V. DELLA QUALITA’ DEL DIVARIO

La sproporzione tra la mole delle ricchezze della borghesia imperialista odierna e la massa di miseria del mondo di oggi non ha precedenti. Cionondimeno l’occidente imperialista non cambia registro né intende dedicare la scienza all’equità, né fermarsi nella follia dell’accumulazione di cui la corsa al consumismo ed alla dissoluzione sempre più sfrenate sono evidenza del clima da “basso impero” romano in cui versa, “asserragliato” a difesa dei propri prati da golf mentre masse di popoli di terre ricolme di terre vergini vivono in baracche e nel fango a causa dell’imposizione del modo di produzione capitalista in tutto il pianeta.

Un carattere evidente del divario praticamente feudale delle ricchezze nel mondo di oggi e del conseguente degrado civile, culturale, sociale, politico ed ambientale, è nel grado assolutamente senza precedenti della ricchezza di alcune centinaia o migliaia di persone nel mondo, alcune delle quali hanno patrimoni personali accumulati superiori ai beni di un’intero paese del Tricontinente. In questa situazione è facile per questi maiali assassini, di cui abbiamo un triste esempio di potere oggi nel nostro paese, fare i filantropi e gli sponsor per attività apparentemente necessarie al miglioramento della qualità della vita. In realtà per questi squali tutto è profitto, e la loro logica solo incidentalmente non coincide in attività multinazionali della pedofilia e dello sfruttamento della prostituzione, visto che il traffico di organi e di figli da adottare è invece ben coltivato dalla borghesia imperialista, in questo caso come nella Roma imperiale.

Non si è mai assistito in precedenza nella storia ad una simile devastazione ambientale e dell’ecosistema (NOTA 6), che è solo apparentemente il frutto del modello consumistico eretto a “progresso” ed è invece il risultato dell’applicazione del primato del plusvalore ad ogni campo della produzione e della vita mercificata. Né si è mai assistito nel mondo a sacrifici di vite umane così estesi, inutili e direttamente prodotti dal modello economico dominante. Nemmeno ai tempi delle deportazioni degli schiavi, figura sociale non ancora estinta del resto.

La strage continua, non solo in conseguenza di fattori militari (conflitti interetnici promossi dagli interessi economici delle ex potenze coloniali), sociali ed economici (epidemie ed infezioni virali non curabili a causa dei costi farmaceutici, fame e dipendenza addirittura alimentare, non certo risolti dall’interessato intervento delle “O.N.G.”), strutturali ed ambientali (ad esempio i terremoti, che nei paesi del Tricontinente producono un numero di vittime incommensurabilmente superiore ad analoghi episodi nei paesi avanzati -NOTA 7-), non pare costituire per la borghesia imperialista e per gli organi di rappresentanza e potere nazionali ed internazionali delle potenze imperialiste, quel carattere di emergenza in nome del quale scatenano invece le guerre. Del resto esiste la sovrappopolazione, e la crescita demografica nel Tricontinente è ancora molto alta, per cui agli imperialisti un po’ di “sfollamento” non può che giovare, visto che per loro (e per i sionisti) un problema fondamentale del mondo odierno è la sovrappopolazione (non dicono “siamo troppi”, dicono “sono troppi”).

Un bel frutto per la Premiata Macelleria dell’Internazionale “socialista” (NOTA 8), sede di rappresentanza politica di quella frazione di borghesia imperialista che mantiene il controllo delle classi subalterne, specie in Europa.

Così, la politica degli istituti finanziari internazionali è sempre più tesa ad esportare il modello “neoliberista” della riappropriazione selvaggia di ogni risorsa da parte della borghesia imperialista (basti pensare, per esempio, ai possedimenti Benetton in America Latina), imponendo di fatto politiche sempre più disinteressate od altrove impotenti ad uscire dal ruolo del sottosviluppo imposto al paese, in quelle nazioni ove pure si assiste a cambiamenti “di facciata” di natura politica dovuti in realtà anche proprio e non a caso dalla necessità da parte del capitale finanziario di controllare maggiormente i processi rivoluzionari in atto (in Brasile oggi per esempio un governo apparentemente di sinistra può mantenere meglio la stabilità degli interessi in gioco rispetto ad un governo palesemente antipopolare).



DI UN PROBLEMA ANNOSO E SEMPRE PIU’ GRAVE

Il feticcio della tecnologia e il potere crescente che le corporazioni scientifiche, le multinazionali del bio-tech e i centri di ricerca (da quelli della “Difesa” USA alle industrie militari e di sistemi di puntamento, dal MIT ai poli tecnologici, dalla Silicon Valley ai centri dell’Asia orientale), acquisiscono sulle stesse scelte politiche, costituiscono un’altra ipoteca terribile sulla possibilità che l’Umanità abbia a vedere affermati i principi della priorità dell’interesse generale della specie sul profitto e sui particolari interessi su cui speculano queste forze.

Nel campo della biologia, questo è divenuto evidente con la questione dei brevetti del DNA.



La richiesta di sottoporre a tutela della proprietà intellettuale l’intero «junk Dna» e di assicurarsi, così, il monopolio su tutto il «Dna-spazzatura», avanzata fin dal 1980, da Malcom Simons edalla Genetic Technologies, è così estrema da far venire al pettine tutti i grandi nodi di questo tema economico, sociale e democratico. Il 1980, fu, infatti, un anno particolare per l’«economia del Dna». Fu l’anno in cui l’Ufficio brevetti degli USA riconobbe il diritto, sotto certe condizioni, a «brevettare la vita». E fu l’anno in cui il governo federale degli Stati Uniti invitò le pubbliche università a brevettare la conoscenza, ivi incluso la conoscenza genetica. A partire da quest’anno, correndo lungo queste corse, si è sviluppata una nuova forma di scienza, imprenditrice. (…) La svolta fu salutata con entusiasmi in molti ambienti anche scientifici. Perché, si diceva, avrebbe drenato risorse nuove e aggiuntive non solo per gli scienziati (e il loro privato conto in banca), ma anche per la scienza e per la produzione di nuova conoscenza. A oltre vent’anni di distanza possiamo trarre un qualche consuntivo. La tutela della proprietà intellettuale anche nell’ambito della nuova biologia ha prodotto effettivamente risorse nuove e aggiuntive per la produzione di nuova conoscenza scientifica. Tuttavia ha prodotto anche alcune distorsioni. Prima tra tutte, quella della costituzione di monopoli.” (L’Unità, 8.7.2003)



La “moderazione” con cui la politica borghese sta affrontando l’argomento è sinonimo di una politica ostaggio di queste corporazioni o di un sistema capitalista imperialista integrato, delle multinazionali, che produce un sistema sempre più asfissiante ed omicida di distruzione dei residui spazi di libertà ? Ritengo si tratti di entrambi i fenomeni. Se c’è un passaggio che segna questa svolta, si tratta della progressiva estraneazione della sfera pubblica dalla questione della sanità e della ricerca. L’uomo diviene merce non più solo come forza-lavoro, ma anche come corpo in vitro, cavia di esperimenti allucinanti, la deprivazione della vita diviene non solo morte e violenza, ma anche invadenza e negazione di ogni libertà.

Una ideologia malata che si innesta nascostamente dietro i segreti e le riservatezze di un mondo sempre più alieno alla trasparenza, poiché su tutto vi è il dominio della concorrenza tra le imprese multinazionali (da quelle farmaceutiche a quelle delle sementi, da quelle che operano sulle protesi a quelle che producono nanotecnologie di controllo invasive, ecc.)

In pratica il proletariato dei paesi del centro imperialista è oggi ostaggio di una società ove non si conosce più il limite del possibile e dell’impossibile, ove la libertà non esiste per le masse ma solo per gli sfruttatori, ove l’ambiente e la cultura d’origine della terra, della pesca, della montagna, sono sempre più insterilte da un modo di vita dominato dalla manipolazione tecnologica della natura, proprietà oramai solo ed essenzialmente delle “imprese”.



DELLA NECESSITA’ DELLA ROTTURA

La dimostrazione della ineluttabilità e necessità della rottura rivoluzionaria e della dittatura dal basso del proletariato e degli istituti di potere popolare guidati da autentici partiti comunisti di tipo nuovo, è data proprio dalla stessa esperienza delle esperienze di governo “progressista” in Europa, così oramai simili a quelle di altri paesi del Tricontinente aventi ruolo di potenza regionale e nei quali comunque è maggiore lo sfruttamento e l’estrazione di plusvalore. Anche questo fattore che tende all’omogeneità nella differenza delle diverse formazioni economico sociali e storia, tra le diverse realtà capitalistiche (imperialiste ed in via di sviluppo), dimostra che il valore internazionalista della rivoluzione proletaria è un contenuto attualissimo e non solo un principîo cardine per ogni partito comunista e per ogni sincero rivoluzionario.

Del resto nel mondo si assiste ad una tendenze politica istituzionale duplice: apparentemente alla maturazione di nuovi orientamenti politici di governo, sostanzialmente ad una ricolonizzazione legata all’intrico finanziario ed alle principali cordate multinazionali.

È proprio questo della ricolonizzazione il senso, allora, del Terrorismo imperialista a dominanza USA, che si illude di poter applicare alla maturità e coscienza dei popoli di oggi gli stessi criteri con cui nel secolo XIX il capitalismo che si andava affermando in Europa e Nordamerica si appoggiava alla predazione delle risorse dei popoli del mondo ed al soggiogamento dei loro modi (e libertà) di vita, con la scusa della “civilizzazione” di questi popoli “barbari” ed arretrati. Arretrati certo economicamente, quanto alla loro arretratezza sociale ci sarebbe da discutere, visto che siamo sfruttati alla fine dei conti da predatori e banditi di ogni risma ed origine, fattisi borghesi attraverso la dissoluzione del feudalesimo e delle classi nobiliari intervenuta in un arco di secoli non brevissimo né certo in maniera pacifica.

Che il capitalismo, giunto a questo livello di ricchezza e produttività, si debba abbassare ad un tale grado di rapina delle risorse naturali dei popoli che già per secoli hanno patito l’arroganza e la violenza delle potenze occidentali (e regionali dominanti), la dice lunga su quale grado di rispetto del “diritto” possa esistere sia sul piano internazionale che interno dei singoli paesi.



DELLA CRISI CAPITALISTA E DEL PROGRESSO

A muovere questa disperata rincorsa americana al saccheggio ed alla depredazione non è tuttavia una specifica propensione per le scoperte scientifiche ma bensì la crisi capitalistica che viceversa sprofonderebbe il capitalismo americano e mondiale in una situazione di cui solo le masse con il loro lavoro e le loro scelte, e non certo le classi dominanti, potrebbero uscire.

Le manifestazioni della crisi capitalistica, specie sul piano finanziario (crisi di valorizzazione, crescita della sproporzione tra capitale circolante e prodotto reale, crescita del ruolo delle banche e conseguente progressiva snaturazione della struttura economica debito interno, accumulazioni fraudolente, truffe, mastodontici fallimenti, crack della borsa dei titoli dell’e-commerce, e fughe di capitali), sono, in particolare negli USA, tanto numerose e significative sin dalla metà degli anni ’80 da poter esse sole “spiegare” le “scelte umanitarie” di questa classe dominante assassina ed invereconda che si regge solo sulla forza delle armi.

Il fatto che le manifestazioni più eclatanti della crisi generale (ultima il “caso” Enron in USA e “Parmalat” in Italia ed ovviamente in tutto il mondo), siano tuttora normali ed endemiche negli Stati imperialisti, nonostante la depredazione in atto, il supersfruttamento del lavoro nero e dei lavoratori immigrati, la delocalizzazione delle produzioni “obsolete”, nonostante la scomparsa dello scenario internazionale dato dalla presenza del blocco dei paesi già socialisti dell’est europeo con l’ “apertura di nuovi mercati” (degli schiavi, da sfruttare, prostituire e bruciare vivi quando “rompono i coglioni”), non ultimi i processi di “pacificazione” armata interni agli Stati nei confronti dei conflitti sociali, nonostante la dipendenza finanziaria dei paesi del Tricontinente dal sostema del “credito” internazionale, nonostante il controllo totale dei mercati delle materie prime, la dice lunghissima sul fatto che in realtà la Rivoluzione è più che attuale e necessaria.

Il lavoro sporco degli economisti e degli “esperti di finanza internazionale” (destinato come sempre alla spazzatura della Storia) è teso unicamente a portare bombole di ossigeno ad un sistema sociale moribondo, fallimentare e putrescente (NOTA 9), rubandolo direttamente dalle viscere ulcerose e dai polmoni malati dei bimbi dei paesi poveri.

Le leggi impietose della realtà oggettiva e della vita ad ogni illusione mercificata dai media della borghesia si ripropongono (nuove scoperte -monopolizzate e sfruttate dai soliti poteri-, velocità, potenza del sistema economico, nuove fonti di energia, nuovi farmaci, nuovi prodotti transgenici, nuovi materiali) sbarrando invece il passo al “progresso” di cui si dicono artefici i magnati della finanza, dei media, del petrolio e dello sfruttamento industriale e tecnologico.

Progresso che bene stanno iniziando a rimpiangere (ripensando agli anni del mito borghese e revisionista del “boom” e della crescita economica senza discontinuità -NOTA 10-) i proletari che hanno superato la cinquantina nei paesi occidentali.

La nostra Rivoluzione, ineluttabile storicamente per quanto proiettata nel divenire, ripagherà questi proletari come i proletari di tutte le epoche storiche del nostro paese come di ogni altro paese, dei danni del revisionismo.

La enorme ricchezza, potenza economica e scientifica costruita nel capitalismo sul sangue della classe operaia e dei popoli oppressi, a che cosa ha portato se ancora oggi negli stessi paesi del centro imperialista esistono fame, disoccupazione, xenofobia, politiche di negazione delle garanzie e protezioni sociali, abbruttimento, disperazione, salari da fame, negazione dei diritti di sciopero ed autorganizzazione, distruzione del patrimonio pubblico costruito con il contribuito dei lavoratori e “privatizzato” (svenduto, regalato, in soldoni, al predatore e procacciatore d’affari di turno, con le conseguenze che sappiamo -NOTA 11-) e messo a fruttare per i soliti capitalisti dai governi borghesi allo scopo dichiarato di rifinanziare i propri apparati di potere e le casse degli industriali loro soci, oltreché di “sanare” i debiti contratti con le banche dai governi (sempre e solo i “precedenti”) della loro stessa classe per i loro stessi interessi ?

La crisi si fa sentire anche tra i settori più deboli della borghesia, quelli per esempio del commercio che, nell’attribuire le responsabilità degli aumenti dei prezzi alle catene di distribuzione all’ingrosso (modello capitalista imperialista sviluppato degli approvvigionamenti locali e non solo nazionali di alimenti, frutta, generi di prima necessità) ed alle grandi strutture commerciali, non possono negare che corporativamente vogliono mantenere gli stessi margini di guadagno speculativo sulla vendita al minuto, alla quale oramai nella società nessuno può sottrarsi. Gli aumenti dei prezzi giocati sulla pelle della gente, per esempio con l’entrata in campo dell’ €uro, viaggiano anche al 10%, il che, in un paese con un p.i.l. in crescita quasi zero, e con adeguamenti salariali risibili, in un anno costituisce un attentato alla salute della gente.

I “modelli” di società capitaliste, all’interno del m.p.c., si distinguono tuttora, nelle società cosiddette avanzate, tra quelli in cui lo scontro di classe per il potere ai lavoratori non si è mai storicamente tradotto in una concreta prospettiva, ed ove magari sono ancora presenti le figure monarchiche, come per es. Svezia ed Olanda, ma anche Inghilterra, paesi in cui l’attenzione verso la “protezione sociale” (in Italia altrimenti detta per criminalizzarla, sin dalla fine degli anni settanta, “spesa pubblica”), è ancora alta, e in paesi in cui la politica delle privatizzazioni, dell’abolizione degli uffici del collocamento (rilegittimazione della chiamata nominativa su larga scala), della liberalizzazione del mercato del lavoro (società interinali e schiavizzazione e precarizzazione crescente della forza lavoro, hanno imbarbarito i rapporti sociali, vendendo la falsa merce del “part-time” e della “libertà” che in realtà è solo dei capitalisti, di sfruttare più minuziosamente la forza lavoro entro un quadro di crescente parcellizzazione e specializzazione delle mansioni, che nulla toglie poi a poter sfruttare in ogni modo il lavoratore all’interno del “suo” lavoro. In queste società, come in Italia, a questi processi si è appunto sommata una politica di crescente abbattimento della spesa sociale, che il più delle volte è rivolta a classi e settori privilegiati, come nel caso delle pensioni ove viene colpita la classe lavoratrice con l’innalzamento dell’età pensionabile e intanto si mantengono le pensioni d’oro per militari, funzionari e categorie protette –doppia truffa-); ciò in particolare nel caso dell’Italia, che se in alcuni paesi è riconosciuta come problema sociale ove il lavoratore privato di un impegno lavorativo ha un certo sostegno (corrispondente anche al 3% del p.i.l., come in belgio o Danimarca), altrove come in Italia è estremamente ridotto (0,4% del p.i.l., nonostante l’alto tasso di disoccupazione, specie al sud –18%, che tra i giovani meridionali però è attorno al 30%, e questo nonostante la alta affluenza di questa componente nelle forze di polizia), e deve rassegnarsi alla sopravvivenza od al “fai da te”.

Disoccupazione che in questa società italiana e spesso occidentale (modello americano), individualizzata e disgregata produce disperazione e forme di lotta estreme nelle persone più colpite dalla repressione, dal mobbing, dall’abbruttimento del lavoro. Ma che risente anche di fattori “storici” (un tasso di attività oggi al 56%, -ed una quota di lavoratori dipendenti e precari attorno al 43-44 %-, tra i più bassi nei paesi “avanzati” a significare un retaggio feudale e non solo un dato di maggiore debolezza del movimento operaio, dato che storicamente questo è stato invece assai conflittuale ed organizzato). Il fenomeno del “fuoco” come forma estrema di abbandono della vita è apparso negli anni ’90 ed ha una precisa connotazione di una protesta disperata, senza alcuna possibilità di soluzione. La depressione che accompagna spesso la disoccupazione (i 200 suicidi tra i cassintegrati Fiat all’inizio degli anni ’80 sono l’anticipazione di questo fenomeno) ha un dato politico e sociale nell’assenza di un riferimento collettivo nella stessa classe sfruttata: spesso non parrebbe che cent’anni fa in questo paese esistevano le Casse del muto soccorso. L’assistenza e la “corsa alla soluzione” dei problemi creati dalle chiusure assassine e di comodo che il padronato criminale impone alle fabbriche non più “strategiche”, operata dai sindacati di regime, dai sindaci e dai presidenti delle regioni, non è d’uso quando la disperazione nasce nelle piccole realtà, ove l’individuo è atomizzato nella sua disperazione.

La precarizzazione, poi, a prescindere dalla abolizione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa (una specie di lavoro dipendente con minori garanzie, ma per andare a garanzie ancora inferiori per più di 2 milioni di lavoratori, in gran parte giovani) sta assumendo caratteri di massa inediti (statisticamente attorno al 10-12% degli occupati a voler considerare part-time e lavoro temporaneo), a causa della imposizione dei dittatori del capitalismo, ai nuovi assuniti, di criteri del tutto strumentali ed atti a negare il dovere dei padroni, frutto della mediazione sociale seguente allo statuto dei lavoratori, a contribuire alla previdenza sociale ed alla stabilità sociale con la garanzia del posto di lavoro; in pratica non ci sono quasi più assunzioni stabili che non siano legate a figure professionali specifiche e in qualche modo necessariamente funzionali al capitale. Gli attacchi che il governo attuale sta portando su questo campo sono mirati non tanto alla gravità delle conseguenze anche politiche che provocano, quanto al dato politico perseguito scientificamente e progressivamente della eliminazione progressiva delle conquiste del movimento dei lavoratori degli anni sessanta e settanta.

Le stesse statistiche borghesi, sempre atte a fornire dati che nascondano il reale rapporto di sfruttamento nelle sole differenziazioni tra regolarità ed irregolarità dei rapporti di lavoro, ci danno il senso di questa precarietà crescente.





Ovviamente la crisi non tocca, se non in misura individuale ed episodica, le classi protette dei professionisti al servizio del capitale e delle sue “regole”. I “professionisti” delle categorie regolarizzate dallo Stato sono una parte significativa della “stabilità politica” del paesucolo. Riproducono una logica d’ereditarietà e si proteggono a vicenda, come i vassalli feudali.

Le frazioni di borghesia imperialista al potere, in particolare quelle legate alla politica reazionaria che cerca di illudere la piccola e media imprenditoria della necessità della devolution e delle gabbie salariali, per agire così, non possono non essere coscienti che si va alla guerra civile. “Quindi ci vogliono portare al fascismo, cioè ad una guerra civile breve e giocata da loro su posizioni di forza. Quindi sono disposte a creare un fascismo “liberista” e neocorporativo che si nasconde dietro le emergenze internazionali del “terrorismo islamico” e della “instabilità globale”.

Il che significa che QUESTE frazioni di borghesia, legate anche alla mafia precedentemente democristiana e delle forze di centro specie nel Sud (come il partito al governo), sono coscienti di cercare una soluzione eversiva della Costituzione del 1947 realizzata dalle forze che avevano partecipato alla resistenza. La cosa è in qualche modo dimostrata anche dalla continua emorragia di capitali, dalla progressiva chiusura e dal cedimento delle proprietà nazionali delle strutture industriali, spesso redditizie ed in buona salute, cessioni che non sono vietate per legge nell’interesse nazionale, a dimostrazione che l’interesse per la proprietà privata dei mezzi di produzione è tutelato molto più dell’interesse collettivo anche quando si tratta di cattivi affari del tutto dettati da logiche egoistiche se non cannibalistiche di frazioni di capitale (è il caso dell’ “opera” compiuta da Romiti jr. nei confronti della Fila di Biella, che ha portato alla scomparsa di una attività industriale e redditizia centrale in un distretto specifico come Biella, l’anno scorso).

La struttura sociale della società che gli apologeti del capitale, i bonzi sindacali e le loro teste d’uovo, gli anchorman della politica mediatica ed i baroni universitari e delle corporazioni scientifiche e mediche, si sforzano di definire “post-moderna” e di una nuova era di sviluppo e progresso, in realtà è marcatamente divisa in due fronti opposti, sempre meno sono infatti le figure sociali in qualche modo funzionali e protette dal capitale e dalla sua struttura di potere e controllo. Lo vediamo in questo schema:

La crisi generale del capitalismo si traduce in termini economici in tassi di crescita irrisori a fronte di una massa di capitali circolanti centuplicata in pochi decenni, di una produttività industriale (e di una parte significativa dei servizi produttivi di plusvalore) enormemente accresciuta, a fronte di uno sviluppo scientifico che in pochi decenni ha compiuto balzi epocali (con la nascita nei paesi del centro imperialista di Poli tecnologici che occupano un numero di persone assimilabile a quello delle cittadelle industriali del passato).

Come affermavo un decennio fa in occasione di un altro processo, analizzando la tendenza intrinseca in atto al capitale nei paesi imperialisti ed in particolare in Italia ed USA, “il capitale tende quindi sempre più a trasferirsi nella sfera finanziaria, così come lo sfruttamento della forza-lavoro nei paesi capitalistici cd.avanzati tende verso la produzione di servizi atti alla gestione e regolazione dei rapporti sociali piuttosto che verso la produzione di merci. A questa tendenza, contribuiscono diversi fattori caratterizzanti la crisi (…), principalmente la caduta del saggio di profitto che spinge, stante la crescita della composizione organica di capitale, alla ricerca di mercati del lavoro più “flessibili” ed a basso costo. Nelle imprese più significative le attività di portafoglio finanziario e di gestione comandano le attività industriali, così come nei rapporti internazionali le operazioni finanziarie dirigono quelle commerciali e le attività produttive. Il capitale che non riesce ad ingrandirsi nell’ambito della produzione cerca di farlo nell’ambito finanziario. La crescente circolazione finanziaria permette il formarsi di gruppi di controllo delle attività bancarie a volte totalmente estranei al capitale produttivo, spessissimo fondati sull’attività speculativa. I rapporti finanziari diventano l’ossigeno di ogni Stato e di ogni autorità pubblica (amministrativa di località, settori, regioni, ospedali, municipalizzate, aree di crisi, ecc.) e nello stesso momento li soffocano, dettando legge, dentro un aumento vertiginoso del debito. Un aumento che ha trasformaro gli USA da paese creditore a paese debitore principale nel mondo (…). Nessuno Stato può oggi sottrarsi a questo meccanismo in modo indolore.” (al di fuori del sistema socialista ove le priorità sono alla difesa dell’economia nazionale, della struttura economica e delle necessità del popolo).

Dove sono finiti i benefici diretti che le grandi scoperte del XIX e XX secolo avevano portato (per es. con l’urbanizzazione) in generale e non solo ed esclusivamente -come oggi- a questi nuovi predatori feudali ? Oltre che nei forzieri dei santuari del capitale finanziario, si sono materializzati in proprietà di beni già pubblici, yacht, campi da golf, villaggi turistici d’élite, isole private, alberghi di lusso, palazzi, reggie e ville, opere d’arte, oro, diamanti, orologi preziosi e gioielli, vestiti su misura, orchestrine al servizio e macchine da capogiro, aerei da turismo, elicotteri, armi e guardiaspalla, cliniche private, stupefacenti e psicofarmaci in quantità, nuovi organi, nuovi prodotti transgenici, banche dello sperma, protesi dentarie, scuole per bambini viziati, villaggi olimpici, piste di formula uno, piste da sci, piscine private, squadre sportive, scuderie di cavalli, allevamenti di cani selezionati, viaggi nello spazio, prostitute e servitù.

In questo, vi è una condivisione di interessi e piaceri assolutamente totale tra la borghesia imperialista e l’extralegalità. La differenza è che i primi costruiscono le galere, i secondi molto spesso le abitano.