti più alla straordinarietà del momento politico che non alla stabilizzazione del consenso.
Questo ha creato nel tempo l’effetto di rigenerare, anziché eliminare, finzioni e fratture nelle classi dominanti e nelle rappresentanze politiche.