XI. DELLA NOSTRA APPARTENENZA DI RIVOLUZIONARI CONSEGUENTI
AL MARXISMO-LENINISMO-MAOISMO (parti aggiornate in rosso
2006)

La rottura del ’69 operaio che seguì al ’68 del movimento degli studenti in tutti i paesi occidentali, grazie anche alla forza della GRCP, fu catalizzata dall’inizio della guerriglia comunista in Italia attorno a tre dati ideologici di fondo: “i nostri punti di riferimento sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l’esperienza in atto nei movimenti guerriglieri metropolitani” (BR, Autointervista, 1971). Lo sviluppo della lotta armata nei paesi occidentali e delle rivoluzioni di nuova democrazia e di liberazione nazionale, quindi l’affermazione controrivoluzionaria nei paesi del centro imperialista e la formazione ed estensione delle guerre popolari nei paesi del Sud del mondo, con l’inizio di una nuova crisi generale, hanno prodotto diverse e nuove definizioni teoriche. Ma il punto di svolta storico dell’affermazione del m-l-m è nella definitiva caduta e crollo del revisionismo traditore che aveva preso il potere nei paesi del campo socialista nell’Europa orientale e nell’URSS dopo la morte del compagno Stalin.

È il m-l-m la teoria che oggi offre il maggiore spazio di comprensione ed identificazione agli autentici rivoluzionari nel mondo attuale, è l’ideologia forza dell’esperienza storica e del patrimonio del M.C.I., arricchita dalle esperienze di questi ultimi 30 anni. Nel movimento rivoluzionario e comunista internazionale, i problemi che hanno trovato definizione e sistematizzazione con il nuovo movimento comunista internazionale sono stati catalizzati dall’esperienza dei primi partiti comunisti maoisti di tipo nuovo, che dalla metà degli anni ’80 rivendicano al m-l-m la guida della Rivoluzione proletaria mondiale. Questa oggi è il frutto sia del divenire storico del movimento comunista, sia dello sviluppo e dell’estensione del m.p.c. al mondo intero. L’emergere di una CLASSE PROLETARIA MONDIALE UNICA, nettamente distinta dai residui di aristocrazia operaia dei primi paesi capitalisti, ma omogeneamente integrata in un unico ciclo capitalistico mondiale, ha forzato i tempi all’analisi proletaria onde dotare il novimento storico della trasformazione rivoluzionaria di un’arma poderosa e formidabile, capace di andare oltre i santini senza perdere una sola goccia del sangue e del sudore proletario accumulatasi nel patrimonio storico del comunismo mondiale. Al marxismo-leninismo, quindi, si è aggiunta l’esperienza del socialismo in Cina e della lotta di classe che vi si è scatenata, nonché quella delle esperienze guerrigliere metropolitane, e soprattutto delle guerre popolari che si sono sviluppate in crescendo anche nella coscienza dei comunisti, nonostante il silenzio della cesura culturale sciovinista e revisionista della canea opportunista che monopolizza la cultura operaia e proletaria in occidente. La definizione del marxismo-leninismo-maoismo va dunque oltre il dogmatico agitare dei libretti rossi di tanti gruppuscoli m-l che del MaoTseTungpensiero facevano un uso prettamente propagandistico senza trarre da quella esperienza le lezioni storiche che anche una classe operaia ed un proletariato come il nostro potevano cogliere. Si è oggi ben oltre queste categorizzazioni. Il dibattito si è sviluppato a livello internazionale ed il confronto tra molteplici esperienze rivoluzionarie, nel corso degli anni, pur con differenze ideologiche in alcuni casi, ha portato alla formazione di autentici Partiti comunisti marxisti-leninisti-maoisti nel mondo, tanto che anche nei paesi occidentali questa teoria rivoluzionaria sta iniziando a dare fastidio a molti cattedrattici. Questi partiti hanno anche avanzato proposte ed analisi ai comunisti di tutto il mondo, ed in alcuni paesi sono la principale forza politica del popolo, in lotta per il potere. Non a caso sono demonizzati, colpiti ed aggrediti in tutte le maniere dall’imperialismo, soprattutto laddove, come in Perù e Nepal, agiscono come frazione rossa del movimento comunista internazionale, ma anche laddove, come nelle Filippine, sviluppano una teoria più vicina alle tesi classiche del marxismo-leninismo pur operando attraverso la strategia della guerra popolare. Ad essi va la solidarietà degli autentici rivoluzionari in tutto il mondo, poiché da essi viene il massimo della solidarietà: stanno facendo la Rivoluzione nel proprio paese. E la fanno in nome del proletariato mondiale, che per la prima volta nella storia corrisponde alla geografia planetaria in forma compiuta anche se nel perdurare di notevoli differenze di formazione economica e sociale.

Il marxismo-leninismo-maoismo non è una quindi una deformazione del marxismo-leninismo i cui sostenitori stanno facendo molti danni, è la sua attuale prosecuzione ed evoluzione, data dall’estensione del m.p.c. sul piano mondiale, e comprende in estrema sintesi (e scusandosi per la stringatezza voluta):

·         la teoria marxista, dei caratteri di emancipazione, libertà ed eguaglianza propri dell’esperienza rivoluzionaria francese e della sua successiva rottura con l’idealismo tedesco alla necessità di unire i propri sforzi e quelli di Engels, intellettuali rivoluzionari, alle prime organizzazioni clandestine operaie, fino alla Lega dei Comunisti ed al manifesto del partito comunista quale bandiera eterna degli sfruttati, nel fuoco della rivoluzione europea del 1848; del materialismo storico e dialettico, concezioni di base della rivoluzione come aspetto soggettivo determinato dalle condizioni oggettive e storiche di un dato modo di produzione inteso come la fondamenta di ogni società, e dell’ideologia della classe dominante come prodotto dello sviluppo storicamente determinatosi in essa; della analisi dei caratteri storici, sociali, oggettivi e della vita dei lavoratori nelle prime città operaie e strutture industriali, nello studio e nella analisi e definizione scientifica della genesi del capitale e del modo di produzione ad esso sotteso, attraverso la critica dell’economia politica e la conoscenza delle tendenze e controtendenze alla sua crisi, che è storicamente determinata a creare le condizioni scientifiche del passaggio dell’umanità al socialismo, forma superiore di società ove la classe lavoratrice è emancipata ed emancipatrice dall’alienazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; della natura e della importanza del ruolo dirigente e trascendentale della classe operaia nella via del socialismo; del ruolo del partito comunista e del suo programma, con le necessarie rotture e discriminanti dalle posizioni errate in seno ai primi partiti socialdemocratici; nella costituzione della Associazione Internazionale degli Operai, nel cuore della controrivoluzione europea, come punto di partenza del movimento socialista sul piano mondiale, con la rottura dalle concezioni idealiste, borghesi risorgimentali ed anarchiche (queste ultime in quanto oppositive alla necessità storica della dittatura della classe operaia nel socialismo futuro); della difesa e rivendicazione della natura rivoluzionaria della prima esperienza di dittatura della classe operaia e degli organismi popolari rappresentativi nella Comune di Parigi, attraverso l’esaltazione del valore liberatorio e prospettico dell’assunzione del potere nelle mani della maggioranza, sfruttata ed oppressa, del popolo, sotto la guida del proletariato; nel rilancio dell’Internazionale Socialista e del movimento comunista attraverso la fondazione dei primi partiti operai e socialdemocratici, soprattutto con Engels dopo la morte di Marx, che vede anche l’affermazione politica del partito in Germania alla fine del XIX secolo.

·         la teoria leninista, sorta come evoluzione dei circoli socialdemocratici della futura Leningrado, comprende la natura classista, clandestina, soggettiva e di avanguardia del partito, analizza e predispone al futuro le esperienze del movimento operaio del XIX secolo (in particolare in La Comune e in Karl Marx), struttura la concezione proletaria della guerra partigiana quale strumento rivoluzionario nella lotta per il potere, ripropone l’esigenza discriminante della direzione della classe operaia nel partito e la natura internazionalista ed internazionale del partito comunista (inteso sia come attuazione del compito rivoluzionario nel proprio paese, sia come Internazionale Comunista), del rifiuto del militarismo assassino dell’imperialismo attraverso la guerra alla guerra ed il coinvolgimento dei proletari arruolati nell’esercito nella lotta rivoluzionaria per il potere, della necessità della dittatura proletaria per la costruzione del socialismo, della necessità che i sindacati siano forma proletaria di espressione e non alternativa al potere dei consigli e delle assemblee dei lavoratori (i Soviet) che devono costituire la base della società socialista e della necessità di pianificare lo sviluppo economico e sociale coinvolgendo le classi sfruttate e reprimendo la borghesia nella sua resistenza al nuovo potere socialista e collettivista; quindi dell’esigenza di una direzione collettiva nel partito.

·         la teoria leninista viene arricchita dal compagno Stalin con il suo contributo nella costruzione della società socialista, nello sviluppo della politica internazionalista dei partiti comunisti, nell’affermazione della superiorità ideologica del marxismo-leninismo attraverso una esposizione semplice ed articolata e comprensibile alle più ampie masse dei suoi princîpi (BIBL. -43-), nella difesa del partito dalle posizioni borghesi ed economicistiche sviluppando la massima partecipazione popolare al processo storico, nella difesa della patria dall’aggressione nazifascista attraverso la grande guerra patriottica, cercando di creare le basi per una coesistenza pacifica tra i popoli, che nel venire però sfruttata e speculata dall’imperialismo, anticipa i termini del conflitto, che è attualissimo tra i popoli oppressi (uniti ora prospetticamente al e nel campo socialista), e l’imperialismo (questi i principali aspetti positivi della guida del compagno Stalin nell’Unione Sovietica).

·         in comune alle esperienze sovietiche cinese e russa, la teoria, lo studio, la verifica e la sintesi ideologica sulla lotta per caratterizzare e determinare correttamente la natura e lo sviluppo della costruzione del socialismo e dell’economia collettivista, la teoria del fronte unito contro il fascismo, la possibilità di costruire il socialismo anche in un paese accerchiato dal capitalismo.

·         per quanto riguarda la teoria maoista, la analisi di classe alla base di ogni attività politica e progettuale del partito comunista, la natura della rivoluzione di nuova democrazia nei paesi oppressi dall’imperialismo; la teoria della guerra rivoluzionaria e popolare fondata sull’alleanza della classe operaia e della classe contadina (e non sulla direzione dei contadini come affermano i “marxisti-leninisti” antiMaoTseTungpensiero); la natura del processo di lotta di classe anche all’interno del partito, dello stato e della società socialista, le specificità della classe contadina e della sua lotta per la trasformazione delle campagne e della società, la comprensione del materialismo dialettico nella classe con le teorie sulla pratica, sulla contraddizione e sulla lotta tra le due linee nel partito; la rivoluzione ininterrotta culturale proletaria quale elemento di continua verifica e di lotta nel partito e nella società socialista contro il revisionismo moderno e il riapparire della ideologia e dei complotti della borghesia contro l’approfondimento della transizione socialista verso il comunismo, la teoria dei tre mondi, la teorizzazione della futura ondata della rivoluzione proletaria mondiale nell’arco di 50-100 anni (anni ’60), la teoria della prosecuzione della lotta di classe “per diecimila anni”.

Nel complesso il marxismo-leninismo-maoismo, ossia l’ideologia proletaria del marxismo al massimo grado raggiunto dalla diffusione del modo di produzione capitalista e dall’imperialismo NEL MONDO INTERO, nonché dalle esperienze socialiste e dalla critica al revisionismo affermatosi in URSS nel 1956, propugna il conflitto di classe al livello dato e possedendo una articolata teoria rivoluzionaria dei tre strumenti della rivoluzione, Partito, Esercito e Fronte, dà la possibilità ai rivoluzionari d’avanguardia sia nel centro imperialista che nei paesi del Tricontinente (che oramai sono in molti casi anch’essi paesi capitalistici), di costruire il percorso della guerra di popolo che porterà alla presa del potere, essendosi dimostrata insufficiente e limitata, e non da ora, ovunque sia stata verificata a parte che nell’immediato post-II guerra mondiale in alcuni paesi dell’Europa orientale, la teoria dell’insurrezione che ha funzionato nell’Ottobre 1917 in Russia (di cui abbiamo già visto nel paragrafo “dei tentativi insurrezionali negli anni ‘20” nella rivisitazione storica del M.C.I. all’inizio di questo contributo).

Infatti l’evoluzione e la complessità dei rapporti sociali al livello dato dal capitalismo imperialista, sia nei paesi del centro che della “periferia” (altro termine sciovinista di cui ci dovremmo liberare in riferimento ai paesi del Sud del mondo: rovesciando il mappamondo, cosa cambia ?), è tale per cui solo all’apice conclusivo della guerra mondiale tra le masse sfruttate ed il capitale, si potranno dare momenti insurrezionali susseguentisi a ritmo incessante, sino alla completa caduta degli eserciti imperialisti.

Ma questo momento storico potrà darsi solo dopo l’affermarsi del socialismo e dell’avviamento della transizione (in una situazione di lotta permanente e di costruzione nella lotta, da parte della masse oramai partecipi del proprio destino, possibilmente prima che la barbarie si innesti definitivamente nel cuore degli uomini avviando sfaceli ed arretramenti epocali) in una serie di paesi.

 

DELLE “CRITICHE” ALLA TEORIA DELLA ATTUALITA’ DELLA GUERRA POPOLARE

Quale l’origine e la causa dei mali che affliggono il movimento comunista nel nostro paese, e di cui le deformanti “critiche” alla trascendentale importanza e valore che riveste oggi la g.p.p. nel mondo sono il frutto più recente, se non il prevalere opportunista delle teorizzazioni di un ceto politico borghese ed intellettuale anticomunista nel P”c”i della svolta di Salerno togliattiana ha dapprima epurato un partito di avanguardia (il PCd’I del 1943), quindi progressivamente corroso un partito di massa portando alla fine degli anni settanta allo scontro politico all’interno della classe operaia, a favore dei padroni; questo prevalere del revisionismo in Italia ha inoltre deformato scientemente e criminalizzato molte concezioni ed espressioni di posizioni rivoluzionarie presenti nella classe operaia, si è opposto alla espressione dell’autonomia di classe (definita tout-court “avventurista”), alla guerriglia di migliaia e migliaia di operai comunisti e di giovani proletari (definita “terrorismo”), e sul piano internazionale alla Cina di Mao Tse-Tung (BIBL. -44-) ed al marxismo-leninismo autenticamente portato avanti nella Grande Rivoluzione Proletaria Cinese dall’avanguardia rivoluzionaria poi repressa ed incarcerata dal revisionismo dengista (e non tanto dalla posizione élitaristica di Lin Piao, demonizzato oltre al necessario proprio per combattere il prodotto delle posizioni del IX Congresso del PCC e le posizioni di sinistra a livello mondiale).

Questa esperienza storica dimostra che il problema non si limita alla questione per cui l’accumulo di forze (di impostazione leniniana, al fine di giungere all’insurrezione popolare liberatoria) non può darsi in maniera lineare nello scontro di classe, ma che lo stesso accumulo di forze non può che essere contestuale alla costruzione di un nuovo potere popolare dal basso (gli organismi di massa rivoluzionari, i consigli, ossia i soviet), che in una società come la nostra trova forse ancora più difficoltà che nelle società arretrate, per cui l’analisi che oggi prende a “modello” il “marxismo-leninismo” antiMaoTseTungpensiero per i paesi del centro imperialista, contrapponendolo erroneamente al maoismo buono per i “soli” paesi del “terzo mondo” a maggioranza contadina (e nemmeno, secondo costoro, per i paesi industrializzati dell’America Latina orientale, dove invece si è esplicata una guerriglia metropolitana e non si è ancora sviluppato il maoismo), non è solo riduttiva ma è addirittura millenaristica e quindi opportunista poiché alla fine dei conti non solo evita di fare i conti con il problema concreto del livello di scontro e della situazione concreta in cui questo accumulo di forze dovrebbe avere inizio, ma si riduce a mera agitazione politica che al massimo riproduce una mentalità attendistica nella classe operaia.

Ora il probema che pare affliggere i compagni antiMaoTseTungpensiero (non ci interessa qui confrontarci con le miriadi di falsi “leninisti” di gruppetti come il PMLI, rigidamente ancorati alla calunnia ed al carro controrivoluzionario delle sfilate sindacali), è quello del rivendicare al marxismo-leninismo l’applicazione odierna della FORMA dell’insurrezione quale metodo canonico rivoluzionario attuale nelle “società avanzate”, quando in realtà laddove ha fatto scuola come in Russia nell’Ottobre 1917, è stato in una situazione ben particolare, in un paese anch’esso semifeudale a maggioranza contadina, anche se dotato di strutture militari avanzate, paese sfasciato dalla guerra e dalla miseria delle masse, e non certo nei tentativi falliti in Germania, in Italia nel 1945 e 1948, ed in numerosi altri paesi europei.

Questo aspetto, (come in molti più pregevoli contributi di partiti maoisti e di collettivi nel nostro paese, soprattutto negli anni ’70, allorquando l’ “insurrezionalismo” veniva messo al bando dalla guerriglia operaia e proletaria, nell’affermarsi della teoria della guerra di classe di lunga durata), pare essere dimenticato dai molti compagni antiMaoTseTungpensiero nel M.C.I., specie in Europa, ed ovviamente tra i partiti comunisti dell’attuale Russia, e tra coloro che li considerano il faro della rivoluzione mondiale nella loro prospettiva, sempre dietro l’angolo, della nuova rivoluzione bolscevica (magari fosse, la Storia avrebbe un sobbalzo, la ripetizione uguale dei fenomeni politici e collettivi in uno stesso paese a distanza di un secolo sarebbe politicamente confortante solo per chi non sa assumere l’elemento della trasformazione e quello della dinamicità delle cose, principio essenziale della concezione rivoluzionaria).

Questa posizione neo-revisionista in realtà si fonda su molti travisamenti. Eccone alcuni:

·         La teoria del ’26 di Stalin riferita alla Cina ed alla necessità di armarsi del popolo, non fa i conti con la suicida analisi contemporanea di trotsky (ancora interno all’epoca al PC(b) dell’URSS) che invitò all’insurrezione i comunisti di Canton e Shangai, con l’esito che sappiamo, nel ’27.

·         La guerra popolare di lunga durata teorizzata e praticata da Mao e dal PCC si svolse sotto la direzione della classe operaia alleata alla classe contadina e non il contrario.

·         La guerra popolare non si fonda solo sulle “basi rosse” ma anche sul concetto di guerra di mobilità e su molte altre concezioni pratiche che sono da orientamento per le rivoluzioni in tutto il mondo in quanto non si fonda come strategia su una data situazione specifica (più o meno foreste, più o meno montagne) bensì sulla linea di massa della lotta prolungata che vede impegnate le masse nel processo rivoluzionario ben oltre la logica del “colpo di mano” storicamente dimostratasi inadeguata di fronte alla complessità delle situazioni e delle forze in campo.

·         La contrapposizione tra “insurrezione” e guerra popolare è un’impostura poiché l’insurrezione è prevista nella teoria della g.p.p. come esito finale dell’accerchiamento delle città. Questo non è improponibile nei paesi del centro imperialista poiché tutto il mondo è paese ed ovunque i borghesi si asserragliano in quartieri ben protetti. La lotta di popolo a Lima ne è un esempio, si svolge nel grado massimo storico di militarizzazione imperialista a protezione del capitale in ogni occasione di anniversari del potere o di scontro sociale.

·         Il faro della rivoluzione proletaria mondiale è il Perù ove è iniziata la guerra popolare nel 1980. La guerra popolare in Nepal ne segue il corso e la strategia.

·         È falso che in India ed in altri paesi la guerra popolare non abbia “colto” significativi successi. La stessa esistenza di aree liberate e di centinaia di migliaia, di milioni, di contadini e di proletari organizzati FUORI dalla società del capitale e delle caste, dovrebbe essere un successo per chi si ritrova da 30 anni e più a tabaccare nelle stamberghe della rivoluzione proletaria italiana, tra cicche e quartini.

·         Non è vero che i marxisti-leninisti-maoisti affermino che le lotte di liberazione nazionale in vari paesi (“Palestina, Paesi Baschi, Irlanda, Afghanistan, Kurdistan, Cecenia, Kosovo, Kashmir, Sri Lanka, etc.”) sia assimilabile alle g.p.p.: si tratta in questo caso della solita tattica della banalizzazione, dell’appiattimento delle differenze attribuito a chi viene fatto oggetto di critica. Come vediamo anche in alcuni casi a parte:

1.      In Palestina esiste una lotta popolare di indipendenza nazionale e di liberazione dal sionismo che si esprime anche come guerriglia. Ma non esiste una guida univoca marxista-leninista-maoista del proletariato (ancora poco sviluppato) e del popolo. Inoltre l’imperialismo sionista con la sua natura di stato religioso ha fomentato contraddizioni nel campo popolare palestinese che si sono trasformate anche in lotta religiosa.

2.      Nei Paesi Baschi la lotta di indipendenza nazionale è di tutto il popolo ma è soprattutto lotta di massa, ben al di là delle demonizzazioni dei fascisti spagnoli al governo e della pedissequa U.E. Inoltre storicamente nelle Asturie e in Euskadi la lotta di indipendenza nazionale si è fusa alla lotta della classe operaia e dei minatori.

3.      In Irlanda la lotta popolare contro l’imperialismo inglese si esprime da due secoli e storicamente ha attraversato una tappa importante con la conquista dell’indipendenza nel centro-sud dell’isola, dopo una feroce lotta nel campo rivoluzionario che ha visto la sconfitta dell’opportunismo. L’avanguardia della lotta di indipendenza nazionale si è espressa nella guerriglia, ma i comunisti rivoluzionari hanno un ruolo ancora rilevante nella lotta di liberazione nell’Ulster. Tuttavia non siamo certo in presenza di una guerra popolare e vi è una contraddizione nel campo nazionale tra indipendentisti e filo-britannici, di natura religiosa.

4.      In Afghanistan il progresso ed il popolo avevano portato al potere il socialismo, ma la CIA e i movimenti da essa fomentati hanno scatenato una guerra contro il socialimperialismo che si era posto a “tutela” di questa esperienza. Con gli esiti che sappiamo. Oggi però in Afghanistan ed in Iraq la lotta dopo l’occupazione militare occidentale a guida angloamericana si è trasformata in guerra di resistenza ed indipendenza nazionale, con il superamento della “guida teologica” talebana.

5.      In Kurdistan invece esiste proprio una guerra popolare che ha conseguito dagli anni ’70 in poi (ed in particolare dal 1984 fondazione del PKK e quindi dell’ERNK) notevoli successi ed appoggio popolare (costato massacri e genocidi da parte dell’esercito turco), nel conseguire esclusivamente obiettivi politici di indipendenza e libertà dall’occupazione militare turca, se oggi subisce una flessione non è certo per l’appoggio mai venuto meno dell’Esercito degli Operai e dei Contadini di ispirazione maoista, che continua ancor oggi nelle città del Kurdistan turco e nel Kurdistan occidentale (turco).

6.      Cecenia e Kosovo appaiono due cose astralmente distanti. La prima lotta è sorta dopo il disfacimento dell’URSS e quindi il venir meno della legittimità storica perdurante delle scelte corrette fatte nel merito della questione del Caucaso da Lenin e Stalin all’inizio degli anni ’20 (BIBL. -45-). Nel secondo caso una guerriglia fascistoide pagata dalla CIA e appoggiatasi con capitali giacenti in Svizzera è stata sostenuta dall’imperialismo NATO fino a quando gli è servita contro la Repubblica Federativa Jugoslava che, ancorché revisionista, era pur sempre una spina nel fianco del capitalismo occidentale, tedesco ed italiano.

7.      In Kashmir la lotta di indipendenza nazionale segue la questione della scissione pakistana dall’imperialismo indiano dopo l’indipendenza dall’impero britannico a causa della dominazione fascista hindu in India. Continua ancor oggi ed ha delle caratteristiche non comunque assimilabili ad una guerra popolare.

8.      In Sri Lanka invece la lotta di liberazione nazionale è certamente giunta al grado di equilibrio strategico con punte di offensiva da parte delle forze rivoluzionarie ed indipendentiste, ed al suo interno vivono caratteri di guerra popolare.

9.      In Colombia infine non siamo in presenza di una guerra popolare ma di una guerra di liberazione nazionale che potrà sfociare in una guerra popolare antimperialista ma che non pare poter sfociare in un ennesimo trattato di pace neorevisionista come in altri paesi (Salvador, Honduras, Guatemala) nei decenni precedenti a causa del grado di sviluppo della guerra e dell’occupazione militare yankee. Chi la confonde con una guerra popolare continua a fare CONFUSIONE.

·         Le teorizzazioni non più a favore della g.p. da parte della “direzione” del PCC sono ovvie, dato che dal 1976 in Cina comanda il revisionismo assassino. Quanto agli altri contributi di Mao, l’assalto al quartier generale e la eventuale necessità di fronte ad un golpe revisionista, di reiniziare la lotta armata, e la previsione della nuova grande ondata della rivoluzione proletaria sono punti imprescindibili per non ricorrere al citazionismo caro a questi compagni per denigrare le tesi degli attuali Partiti Comunisti maoisti nel mondo che conducono rivoluzioni vittoriose anche se di lungo periodo.

·         Si dimenticano questi “critici” che in questa fase imperialista “resistere” e condurre avanti la lotta “è già vincere”.

·         Circa l’analisi di classe italiana e la praticabilità della g.p. in Italia ho affrontato l’argomento altrove in questo scritto. Basti pensare alla diffusione dei piccoli centri (oltre 8.000 comuni) ed al fatto che la popolazione metropolitana delle 10 maggiori città è in calo rispetto al 1971, a dimostrare che la “urbanizzazione” non è una caratteristica dominante né tipicamente univoca del nostro paese, che ha invece molte zone ove si sono sviluppate in passato sacche di resistenza, repubbliche partigiane, guerriglie antinaziste e lotte popolari. Bene lo sa l’imperialismo che “segue” con la presenza di basi militari e straniere questi territori in maniera particolare, sfruttando anche qui le “scuse” del banditismo, in genere.

·         Falso che fosse la piccola-borghesia a guidare la guerriglia metropolitana in Italia negli anni ’70. Falso che le concezioni della guerra popolare fossero universalmente affermate nella guerriglia (basti pensare a PL). Anzi la guerriglia metropolitana aveva ben poche connotazioni strategiche, si sviluppava ancora principalmente in propaganda armata ed ha visto fallire il passaggio rapido alla “guerra dispiegata” proprio per questa debolezza teorica ed ideologica del suo quadro militante oltre che per la repressione ed il peso infame dell’influenza del revisionismo nella classe operaia, e dei limiti ed errori della lotta armata stessa, le cui connotazioni e direttrici erano anche molto diverse a parte la guida della maggiore organizzazione rivoluzionaria di allora, coesa sino al 1980.

·         Falso che la tenuta delle zone liberate o basi rosse fosse discriminante per la rivoluzione cinese; esse erano sì durature ma non permanenti. Le caratteristiche della guerra di resistenza in Italia rendono possibile ipotizzare che la fase acuta della guerra popolare stessa possa svolgersi in pochi anni dato il grado di coscienza delle masse certo superiore a quello dei paesi del Sud del mondo ove ancora dominano la fame e l’analfabetismo. Il problema è quindi opposto, ossia di quale strategia deve essere dotata la guerra di classe nella metropoli: la strategia maoista, dotata della linea di massa. Questa ha un esempio volutamente qui atipico come citazione nella lotta rivoluzionaria salvadoregna guidata dal Comandante Marcial alfine suicida per evitare la fucilazione da parte di un manipolo di traditori revisionisti nel Frente FMLN; Cayetano Carpio vi vedeva nelle masse “le montagne” ossia il rifugio della guerra di popolo anche laddove il territorio è minuscolo geograficamente (BIBL. -46-).

·         È falso che la “tribuna parlamentare” possa avere un ruolo oggi in un paese imperialista. Semmai, in fase di rivoluzione iniziata, un Parlamento popolare alternativo può fungere da nuovo potere in alternativa, che, anche se non “connesso” alla g.p. in atto, non potrà essere “vietato” in ragione della natura pubblica e trasparente della sua esistenza tra le masse (come un Fronte ampio popolare che si muove politicamente ed in campo sindacale e rivendicativo nel solco della trasformazione rivoluzionaria ma senza con ciò porsi militarmente contro lo Stato se non nella difesa della strada e della piazza dalle angherie delle truppe di regime).

·         Ovviamente la questione FONDAMENTALE è quale sia la contraddizione principale oggi. Per chi non voglia vedere cosa c’è dietro gli ananas Jaffa, i pompelmi e le banane Chiquita, le auto ed i computers, questo è ovviamente un non problema. Noi che ci poniamo questo problema l’abbiamo risolto nel differenziare la contraddizione fondamentale (del m.p.c.) da quella principale (della fase storica). Falso che chi fa questa differenza abbandoni il socialismo scientifico, che è innanzitutto analisi di classe e della natura della crisi capitalista. Falso che la crisi capitalista non fosse all’apice all’epoca del IX Congresso. Semplicemente ha avuto uno sbocco contenuto grazie anche al golpe in Cina, ma soprattutto al tradimento revisionista in Italia ed altri paesi, ed alla politica socialimperialista di Mosca.

·         Fans” saranno quelli che propugnano tesi antistoriche ed anti marxiste, anti leniniste ed anti maoiste, ponendo Stalin come ultimo gradino dello sviluppo del marxismo-leninismo.

·         Revisionismo è il loro, come quello di Togliatti che dopo Salerno continuava ad essere “stalinista” e come quelli che nel P “c” i si definivano comunisti e stalinisti nel pestare a sangue i giovani proletari che occupavano le università e le case sfitte su basi politiche non revisioniste ed opportuniste.

·         È il proletariato a guidare la rivoluzione e le g.p. in corso nel Tricontinente. Definirle lotte “contadine” vuol dire non conoscerle e diffamarle.

·         La linea generale della I.C. sui paesi delle “colonie” risentiva appunto del carattere ancora arretratissimo del proletariato e della produzione capitalista in quei paesi, e non è stato aggiornato proprio per le divisioni avutesi nel M.C.I. tra socialimperialismo russo e comunismo cinese.

·         Cos’è la follia imperialista americana di oggi se non il contraltare dell’imperialismo alla evoluzione della lotta popolare e delle g.p. nei paesi del Tricontinente ? Questo non ce lo si spiega. Noi pensiamo proprio che la lotta tra imperialismo ed antimperialismo sia mortale e che sia l’imperialismo a spingerla al massimo di acutezza proprio per affermarsi sulla supremazia militare. Ma i popoli hanno dalla loro la supremazia politica (Giap: l’uomo è l’elemento principale).

·         Chi offende il Presidente Gonzalo stia lontano dalle teorie rivoluzionarie: esse hanno innanzitutto bisogno di rispetto ed amore per chi patisce la repressione, la denigrazione e l’annientamento praticato dalla controguerriglia. Gonzalo nei suoi scritti distingue nettamente la teoria di base del PCP dal LinPiao pensiero. Leggersi i testi sulla Nuova democrazia, Sulla costruzione del partito, e i testi del I Congresso del 1987 in Pensiero Gonzalo, vol.I).

 

Volendo estendere la critica, costoro peraltro affermano quale elemento tra quelli che rendono inattuabile la teoria della guerra rivoluzionaria popolare di Mao, nella nostra realtà, la mancanza di aree strategiche, di possibili zone liberate, basi d’appoggio della rivoluzione. A parte che l’esperienza più alta e fulminante del proletariato italiano è stata la guerriglia e la resistenza antifascista articolata nelle città e nelle montagne dalle Alpi agli Appennini, oltre alle rivolte popolari avvenute a Napoli, in Calabria (Repubblica Comunista di Caulonia), e che in questa esperienza, pur se per periodi di tempo non lunghissimi ed in una situazione di guerra dispiegata, sono state realizzate zone liberate e Repubbliche partigiane in numerose zone delle Alpi ed Appennino tosco-emiliano (per tutte, quella dell’Ossola -BIBL. -47– e di Montefiorino), non si capisce perché i compagni leninisti non vogliano assumere il dato politico e qualitativo che nella società del centro imperialista, urbana e tendenzialmente definibile della metropoli diffusa come in Italia oggi, le “basi d’appoggio” della rivoluzione sono LE MASSE STESSE, e che quindi è per carenza di linea politica e di pratica che il movimento comunista oggi nel nostro paese è poco più che una testimonianza della necessaria trasformazione sociale. E non si capisce perché attaccare la definizione -assolutizzata e quindi mistificata ed astratta dal suo portato complessivo, e quindi anche ideale, per le masse- della “universalità” della Guerra Popolare, quasi a voler “scacciare” l’idea della reale natura del conflitto (guerra di classe laddove è quasi assente la classe contadina, guerra popolare ove è maggioritaria la classe contadina ma sempre fondamentale la classe operaia, in ogni caso sempre e comunque guerra rivoluzionaria delle masse) necessario a conquistare via via l’equilibrio e la offensiva strategica della rivoluzione proletaria.

Riproduzione dunque del “marxismo-leninismo” antiMaoTseTungpensiero non già come assunzione di patrimonio storico e contestualizzata analisi concreta della situazione concreta, bensì come base teoretica di minoritarismi millenari che tradiscono il dovere di spingere e forzare la realtà nella direttrice della linea proletaria e dell’interesse delle masse più ampie ad una liberazione dalle catene della borghesia, oggi attuabile, e non nel suo rimandare a “tempi migliori” che storicamente ha avuto a che fare con gli opportunisti faciloni a definire “avventurismo” il comunismo come movimento reale; costoro sono sempre più incapaci di pesare realmente nel conflitto sociale apportando modificazioni e consapevolezza soggettiva nella classe, del proprio ruolo.

Aspetto centrale, insito e forse anche inconsapevole di questa ostilità alla teoria rivoluzionaria della guerra popolare, l’eurosciovinismo o socialsciovinismo, che ha radici lontane nel “primato” coloniale e nella politica guerrafondaia della II Internazionale.

L’eurosciovinismo presente purtroppo ancora oggi nel movimento comunista e pure nel movimento rivoluzionario, che a volte sottende la sottovalutazione della qualità politica delle guerre popolari in corso dirette da partiti comunisti maoisti, è sinonimo di sopravvalutazione del ruolo dei comunisti in occidente INDIPENDENTEMENTE dal loro effettivo ruolo e capacità di intervento nella propria società, e questo è negativo ed anti-internazionalista perché tende a negare la necessaria considerazione di quale sia il centro della rivoluzione in ogni singola fase, giungendo addirittura a fare passi indietro nell’analisi politica e in definitiva disperdendo le forze proletarie in ipotesi politiche sterili ed insufficienti.

In definitiva: è più avanti un processo rivoluzionario in cui contadini operai ed avanguardie costruiscono capanne e sistemi di vita nella guerra popolare, od un processo rivoluzionario ove il problema è chiarire alle masse l’opportunismo imbelle di Bertinotti ?

 

DEL BILANCIO POLITICO E DELLA PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA M-L-M

Il ripetersi dei limiti nella conduzione dello scontro si è tradotto ancora una volta in una espressione di discontinuità dello scontro. Questo ripetersi del carattere di discontinuità non permette alla classe, complessivamente intesa, quell’avanzamento che necessariamente deve identificarsi con il processo in atto, e per quanto mi riguarda rappresenta una svolta cosciente nella comprensione del carattere generale della rivoluzione in atto.

Come infatti è avvenuto in tutti gli altri paesi imperialisti, è chiaro che la direzione del processo rivoluzionario non può essere assunta concedendosi rinvii alla costruzione del partito nella classe con una adeguata linea di massa, né essere delegata principalmente all’attività combattente, per quanto essa sia necessaria condizione ed indispendabile elemento dello scontro dal punto di vista storico della guerra di classe, come è.

Come può un’avanguardia rivoluzionaria, necessariamente clandestina al potere, adeguarsi ai passaggi di fase ed alle necessità che la classe ripone nella sua direzione, senza una linea di massa ? È una domanda che viene svolta al contrario di quella “come piò un’organizzazione guerrigliera avere una linea di massa in un paese imperialista di fine XX-inizio XXI secolo ?”. Il problema appunto sta se si vuol fare una episodica guerriglia, e su questo la mia autocritica è piena e consapevole nei confronti della classe per quanto mi compete storicamente e non giuridicamente, o se si vuole condurre una rivoluzione proletaria in un paese capitalista e imperialista. Questo documento si orienta decisamente alla seconda via, senza escludere assolutamente la guerriglia anzi cercando di valorizzarla dentro il processo rivoluzionario.

Il principale limite è stato dunque, a causa del sacrificio politico di parte rivoluzionaria, costato divisioni e arretramenti, della “linea di massa”, quello di aver sofferto l’attacco del nemico senza riuscire a determinare i passaggi necessari alle masse proletarie e lavoratrici della società, la stragrande maggioranza della popolazione, esclusa dalla politica e dai suoi balzelli e trucchi elettorali per portare al potere le classi minoritarie e più ricche legate alla borghesia imperialista, proletariato e lavoratori che sono il referente della classe operaia, la nostra classe. Solo per questo abbiamo perduto una tappa dopo l’altra nella difensiva strategica risentendo sempre di attacchi repressivi in grado di bloccare per anni la lotta. Perché la rivoluzione non è una prospettiva millenaria, ma una necessità storica, a cui i comunisti dedicano la vita, commettendo anche errori, ma sempre dedicandogli la vita come necessità della classe, e non di un ceto politico che ha la necessità di traghettarsi di fase in fase, senza mai trasformarsi ed adeguarsi alla realtà dello scontro (oggi molto più duro, sul piano della mera sopravvivenza, per le stesse masse sfruttate della società imperialista).

È attorno al carattere antimperialista della rivoluzione proletaria mondiale che si può comprendere il primato dell’ideologia marxista-leninista-maoista, che è in grado di comprendere, elaborare e sviluppare una teoria rivoluzionaria adatta ad ogni formazione economica e sociale costituendosi come massimo punto di sintesi dell’esperienza del Movimento Comunista Internazionale. Il centro della questione è nel riconoscimento della lotta tra le due linee, che si conclude inevitabilmente ad ogni ciclo in un separarsi dal revisionismo, e principalmente nel riconoscimento della linea di massa del partito.

Uscire da questo sentiero rosso o trascurarne la portata, subendo il fascino della virtualità mediatica della politica di oggi, ha delle conseguenze congiunturali negative sul piano politico e sullo scontro con lo Stato borghese, in quanto riproduce un’idea della rivoluzione che è essenzialmente di testimonianza, e non di effettuale trasformazione. Infatti la qualità ed il livello raggiunto dallo scontro di classe anche grazie all’esperienza guerrigliera lungo trent’anni di intervento rivoluzionario, è estremamente alta dal punto di vista politico; la politicità immediata dello scontro di classe nel nostro paese deve portare ad un coinvolgimento della classe nel campo rivoluzionario e questo si può dare solo attraverso la linea di massa e la partecipazione delle masse alla guerra rivoluzionaria, ossia attraverso l’affermazione politica del marxismo-leninismo-maoismo nella classe.

E questo al di là dei più eroici sacrifici e costi personali che i combattenti si assumono coerentemente, e non certo da oggi.

Diversamente dal processo di costruzione del partito comunista (il cui carattere deve essere indiscutibilmente clandestino ed immediatamente combattente e politico-militare di avanguardia) e dell’esercito proletario nonché del fronte rivoluzionario delle masse (che articola la partecipazione politica in ogni ambito sociale), i cui passaggi hanno propri tempi nell’internità alla classe operaia ed al proletariato metropolitano, la costruzione ed il consolidamento del F.C.A. (che è articolazione di avanguardia che rispetta i principi politici ed etici del popolo nel proprio paese e che unisce i rivoluzionari, i popoli oppressi e gli antimperialisti dell’area geopolitica) può avere una valenza immediatamente concreta nell’insieme delle contraddizioni dirompenti che sconvolgono la pace armata con l’imperialismo solo se i rivoluzionari dei paesi occidentali sanno cogliere l’aspetto di fondo, centrale, del problema dell’imperialismo oggi come già negli anni ’30 seppero fare del problema del fascismo. Al di fuori di questa consapevolezza, tra schemini e schematismi, tra slogan e impotenza politica a dedicare le forze della classe allo sforzo sovrumano che non può essere compiuto senza l’appoggio delle masse (solo le masse possono distruggere l’imperialismo), la proposta del F.C.A. rimane, secondo me, un riferimento sorto in una situazione diversa da quella di oggi per i rivoluzionari occidentali peraltro non praticato al livello necessario e con la necessaria continuità, e rimane come discriminante la necessità della massima solidarietà tra le forze popolari, progressiste e rivoluzionarie di tutti i popoli del Tricontinente con i comunisti, gli antimperialisti e gli antifascisti dei paesi del centro imperialista.

Questa è la concezione che ho personalmente elaborato e che propongo ai comunisti, alla luce dell’esperienza storica e della velocità con cui gli eventi sconvolgono equilibri dati e concezioni inadeguate allo scontro, cercando di mantenere saldi i principi della linea di massa, dei tre strumenti della rivoluzione e della indispensabilità dell’intervento antimperialista.

A questa lotta di liberazione degli oppressi, dei proletari e dei popoli del mondo tutti stanno già partecipando nelle diverse loro capacità ed espressioni, la guida politica sta allora ai comunisti marxisti-leninisti-maoisti conquistarla con il loro livello di superiorità ideologica, politica e programmatica.

 

 

DI ALCUNI DISTINGUO

Con dei distinguo necessari: nessuna deroga allo stragismo (e di conseguenza ad azioni potenzialmente stragiste) e valenza selettiva dell’attacco in questa fase, e, qualora politicamente necessario, valenza militare dispiegata unicamente verso le forze armate imperialiste e mai verso i civili. Negazione insomma di valenza etica e politica alla logica del “tanto chiasso con poca fatica” tipico del terrorismo stragista.

Né può esservi alcuna deroga verso l’antifascismo, necessaria base e parte della politica proletaria, e non solo memoria.

Non serve un elenco completo degli effetti politici dello stragismo interno ed internazionale in questo trentennio per qualificare questo principio politico. Basterà riferirsi al fatto che la pace è un valore acquisito dalle masse nei paesi occidentali imperialisti, che hanno sofferto due guerre mondiali e distruzioni delle città nel secolo XX, senza precedenti nei secoli immediatamente precedenti. La pace significa una serie di conquiste sociali e di abitudini che non appartengono esclusivamente alla borghesia imperialista, che anzi ha altri luoghi e sistemi di socializzazione, sicché gli attacchi stragisti si rappresentano immediatamente come un impedimento improvviso e soggettivo (non determinato dal padronato o dallo Stato nella comprensione immediata che le masse ne hanno) all’esplicarsi della normale vivibilità e dei rapporti sociali dati.

La necessità della guerra rivoluzionaria allora nel centro imperialista ha da divenire tale nella comprensione soggettiva delle masse, e non nel subire iniziative estranee alla logica dell’umana comprensione (come lo stragismo del 1993). Non a caso la borghesia imperialista, sia prima, che molto più dopo, l’11 settembre (attacco simbolico al capitalismo imperialista americano ma speculare ai bombardamenti militari sulle città, e quindi terrorista e stragista nella sostanza al pari dei bombardamenti americani su Hiroshima e Nagasaki, nonché nel sacrificio, anche sul Pentagono -obiettivo militare- dei civili che viaggiavano in un aereo civile), fa uso della propaganda del “pericolo” stragista (che non è del tutto assente ma che è giocoforza episodico ed individuabile provenendo da ben specifiche aree politiche dell’estremismo reazionario sunnita) per costruire su questo una ancor più pressante e potente militarizzazione della società, fondata sul controllo a tappeto del territorio e delle persone e sul razzismo nei confronti degli immigrati.

Non a caso e per nulla paradossalmente, la politica di Al Qaeda (rafforzatasi con il sostegno della CIA) è opposta a quella concezione dello sconvolgimento epocale data dall’invasione barbarica dell’impero romano. Anziché concepire la conquista dell’occidente e la creazione di una nuova “società mondiale islamica” e multietnica attraverso l’immigrazione di massa e l’islamizzazione dell’ “infedele” società “opulenta” occidentale (rappresentazione per certi versi anche concepibile per un rivoluzionario idealista che metta avanti a tutto la comprensione della bassezza cui è giunta la società capitalista occidentale), lo stragismo di Al Qaeda rafforza le barriere e l’asserragliamento, in assenza di un reale conflitto rivoluzionario, nonché dà alibi all’aggressione imperialista verso il Medio Oriente. Come per le stragi fasciste di Piazza Fontana, di Peteano, Brescia, Savona, Gioia Tauro, Italicus, Bologna e via dicendo, questa politica stragista fa il gioco della controrivoluzione, oltre ad essere eticamente inaccettabile.

La guerra rivoluzionaria e popolare condotta dai partiti comunisti è altra cosa e contempla lo scontro militare solo con le forze armate nemiche, la cura dei prigionieri feriti, il rispetto della vita dei prigionieri e il rilascio di quelli che non aderiscano alle forze rivoluzionarie, contempla la punizione dei nemici del popolo e l’attacco selettivo ai centri del potere e alle basi del nemico. La lotta armata per il comunismo sviluppatasi in Italia per trent’anni non ha derogato a questi principi.

Per quanto riguarda i caratteri specifici della rivoluzione nazionale Palestinese, occorre ricordare (anche alla luce del fatto che i terroristi della UE hanno fatta propria la lista nera degli yankee), che le organizzazioni rivoluzionarie Palestinesi non fanno uso di stragi contro civili. “israele” d’altronde con la sua pratica nazista, legittima a sua volta le organizzazioni islamiche che fanno uso di questa forma di lotta, giocando sul fatto di possedere strumenti di distruzione molto più potenti.

Nella stessa logica e non a caso, la immediata diffamazione del fascista Aznar nei confronti di ETA subito dopo la strege di Madrid nell’immediato periodo pre-elettorale, a dimostrazione che il suo ruolo nella lotta di liberazione del paese Basco e nel conflitto che oppone proletariato e popoli oppressi in Spagna al potere centrale, è immediatamente politico e non solo limitato alla questione nazionale.

 

DELLA COMPRENSIONE POLITICA DEI FATTI PER LE MASSE

Allora con queste discriminanti politiche non siamo di fronte solo ad un problema di linea di massa, ma anche della immediata comprensibilità e rivendicazione da parte delle masse, dell’iniziativa rivoluzionaria. Non a caso bene ha fatto l’avanguardia combattente all’indomani dei fatti di Arezzo, a specificare la casualità dell’evento e il rifiuto dell’appellativo “terrorista”, e questo al di là della diversità di concezioni rispetto a quelle qui esposte.

Lo sfacelo creato dal revisionismo e dall’affermazione borghese negli anni ottanta, quindi le guerre imperialiste di aggressione e conquista degli anni novanta, hanno creato una situazione molto più grave e drammatica ma generalmente omogenea a livello mondiale.

In questo senso è opportuno specificare la debolezza nell’inceppamento della macchina imperialista nella nostra realtà, anche e soprattutto a causa della dipendenza dei fatti politici dalla mistificazione e criminalizzazione, allarmismo e terrorismo mediatico del sistema; ciò che si è espresso quantomeno nelle intenzioni, si è posto vari obiettivi comuni a tutti i movimenti autenticamente antagonisti, della resistenza, di combattere la guerra ed inceppare la macchina bellica imperialista, rivendicando la parola d’ordine legittima dal punto di vista storico della resistenza, della guerra alla guerra. Questo limite ha dei significati e dei motivi ben precisi.

I conti tra la borghesia e la classe operaia, tra il capitalismo e il comunismo, sono tutt’altro che stati fatti.

L’orizzonte politico rivoluzionario dato dai tre strumenti della rivoluzione e della lotta antimperialista nell’area del Medio Oriente (la Spagna degli anni ’30 di oggi), non costituisce un arretramento, anzi è una tesaurizzazione dell’esperienza nell’interesse dell’affermazione rivoluzionaria. Per quanto oscuro e cupo e privo di speranze possa apparire il futuro ai proletari oggi, nella società capitalista si assiste ad una degenerazione totale su ogni piano, morale, culturale, di costume e qualità della vita, che discende proprio dal vuoto politico creato dal revisionismo borghese e dal riformismo all’interno delle masse, che è riempito solo parzialmente dalla forte conflittualità sociale, dalla coscienza della classe operaia, dalle lotte dei vari movimenti.

Nella nostra cultura rivoluzionaria a partire dalle azioni Haigh e Dozier, noi comunisti di avanguardia siamo stati legati alla concezione politica dell’azione catalizzante il programma politico-militare. Oggi la realtà dello scontro è talmente avanzata che occorrono non solo delle profonde discriminanti, specie verso lo stragismo di Al Qaeda (il che non significa negare il diritto a non essere torturati esiliati assassinati umiliati e ridotti a larve dei combattenti islamici, peraltro di realtà anche molto diverse da Al Qaeda, dai torturatori della CIA), per rendere l’azione rivoluzionaria concepibile e condivisibile dalle masse oppresse e dalla stessa maggioranza dei lavoratori dell’occidente, ma che occorre anche capire che la forza simbolica dell’attacco non basta certo da sola a sopperire all’angosciante situazione di miseria, sfruttamento e dipendenza vissuta dalle masse proletarie, per quanto sia fastidiosa e propagandisticamente negativa per gli imperialisti. È maturata la necessità della guerra popolare.

La questione della “rivoluzione islamica” che ha un suo carattere di liberazione nazionale ed identitaria nei singoli paesi del Medio Oriente, nord ed est africa, centro asiatico, Indonesia e Filippine, che a volte confligge anche con la stessa necessità prodotta dalla lotta di classe in questi paesi di portare a processi di liberazione della donna e di affrancamento da sistemi di sfruttamento e di dipendenza ancora semi-feudali, non può essere confusa con la presenza di una scheggia impazzita che colpendo a livello di massa e nemmeno di “classe” (come poteva essere l’estrazione sociale dei viaggiatori d’aereo dei primi anni settanta oggetto di sequestri da parte della rivoluzione palestinese), si pone oggettivamente come fattore di legittimazione per gli interventi assassini e neo-coloniali dell’imperialismo americano, oltre ad aver goduto per lungo tempo di appoggio da parte della CIA in funzione anticomunista (Libano 1982, Iraq, Afghanistan, ecc.).

I nostri compagni sono e rimangono i comunisti di questi paesi, anche se sparano meno colpi d’arma da fuoco.

Ed anche lì hanno patito le mosse assassine del revisionismo, come in Afghanistan nei primi anni 90. Revisionismo che poi è stato a sua volta vittima dei medesimi meccanismi repressivi e criminosi. Il dare la morte in politica non può essere altro che prodotto di processi rivoluzionari e lotte di liberazione che producono determinati eventi per necessità e legittimità storica, e non certo per riproduzione di autoritarismi che hanno fatto il loro tempo; essendo attuabile il potere popolare, la giusta misura e soluzione di tutte le cose non deve necessariamente imitare la logica puritana o inquisitoriale, cosa che invece il movimento talebano in Afghanistan ha fatto eccome. Oltre a questo il rispetto dei prigionieri di guerra deve essere rivendicato ed attuato, e non solo o tanto per le convenzioni internazionali in quanto tali, ma perché le convenzioni sono esse stesse il prodotto dei conflitti che hanno portato l’umanità più volte nel baratro della storia, di cui dopo alcuni decenni si perde la memoria.

 

PROSPETTIVA

Nella nostra situazione questo significa bilancio dell’esperienza e critica-autocritica-trasformazione, onde valorizzare il patrimonio di 200 anni di lotta proletaria comunista, nel segno e nell’assunzione di questo patrimonio e dell’applicazione concreta dei principi rivoluzionari alla situazione concreta. Ovunque nel mondo, alle masse è ben chiara la necessità storica della liberazione dalle catene dello sfruttamento del modo di produzione capitalista e del dominio imperialista. E questo non può non influire sul senso comune del rifiuto della guerra imperialista anche nel nostro paese. Ma questo non è sufficiente, poiché come dicevamo più sopra l’imbelle iniziativa riformista e parolaia porta ad obiettivi sempre più difensivi ed inutili.

A chi combatte lo sfruttamento oggi, e quindi a tutti i lavoratori sfruttati che vogliono far valere la propria dignità e diritto ad una vita degna d’essere vissuta, si danno oggi competenze diverse e ruoli che non sono secondari in nessun caso.

È stato il popolo sovietico a scacciare i nazisti da Stalingrado e Leningrado, è stato il popolo cinese a sconfiggere l’imperialismo giapponese ed americano, è stato il popolo indocinese a scacciare i colonialisti francesi ed yankee, sono e saranno sempre e solo le masse a poter sconfiggere l’imperialismo. Compito delle avanguardie, anche nell’atto dimostrativo, guardare ai sentimenti delle masse e non separarsi dai loro conflitti quotidiani, dare indicazione nel dare soluzione dimostrativa, questo ovviamente prima di potersi avviare il processo rivoluzionario della guerra popolare sulle masse stesse. Senza immergersi nelle lotte delle masse, è impossibile portare a maturazione la rivoluzione come necessità da loro riconosciuta, il che è tuttaltro che impossibile e remoto date le condizioni oggettive vissute dal proletariato nei paesi occidentali capitalisti; senza questo atteggiamento, metodo pratico, è impossibile contribuire all’affermazione della linea rivoluzionaria. Non va dimenticato che un dato storico nelle rotture rivoluzionarie è proprio l’adesione comune delle masse al sentimento di rifiuto di una data situazione (quello che Lenin definiva il “non poter più vivere così”) e questa adesione fa parte dello sviluppo rivoluzionario stesso. A dimostrarlo, l’immediato senso di appartenenza alla vita politca nazionale, di ogni episodio significativo avvenga nel mondo, che rende l’idea di una situazione di guerra già in atto, corrispondente all’affermazione della contraddizione tra imperialismo ed antimperialismo. I colpi dela resistenza irachena all’imperialismo, ad esempio, lungi dal far ragionare i caporioni della borghesia imperialista al potere nel nostro paese, né di quelli all’ “opposizione”, aprono comunque varchi e lampi di coscienza, approfondendone la distanza e chiarendo “da che parte siamo”, in milioni di proletari e persone comuni.