I. TERMINI POLITICI CONTRIBUTIVI SUL PATRIMONIO

DEL MOVIMENTO COMUNISTA INTERNAZIONALE - DEL “CAMPO SOCIALISTA”


 

In un quadro analitico che riconosce la crisi generale capitalista, il suo sfociare nella guerra imperialista, la tendenza monopolistica multinazionale, non è possibile dimenticare che non ci troviamo più, da quindici anni circa, di fronte ad un bipolarismo ove al campo capitalista si contrappone un campo che per certi versi manteneva caratteri di socialismo e che sul piano internazionale contraddittoriamente al socialimperialismo manteneva degli elementi di una politica di sostegno ai popoli oppressi. Quindi ogni analisi che incentrava la contraddizione Est/Ovest come fondamentale ha dovuto rimettersi in discussione, a volte senza riuscirci. Questo a causa di un’impianto che risentiva del mancato riconoscimento dell’avvento del revisionismo in URSS con Kruscev nel 1956, che porta alla divisione nel Movimento Comunista Internazionale (che si consuma completamente nel 1964 tra i comitati centrali del PCUS e del PCC) ed in Cina con Hua Kuo Feng nel 1976. Quindi è durato quasi quattro decenni il periodo di potere revisionista che ha tradito il socialismo nel primo paese socialista della storia, via via a livello internazionale ed interno dell’organizzazione e dei rapporti sociali nel socialismo precedentemente costruito. Ciò ha avuto delle conseguenze e delle ricadute molto gravi, ma in una certa misura inevitabili laddove si consideri il peso ideologico del revisionismo “filo-sovietico” nello stesso movimento rivoluzionario e comunista in Europa occidentale. L’avvento del (secondo) revisionismo (dopo quello iniziato da Bernstein) lo collochiamo in Italia con il passaggio della direzione del PCdI alla borghesia (1943) ed a livello internazionale con la morte del compagno Stalin (1953) e la morte del Presidente Mao Tse-Tung (1976).

Quindi non si può nascondere che vi era un problema di momenti delicati, di guida politica collettiva, di unità del Partito, che evidentemente la repressione interna negli anni ’30 e l’unità nella guerra patriottica e nell’avvio di una nuova epoca data dal rivoluzionamento nel Tricontinente, non avevano evidentemente risolto. In URSS il colpo di mano avviene nei 2-.3 anni successivi alla morte di Stalin ma già Kruscev lavorava di fino in precedenza. In Cina questo momento topico in cui dopo un solo mese dalla morte di Mao avviene in colpo di stato della cricca dirigente della destra del partito, composta in alcuni casi da dirigenti sottoposti a critica e riammessi generosamente nei loro ruoli, ed avviene dopo un decennio di lotta di classe aperta nel partito e nella società, attraverso la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Ciò che Stalin e Mao Tse-Tung non riescono a fermare, si produce anche e nonostante la rivoluzione culturale. È ovvio che con due passi indietro così rilevanti nel progresso storico dell’Umanità, affermandosi nel frattempo le tesi revisioniste di coesistenza pacifica e la rinascita della borghesia e la riduzione della economia collettivista, il campo socialista era diviso e compromesso già dalla metà degli anni sessanta.

Si tratta comunque di una sconfitta temporanea che tuttavia non va vista all’interno della chiave interpretativa della contraddizione Est/Ovest bensì dello scontro tra il vecchio (il modo di produzione capitalista) ed il nuovo (il sistema socialista verso la transizione al comunismo) sistema di vita, produzione e rapporti sociali a livello mondiale. Un vecchio mondo nonostante l'apparenza di mille e mille false "nuove" concezioni, false "nuove" tecniche di comunicazione, falsi nuovi "linguaggi" falsi "filosofi" e falsi "spazi democratici". Perché una sconfitta temporanea ?

Innanzitutto perché non veniamo meno all’analisi di Marx ed Engels secondo cui è proprio l’acutizzazione dello sviluppo e della crisi capitalista a generare le basi, scientificamente ed oggettivamente, del passaggio al socialismo che nella sua più piena realizzazione, sul piano mondiale e senza i confini statali, corrisponde al Comunismo.

Secondariamente, perché il patrimonio del M.C.I. è parte intrinseca dello sviluppo sociale dell’Umanità e della stessa storia e sviluppo della stragrande maggioranza dei paesi e delle regioni geopolitiche del mondo, grazie alla diffusione del marxismo e quindi del marxismi-leninismo apportata dalla Internazionale Comunista.



Dal punto di vista dello sviluppo storico, possiamo identificare tre momenti, tre salti, fondativi, del Movimento Comunista dalla sua formazione.

Dopo il comunismo primitivo delle comunità antiche, le prime ribellioni sociali degli schiavi e dei lavoratori, il messaggio evangelico di Cristo, i cristiani comunitari, l’eresia della povertà e la loro feroce repressione clericale, le rivolte contadine particolarmente quella tedesca guidata da Thomas Müntzer (BIBL. –1-), le prime esperienze di rivolte dei lavoratori come il tumulto dei Ciompi a Firenze, ecco le porte della Storia aprirsi all’uomo moderno, con la Rivoluzione francese, la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, e quindi il progetto rivoluzionario dei proletari (la Congiura degli Eguali) di Gracco Babeuf (BIBL. -2-), che iniziano il primo stadio del Movimento Comunista in Europa. Principale è ancora l’organizzazione per branche lavorative e il sistema cospirativo, dei rapidi colpi di mano, e la natura rivoluzionaria ed egualitaria dello spirito della rivoluzione del ’89 e della presa della Bastiglia. Ma la borghesia non sta a guardare, e la strategia insurrezionale ha una prima verifica negativa dalla Storia. Nel movimento operaio che sorge in Inghilterra, Francia ed Europa centrale, si delineano oltre alla tendenza comunista dei lavoratori di avanguardia (in genere di categorie artigiane) altre due tendenze, una riformista che vide il suo culmine idealistico con Owen, socialista utopista, nel 1834, ed un’altra distruttiva ed anarcoide, quella del sabotaggio luddista, che in Inghilterra ed altrove si era contemporaneamente diffuso nei primi decenni del XIX secolo come forma di lotta del sabotaggio delle industrie che sconvolgono il sistema di vita popolare. Il riformismo si produce in movimenti di massa significativi come le Trade Union, messe al bando in Inghilterra nel 1799, rilegalizzate nel 1825 e riconosciute nel 1871, di cuiè espressione più matura il Cartismo (da People’s Charter, Carta del Popolo, elaborata nel 1838) che reagì alla Poor Law che sanciva un drastico peggioramento delle condizioni di vita delle classi sfruttate e del popolo nel suo insieme, le cui petizioni furono sostenute da milioni di firmatari e le cui proteste furono spesso represse. Il primo congresso delle Trade Unions potè svolgersi solo nel 1868, e la soppressione del reato di sciopero in Inghilterra fu ottenuta nel 1875. È dalle T.U. che sorgerà il partito riformista della compatibilità con il sistema capitalista, in Inghilterra, quel partito laburista che ancora oggi reprime le istanze di classe in nome delle politiche imperialiste e guerrafondaie della sua direzione borghese. Subito dopo la fine dell’impero napoleonico, si danno nel continente ripetute rivolte operaie che giungono all’elaborazione di un programma insurrezionale (rivolte di Lione) e di movimenti clandestini e semiclandestini (lega dei Proscritti, società dei Diritti Umani) con le prime rivolte in Germania, , quindi i Filadelfi, la Lega dei Giusti che dà vita alla Lega dei Comunisti (BIBL.-3-), cui aderiscono Marx ed Engels, rivoluzionari professionali attraverso l’Europa insurrezionale del 1848 e degli anni precedenti e successivi, focalizzando storicamente la questione del rovesciamento del potere, della legittimità rivoluzionaria e della dittatura del proletariato nel Manifesto del Partito Comunista.

Le basi scientifiche dell’analisi del modo di produzione capitalista e del plusvalore, dell’analisi di classe, del ciclo di valorizzazione del capitale, della giornata lavorativa sociale, del pluslavoro e dell’esercito industraile di riserva, lumpenproletariato e condizioni di vita e di riproduzione della classe operaia, si accompagnano a quelle relative alla concezione materialista della storia e del materialismo dialettico, di rottura e demolizione dell’apparato ideologico idealista borghese e romanticista, tutti elementi e strumenti di comprensione del mondo tuttora attuali, verificati dallo sviluppo successivo del m.p.c. e basilari all’interpretazione della realtà.

Nella seconda metà del XIX secolo, si erano susseguite crisi cicliche, studiate da Marx ed Engels, che ne capirono il carattere transitorion e che prevedettero il successivo esplodere della crisi generale (la Grande Depressione del 1873-1895 aveva podotto il passaggio del capitalismo alla sua fase imperialista), che non era quindi stata creata tanto dalla sovrapproduzione di merci in quanto tale (uno dei giustificativi sulla “perfettibilità” del capitalismo, di marca revisionista, è infatti la tesi secondo cui il problema del sottoconsumo sia superabile con l’estensione dei mercati e il progresso del benessere, visto in termini piatti), quanto nella dimensione della sovrapproduzione assoluta di capitali che non possono trovare una adeguata collocazione valorizzante e che creano dunque un eccesso che solo con nuove guerre può trovare sfogo, a pena di portare allo sfacelo tutto il sistema finanziario (di qui anche all’anticipazione della impostazione correttamente marxiana di Lenin, secondo cui solo la rivoluzione può impedire la guerra -o fallendo, portare la borghesia a sceglierla come soluzione accettabile alla crisi del sistema-, o la crisi generante la guerra, spingere a condizioni talmente inaccettabili dalla popolazione civile e dal proletariato, che la rivoluzione diviene possibile). La scienza marxiana si esplica in una produzione monumentale, di analisi del m.p.c. ed anche di classe (BIBL. –4- ). Il testo fondamentale, che il revisionismo ha cercato di tenere sempre molto lontano dalle case degli operai, esaltandone la complessità, Il Capitale, non è solo una sistematica demolizione delle teorie correnti che giustificavano e spiegavano “il progresso” del capitalismo e dello sfruttamento, non è solo un’articolato riferimento continuo alle passate forme di produzione, non è solo un’approccio scientifico, tuttora valido e dimostrato, alle varie fasi che compongono il ciclo di valorizzazione del capitale e alle leggi che regolano le sue componenti, all’insieme di istituti e sistemi finanziari di regolazione e di accumulazione, alle dinamiche della sua crisi ed alla sua prospettica ineluttabile fine nel divenire storico del socialismo, ma delinea anche un approccio metodico alla lettura dei fenomeni sociali ed alla loro totale conoscibilità dietro un punto di vista che sappia vedere nella lotta di classe la base di ogni sviluppo storicamente determinato in ogni epoca e formazione economico-sociale, dell’Umanità.

La legittimità della rottura rivoluzionaria, ben oltre l’esplodere rivoluzionario del 1848 in Europa (BIBL. –5-), data dal comunismo inteso ben prima che come tipo di società, come “movimento reale che trasforma e supera lo stato di cose esistente”, ed il saper starci dentro delle avanguardie del proletariato, dei comunisti, si associa alla necessità imprescindibile per la classe eletta alla trasformazione, la classe operaia, ad unirsi oltre le barriere degli Stati, essendo già allora il m.p.c. strutturato sul piano internazionale. Ecco che la necessità va oltre la rivolta e le insurrezioni, va oltre i tentativi rivoluzionari, va oltre la produzione teorica e l’educazione politica della classe, e diviene fondativa, con l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (BIBL. –6-), le necessarie divisioni dai movimenti borghesi risorgimentali e quindi anche dall’idealismo anarchico che si focalizza sulla mera decapitazione del “potere” e sulla lotta armata popolare ed operaia che si diffonde a macchia d’olio in Russia, Europa e Stati Uniti (BIBL. –7-), anziché sulla necessità di una disciplina di classe che guidi l’insurrezione proletaria e governi lo sviluppo nel nuovo Stato socialista, basato su organismi di base e Comuni popolari. Il passaggio si dà sia con la Comune di Parigi, che insieme all’A.I.L. costituisce il terzo passaggio del primo stadio movimento comunista. Qui il tentativo insurrezionale è più articolato, violento, diretto non solo a conquistare ma anche a gestire e ad abbattere i privilegi e chi li incarna, in una guerra di classe urbana che costituisce dopo la Rivoluzione Francese il più alto grado di maturità ed avanzamento dell’Umanità nel volgere breve del primo secolo di sviluppo del m.p.c.. Il sangue e la repressione non possono cancellare il valore della prima esperienza dell’assunzione del potere nelle mani della classe operaia e delle masse diseredate francesi. La presa del potere non è più, a questo punto dello sviluppo storico, un problema teorico, grazie al sacrificio di decine di migliaia di proletari assassinati e di prigionieri tradotti a morire in luoghi lontanissimi (BIBL. –8-). Lo diviene, con lo studio profondo sia di Marx che di Engels, che successivamente di Lenin, dopo l’insurrezione di Pietroburgo, il mantenimento del potere e l’avviamento della trasformazione socialista.

La nascita dell’Internazionale Socialista e dei primi partiti nazionali operai e socialdemocratici, alla fine del XIX secolo, mette ordine al rapporto tra il movimento politico ed ideologico del socialismo ed i movimenti operai e contadini che iniziano a darsi le prime strutture e solide organizzazioni. Ma evidenzia anche la netta rottura di Marx ed Engels dagli approcci borghesi e riformisti al programma della classe operaia. Le discriminanti poste da Marx e da Engels nei confronti del movimento socialdemocratico in Germania, hanno tuttora un valore preciso (BIBL. –9-). Infatti buona parte del movimento socialista dell’epoca ritiene il processo elettorale e il parlamentarismo una sede consona alla risoluzione del conflitto sociale ed al ristabilimento di un’uguaglianza che è chiaramente sentita dalla maggioranza del popolo, essendo essa in gran parte impegnata nel ciclo riproduttivo di capitale e quindi sfruttata e posta di fronte all’evidenza delle ingiustizie sociali, prive di quella natura divina della proprietà che in precedenza la plebe attribuiva per ignoranza alla nobiltà. Marx ed Engels danno l’avvio all’Internazionale Socialista in termini così, rivoluzionari, considerando solo compatibile in determinate situazioni storiche le risorse legali della classe operaia e la competizione parlamentare. Engels, che vivrà una dozzina d’anni più del “negro” compagno suo di tutta la vita, darà una definizione ancora attualissima delle “idee dominanti” atta a far considerare comunque la necessità ed ineluttabilità storica della rottura violenta del patto di sottomissione stilato da ogni membro della classe operaia all’atto di nascita, per condizione sociale e imposizione violenta della borghesia. Dirà: “in ogni società divisa in classi, le idee delle classi dominanti saranno sempre dominanti”. Il processo di costruzione dei partiti socialisti, per quanto diversificato, è omogeneo sul piano continentale, e convive con la realtà del sindacalismo rivoluzionario ed anarchico, ma non impedisce, in particolare in Germania ed Inghilterra, al formarsi di sacche di riformismo e di concezioni borghesi e legalitariste all’interno del movimento operaio, che all’inizio del secolo XX inizieranno ad avere la loro importanza nefasta.


DEL FALLIMENTO DEL SOCIALISMO RIFORMISTA

In Russia, dove il processo di costruzione del partito era avvenuto per sommatoria e ricerca di un’unità ideologica, a partire dal centro industriale e politico di Pietroburgo, e grazie alla presenza di Plechanov, ottimo educatore alle idee socialismo (BIBL. –10- ) e quindi del gruppo di Lenin, la rottura di campo con l’opportunismo (menscevichi nel POSDR) e con il revisionismo (Bernstein e Kautsky) avviene in tempi diversi ma significativamente caratterizzati a definire il partito rivoluzionario nell’epoca dell’imperialismo. Nel primo caso, la rottura avviene nell’affrontare le questioni della natura clandestina e di avanguardia del partito (nel caso russo, BIBL. –11- ) nel secondo caso, dell’internazionalismo, che si traduce inevitabilmente nell’antimilitarismo allo scoppiare della prima guerra mondiale imperialista (nella gran parte dei partiti socialdemocratici e nell’Internazionale, che porterà al suo scioglimento, BIBL. –12-).

Allo scoppio della I guerra mondiale viene alla luce il lungo e nascosto periodo di putrefazione e corrosione che la Internazionale Socialista (fondata a Parigi nel 1889) aveva subito. Anziché organizzare e dirigere la lotta delle masse popolari contro gli Stati guerrafondai, si sciolse. L’Ufficio Internazionale Socialista, che aveva sede a Bruxelles, dichiarò che le sue attività erano sospese fino alla conclusione della guerra. La maggior parte degli organismi dirigenti dei partiti aderenti si mise a collaborare ognuno con la borghesia del suo paese, motivando la cosa o con gli “interessi generali del paese aggredito” o con i danni che sarebbero venuti alle istituzioni operaie se essi si fossero opposti allo Stato. La sinistra della maggior parte dei partiti aderenti (in particolare del Partito Socialdemocratico Tedesco, frazione guidata da Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Klara Zetkin, Leo Jogisches, ecc.), si schierò contro la guerra e la collaborazione con lo Stato borghese, ma scoprì di essere priva di mezzi per dare uno sviluppo concreto alla sua posizione, perché anch’essa nel passato aveva evitato quelle attività che potevano attirare sul partito l’attenzione delle forze della repressione, anziché organizzarsi per svolgerle nonostante la loro azione. Solo alcuni dei partiti aderenti, che le condizioni particolari del rispettivo paese avevano costretto ad imparare il lavoro clandestino, furono in grado di sostenere un’attività efficace di opposizione alla guerra imperialista. Tra questi il partito bolscevico che emerse tra tutti per la giustezza della comprensione del movimento sociale che lo guidava e che gli permise di organizzare e dirigere la resistenza delle masse popolari alla guerra imperialista.

Lo scioglimento dell’Internazionale Socialista (che chiude il ciclo iniziato sotto la direzione di Marx ed Engels e dei loro compagni) testimonia un problema ancora attuale del M.C. nell’Europa occidentale, legato sia alle concezioni sorte dalle conquiste della classe lavoratrice e dal loro mantenimento in una condizione di conflitto di classe misurato e mediato (dalla fine del XIX secolo alla prima guerra mondiale), sia allo sviluppo ineguale dei vari continenti; stiamo parlando del socialsciovinismo detto anche eurosciovinismo. Sua base nell’estensione della tesi marxiana secondo cui il capitalismo portava ad uno sviluppo, soprattutto in quelle terre ed in quei paesi in cui maggiore era l’arretratezza, e quindi poteva suonare quasi a giustificazione del colonialismo. E portava a sottivalutare e a dimenticare l’essenza internazionalista del M.C.I. sin dalle sue origini. In Italia il deviazionismo revisionista è ancora lento ad esprimersi, così come la produzione industriale, ed il movimento socialista, pur riformista, è ancora privo di una teoria rivoluzionaria (come si evince dai tumulti del pane di Milano); il suo fondatore, Labriola, al di là dello spessore teorico notevolissimo, era approdato al socialismo marxiano senza vivere in prima persona l’esperienza del 1848 e delle prime insurrezioni (BIBL. –13-). In Italia l’unità nazionale è tarda e forzata da una parte della nobiltà del paese, e le prime espressioni di lotta contadina si danno non a caso nelle realtà più arretrate del meridione (i Fasci siciliani, BIBL. –14-) e della pianura padana, mentre l’esperienza del Partito Operaio poi Socialista ha una maturazione meno marcata di quella di altri paesi europei. Questo non impedirà una maturazione anche ideologica quando, agli albori del primo macello mondiale imperialista, il PSI esprimerà una linea internazionalista e contro la guerra come solo pochi altri partiti dell’Internazionale faranno (con il corredo del tradimento mussoliniano e di componenti del sindacalismo rivoluzionario e del socialismo opportunista anti-Labriola, trasformatisi in accesi irredentisti). Viceversa altrove, questa componente “socialdemocratica” del “benessere raggiunto” che fa propria l’idea della Nazione sopra quella della Classe Proletaria, come in Germania, costituirà un primo importante problema allo sviluppo rivoluzionario ed alla assunzione di responsabilità della classe operaia nella via del potere e della trasformazione politica ed economica. Alla radice quindi dell’eurosciovinismo, che oggi è parte integrante del sistema di oppressione dato anche dai partiti cosiddetti “di sinistra”, vi è quindi questo dato politico che confonde il patriottismo di difesa della patria con l’accettazione del conflitto interimperialista senza volgersi con ogni energia ad impedirne la nefasta attuazione, grazie alla rivoluzione violenta.



DELLA RIVOLUZIONE SOVIETICA E DELLA GUERRA IMPERIALISTA

1.2. Il secondo salto fondativo del M.C.I. è rappresentato dalla Rivoluzione operaia e proletaria bolscevica, dal nome della maggioranza rivoluzionaria nel Partito socialdemocratico. Lenin e Plechanov, alla sua fondazione, frutto dello sforzo unitario e classista dei rivoluzionari socialdemocratici, costituiscono l’elemento dinamico e quello formativo del socialismo russo, il nuovo ed il vecchio della prospettiva socialista.

Lenin incarna meglio di chiunque altro l’essenza del marxismo nella sua epoca storica. Parte concentricamente dall’analisi classista della realtà, dallo studio pratico e politico attorno alla necessità dell’avanguardia costutuitasi nel Partito, sa operare la rottura quando necessario, ma senza mai perdere di vista l’interesse generale della classe operaia, allora poco consistente in Russia, ma già destinata al suo ruolo storico nonostante l’arretratezza del paese, grazie alle circostanze storiche che hanno reso possibile l’Ottobre; Lenin sa gettare le basi della critica filosofica del pensiero borghese ed idealista dell’epoca (BIBL. –15- ), sa lavorare come instancabile organizzatore nella clandestinità inevitabile di ogni oppositore che si rispetti, alla costruzione di un piccolo partito in grado di dirigere il corso degli eventi con la classe operaia ed al suo interno, attraverso le necessarie alleanze classiste, proprio perché non è il partito a doversi sostituire alle masse operaie e proletarie, ma a doverne esprimere la direzione, se dotato di una analisi, di un programma politico e di una linea politica giuste. Sa porre i problemi per quello che sono ed anche andare controcorrente, sa criticare spietatamente coloro che non sono conseguenti alle idee che proclamano (opportunismo di destra, riformismo e revisionismo) così come coloro che coprono il proprio opportunismo dietro linee apparentemente rivoluzionarie ma élitarie e prive di una concezione classista.

La rottura con i menscevichi (Martov e Plechanov) avviene nel 1903, non a caso poco prima della repressione dell’insurrezione di Pietroburgo, 1905, che dà il senso della gravità della situazione sociale e della repressione del regime (che negli anni immediatamente successivi non a caso promuoverà pogrom antiebraici per deviare e governare il conflitto di classe e le aspirazioni del popolo ridotto ai limiti della schiavitù sociale).

Lenin studia intanto la Comune di Parigi, la sua natura partecipativa e consiliare, la sua organizzazione ed i motivi politici e militari della sua repressione sanguinaria. Lo fa cogliendone delle lezioni fondamentali, in poche pagine, con ripetuti scritti, traducendo dall’esperienza storica delle lezioni per il futuro.

Le forme in cui si esplica il processo rivoluzionario prima della guerra mondiale e durante essa vanno dalla agitazione ed organizzazione sindacale e di classe, alla propaganda clandestina, dagli espropri per sostenere la causa del popolo ed i costi dell’esilio di molti socialdemocratici scampati alla repressione, alla guerra partigiana ed all’accumulo di forze, fino alla creazione dei Soviet nella fase precedente la prima rivoluzione dell’Ottobre 1917.

L’esito del primo macello mondiale voluto dalle potenze imperialiste del capitale, corrisponde ad una “soluzione” militare e sanguinosa al superamento di determinate strutture di potere che erano più legate al passato dei feudi e delle nobiltà che all’emergere del modo di produzione capitalista, oramai affermatosi: la sparizione dell’Impero austro-ungarico, dell’Impero Ottomano e dell’Impero di Germania (II Reich), la rideterminazione dei possedimenti coloniali africani ed asiatici, con l’emergere della questione mediorientale attorno al dominio sui paesi produttori di petrolio. La realtà internazionale successiva alla prima guerra mondiale vede così l’unità di tutte le potenze imperialistiche, vittoriose e sconfitte, e dei paesi capitalistici nel loro complesso, rivolgersi contro la neonata Unione Sovietica, pericolo rosso per eccellenza, frutto dell’applicazione scientifica del marxismo alla realtà concreta di un paese in una situazione rivoluzionaria “globale” senza precedenti. Paese che, pur ricco di fermenti ideali e rivoluzionari della classe operaia, presente in alcuni centri ma pur sempre estremamente minoritaria, era ancora un paese legato alla sua natura proto-feudale, che per secoli aveva mantenuta pressocché intatta la subordinazione totale del lavoro agricolo ai crucci e vizi della nobiltà.

Lenin così rovescia l’assunto marxiano secondo cui la rivoluzione comunista era il naturale frutto dello sviluppo contraddittorio nelle società capitaliste. Le circostanze storiche della Rivoluzione in Russia non negano in sé questo portato prospettico, (che deve tuttora avverarsi, a causa del continuo ricorso dell’imperialismo alla guerra ed alla repressione, e delle carenze del movimento comunista e delle classi oppresse nei paesi del cosiddetto “benessere”), ma dimostrano ineluttabilmente due cose:

In quell’epoca Lenin affronta anche problemi teorici connessi al fallimento dell’Internazionale Socialista ed alle concezioni economicistiche in essa cresciute, e principalmente alla natura della epoca imperialista, all’evoluzione dei trust e del capitale finanziario, al ruolo ed allo sviluppo della situazione nelle colonie. Matura una visione internazionalista complessiva, che gli permetterà nel giro di pochi anni di avviare, nella prima Base Rossa della rivoluzione proletaria socialista mondiale, l’istituto politico dell’Internazionale Comunista.

Il capolavoro marxiano vive in Lenin nell’Insurrezione di Ottobre, perché testimonia storicamente l’acquisizione scientifica da parte del movimento comunista della conduzione del processo rivoluzionario sin dalla presa del potere da parte del proletariato, dalla sua difesa dagli assalti feroci delle bande capitaliste mondiali e militari zariste (lo zarismo teneva nella miseria il popolo ma aveva formidabili forze armate, anche navali; la sua forza militare però, di fronte alla sconfitta nel conflitto interimperialista, si trasforma in due, da una parte dei soldati, in una base della rivoluzione, dalla parte degli ufficiali rappresentanti della nobiltà e del potere, in una spietata accolita di banditi che imperversano per alcuni anni nel paese con l’aiuto delle potenze capitaliste, piegate alfine dalla Storia), fino alla progressiva costruzione del socialismo collettivista.

I detrattori del comunismo mondiale parlano di decimazione della classe rivoluzionaria del ’17 a soli pochi anni dalla rivoluzione. Questi infami, quale che sia il loro vecchio e antico colore politico di appartenenza, fingendo di ignorare che il grosso di queste perdite umane fu causato dalla guerra ai ‘bianchi’ ed il resto dagli stenti di quattro anni di guerra mondiale, di tre anni di guerra civile di difesa della repubblica sovietica, e da secoli di fame, oppressione, miseria e schiavitù del popolo, che vennero cristallizzati nel dramma della guerra mondiale.



LENIN

Ma il marxismo di Lenin sa andare oltre. Anzitutto si determina una fortissima classe dirigente rivoluzionaria, e questa è in grado di costruire con i comunisti ed i socialisti di tutto il mondo, che di lì a poco in tutti i paesi opereranno la prima grande rottura, quella tra Comunismo e riformismo, (in Italia quella tra Bordiga e Gramsci verso Turati nel 1921 che porta alla fondazione del PCd’I), con la nuova Internazionale Comunista (il cui nome prefigura la tappa successiva che storicamente diviene percorribile con l’inizio del socialismo). Questa segna indubbiamente il punto più alto raggiunto sinora dal M.C.I. quanto ad unità internazionale dei comunisti (condivisione rivoluzionaria di linea politica, appoggio sulla Base Rossa sovietica, costruzione di autentici partiti comunisti in diversi paesi, avviamento di processi rivoluzionari, appoggio alla guerra rivoluzionaria in Cina, sostegno militante e militare laddove necessario come nella Spagna repubblicana aggredita dai reazionari, nell’Europa della clandestinità per i comunisti dei paesi ove le libertà di espressione ed organizzazione politica erano soppresse, fino all’avvio della guerra partigiana nei paesi europei schiacciati dal nazifascismo, scuola quadri e preparazione politica, assistenza sanitaria e ospitalità agli esuli), sino ad oggi. Affronta i problemi teorici della rivoluzione e del movimento di autodeterminazione nelle colonie, ove avvia la costruzione di Partiti Comunisti sin dagli anni ’20, permette ai comunisti di tutto il mondo di darsi una sede di dibattito e confronto assolutamente proficua (basti pensare a ciò che produsse teoricamente Mariátegui) soprattutto nella costruzione programmatica. Lenin avvia la costruzione dell’Internazionale come partito comunista mondiale, ne getta le basi politiche, teoriche, organizzative, militari. Spinge alla costruzione di tentativi rivoluzionari, che in tutto il mondo le masse operaie sentivano propri sull’onda duplice della miseria e degli orrori della guerra prodotta dal capitalismo, e dell’entusiasmo per la Rivoluzione Sovietica, che si amplificava in tutto il mondo (BIBL. –16-). Gli stessi Stati Uniti vivranno momenti politici “a rischio” per il capitalismo, ricorrendo molto presto al terrorismo controrivoluzionario per reprimere le lotte operaie che lì prima che in altri paesi avevano prodotto sedimenti rivoluzionari operai nella lotta armata. I tentativi rivoluzionari sospinti dalla Internazionale di Lenin, si fondano tutti sulla teoria dell’insurrezione e del colpo di mano rivoluzionario (sin da Babeuf), quell’ “Insurrezione armata” che venne definita addirittura come metodo di attuazione della strategia rivoluzionaria per ogni paese, dal collettivo Neuberg nel 1928 (strategia rivoluzionaria che ha avuto applicazione positiva praticamente solo al crollo del nazifascismo nei paesi dell’Europa orientale) costituito in seno all’Internazionale.

Siamo alla “rivoluzione bolscevica in Europa”.

In Italia questo si traduce essenzialmente solo nella occupazione delle fabbriche del 1919-1920, con l’autogestione della produzione e formazione di milizie (Guardie rosse) dotate di fucili e pistole autoprodotti a presidio delle fabbriche torinesi, ma che trova l’”assenteismo politico” dal conflitto delle strutture sindacali a guida socialista (CGL, vedi NOTA 1 sul riformismo).



DEI TENTATIVI INSURREZIONALI NEGLI ANNI ‘20

La teoria dell’insurrezione qui non è più leniniana, non solo perché giunge quando Lenin ha già cessato di vivere, ma anche per due ordini di motivi: da una parte ogni realtà ha dei tempi e delle specificità sue proprie, e dall’altra il capitalismo è terrorizzato ed è talmente all’erta da riuscire a reagire a vari tentativi di conquista proletaria del potere (Ungheria e Germania NOTA ___), e ad altre esperienze che molto si avvicinano ad un assalto al potere reazionario di tipo insurrezionale (Finlandia, 1918, Bulgaria, 1923), mentre in altri casi reprime brutalmente sin dal primo momento queste esperienze (in Cina a Canton e Shangai tra il 1926 e il 1927, a Reval in Estonia nel dicembre 1924) mentre in diverse occasioni e località in Germania in anni successivi al 1922, (non unica quella di Amburgo dell’ottobre 1923 promossa dalla KPD e dall’I.C., e quelle successive, sostanzialmente promosse dal Partito Comunista Operaio Tedesco KAPD, che non aderiva alla I.C., ma che godeva di un ampio seguito tra gli operai di avanguardia), la lotta armata operaia produsse significative esperienze anche di controllo del territorio per periodi prolungati (–BIBL. -17-). La rivoluzione proletaria in Germania era iniziata con l’instaurazione della repubblica dei Consigli nel novembre 1918 che provovcarono la caduta del governo e dello Stato imperiale e la fuga della Corte. Dal gennaio al maggio del 1919 ebbero luogo le rivolte operaie comuniste e la repressione da parte delle truppe legate al Partito Socialdemocratico dirette dal boia Noske. La Repubblica Sovietica della Baviera fu liquidata nell’agosto del 1919. Il peso del riformismo e la giovinezza dell’esperienza politica di questi tentativi rivoluzionari di massa sono i motivi principali, uniti in questi anni da una autentica e ferocissima reazione borghese, per cui in Europa non si avranno successi duraturi di questi tentativi. È in pratica un’onata rivoluzionaria di ritorno causata dalla guerra quella che spinge i comunisti di molti paesi occidentali a costruire in breve tempo il tentativo di conquista del potere.

La concorrenza e le rivendicazioni territoriali ed economiche che avevano portato le potenze imperialiste a scannarsi l’un l’altra (sul sangue dei contadini e degli operai, beninteso) si eclissa temporaneamente con gli accordi internazionali e le imposizioni, con le suddivisioni territoriali e la cancellazione di intere nazioni (Kurdistan ed Armenia), le concessioni dei paesi possessori di risorse petrolifere alle potenze angloamericane ed atlantiche, e con la nascita della “Società delle Nazioni”, cui però non a caso gli USA non aderiranno (concezione della diplomazia e dei rapporti internazionali fondata sul diritto alla prevaricazione, quindi gli USA aderiscono solo laddove possono comandare).

Il socialismo inteso oramai come Movimento Comunista Internazionale, che promuove il movimento della classe operaia e delle masse popolari per la creazione di un sistema di eguaglianza sociale e di collettivizzazione produttiva ed agricola (anche forzata, nei confronti di quei segmenti di classe revanscisti ed ostracisti alla suddivisione delle loro proprietà terriere, come i kulachi), si espande a tutti i paesi del mondo, dopo la Rivoluzione bolscevica, persino ai paesi musulmani del Medio Oriente e dell’Africa subequatoriale (Baku, conferenza dei popoli d’Oriente, 1922, e costituzione del Partito comunista del Sud Africa, nei primi anni 20).

L’Internazionale Comunista è veramente un partito mondiale; individua nella lotta di classe il centro motore del processo rivoluzionario di cui il p.c. deve essere direzione, attraverso il Fronte Unico di classe, anche allo scopo di cambiare l’attitudine riformista ed imbelle predominante nel movimento operaio, ed il Fronte Antimperialista, che corrisponde alla politica rivoluzionaria nelle colonie e semicolonie (IV congresso, 1922). Non ovunque, tuttavia, il grado di maturità del movimento operaio e la presenza di adeguati e capaci dirigenti, potrà spingere il processo di costruzione del Partito ad un livello adeguato. Le circostanze storiche spesso non favoriscono dirigenti rivoluzionari capaci di inquadrare la situazione concreta di un popolo e di proporre alla classe una via rivoluzionaria praticabile. È il caso del dirigente comunista peruviano, José Carlos Mariátegui, che muore subito dopo la costituzione del Partito nel 1928 (BIBL. -18-). In questo paese ed altrove, ai quattro angoli del pianeta, questo non impedirà ai movimenti contadini, dei lavoratori e dei minatori (discendenti delle popolazioni indigene soffocate e schiavizzate dalla “civilizzazione” armata “cristiana” degli spagnoli e portoghesi sin dal ‘500), di esprimersi in ribellioni rivolte (come quelle dei minatori degli anni ’30 nei paesi andini) e tentativi insurrezionali che falòliranno subendo repressioni tremende, grazie alla loro direzione borghese, anche laddove il partito comunista è assente; ma gli impedirà tuttavia un’affermazione duratura. Le cause delle sconfitte sono dipendenti tuttavia anche dalla immediata militarizzazione delle componenti al servizio della borghesia, legate ad una struttura di comando del lavoro che è ancora molto legata al vicino periodo coloniale.



DEL FASCISMO

In Europa le classi borghesi, dei capitalisti, dei proprietari terrieri, degli speculatori di borsa, terrorizzati dall’andamento della crisi economica in Germania in conseguenza della crisi, ed anche negli USA, in seguito al crollo di Wall Street dell’ottobre 1929, sono ancora sconvolte dal protrarsi delle conseguenze della distruzione bellica e della impossibilità di uscita dalla crisi del sistema di accumulazione.

Il terrore per la rivoluzione bolscevica fu da allora alla base di ampi settori della borghesia capitalista europea, della scelta di rivolgersi a partiti violenti che sapessero “pescare” nel sottoproletariato e nell’esercito i propri “soldati” da rivolgere contro le milizie proletarie ed operaie.

L’Europa assiste insomma, a pochi anni dal macello mondiale, al ricorso ad “uomini forti” che dietro ad una linea populistica di facciata preparassero l’abolizione del sistema parlamentare multipartitico e del suffragio universale (solo maschile in quasi tutti i paesi) che era stato conquistato nel frattempo dalle classi operaia e contadina con decenni di lotte.

In questa situazione sono sorti due nuovi “movimenti”, sorti dalla borghesia terrorizzata dal rischio del potere popolare, e quindi diretti a convogliare il consenso di fette popolari dietro al carro della borghesia, delle monarchie e dei latifondisti: il fascismo in Italia ed Europa, ed il “nazionalsocialismo” (nazismo) in Germania, si caratterizzeranno principalmente come la “risposta” borghese a questo rischio, che instaura “preventivamente” dei regimi dittatoriali di negazione del diritto e dell’espressione politica. Se il fascismo sorge come colpo di stato autorizzato da Sua Maestà, in Germania sorge come convergenza delle forze della borghesia, che si afferma elettoralmente, e quindi scioglie gli istituti democratici borghesi, solo grazie alla divisione elettorale dei socialisti e dei comunisti.

Non a caso in Ungheria il fascismo sorge come reazione al movimento dei Consigli operai guidati da Bela Kun (1919), mentre in Italia per impedire con logica assassina e repressiva i futuri sviluppi del movimento di classe dopo il tentativo operaio torinese (1919-1920) ed la stessa affermazione elettorale della sinistra -in questo senso le elezioni del 1921 con la vittoria socialista (122 seggi su 275), l’ingresso del PCd’I in parlamento (16 seggi), di poco inferiore al risultato dei fascisti (22 seggi)- periodo di cui una storiografia revisionista di facciata, anche interna alla sinistra, tende a rimuovere ora che Violante ha acclamato da anni la “riconciliazione” con le mani assassine più infami della borghesia del nostro paese, poiché è un altro esempio di quella “logica” perdente di Weimar, ossia della sinistra riformista e borghese al potere che è troppo poco attenta ad impedire la nascita e lo sviluppo del fascismo. Autentica espressione del fascismo, il suo terrorismo -dopo un periodo tra il ’19 e il ’24 che portà a circa 800 i morti nelle classi operaia e contadina per mano fascista, lasciando impunito mussolini (che se la caverà con una notte in gattabuia), di cui il delitto Matteotti fu solo il simbolo più evidente di una sinistra riformista incapace di assumersi, come pare pure oggi, le responsabilità conseguenti alla condizione dello scontro sociale raggiunta. Questo avviene in una fase storica in cui la politica rivoluzionaria era comunque già militarizzata a scopo di difesa dei lavoratori dalla repressione degli scioperi, sin dall’immediato periodo post-bellico (in questo senso il racconto per esempio di Teresa Noce, sull’organizzazione del partito a Torino subito dopo il biennio rosso -BIBL. -19-, o la storia delle milizie antifasciste degli Arditi del popolo, che mancano l’appuntamento storico dell’unità della classe dietro una direzione politico-militare a causa di due primari fattori, l’assenza di una pronta risposta complessiva del neonato PCd’I impegnato nel dibattito nella I.C. e la politica miope e lassista dei socialisti, sicché l’autorganizzazione classista sul terreno politico-militare si darà ma non in maniera omogenea a livello nazionale (il più alto ma non certo unico episodio di questa resistenza si ha nelle giornate antifasciste che portano alla resistenza popolare ed alle barricate la città di Parma nel luglio-agosto del 1922 - BIBL. - 20-) .

Il sistema fascista si caratterizza da subito, e ancor oggi, equivocando sul valore Nazionale, non di pura difesa del paese, ma di aggressione verso “razze inferiori” (ecco la speculazione su Fiume italiana, 1922, e sul Tirolo, 1926), o paesi delle colonie, valore che riproduceva i caratteri più osceni della passata guerra mondiale, nonché delle conquiste coloniali, tendenti anti-storicamente alla creazione di un’ “impero” che servisse da elemento di assunzione di risorse economiche a coprire le difficoltà economiche e sociali.

Il fascismo però si sviluppa come movimento violento di “difesa dell’ordine” borghese e capitalistico - corporativo, “necessario” alla famiglia sabauda e come tale accettato sin dall’inizio (1922), ben innestato nel sistema colonialistico ma mal collocato nelle relazioni internazionali, anche commerciali (la teorizzazione dell’autarchia di mussolini).

In Italia, dunque, per “prevenire” il movimento sociale che giunge al governo dopo la crisi bellica, la borghesia mette mano al portafogli per comperare le squadracce nere e scioglie il Parlamento nazionale dopo un’enfasi plebiscitaria alla discesa mussoliniana su Roma, sostanzialmente minoritaria (100.000 persone compresi i contadini portati a forza), muta le regole elettorali, vieta quindi (1926) la libertà di stampa (con la censura) ed i partiti democratici ed operai, i sindacati, avvia una irrigimentazione sociale forzata e sostenuta da politiche allarmistiche (come l’attentato di orgine governativa al cinema Smeraldo), per arrivare quindi al sistema delle “corporazioni” (1929). Il giochetto è riuscito, il re ha un paese ordinato, relazioni internazionali avviate con paesi retti da regimi (Ungheria, Bulgaria) o protettorati (Albania), i padroni che hanno subordinato la classe operaia ed i movimenti sindacali, il parlamento è omogeneo al regime, le elezioni, e tutto il resto, come la tessera di partito (del fascio) per poter lavorare, iniziano ad assumere quel sapore di farsa e violenza gratuita verso ogni cosa che non sia ad esso conforme. (Un po’ come oggi, se si sa evitare di confondere il “bipolarismo” con la stessa democrazia borghese che ci fanno pure rimpiangere, il che è tutto dire !) Ancor oggi, se si guarda al 1922-1926 con sguardo critico, appare incredibile l’affermazione dittatoriale fascista se non si concepisce cosa sia una “monarchia” asserragliata a difesa degli interessi suoi e della borghesia, una monarchia che solo trent’anni prima non si era risparmiata la strage per reprimere i moti sociali per il pane, una monarchia che aveva fatto pagare ben caro al popolo il prezzo di Trento e Trieste.

Negli USA, la borghesia imperialista non ha bisogno del “fascismo” all’italiana: la dittatura sulla classe operaia è già stata avviata sin dall’apparire del movimento operaio organizzato, e le lotte armate operaie ed anarchiche vengono represse negli anni venti, simbolicamente nell’epoca della farsa processuale e dell’omicidio “legale” di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Negli anni successivi alla crisi del ’29, la grande depressione che affama le campagne e porta alle stelle la disoccupazione, vede crescere il malcontento sociale e la necessità di un’approfondimento della lotta di classe, ma a reprimere in questo passaggio storico i sindacalisti di avanguardia ed i comunisti,c’è una brutale repressione che si svolge su due piani, con la macchina della giustizia e con gli omicidi dei sindacalisti ad opera dei mercenari dei padroni o degli appaltatori dei loro servizi di vigilanza fascistoidi, spesso reclutati nella mafia. La successiva militarizzazione bellica e quindi il maccartismo post-bellico faranno il resto, impedendo alla società americana di vivere una autentica democrazia di facciata, come in alcuni paesi europei è stato garantito sin dall’inizio del XX secolo, e costruendo una dittatura preventiva e feroce della borghesia sul proletariato, fondata sul razzismo sociale, il complesso carcerario e quello militare, nonché sull’enorme ampiezza delle strutture poliziesche e giudiziarie, date anche dalla pluralità federale degli Stati che la compongono; una “cosa” che è senza dubbio una forma successiva ma più matura di “fascismo”.

In Germania, il passaggio del superamento della repubblica di Weimar seguita alla repressione della rivoluzione operaia del 1919 e sopravvissuta grazie al mantenimento manu militari del potere, avviene per motivi di classe analoghi, ma in una situazione ben peggiore come crisi economica e situazione disastrosa di potenza sconfitta. Il grado raggiunto sociale, la militarizzazione dei partiti e dei sindacati, è molto più spinta e maggiore la resistenza della borghesia (rappresentata da Hindenburg) a cedere infine il passo al folle di turno (hitler), sposandone però immediatamente (Krupp) gli interessi politici. L’avvento della dittatura avviene apparentemente sul piano elettorale – economico, ma in realtà vi gioca un ruolo la divisione di opzioni politiche nel movimento operaio. All’avvento del nazismo la provocazione (Reichstag, a proposito della quale la battaglia processuale e la vittoria di Dimitrov e del movimento comunista al processo di Lipsia hanno un valore importantissimo oggi -BIBL. -21-) ha un ruolo simile all’uso attuale (post 11-settembre) del conflitto tra gli ex-alleati americani di Al Qaeda (finanziati, addestrati ed armati in funzione antisovietica, come ad esempio nel precedente dell’Unita in Angola) e gli USA. Subito la repressione è politica e selvaggia, con l’internamento nei lager di centinaia di migliaia di comunisti, quindi il riarmamento, la ristrutturazione industriale in funzione della guerra, l’appoggio ai golpisti militari fascisti spagnoli, i bombardamenti sulle città della Repubblica (senza alcun problema militare con Francia ed Inghilterra), quindi le “rivendicazioni” territoriali ad est (avallate dal patto di Monaco del 1938, Francia ed Inghilterra complici), i pogrom antiebraici, e la guerra di sterminio “a coronamento” della necessità di “rivincita” revanscista della “Grande Germania” (III Reich). Ancora la “Nazione”. Sulla pelle dei popoli oppressi.

Il ruolo dell’Internazionale Comunista è importantissimo in questa fase, e non solo perché rappresenta l’unica reale opposizione al nazifascismo in Europa, certo non ostacolato dai balzelli della “Internazionale 2 e mezzo”, poiché permette ai partiti comunisti colpiti dalla repressione non solo di sopravvivere e salvare molti compagni, ma anche di dare continuità, nella clandestinità, che quando non è obbligatoria è necessaria ed utile (alla indipendenza ed autonomia del Partito), anche perché interviene nella linea politica e nelle soluzioni che i problemi nuovi sempre pongono, di un partito comunista, quello spagnolo, che alla fine degli anni ’20 era ancora molto arretrato. Questo appare chiaro in relazione alla situazione spagnola.



DELL’ESPERIENZA SPAGNOLA

L’URSS guidata dal compagno Stalin sarà l’unico paese (a parte il Messico post-rivoluzionario) a sostenere la Repubblica Spagnola dall’aggressione interna dei militari fascisti e dall’aggressione italo-tedesca che cerca il terzo alleato per la futura avventura militare (cui furbescamente il boia Franco si terrà poi ai margini riuscendo ad arrivare sino alla metà degli anni settanta con un regime fascista in un grande paese d’Europa, appoggiato dagli USA e dai capitalisti di tutto il mondo, nonostante l’opinione pubblica internazionale e il suo sdegno per lo scempio perpetrato contro i diritti umani degli oppositori politici e dei popoli oppressi, in particolare del popolo Basco, sulla pelle della classe operaia iderica e dei popoli oppressi dal regime monarchico spagnolo), a suon di bombardamenti e contingenti militari. Caratteristiche peculiari della lotta repubblicana spagnola, la questione della terra che aveva portato a decenni e decenni di dure lotte collettivistiche e sindacali, la bivalenza (anarchica e comunista) del movimento rivoluzionario, la generosità e gli slanci di eroismo popolare, la concezione della Repubblica come un qualcosa che apparteneva primariamente al popolo. Questo avviene sia grazie all’abbattimento della dittatura di De Rivera (1931) sia alla rivoluzione delle Asturie dell’ottobre 1834, che, pur repressa, segnerà come vedremo il punto di svolta e di maturazione del partito comunista.

L’instaurazione della Repubblica fu principalmente il risultato della lotta rivoluzionaria delle masse diretta dal proletariato. Riavviatasi nel corso del 1930, indebolì il vecchio regime fino a rendere inevitabile la sua caduta, ma non permise alla sinistra rivoluzionaria di affermarsi nella classe data la presenza di due deviazioni fortemente radicate nella classe, la socialdemocrazia e l’anarcosindacalismo (capace questo di produrre anche significative esperienze singolarmente prese). In realtà, come già ai tempi di Kerenski in Russia, il governo provvisorio sorto alla caduta di De Rivera, sulla base del patto del settembre 1930 a San Sébastian, così come il governo successivo della coalizione repubblicano-socialista, era un tentativo disperato della grande borghesia, dell’aristocrazia dei proprietari terrieri e dell’imperialismo di realizzare alcune riforme per contenere la crescente ondata rivoluzionaria, utilizzando a questo fine i politici piccolo-borghesi ed i capi della socialdemocrazia. La reazione golpista del generale Sanjurio trova qui in Spagna una reazione ben diversa che non l’affermazione di mussolini in Italia. Questo coincise con l’inizio di una nuova ondata di lotte operaie e contadine (tra esse le esperienze comunitarie rivoluzionarie anarchiche, come a Llobregat nel gennaio del 1932, a Casas Viejas in Andalusia nel gennaio 1933, che fu repressa nel sangue colpevole il governo “socialdemocratico” e che portò in carcere 9.000 compagni e contadini, in Aragona nel dicembre 1933) molto più forte che in precedenza, che non passò inosservata a Mosca. Il XII Plenum del Comitato esecutivo della I.C. del settembre 1932 sottolineò che in Spagna si stava producendo un’impetuosa avanzata del movimento delle masse con la tendenza a trasformarsi in un’insurrezione popolare. Tendenza che era più matura nelle campagne. L’I.C. sostiene un dibattito critico per arrivare ad una nuova direzione nel partito comunista della Spagna. Tra la fine del 1932 e l’inizio del 1933 non una regione del paese rimase estranea a questa ondata rivoluzionaria, che spesso sfociò in azioni insurrezionali. Il 3 marzo 1933, subito dopo l’ascesa al potere dei nazisti in Germania, la I.C. rese pubblico il suo primo appello alla Internazionale operaia socialista (“2 e mezzo”), con l’invito a costituire insieme un Fronte Unico. Vi invitava i partiti comunisti a modificare l’orientamento della “unità d’azione dal basso” che avevano abbracciato poco prima del VI congresso con quello del Fronte Unico con le masse operaie di orientamento socialista attraverso l’ “intervento dei partiti socialisti” al fine di dare impulso “al programma di lotta contro l’offensiva del capitale e del fascismo”. La situazione era infatti alquanto diversa da quando Lenin propugnava il Fronte Unico come formula intermedia atta ad unire nella classe attraverso una corretta linea di massa adatta ad una situazione di riflusso dell’ondata rivoluzionaria; Lenin non dimenticava che un fronte si stabilisce con una o più altre classi sociali, e non internamente alla sola propria classe, per quanto ci si limiti a realizzarlo alla base. Nel 1933 i partiti comunisti erano più forti, anche sul piano istituzionale (solo in Germania prima dell’avvento al potere del nazismo a livello elettorale avevano oltre 5 milioni di voti), mentre d’altra parte il movimento delle masse (eccetto che nei paesi fascisti) si trovava in ascesa. L’instaurazione in Germania del nazismo porta ad una interruzione di questa tendenza, ed i socialdemocratici si trovano anch’essi sotto la repressione. Questo giustificava la nuova linea politica tattica del Fronte Unico antifascista, senza il venir meno della lotta ideologica dati i precedenti della socialdemocrazia, che però non doveva tradursi in attacchi pratici. In Spagna tuttavia questa tattica nel 1933 risultava un errore per il ruolo che assumevano i socialdemocratici nella repressione delle lotte rivoluzionarie dei contadini e degli operai. La sconfitta elettorale del novembre 1933 dimostra che l’applicazione piatta delle direttive internazionali a TUTTE le realtà nazionali può costituire un errore. Il PCE che affronta, da piccolo partito di avanguardia, la situazione spagnola, è a quel punto ad una svolta. Svolta che viene data non più dalla classe contadina, ma invece dalla classe operaia e dai minatori delle Asturie e di altre regioni nell’ottobre 1934. Per quindici giorni fu instaurato il potere operaio, fino alla repressione del gen.Franco. José Diaz, nuovo dirigente del PCE, riconosceva all’epoca l’impreparazione del partito di fronte agli eventi. La classe ancora una volta superava i dirigenti ed imponeva un nuovo livello allo scontro. La repressione della insurrezione delle Asturie anticipa un biennio di sangue e repressione per la classe operaia, con l’abolizione dei diritti di espressione ed organizzazione politica, la sospensione dell’autonomia alla Catalogna, i licenziamenti politici. Sull’onda degli eventi e della spietatezza della realtà, il PCE trova allora la maturità attraverso il lavoro di organizzazione ed un nuovo e più adeguato programma politico (Confisca delle terre, autodeterminazione dei popoli oppressi dall’imperialismo spagnolo, miglioramenti salariali e delle condizioni di vita, libertà per i rivoluzionari prigionieri). Il PCE lancia un programma di azione comune a tutti gli antifascisti, con una concezione dei valori della democrazia necessaria allo sviluppo del progresso storico, che il VII congresso dell’I.C. farà finalmente propri. Il VII congresso della I.C. del luglio-agosto 1935 sosterrà allora la necessità di estendere il Fronte Unico del proletariato alle masse contadine ed alla piccola borghesia urbana allo scopo di isolare i settori reazionari, liquidare il fascismo e creare così le condizioni per la presa del potere da parte del proletariato. Si trattava dunque di una tattica difensiva di accumulazione delle forze, in attesa di una situazione interna ed internazionale più favorevole che permettesse alle masse operaie di prendere l’iniziativa e di passare all’offensiva. Tuttavia permaneva una concezione del Fronte Unico per cui l’unità veniva fatta pesare alla sinistra dagli opportunisti e dai riformisti (questa logica si è spesso riprodotta anche successivamente ed in varie realtà sociali e fasi storiche, gli opportunisti trraditori della socialdemocrazia e del revisionismo “comunista” a parole ma traditore nei fatti, si sono dimostrati sempre degli anti-unitari nella classe poiché sempre e comunque anteponevano la propria concezione opportunista alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse, obbligando a lunghe e penose trattative i compagni). È qui che il Fronte Unico non è ancora un fronte ampio di lotta antifascista guidato dalla classe operaia ed avente a garanzia il Fronte Unico Proletario, ma una specie di coalizione elettorale delle forze operaie e repubblicane di sinistra. Con il “Patto del Blocco Popolare” (ed in Catalogna di “Fronte di Esquerres”) le masse danno fiducia alla sinistra unita contro il fascismo, portando all’affermazione elettorale del 1936.

Elezioni e violenza armata si danno così nella realtà europea come strumenti di uno stesso scontro che oppone le due classi principali ma in cui le alleanze con le classi intermedie non sono secondarie all’esito della contesa. Per le masse popolari, la discesa nelle piazze nel febbraio 1936 (una cosa del genere avverrà in Italia nella primavera del 1975, di fronte ad una semplice ma significativa affermazione nelle elezioni regionali ed amministrative) è un modo di affermare questa continuità del conflitto. Per i partiti democratico-borghesi aderenti alla coalizione, si tratta invece di un problema (questo rimanda alla concezione reazionaria della politica che è tuttora dominante nel nostro paese non solo o tanto nelle compagini miserabili dei vari Rutelli, Prodi e compagnia cantante, quanto persino nei bellimbusti ex revisionisti dei DS), in quanto la politica deve rimanere esclusivamente rinchiusa nelle cabine elettorali e negli scranni del parlamento borghese. Comunque è alla Repubblica che sorge da questa affermazione, che il fascismo delle classi nobiliari e latifondiste della Spagna dà risposta con l’aggressione interna militare del boia Franco e delle sue truppe coloniali (che prendono l’avvio dai possedimenti spagnoli a nord del Marocco). È da qui che prende avvio la guerra civile che opporrà i comunisti, i popoli oppressi, i democratici, gli anarchici ed i socialisti, al fascismo montante ed ai suoi alleati bombardieri nazifascisti (BIBL. –22- ). Saranno tuttavia la forza dei repubblicani, l’aiuto dei volontari delle Brigate Internazionali di 57 paesi e dell’URSS, ad impedire al “caudillo” la forza per partecipare al successivo macello mondiale voluto da hitler e mussolini, dato che, nonostante la sconfitta repubblicana del 1939 dopo un tributo altissimo di sangue dei popoli iberici (che costò anche la fucilazione in pochi mesi di 200.000 compagni fatti prigionieri dalle truppe di Franco), poterono continuare ed anche estendere la guerriglia sino a dopo il 1949.

Nel governo entrarono anche alcuni esponenti anarchici, che anteponevano la difesa dello Stato democratico repubblicano agli stessi loro principi di anti-istituzionalità. Si crearono così rotture degli equilibri nel movimento anarchico che pesarono.

Il PCE sarà, nonostante le sue dimensioni non colossali , alla testa della guerra popolare antifacista, opponendosi alle divisioni fratricide imposte da concezioni elitariste e minoritarie (prodottesi specialmente in Catalogna con l’attacco armato ai comunisti che presidiavano l’azienda telefonica, il 3 maggio 1937 -BIBL. –23- ), che erano incapaci di accettare l’unità nello scontro mortale con il fascismo, e di concepire cosa sia il rischio fascista e quanto sia necessario unire la sinistra della classe operaia e delle masse popolari per impedire all’opportunismo di produrre danni irreversibili e portare alla sconfitta il popolo. Ovviamente la cultura borghese ha sempre enfatizzato dei falsi dati storici (la “scarsità” degli aiuti sovietici, lo “stalinismo” comunista contro i trotskisti del poum e gli anarchici, e via dicendo), ricorrendo anche ai mezzi di comunicazione di massa ed al cinema. Il motivo non è difficile da comprendere, specie se pensiamo alle enormi responsabilità dello Stato inglese (e francese, e non quindi solo italiano e tedesco) nei confronti del popolo di Spagna e delle nazioni opresse della regione. Un po’ come se la attuale “sinistra” borghese si assumesse inconsciamente le responsabilità dei capitalisti di allora, in una specie di sindrome di “assunzione dei compiti e delle responsabilità di governo” dei regimi borghesi, tale da dover gustificare ogni nefandezza storicamente compiuta dagli Stati imperialisti, in questo come in altri casi ingannando il proprio popolo e sminuendone la generosità con la quale pur contribuì alla resistenza.



BILANCIO DEL SECONDO MACELLO MONDIALE IMPERIALISTA (NAZISMO COMPRESO)

Sul piano internazionale, l’opportunismo anglo-americano, che già aveva favorito l’ascesa del fascismo in Europa ed in Spagna, si ripercuote in un ‘laissez faire’ in terra europea (accordo di Monaco, 1938) onde permettere ad hitler di rivolgere ad oriente e contro l’Unione Sovietica la potenza bellica del nazifascismo; di fronte cioè alla negazione dei valori cardine della convivenza tra i popoli e delle libertà democratiche cui a parole si ergevano difensori. È in questa fase di difficolà che l’URSS guidato dal compagno Stalin, che stava superando il periodo più nero della propria storia apertosi con l’assassinio del compagno Kirov (dicembre 1934), mette in campo la diplomazia e porta a casa la mossa tattica dell’accordo di non belligeranza con la Germania (che salva temporaneamente mezza Polonia dalle orde naziste), con il patto Molotov-Von Ribbentrop del 1939, mossa che permette all’URSS di guadagnare tempo di fronte all’incombenza dell’assalto nazista.

Che i maggiori costi del secondo macello mondiale imperialista del 1939-1945, siano ricaduti sui paesi dell’Est europeo e sull’URSS, è fuori discussione: non c’è stata solo la “Shoah”, che comunque colpì, in quanto logica e politica dello sterminio nei campi di lavoro di mezza Europa, non solo gli ebrei ma anche i sinti, i rom, ed i diseredati gli sfruttati gli oppositori politici ed ovviamente i partigiani ed i comunisti di tutto il continente. Che nelle ricostruzioni “storiografiche” dei servetti dell’imperialismo occidentale, vengano distribuite in maniera abnorme le cifre dei caduti in URSS come parte corresponsabile al “regime” socialista, è anche questo noto, e non ci deve stupire più di tanto. Il popolo russo seppe contare da sé, senza bisogno di leccaculi della borghesia, i propri morti, e seppe a chi addebitarli storicamente, e anche questo è accertato. Che le responsabilità di questo massacro non siano casuali, ma ricadano oltre che sul nazifascismo, anche sugli anglo-americani, c’è ancora chi si ostina a negarlo. Eppure, sia prima (Monaco 1938) che dopo (Churchill, ancora dopo Yalta), la lealtà della politica bellica delle maggiori potenze del ‘capitalismo liberale” è talmente compromessa da un cinico calcolo che tende ad equiparare la necessità di liberarsi del nazifascismo da quella di contenere e iversare il massimo dei costi della guerra sull’unico potere socialista di allora. Paese che aveva saputo portarsi fuori dallo sfacelo e dalla miseria feudale, che aveva saputo edificare una economia autonoma e popolare, aumentando la produzione in maniera enorme come in nessun altro paese capitalista era stato possibile, garantendo l’alimentazione ed i diritti di base a tutti i cittadini ed al popolo delle campagne, che aveva conquistato con entusiasmo alla costruzione del socialismo grazie alla politica collettivistica, che aveva saputo riversare sulle orde nazifasciste (come altro chiamre il trionfalismo hitleriano e mussoliniano con cui si annunciava al mondo la prossima cancellazione dell’Unione Sovietica dalla faccia della terra mandando a morte sicura centinaia di migliaia –italiani- e milioni -tedeschi e loro alleati- di contadini e lavoratori traditi prima ancora di vedersi impedito persino il ritorno in patria dallo sfacelo cui erano ridotte le truppe), tutto l’odio popolare e la capacità di superare stenti terribili (Leningrado, Stalingrado, gli inverni dal ’41 al ’44, la devastazione di migliaia di villaggi e città) resistendo e portando alla controffensiva, grazie alla condotta militare popolare partigiana della grande guerra patriottica, il proprio esercito, l’Armata Rossa.





DELLA GUERRIGLIA ANTIFASCISTA EUROPEA

Al di là dell’esito finale, dovuto anche alla inferiorità militare delle forze popolari, la guerra di Spagna porterà al movimento rivoluzionario una importante esperienza ed apporto sotto il profilo teorico della guerra popolare prolungata, e pratico, con la preparazione militare sul campo, per migliaia e migliaia di compagni che condurranno di conseguenza la guerra di liberazione dal nazifascismo in Europa negli anni ’40. Soprattutto i partiti comunisti acquisiranno quell’esperienza che mancava certo alla componente socialista del movimento operaio, per esempio italiana, uscita massacrata dalle repressioni di piazza e dalle guerre imperialiste. Ed è questa esperienza alla base anche della politica rivoluzionaria dei comunisti rivoluzionari spagnoli di oggi, incarnata dalla linea politica del PCE ( r ), partito criminalizzato dai regimi borghesi fascisti di oggi per la guida politica che offre alla guerriglia.

La guerra di Spagna e la lunghissima guerra rivoluzionaria antigiapponese e di classe in Cina, così come la guerra di liberazione antifascista in Europa, costituiscono la nostra base di riferimento per la comprensione della teoria della guerra popolare rivoluzionaria prolungata, attuale strategia degli autentici partiti comunisti in ogni parte del mondo.

Solo grazie al tributo di sangue dei popoli e alla resistenza armata dell’URSS e degli antifascisti europei attraverso le guerre popolari di liberazione, che opponevano in ogni angolo di strada, ad ogni boccone di pane, ad ogni treno pieno di deportati, ad ogni cittadino impiccato, ad ogni unghia strappata nelle caserme fasciste, ad ogni colpo di arma da fuoco, l’interesse democratico della classe operaia e del popolo (per i quali la democrazia è condizione nel cammino del progresso e della liberazione dalle catene del lavoro salariato e non solo dall’occupante straniero), si è giunti alla liberazione dal nazifascismo. E non certo grazie al tardivo e non disinteressato intervento statunitense, e solo in minima parte grazie ai rifornimenti inglesi, spesso contrattati con richieste di garanzie politiche ai movimenti di liberazione, dalla Jugoslavia al nord Italia.

In Francia ed in altri paesi europei l’esperienza guerrigliera partigiana infligge tremendi colpi al nazismo, ma non si traduce a causa delle circostanze del conflitto (sbarco di Normandia) in una guerra popolare dispiegata.

Nel nord Italia, il fascismo sconfitto dai rovesci militari e dalla fuga di mussolini “alleato e prigioniero” di hitler, si riarticola in una sanguinosa dittatura di tradimento della Nazione stessa suo falso modello, la “repubblica sociale italiana” di Salò, ossia quell’accolita di assassini e di ospitali tavernieri dei nazisti che si preoccupava di rendere meno problematica l’occupazione militare nazista nel nord Italia, mandando nei lager gli oppositori politici e chi ospitava gli ebrei, fucilando i partigiani ed i ragazzini che li aiutavano, impiccando, torturando e facendo sparire migliaia e migliaia di cittadini e di militanti comunisti, rapinando il popolo con la borsa nera, e cercando di arruolare giovani sconsiderati e privi di coscienza di ciò che avveniva in bande di torturatori che certo revisionismo caro a Violante vorrebbe oggi in qualche modo “riabilitare” agli occhi di un paese che si vorrebbe dimentico degli orrori della guerra. La X Mas, così come molte altre accozzaglie di delinquenti in armi al servizio dell’occupante nazista, non saranno mai di casa nella storia Nazionale del popolo italiano.

La resistenza antifascista, esplicatasi lungo un ventennio di lavoro politico clandestino di poche migliaia di avanguardie ed alcuni tentativi di giustiziare il boia al potere, esalta e raggiunge l’adesione popolare lungo quasi due anni di guerriglia, resistenza armata, guerra partigiana, fino alle insurrezioni urbane (dopo le giornate di Napoli e la guerriglia a Roma e nel Lazio soprattutto dei GAP e di Bandiera rossa -BIBL. -24-) di Bologna, Modena, Parma, Piacenza, Genova, Torino, Milano, Verona, Padova, Venezia, e di tutte le città del centro nord.

La guerriglia e la guerra di movimento si sviluppa in tutto il centro-Nord e ne dà prova in migliaia di battaglie ed atti di eroismo, di liberazione dei prigionieri e di pesanti colpi all’occupante nazista ed all’infingardo regime repubblichino.

Il “punto più alto raggiunto dalla classe operaia nella sua lotta per il potere” (inteso come espressione di lotta di massa) storicamente nel nostro paese è ancora oggi nell’attualità del problema posto dalla Rivoluzione incompiuta dell’aprile 1945, quando per diversi giorni la classe operaia e le masse del Nord presero nelle loro mani il potere e le più importanti fabbriche del paese, potendo contare sull’appoggio di 300.000 partigiani in armi e avendo a disposizione un notevole armamento preso ai tedeschi in fuga, in un clima che vedeva la rapida crescita numerica dei combattenti organizzati in formazioni in gran parte dirette dai comunisti.

La fine del “duce” è esemplare del suo “coraggio” politico di vigliacco squadrista: privo delle sue camice nere, delle sue messe nere sulla pelle dei contadini e della classe operaia, pieno di ricchezze si avvia alla fuga dal paese come ancor oggi è d’uso nel mondo quando il popolo partecipa veramente alla politica prendendo la parola nel senso più pieno del termine. La sua fucilazione è un atto corretto e necessario, ma andava imposta nella piazza di Milano, senza subire alcuna pressione militare alleata, dalle forze armate dei partigiani. Invece è stata spesso criticata da “illuminati” democratici, perché antidemocratica, come la esposizione dei corpi a Piazzale Loreto.

Ci sono giorni nella storia dei popoli in cui la giustizia è anche vendetta degli oppressi, ed in quei giorni si adottano a volte, nelle specifiche circostanze, le stesse usanze dei dittatori e dei torturatori sconfitti. In tutta l’Italia del nord, era usanza dei nazifascisti, oltre che il ricorso alle stragi (come a Marzabotto, a S.Anna di Stazzena ed in moltissime altre località, BIBL. -25-), l’esposizione macabra, per giorni interi, dei cadaveri di giovani partigiani ed anche di ragazzini, donne ed anziani sostenitori della guerra partigiana e supposti tali, cadaveri che portavano i segni delle torture, con un cartello al collo che in genere diceva “aveva ucciso un camerata” o frasi simili. Tecnica dell’esposizione macabra dei cadaveri, che i nazisti usarono spessissimo anche in Jugoslavia, Russia, ecc.. Come poter imputare alcunché ad un popolo violentato, assassinato, offeso e devastato dalla guerra voluta da questo boia, di questo episodio ? Deformazioni del genere sono frequenti nella “moderna” classe intellettuale, quella che le spara grosse sulla violenza partigiana, sulle “foibe” (campo di mistificazione molto spinta, onde diffamare da parte del revisionismo che deve giustificare l’odio verso i compagni fratelli slavi che avevano liberato Trieste e che infine il discendente D’Alema colpì con folle adesione ai piani imperialisti, BIBL. -26-) e sull’equivalenza della “violenza”.

Fin dall’immediato dopoguerra, il governo del borghese illuminato Parri dette mano libera all’arma (ancora fascista, ben al di là del mito di Salvo d’Acquisto) dei carabinieri per reprimere e disarmare i movimenti partigiani ancora in armi del nord Italia. Contemporanemante mentre il governo ben poco faceva per inserire i combattenti nella società e nelle forze di polizia, “cresceva l’amarezza per la rapida scarcerazione dei criminali fascisti, a Modena, a Ferrara, a Schio. Numerosi partigiani decisero di mettere in atto quelle forme di giustizia partigiana che, pur ampiamente promesse nei mesi della resistenza, erano state imbrigliate subito dopo il 25 aprile: si trattò di rari casi in cui l’ingiustizia assolutoria della magistratura, compromessa con il passato regime, non potà fare il suo corso. La giustizia partigiana, che comportò l’esecuzione di alcune decine di criminali che avevano indossato la camicia nera, venne duramente stigmatizzata da Parri (BIBL. -27-). Del resto Togliatti rifiutava, da capostipite del revisionismo contemporaneo, la “soluzione greca” ed era compatibile in ciò con i timori angloamericani verso una soluzione insurrezionale in Italia. Cosa che avvenne anche in occasione dell’attentato fascista a Togliatti del luglio 1948 e della conseguente reazione di massa con l’occupazione di commissariati, questure, stazioni radio e ferroviarie, in tutto il paese. E che trovò espressione politica nelle azioni di avanguardia contro i fascisti responsabili di crimini contro il popolo durante la guerra, in particolare della Volante Rossa. In occasione dei giorni insurrezionali del luglio 1948, Togliatti cercherà di mistificare la scelta di campo di Salerno, che aveva garantito la conservazione del potere capitalistico, e quindi optava per un tentativo maldestro di scaricare le responsabilità della “svolta” di Salerno su una parte del popolo italiano, a cui egli si sarebbe accordato (il Vaticano ?), scoprendo solo “successivamente” il carattere imperialistico dell’occupazione angloamericana, e cercando comunque di evitare il conflitto tra il popolo e la classe operaia in armi e gli eserciti Alleati (il principale dei quali da allora occupa militarmente il nostro paese, oggi con circa 120 basi militari, missilistiche, aeree e navali). Quindi Togliatti successivamente non si opporrà neppure alla repressione dei moivimenti partigiani ancora in attività. Generando quindi con il tempo il mito risibile della “via italiana al socialismo”, contro ogni ricorso alla violenza. Qui traghettando totalmente il P”c”i nel novero della falsa democrazia borghese.

La violenza degli sfruttati e dei partigiani non sarà mai assimilabile a quella degli sfruttatori e dei loro mercenari. Per i primi, è necessaria a sopravvivere ed a conquistare la libertà, per i secondi, è utile a mantenere le masse subordinate e in silenzio.

Invece andrebbe imputata alla classe politica attuale la responsabilità di aver concesso cittadinanza e “principati” agli eredi della monarchia sabauda corresponsabile del fascismo. Una monarchia che vigliaccamente aveva legittimato il fascismo e ne aveva poi decretata la fine quando oramai i danni erano fatti. Una monarchia con solide radici nella borghesia e nei settori arretrati della società, come dimostreranno i dati del referendum repubblicano.

Gli aiuti alla resistenza in Europa da parte del popolo Sovietico non furono quindi solo materiali ed umani; il prezzo che il popolo Sovietico dovette pagare per la vittoria sul nazifascismo assassino fu altissimo, di oltre 20 milioni di caduti e vittime della guerra e delle sue conseguenze, tra le quali la prigionia nei lager in Europa orientale e Germania (BIBL. –28-), e la resistenza Sovietica contribuì sin da subito a quella in Europa (Francia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria, Jugoslavia, Albania, Grecia, Italia, ecc.). Il succo di questa evidenza storica si trae in poche parole: senza il movimento operaio e comunista organizzato nella resistenza, in Europa, la caduta del nazifascismo sarebbe arrivata ben più tardi, con costi umani ancora più devastanti, e con una più grande dipendenza dalle potenze imperialiste angloamericane. Che non a caso la borghesia continua, a volte anche per bocca di traditori del socialismo, storici passati dall’altra parte del fossato che sepata l’Umanità dalla barbarie, dall’interesse, dallo sfruttamento, dall’egosimo propri del capitalismo imperialista, a definire impropriamente, alquanto falsamente “liberatori”.

Se la resistenza Sovietica contribuì alla lotta partigiana in Europa combattendo fianco a fianco i comunisti di tutti i paesi ovunque si trovassero, il patto di Yalta delinò un futuro diverso per le lotte di liberazione di alcuni paesi, nei Balcani, in Grecia ed Italia.

La resistenza e la rivoluzione in Albania, iniziata nel 1939 e conclusasi alla fine di novembre del 1944, furono guidate dal Partito del Lavoro di ideologia marxista-leninista di Enver Hoxha, in una lotta durissima con gli eserciti fascista e nazista; mussolini “dominava” il paese come “protettorato” sin da prima del conflitto. L’eroismo ed il coraggio del popolo albanese trovarono conferma storica nello schieramento al fianco del PCC e del maoismo all’epoca della rottura nel Movimento Comunista Internazionale, e nella solidarietà ai movimenti marxisti-leninisti europei che iniziarono in Italia la lotta politica organizzata contro il revisionismo di Togliatti e del P”c”i sin dagli anni sessanta. Il popolo albanese, pur sviluppando una economia di sostanziale autarchia, garantì i diritti essenziali e molta cultura e formazione a tutto il popolo albanese, che fu responsabile della sua autodifesa militare durante tutto il periodo socialista, alla fine del quale le continue rivolte popolari e l’intervento militare straniero, ivi compreso il “nuovo” (ossia il ritorno del vecchio) “protettorato” italiano, dimostrano la falsità e vacuità degli “aiuti” politici ed economici italiani, del tutto finalizzati ad un ripristino dei vecchi equilibri tra i paesi del Mediterraneo.

In Jugoslavia la lotta di liberazione si trasforma in una autentica guerra popolare senza esclusione di colpi e di tattiche da parte degli opponenti, il potentissimo esercito nazista e l’Esercito popolare diretto dal Partito Comunista guidato dal maresciallo Tito Broz. Questa guerra popolare è da studiare perché porta in Europa i principi della guerra rivoluzionaria di movimento, quelli della linea di massa, dell’unità dei popoli oppressi (le varie componenti del popolo jugoslavo), della guerra civile (contro le forze interne reazionarie), e della lotta di liberazione nazionale. La sconfitta nazista in Jugoslavia fu tanto più cocente quanto limitati furono gli aiuti angloamericani.

Da allora si sviluppò l’esperienza socialista nella Repubblica Popolare della Jugoslavia, che si caratterizzò brevemente dato il carattere revisionista della sua rottura dalle scelte del PC(b)R e del Cominform (la sezione di informazione costituita dopo la I.C. sotto al guida sovietica), e per una politica internazionale di buon vicinato con i paesi imperialisti, ma anche di iniziativa “dal basso” ossia dall’intesa politica con i paesi liberatisi dalla colonizzazione, attraverso il movimento dei non-allineati. Tuttavia questo passaggio storico negativo ha le sue origini anche nella divisione di Yalta. Alla morte di Tito, l’armonia della Jugoslavia si ruppe e si articolò in un conflitto interetnico acutissimo, fomentato economicamente e politicamente dall’Italia, dalla Germania e dall’insieme dei paesi occidentali, che intendevano liberarsi dell’imbarazzante presenza, del tutto disciplinata al rispetto delle convenzioni internazionali, della Jugoslavia socialista nel mezzo dell’Europa non più divisa dalla contraddizione NATO / Patto di Varsavia. Con il senno del poi, e il bombardamento occidentale su Belgrado e su tutta la Jugoslavia ridotta a Serbia e Kosovo, si può affermare che la realtà di questo paese, sia pure in rottura con l’URSS quando ancora il compagno Stalin era vivo, ha dato molto più fastidio nella sua diversità di quanto non abbia fatto il revisionismo socialimperialista di Kruscev, Breznev e Gorbacev, sul piano del confronto tra capitalismo e socialismo, dal 1956 in poi (BIBL. –48-)

In Grecia la guerra popolare antifascista, articolata attraverso il Fronte Antifascista, la cui guida era incarnata dal Partito Comunista del segretario nazionale Nikos Zakhariadis, dopo la reazione a tentativo di occupazione fascista, si dispiegò in guerra popolare e la direzione comunista non fu in grado non a causa della propria debolezza ma della presenza imperialista inglese, che nel paese si protraeva dal terzo decennio del secolo XIX, e anche a causa del patto di Yalta, di convogliare le forze nella conquista delle città principali, rappresentando comunque un autentico processo rivoluzionario che ha caratterizzato anche successivamente la storia del paese, come si è visto con la reazione fascista ai fermenti sociali, del golpe del1967 spalleggiato dall’imperialismo assassino. Nel frattempo, all’ascesa del revisionismo in URSS nel 1956, su proposta della Commissione internazionale del PCUS, fu deciso arbitrariamente un nuovo congresso che sancì l’esclusione di Zakhariadis e una “nuova” linea politica del tutto revisionista ed orientata sulla linea politica revisionista filo-Kruscev.

Yalta fu una conseguenza della guerra al fascismo in Europa che ridusse le possibilità di emancipazione dei popoli del Mediterraneo e che pose una pietra nefasta sul corso dell’internazionalismo proletario, permise un riconoscimento politico all’imperialismo angloamericano che non solo inizialmente facilitò il nazismo ma che subito dopo la guerra scatenò l’anticomunismo e la “guerra fredda”. Errore che, per contagio storico, ripetè la Cina popolare nel 1972, subito dopo il “riconoscimento” dell’ONU. Errori che hanno dato origine nel documento di scioglimento dell’Internazionale Comunista il 15 maggio 1943, laddove si dà una interpretazione tattica alle scelte di opportunismo del PC americano, e si prende questo punto ad esempio per definire la Internazionale non all’altezza in quella fase di coprire le esigenze di linea politica interna di ogni singolo paese. I successivi momenti ed organismi che si prenderanno la briga di lavorare alla ricostruzione del MCI nelle nuove condizioni post-belliche (Ufficio internazionale di informazione dei partiti comunisti Cominform e Conferenze dei partiti comunisti ed operai) risentiranno innanzitutto di questi timori di riaprire conflitti ingestibili (rispetto ad Yalta, a discapito innanzitutto delle rivoluzioni in Grecia ed anche, ma per ben altri motivi, in Italia) quindi dell’avvento del revisionismo, inizialmente non chiaro (sino al 1958-1959) e quindi poi palese e comprensibile a Mao Tse-Tung ed al PCC, con Kruscev alla guida del PCUS riportato sotto il comando della borghesia e di conseguenza portando in tutti i paesi socialisti dell’Europa orientale una contraddizione che li porterà ad una battuta di arresto nella costruzione del socialismo.

La storia ci ha posto oggi in un’altra situazione generale ed internazionale rispetto a quella data dallo scontro sottotraccia tra l’imperialismo americano e quello che divenne il socialimperialismo (la CSI di oggi).

Si è detto da parte del PCC dopo la morte del compagno Stalin e la sua infame indegna e truffaldina demonizzazione (XX congresso, il punto più basso della storia del socialismo, forse ancor più basso del revisionismo guerrafondaio della Ia guerra mondiale) “in Unione Sovietica coloro che .un tempo avevano portato alle stelle Stalin, ora di colpo lo hanno cacciato all’inferno. Da noi c’è gente che segue le loro orme. Il Comitato centrale del nostro partito sostiene che gli errori di Stalin ammontino solo al 30 per cento del totale” [delle cose che ha fatto] “e i suoi meriti al 70 per cento e che tutto sommato Stalin resta un grande marxista. È basandoci su questa valutazione che abbiamo scritto l’articolo A PROPOSITO DELL’ESPERIENZA STORICA DELLA DITTATURA DEL PROLETARIATO.

Del resto nessuno è perfetto, e Mao nel periodo oramai senile e dopo il tradimento di Lin Piao, dovette controbilanciare nel suo grande Partito e paese, gli effetti nefasti di quel complotto, e, nello stesso momento in cui apriva diplomaticamente agli americani (Nixon 1972 e dintorni) per favorire la loro fuga dall’Indocina, riammetteva Deng Tsiao-Ping nei ruoli dirigenti. Mao in questo sbagliò, e se lo fece per cercare di fermare lo scontro forse troppo acuto tra la sinistra operaia studentesca militare e popolare della grande rivoluzione culturale proletaria da una parte e le aree del partito più conservatrici dall’altra, sbagliò doppiamente. E lo dimostrarono i fatti futuri, con l'avvento della borghesia nel PC cinese nel 1976 ed anni seguenti quando furono proprio i revisionisti di Deng Tsiao-Ping e Hua Kuo-Feng ad imprigionare la compagna Chiang Ching e gli altri compagni operai rivoluzionari che avrebbero dovuto costituire il centro dirigente del Partito dopo la sua morte. Tuttavia il suo errore fu favorito anche dalla circostanza che Chou-En-Lai pure morì in quello stesso anno e quindi gli equilibri interni al partito stavano saltando, viceversa forse la Storia sarebbe stata meno infame.

Nel frattempo la coalizione capitalistica e Vaticana della DC vendeva la dipendenza italiana agli yankee con il “contributo alla ricostruzione” (che solo a contare i bombardamenti alleati non era stato poco) dell’Europen Recovery Program, di 1.511 milioni di US$, circa la metà di quanto fu dato alla Francia, un po’ d più di quanto gli USA versarono alla Germania federale, e molto meno di quanto ebbero gli inglesi.

Per venirci poi a parlare, nel 2004, di “terza guerra mondiale” (tralasciamo le scovate wojtiliane in prossimità al totale sfacelo corporeo papalino, sulla quarta e non terza, guerra mondiale) (dagli anni ’50 agli anni ’90, che furono invece la continuazione nel Tricontinente, con gli USA e l’imperialismo occidentale al posto del nazifascismo, del secondo macello mondiale imperialista), e del “comunismo” -che sarebbe “fallito”- (ossia, per loro, del socialismo in costruzione in Europa orientale ed Asia) come di un “male necessario”, mentre estendono il loro ruolo di falso ed apparente “mediatore” di pace nel mondo, sempre al servizio del capitale ma con un sacchetto di briciole per i bambini del mondo.



DEL NUOVO RISCHIO DI UNA GUERRA MONDIALE

Fu l’URSS del compagno Stalin ad impedire il nuovo conflitto mondiale, cercato ed auspicato dagli yankee e dai loro alleati sin dalla fine degli anni ’40 dell’ultimo secolo del’ultimo millennio del capitalismo (evidente questo sistema sociale non potrà reggere molti decenni di questo passo senza trasformarsi in una nuova epoca feudalistica alla quale si contrappone solo la scelta dell’umanità di darsi sistemi sociali orientati al socialismo, alla pace, al rispetto dell’ecosistema), allorquando il cinismo dei devastatori di Milano, Dresda, Tokio, Hiroshima e Nagasaki (in ordine di gravità e simbolicamente alcuni esempi, dalle devastazioni relativamente “meno gravi” a quelle distruttive della bomba atomica) arrivava a prefigurare l’uso della bomba atomica sull’URSS che non era ancora arrivata (vi giungerà nel 1949, anno dell’ingresso della Cina nel campo socialista) a realizzarne un primo prototipo.

Se ciò potè accadere, fu anche grazie al fatto che l’URSS non era un sistema dittatoriale di un uomo, per quanto capace, ma bensì un sistema di Repubbliche Sovietiche cioè di partecipazione popolare a tutti i livelli di gestione del potere politico,economico, militare, della vita sociale, dal più piccolo problema alla scelta più difficile. Il XVIII congresso del 1939 del PC(b)R e il XIX congresso del 1952 attestano anche che le questioni di potere e le contraddizioni insanabili nel Partito vanno governate e non affrontate in maniera estremizzata (l’autocritica su questo aspetto del compagno Stalin è precisa su questo punto nel 1939, mentre nel 1952 è ancora più preciso il riconoscimento dei diritti politici e di autodifesa di ogni compagno nel Partito – BIBL. -29-).

La politica della pace, conseguente alle distruzioni belliche mondiali ed alla posizione rivoluzionaria che l’URSS assunse nei confronti dei popoli oppressi e contro l’aggressività rinnovata dell’imperialismo, ora nordamericano, (che si esplicò a partire dalla guerra di Corea che vide su opposti fronti la maggioranza del popolo coreano sostenuata dall’URSS e dalla Repubblica Popolare Cinese, e l’imperialismo mondiale degli USA e delle truppe ONU), fu voluta e cercata lungo tutti gli anni cinquanta dal campo socialista. Le successive avventure e derive socialimperialiste sono il frutto dell’abbandono dei principi del marxismo-leninismo da parte del revisionismo russo che aveva conquistato non senza problemi il potere dopo la morte del compagno Stalin. Revisionismo che sorse proprio da coloro che, demonizzando l’era di Stalin, nascondevano la propria partecipazione alle scelte politiche fatte dal Partito. Quanto sono diversi i commenti di oggi della borghesia e dei suoi leccapiedi e velinari di regime (con gli stessi medesimi contenuti ideologici anticomunsiti e falsamente democratici, in realtà revanscisti, razzisti e sotto sotto fascisti –il fascismo come ricorso estremo alla loro difesa dei loro privilegi-, nelle commedianti prolisse elucubrazioni telematiche di chi mi tortura via radio), dei saluti e degli omaggi che da tutto il mondo, in pieno maccartismo, giunsero a Mosca nel marzo 1953 per commemorare il compagno Stalin.

Ma l’ “essere attaccati dal nemico è un bene non è un male” diceva Mao tse-Tung, e che a distanza di 50 anni la borghesia porti ancora in seno il terrore della memoria di ciò che fu l’URSS, non testimonia la fine di quell’esperienza, ma il valore di quella specifica esperienza.

La costruzione del socialismo fu in effetti una grandissima conquista e tale è e rimane storicamente come esempio e prova generale per il futuro, per i popoli oppressi e per la classe operaia mondiale, perché seppe dimostrare non solo la capacità di conquistare il potere, non solo di vincere la guerra, non solo di portare avanti la resistenza, ma anche di costruire, di rimettere in piedi un paese distrutto nel giro di pochi anni, e di farlo non principalmente con le forze della coercizione ma bensì con quelle della partecipazione delle masse al processo rivoluzionario.

I dati ed i fatti di trent’anni di socialismo dalla morte del compagno Lenin a quella del compagno Stalin lo attestano fuori di ogni dubbio (BIBL. –30-).



1943:
DEL REVISIONISMO TOGLIATTIANO IN ITALIA

In Italia, se il fascismo rallentò il movimento storico nei paesi europei, non fu solo grazie all’iniziativa delle forze che lo sostennero e promossero.

Parte di responsabilità hanno anche i partiti socialdemocratici e riformisti. Una componente di tradimento nel movimento socialista, che si esplica fin dal 1914 con l’adesione alla guerra imperialista, esiste nel DNA anche di parte del Partito Comunista d’Italia, che per primo, tra i partiti comunisti europei, volta pagina, a spese della base rivoluzionaria del partito, di intere federazioni e sezioni, e dello stesso valore di rivoluzione che aveva nel popolo la guerra partigiana.

Il tarlo del legalitarismo e della democrazia borghese viene tirato misteriosamente fuori dal cilindro da un Togliatti frettoloso ed impaurito che fugge da Mosca e giunge a Salerno per determinare l’opzione opportunista e destrosa dell’interesse nazionale sopra quello di classe IN UNA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA data dalle condizioni terribili di vita delle masse, da vent’anni di dittatura fascista, dagli eserciti che scorrazzavano per il paese, e soprattutto dalla mobilitazione in armi dell’avanguardia del popolo costituita dagli operai d’avanguardia, dagli intellettuali rivoluzionari e repubblicani, nonché dall’adesione dei militari allo sbando alle prime “bande” partigiane. Togliatti a Salerno e poi dopo l’ingresso americano, a Roma, non fa la guerra: organizza le basi di una futura repubblica democratica. Fa un buon lavoro, dà una linea ai comunisti per l’unità nel CLN, ma dimentica non casualmente di mantenere l’unità partitaria sui principi, di distinguere la tattica della lotta di liberazione nazionale dalla strategia della rivoluzione come prosieguo sociale della resistenza. Rivoluzione che era sentita nel proletariato come profonda esigenza (e necessità di conquistare quel potere che per lunghi anni aveva significato dittatura di classe ed impossibilità anche solo di contestazione politica e sindacale) e che era ben lungi dall’essere impraticabile. Lunghi anni di preparazione politica e militare, carcerazioni, esilio, morti, umiliazioni a non finire, impedimento a far pesare i diritti sociali degli sfruttati nelle fabbriche e nelle campagne, divieto di organizzazione politica, non avevano impedito al PCd’I di formare quadri e militanti che, sulla linea dell’Internazionale Comunista, non dimenticavano che la politica del Fronte Unico antifascista non negava la via rivoluzionaria come unica possibilità di affermazione dei principi autentici di democrazia dal basso e del socialismo.

Togliatti a tutto questo ci pensa, ma al contrario. Reprime, scioglie e fa reprimende ai dissidenti, e nel frattempo costruisce attorno a certi gruppi di intellettuali (in particolare nella Roma “liberata”), acquisiti spesso dal fascismo, il futuro centro borghese del partito.

Solo negli USA un partito comunista, negli stessi anni, tenterà un’opzione politica così meschinamente opportunista.

Ma in Italia ciò si affermerà senza possibilità di alternative. Per non parlare di certe faccende meno edificanti, inerenti la maniera in cui il revisionismo nascente togliattiano si libera di intere schiere di combattenti comunisti antagonisti al nuovo corso ed aderenti ad altre organizzazioni rivoluzionarie comuniste (come Bandiera rossa in Lazio, che pagò un tributo di sangue e carcerati di gran lunga superiore a quello dell’apparato del PCI romano, e che fu oggetto, come i comunisti autonomi e rivoluzionari del ’77, delle calunnie di Antonello Trombadori, e Stella rossa in Piemonte).

Su tutto, la “questione cattolica” creata ad hoc per giustificare la natura necessariamente democratica della politica “comunista”, dato il “carattere di massa” della DC. Carattere di massa che dipendeva dai più squallidi metodi di asservimento sociale e dipendenza economica. La DC, definita storicamente un po’ causticamente come sede di compensazione politica di regime e di garanzia atlantica (Piano Marshall, NATO), quando è stata sempre e principalmente una “cosa” oscena e molto pesante da sopportare per i proletari e non solo un “metodo di guida del paese”, una organizzazione di regime anticomunista e stragista legata all’uso più scellerato dell’esercito e dei servizi segreti, fino alla progettazione fin nei minimi particolari di colpi di stato e stragi degli uomini della sinistra e del movimento operaio, capace di coprire i fascisti ed i loro delitti e di colpire nella maniera più spietata i comunisti ed i rivoluzionari in ogni situazione storica con la magistratura, vincolata da patti di sangue al potere mafioso che è risorto proprio nel suo alveo dopo le repressioni del periodo fascista allo scopo di contenere drasticamente nel sangue le lotte operaie e contadine nel meridione assassinando proletari ribelli e sindacalisti, legata allo strapotere del capitale multinazionale americano nel paese anche al prezzo di provocare con i mezzi più disparati la scomparsa di uomini troppo forti e scomodi per l’ “alleanza”, come per esempio nel tipico caso di Enrico Mattei –BIBL. -31- (democrazia per niente e cristiana solo di domenica). Oggi sono quasi altrettante del numero dei lavoratori dipendenti “in regola”.

Come abbiamo visto sopra, l’inganno di tutta la base proletaria e ribelle del Partito, anche in molte federazioni del Sud, e quindi dopo la guerra partigiana e la “liberazione”, il disarmo, la svendita politica e spesso anche l’abbandono normativo e sociale dei combattenti partigiani, quando non anche la loro incarcerazione, mentre il Togliatti guardasigilli scarcera i repubblichini ed i gerarchi sopravvissuti alla giustizia partigiana, che prontamente si reintegrano spessissimo nelle forze di polizia da cui erano stati epurati parzialmente, fino alla partecipazione alla repressione delle formazioni che continuavano la resistenza nelle città e campagne del Nord Italia (su tutte le formazioni operaie della Volante rossa, BIBL. -32-), è costitutivo di una autentica politica di doppiezza borghese, che difende le lotte di massa nelle campagne e gli operai dalle criminali aggressioni della celere e dei carabinieri, ma che scientemente trattiene le lotte e l’organizzazione di classe da uno sviluppo rivoluzionario. Di qui il mito borghese di Pietro Secchia che, dopo aver ceduto anch’egli su tutta la linea alla svolta di Salerno, incarna il falso mito dell’ “ora X” riproducentesi allo scopo di tenere buona la base. Elemento che la lotta armata per il comunismo farà saltrare una volta per tutte (salvo il ritorno di posizioni revisioniste e neorevisioniste che mal sintetizzano l’esperienza di quella fase del P”c” i).

La politica borghese di Togliatti non porta al “partito nuovo” gramsciano, ma alla socialdemocrazia europea, anche quando le lotte popolari condotte dai militanti di base del partito di nuova acquisizione e da quelli che non si erano opposti al nuovo corso, sfociano a volte a causa della repressione di piazza che miete duecento e passa martiri in vent’anni, nel conflitto aperto e di massa, nonché nella pratica sistematica di assassinare i sindacalisti in particolar modo in Sicilia. Lo scopo è quello di convogliare nella “dialettica democratica” il conflitto sociale, e questo per principio, assumendo piattamente la “linea di Yalta” del 1945, in contasto in realtà con la stessa impostazione politica che di quegli accordi bellici (successivi al suo scioglimento nel marzo 1943), aveva dato l’Internazionale Comunista.

In pratica Togliatti con il 25 aprile intende un ritorno alle elezioni borghesi del 1921, non una tappa del processo rivoluzionario in cui i comunisti pesavano ben più dei dati elettorali precedenti all’instaurazione del fascismo. Questo tarlo del “legalitarismo” e della democrazia borghese, proprio di chi è affetto da sindrome di Stoccolma, verso chi detiene il vero potere economico, non abbandona Togliatti, forse “perché non tutto ciò che aveva sostenuto per anni era veramente dalla sua concezione della politica e del comunismo, accettato e condiviso”. Questa concezione, che riduce alle idee del “leader” le problematiche del partito, è propria dei borghesi, e non del movimento proletario. A prescindere dalle solite litanie trotskiste sulla dipartita ingiusta ed ingiustificata di molti compagni italiani in URSS (in un noto periodo di lotta politica in URSS di cui abbiamo già visto la non linearità), va detto che invece sono proprio le idee dell’URSS e del compagno Stalin, e non quelle del Togliatti, ad avere mosso le aspirazioni delle masse operaie e delle avanguardie comuniste nella resistenza. Togliatti semmai “capitalizzava” la forza del socialismo. Per poi svenderla. A Bonomi e De Gasperi. La politica interclassista di unità nazionale, al solito doveva pagarla il proletariato (BIBL. –33-). In questa deriva si misura il tradimento sia delle origini internazionaliste ed operaie del PCd’I di Bordiga e Gramsci, sia anche della rottura data dalle “tesi di Lione” con l’espulsione della sinistra comunista, che contemporaneamente si dà nell’I.C.

Per quanto riguarda la sottovalutazione da parte del movimento rivoluzionario nel nostro paese dell’opera del compagno Gramsci, ed anche per quanto gli compete di merito, al lavoro critico del compagno Bordiga, sinteticamente voglio evidenziare alcuni dati di fatt.

Gramsci è l’intellettuale messo al servizio della classe operaia per la rivoluzione e la costruzione del Partito nel lavoro politico nelle fabbriche torinesi. È il dirigente italiano più impegnato (ma anche Bordiga, che veniva dall’esperienza del polo napoletano, lo era all’inizio) nel lavoro dei primi congressi dell’I.C. (negli ultimi anni di Lenin). La sua considerazione dell’analisi dei caratteri della formazione sociale economica, noti in particolare dalla lettura dei “Quaderni”, va tenuta in debito conto tenuto presente che lui scriveva sotto censura, ma la censura di allora agiva cancellando i termini vietati e quindi per evitare questo problema non da poco date le caratteristiche della sua carcerazione segnate da innumerevoli trasferimenti e dalla dispersione carceraria quasi permanente rispetto agli altri compagni tenuti invece insieme nei cameroni, utilizzava un linguaggio prettamente umanista e un riferimento propriamente allusivo di natura filosofica. La sua considerazione dei caratteri della f.e.s. era importante proprio perché nella società chiusa e compatibilizzata del fascismo vi erano dei dati connotanti le specificità del nostro paese e non solo i riferimenti analitici propri del lavoro di ogni marxista e quelli dello studio delle altre realtà più mature come sviluppo capitalista. La critica al suo “umanitarismo” è quindi grossolana e pregiudizievole ad una storia del movimento comunista nel nostro paese. (BIBL. -34-)

Nella fondazione del Partito in Italia, quindi, vi erano due intime nature, corrispondenti alle specificità della società italiana di allora e delle tendenze insite nell’esperienza storica data dal macello della Ia guerra mondiale e dalla Rivoluzione d’Ottobre: Gramsci, sardo e legato alla condizione operaia, e Bordiga, meridionale e legato alla concezione internazionalista. Togliatti non avrà nulla a che vedere, nel 1943 con la svolta di Salerno, con la propria origine politica (Torino), per un fatto molto semplice, che Togliatti ha una formazione più “dotta”, anche se è intellettuale come Gramsci. Ma è revisionista in natura.

Questi dati politici, che forse a qualche ultra-marxista-leninista di profondissima conoscenza parranno delle “boutades di un provocatore”, sono invece incontrovertibili storicamente. Provocatori sono storicamente, oltre agli sbirri ed agli infiltrati, i burocrati, che bruciano i compagni, i revisionisti, che li infamano e denigrano, gli opportunisti, che non li difendono, e gli estremisti, che assolutizzano le contraddizioni senza sapersi attenere al principio fondamentale del mantenere la solidarietà anche nella lotta ideologica, fino alla definitiva chiarificazione, che viene solo dalla pratica (e non dalle “purghe” né dai fratricidi, bensì dal proletariato ossia dalla maturità che il proletariato acquisisce dei problemi della Rivoluzione).

Resistenza incompiuta, rivoluzione interrotta, riforma agraria non pienamente realizzata, quindi progressivamente erosa, diritti sindacali negati, carcere per i resistenti che avevano commesso ‘reati’ durante la guerra ed amnistia per i gerarchi ed i criminali torturatori fascisti e repubblichini, questa la fine fatta fare dopo pochi anni, alla “Liberazione”, con il corollario di tantissimi nuovi infiltrati della borghesia post-8 settembre ed anche post-bellica, nel partito revisionista (cioè il movimento dei voltagabbana che “capirono” quando era noto a tutti, di aver prima sbagliato).



1956:

DEL TRADIMENTO DEL REVISIONISMO

Il punto di svolta decisivo per la restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica e per la controrivoluzione nei paesi del campo socialista, è stato certamente, secondo oramai la totalità o quasi delle organizzazioni comuniste nel mondo, il XX congresso del PCUS. Il programma che vi presentò nel febbraio 1956, dopo alcuni colpi di mano interni alla struttura dirigente del Partito, il nuovo presidente del PCUS, Kruscev, si presentava, soprattutto all’attenzione dei paesi imperialisti, con il proprio “programma di rinnovamento”. Questo congresso rivedeva completamente i principi teorici del comunismo e del marxismo-leninismo, su tutte le linee fondamentali della lotta di classe, sostituendole con una linea opportunismo di “competizione” e convivenza con l’imperialismo capitalista mondiale. A prescindere dalla “condanna dei crimini di Stalin” nel famoso “rapporto segreto” di Kruscev, la “novità” più sensazionale del XX congresso fu la propaganda di Kruscev a riguardo della “via pacifica” del socialismo nei paesi capitalistici. In pratica si retrocedeva al di là della stessa linea di partecipazione alle elezioni dei primi partiti operai, che era comunque tattica nell’ambito del programma di emancipazione della classe, all’epoca dell’avvio della II Internazionale, in una fase storica in cui comunque la borghesia non aveva ancora messo in atto ovunque una efficace capacità di contenere i reali sentimenti delle masse, sicché partiti come la socialdemocrazia tedesca ebbero ruoli di governo molto presto. Le conseguenze di questa “strategia” così brillantemente tesa a garantire all’imperialismo americano un risultato ancor più duraturo e disastroso di Yalta, furono incredibilmente negative: tutti o quasi i partiti comunisti europei iniziarono o proseguirono quel percorso di cedimento alla ideologia borghese proprio dei loro quadri dirigenti, contribuendo nella loro pedissequa dipendenza da Mosca, alla storica divisione nel M.C.I. tra il maoismo dei comunisti cinesi e degli autentici rivoluzionari, ed il revisionismo falsamente leninista dell’ “internazionalismo” pilotato dalla politica socialimperialista dei traditori del patrimonio dell’Unione Sovietica giunti al potere con i loro complotti. In URSS si avviò così il ritorno ad una forma di capitalismo statalizzato che si dette appunto una falsa ed interessata politica internazionalista solo dove gli comodava: non certo nei confronti dei comunisti indonesiani del compagno Aidit che si era schierato con Mao Tse-Tung all’interno del M.C.I. e che per questo viene massacrato insieme a 1.500.000 comunisti e loro familiari.

Il XX congresso portò avanti una linea di denigrazione della strategia rivoluzionaria del comunismo sin allora data, su tre principali direttrici:

Come dicevamo, l’abbandono delle idee del comunismo e della direttrice della transizione dal socialismo al comunismo nella società sovietica ha quindi origine nel 1956. Da allora fino agli anni settanta, i “comunisti” erano secondo i media della borghesia, i revisionisti, i quali qualificavano di “estremismo” gli autentici comunisti maoisti. Tuttavia questo processo fu contraddittorio e non lineare in molti paesi, dove i Partiti comunisti filo-russi erano in realtà soggetti a dure repressioni e quindi ancora spinti dall’oggettività del loro ruolo a rispettare i propri compiti rivoluzionari. È per questo che si determinò una profonda confusione nel M.C.I., che in parte perdura ancora oggi, a voler ovviamente considerare fuori dal movimento comunista i partiti revisionisti.





DELLA NUOVA DEMOCRAZIA

1.3. Nelle colonie nel frattempo il movimento di liberazione nazionale era arrivato ad estendersi a tutto il pianeta. Il lavoro dell’URSS e dell’Internazionale Comunista fu in questo, lungo tutta la prima metà del secolo, ed ancora negli anni ’60 del secolo XX (cioè anche dopo lo scioglimento della I.C. e la divisione nel campo socialista), eccezionalmente valido nell’estendere l’ideologia marxista e nel contribuire alla fondazione di partiti comunisti. Il contributo poi della guerra popolare prilungata arricchì il contributo che già l’I.C. stava portando alla liberazione di questi paesi. Via via che il capitalismo cresceva ed andava oltre la mera dipendenza del sistema di appropriazione delle materie prime, iniziando ad integrare nel processo economico capitalista le società, civili e rurali, dei paesi coloniali, cresceva al loro interno un potente movimento, articolato da movimento, articolato da movimenti contadini, operai e studenteschi intellettuali, che sapevano costruire una propria identità nazionale ed una propria classe dirigente rivoluzionaria. (BIBL. –35-).

Quanto questo processo economico abbia regnato alle basi l’attuale realtà politica è ancora evidente, fatto salvo per la considerazione che le repressioni sanguinose e le politiche imperialiste genocide, quindi il rifluire della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale ha prodotto in alcune aree un vuoto politico che l’islamismo, lungi dall’aver colmato, sta occupando, offrendo alle masse arabe una popria prospettiva compatibile alla loro cultura, di emancipazione dal neo-colonialismo occidentale (tipicamente esemplificato dai feudi della penisola arabica). Aspetto questo che l’occidente capitalista, galvanizzato diabolicamente dagli avvenimenti dell’11 settembre 2001, continua a fingere di non conoscere, battendo la testa sugli stipiti d’acciaio della dignità dei popoli la cui terra occupano in armi giustificando il sangue versato con oscene montature. Politica questa che gli USA perseguono da sempre.

Lo si vide nel genocidio anticomunista in Indonesia (1.500.000 morti). Nel 1964 il PKI (partito comunista indonesiano) del compagno Aidit si era schierato con il Partito comunista cinese nella rottura politica con il PCUS nel MCI; sul piano interno aveva mediato con Sukarno ottenendo lo scioglimento di alcune organizzazioni armate anticomuniste ma aveva bloccato le lotte contadine contro i latifondisti a causa dei timori di una degenerazione della situazione di scontro con l'esercito. Un conflitto interno all'esercito porta il 30 settembre 1965 all'arresto ed all'esecuzione di 6 alti ufficiali. I media imputano l'azione ad un Movimento del 30 settembre composto da ufficiali progressisti che in questo modo in realtà avrebbe cercato di sventare un golpe voluto dagli USA e dalla CIA. Il PKI smentisce con un comunicato di avere a che fare con l'operazione. Ma i comandi dell'esercito scatenano immediatamente la repressione mirata del PKI, che portò alla esecuzione di centinaia di migliaia di militanti e dei loro familiari ed amici, evidentemente l’operazione era stata preparata da una lunga schedatura. Quello stesso giorno, coincidenza vuole che a Giakarta fosse convocata la Conferenza Internazionale per la Liquidazione delle Basi Imperialistiche nel Mondo (KIAPMA). Nel 1971secondo Amnesty International erano ancora 200.000 i prigionieri politici in carcere dal 1965 in Indonesia.

Ma lo si è visto anche in Brasile nel 1964, allorquando paventarono la minaccia di un gesto autoritario del presidente Lincoln Gordon a loro poco gradito, per giustificare il colpo di stato pilotato dalle loro barbe finte contro il governo di Joao Goulart, ma molti altri, decine se non centinaia, sono gli esempi dell’infamia yankee: il golpe contro Juan Bosgh nella Repubblica Dominicana (1965), l’ascesa di Mobutu in Congo (1965), il golpe dei colonnelli in Grecia (1967), l’assassinio del Che (9 ottobre 1967), i putsh militari in Bolivia, e quelli del 1973 in Argentina, Uruguay e Cile (11 settembre), il colpo di stato filoamericano in Turchia (1980), l’abbattimento del governo rivoluzionario in Grenada (1983), il colpo di stato di Fujimori in Perù (1992) e tantissime altre dimostrazioni del livello bestiale e criminale della politica USA.

Sud Africa, Indonesia, India, insurrezioni in Perù ed America Latina, rivoluzione Palestinese del 1936, sono solo alcuni dei punti caldi dello scontro tra i popoli e gli oppressori durante gli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Quindi, dopo il macello, Algeria, Vietnam, ancora Indonesia, Africa, vedono i più acuti processi rivoluzionari di liberazione dal colonialismo scontrarsi con la ferocia imperialista americana, francese, belga, ecc., frutto degli interessi potenti in gioco.

Tra questi due passaggi, in Cina, ventidue anni di guerra rivoluzionaria prolungata.

L’analisi di Mao che assimilava lo scontro di classe dei contadini contro i loro sfruttatori, signori della guerra e possidenti, allo scontro delle classi tra proletariato e borghesia urbana, si verifica nell’avviare la Rivoluzione in Cina a partire dalle Basi Rosse (Hunan) sin dal 1928. Lo sviluppo della guerra rivoluzionaria contro l’occupazione giapponese e quindi diretta a sconfiggere le forze controrivoluzionarie nazionaliste appoggiate dall’imperialismo americano, fino alla vittoriosa Rivoluzione dell’Ottobre 1949, partecipata da masse enormi e caratterizzata dalle esperienze rivoluzionarie della Lunga Marcia (1934-1935), della guerra di movimento, della mobilità delle forze, della costruzione del nuovo potere popolare nelle Basi Rosse che si moltiplicano dopo la prima esperienza, (nelle Repubbliche Sovietiche), hanno rappresentato e rappresentano tuttora il campo fondamentale di esperienza per numerosi movimenti e partiti comunisti del Sud del mondo, e costruiscono una Rivoluzione contadina ed operaia diretta dal Partito Comunista Cinese (che solo con la Lunga Marcia vede affermarsi la linea di Mao Tse-Tung). Esperienza che guidata dall’Esercito Popolare, lungo decenni di guerriglia, Rivoluzione Cinese che rappresenta una tappa fondamentale del Comunismo sia sul piano dell’esperienza storica che sul piano teorico e dell’insegnamento che esso dà (BIBL. -37-); processo rivoluzionario che ha guidato le rivoluzioni e guerre popolari prolungate del Vietnam, Laos e Kampuchea, che si sono dimostratesi capaci di piegare l’infame esercito ed aviazione americani, ma anche in paesi africani colonizzati, come in Angola e Mozambico; rivoluzioni che si affermano già oggi in Perù, Nepal, India, Buthan, Messico, Turchia, Filippine, ed in altri paesi, che costituiscono, come vederemo oltre, la attuale base rossa della Rivoluzione Proletaria Mondiale, oggi che la rivoluzione nei paesi del centro imperialista risente di limiti e condizionamenti che, essendo anche teorici e frutto di continui arretramenti, non possono che essere anche di capacità di ricostruire quel legame solido e duraturo con le masse, che sta alla base di ogni prospettiva rivoluzionaria.

Le rivoluzioni del Sud del mondo, si caratterizzarono quindi sin dall’esperienza cinese, come rivoluzioni di Nuova Democrazia, ossia ove il ruolo del popolo e della classe proletaria e contadina, nella costruzione del Nuovo Potere e della nuova società, è fondamentale perché è sede della lotta di classe e fondamento del socialismo in costruzione. Ove quindi non è la realtà della dittatura proletaria a prevalere su ogni altro aspetto per il periodo più o meno lungo della difesa del nuovo stato, ma questa è esplicata in maniera dialettica ed articolata alla partecipazione delle più ampie masse che compongono i paesi oppressi. Nuova Democrazia nel senso di partecipazione e quindi di peso che viene anche “dal basso” e non solo “dal vertice”, e quindi ove la lotta di classe trova sbocchi e forme ben oltre la sola violenza del rapporto sociale residuale che il socialismo supera e trasforma.



DELL’ESPERIENZA DI CHE GUEVARA E DEL “FOCHISMO”

Se l’aspetto della “spina nel fianco” dell’imperialismo americano prevale su altri caratteri della rivoluzione castrista cubana, è l’aspetto innovativo nella gestione del potere (trasformazione economica e atteggiamento di contrasto alla logica burocratica) e la proposta antimperialista ed internazionalista di Che Guevara, ad essere prevalente per il M.C.I. nell’esperienza cubana.

Nell’atteggiamento di non adesione nella divisione del M.C.I., nella costruzione della Tricontinental, nelle esperienze algerine e congolesi, nei contenuti coraggiosi e di rottura dati nel “discorso di Algeri”, vive il Che Guevara che la borghesia ed il neorevisionismo nascondono alle nuove generazioni proletarie, focalizzando i dati storici nell’amicizia con Castro, nel governo a Cuba, nella coreografia dei viaggi, nell’eroismo della sua morte.

Per chi pensasse che le guerriglie fochiste degli anni ’60 precedenti e successive al sacrificio del Che (cfr. BIBL. -35-) siano state l’inizio di una nuova era della rivoluzione (concezione ancor oggi presente nel neorevisionismo bertinottiano), occorre sfatare molti miti.

Infatti la fine di movimenti come i Tupamaros in Uruguay, il MRTA in Perù, il M-19 in Colombia, il FSLN in Nicaragua, il FMLN (dopo l’assassinio del compagno Cayetano Carpio nel 1983), l’UNRG in Guatemala, ecc., tradottasi in fenomeni di presenza politica “legale” sostanzialmente neorevisionisti, come la inefficacia di movimenti dediti soprattutto ad attività mediatiche come quello zapatista del Chiapas, situazioni “coccolate” dalla sinistra borghese e revisionista in quanto scambiate per l’alternativa “buona” alla guerriglia “cattiva” (con un bagliore elevatissimo di acutezza politica), DIMOSTRA che non c’è, nella prospettiva di liberazione dalle catene dell’imperialismo, alcuna possibilità di una “terza via” tra capitalismo e socialismo, mentre l’attualità delle guerre popolari, delle lotte sociali, delle rivoluzioni in atto nei paesi andini (Perù, Ecuador, Bolivia) dimostrano la ricchezza e la pluralità di capacità di espressione e forza del proletariato e della classe contadina e delle comunità indigene, sempre più unite in una unica lotta sociale rivoluzionaria, in cui per i revisionisti c’è ben poco spazio e molti pochi voti.

Che Guevara pensò e cercò con la sua vita di estendere un modello guerrigliero in altre realtà partendo dal giusto concetto, ripreso da Mao Tse-Tung che lo aveva formulato per primo, della piccola scintilla che può incendiare l’intera prateria. Ma non seppe né poté farlo basandosi sulle forze del quadro politico revisionista appartenente al precedente periodo storico (l’allora pc boliviano dipendente da Mosca). L’URSS era già revisionista, e non a caso i partiti comnunisti dell’America Latina (e il nuovo pc cubano di Castro, giunto storicamente all’apice della succedaneità alla compatibilità imperialista con i vertici dell’OSLA insieme a Fujimori e con la visita di Wojtila –BIBL. 49- ) non andavano al di là del revisionismo teorico del marxismo-leninismo dogmatico e sterilizzato di Kruscev e Breznev, né oltre le icone che all’epoca anche in Italia ed Europa i “pc” mantenevano per ingannare la loro base e sé stessi nell’accettazione supina della politica borghese.

Nella teorizzazione di Guevara, qual’era il “modello” politico rivoluzionario cui poteva ispirarsi una rivoluzione in un paese contadino a presenza politicamente significativa di operai e minatori, quale la Bolivia, per esempio ? È il modello della guerra di guerriglia, per spingere alle insurrezioni contadine ed alla rivoluzione attraverso l’accerchiamento delle città ? La risposta è no. Per sviluppare strtegicamente questo processo occorre una guerra popolare, una teoria e strategia rivoluzionaria che sappia vedere le tappe del processo e non solo il suo fine ultimo. È l’esito fallimentare infatti delle guerriglie fochiste peruviane (1965) e boliviana (1966-1967) ad assurgere al valore eroico di testimonianza rivoluzionaria, ma a non rendere le masse oppresse padrone dell’arma rivoluzionaria e protagoniste del processo di liberazione stesso attraverso la guerra popolare.

Questa risposta negativa che la storia ha dato al modello di chi teorizza l’esperienza del Che come guida non solo spirituale (il che è in sé positivo) ma anche strategica (mentre lo studio della rivoluzione cubana negli scritti del Che è in questo più importante del “Diario di guerriglia” della Bolivia), trae l’origine proprio dalla divisione nel M.C.I. e dal persistere di dogmatismi, confusioni e furbizie teoriche provenienti da Mosca fino agli anni 80 inoltrati, che la sinistra revisionista ha pure accompagnato nel suo itinerario verso il fango storico del tradimento. Questo nulla toglie, anzi appunto ne è opportuna la separazione da chi ne ha costruito sopra miti e modelli inutili, al valore del sacrificio dei rivoluzionari internazionalisti caduti in Bolivia (BIBL. -37-) che contribuì al superamento del revisionismo da parte dei movimenti rvoluzionari marxisti-leninisti ispirati al mao tse-tung pensiero in alcuni paesi o impegnati nella guerriglia antimperialista, o al lavoro per costruire le future guerre popolari, sin dalla fine degli anni ’60 (dalla rivolta contadina e proletaria della regione di Naxalbari in India, in poi).

La decisione del Che di scegliere la Bolivia per un nuovo processo rivoluzionario viene tra l’altro poco dopo il suo ultimo giro di viaggi politicamente segnati dallo sforzo di diffondere il messaggio internazionalista fino all’Asia ed all’Africa, dopo i viaggi, discorsi e conferenze a Ginevra, Mosca ed all’ONU. Lumumba è stato da apoco assassinato, ma l’Algeria, la Tanzania, e varie altre realtà, sono di conforto alle tesi internazionaliste che avanza con forza. In questi ultimi viaggi il Che è in Cina, e conosce Mao Tse-Tung, come Gramsci e Mariátegui avevano conosciuto Lenin. Così il Che aveva appreso e compreso da Mao, cosa stava accadendo non solo in Cina, ma complessivamente nel M.C.I.. Ma forse voleva verificarlo fino in fondo, o giocarsi tutto nel tentativo di riportare i partiti comunisti legati a Mosca, nell’alveo della rivoluzione. E tutte le illazioni, i dubbi, e le discussioni sugli aiuti da lui avuti o meno, così come sul ruolo di R.Debray, sono inutili a chiarire il fatto incontrovertibile che il Che volle (ed ebbe fretta di farlo, come molti di noi) mettere in pratica ciò che proclamava ai comunisti algerini, congolesi, cinesi, di tutto il mondo, così come a quello spirito fraterno internazionalista che credeva esserci ancora dietro i sorrisi dei dirigenti revisionisti sovietici, suoi beceri affossatori, ed i loro colbacchi.

Del resto la politica della “coesistenza pacifica” tra imperialismo e socialimperialismo non poteva concedere spazio per avventure rivoluzionarie ai partiti comunisti legati a Mosca, dell’America Latina, destinati ad essere macellati pur se disarmati, dalle politiche golpiste avviate da Washington.

Nessuna guerriglia può affermarsi in un singolo paese se non come resistenza all’occupante, se non come processo rivoluzionario di massa, guidato da una strategia marxista-leninista-maoista, questa è la lezione storica che viene dalle sconfitte fochiste degli anni ’60 e dagli attuali successi per periodi molto lunghi, e strutturata resistenza ed affermazione del processo, che sono evidenziati nella loro portata storica dalle esperienze del Perù e del Nepal.

La rivoluzione, questa è un’altra lezione storica dell’esperienza del Che, non si importa dall’esterno, né può prescindere dall’adeguamento strategico alla realtà specifica del paese. Il passaggio di un rapido cambiamento rivoluzionario da un paese, come modello da applicare pari pari, ad un altro, può avvenire solo in determinate fasi ed aree, per es. nell’Europa del secondo macello mondiale imperialista, esistono molte affinità tra la rivoluzione ininterrotta italiana nella guerra partigiana di montagna, le guerre popolari vittoriose in Jugoslavia ed Albania, e la guerra civile rivoluzionaria infinite sacrificata dallo logica di Yalta, in Grecia. Ma in generale questo potrà avvenire solo quando crollerà l’insieme del sistema capitalista. Allora, ad un crollo politico ne succederà un altro, ed in qualche modo la rivoluzione si esporterà per contagio.



DEL PENSIERO GONZALO E DELLA SUA AFFERMAZIONE IDEOLOGICA

PER I COMUNISTI DI TUTTO IL MONDO

Questa lezione storica venne compresa in America Latina, praticamente quasi solo dai comunisti marxisti-leninisti-maoisti peruviani, che sotto la cappa di piombo del fallimento dell’esperienza di Guillermo Lobatón, dirigente dei Tupac Amaru, portano la rottura ideologica con il revisionismo nel Partito Comunista che riprendeva Mariátegui dopo decenni di ribellioni guidate dalla borghesia, e che dà vita alla costruzione di un quadro complessivo politico attorno al pensiero gonzalo, le cui basi si esplicano nello studio e nel salvaguardare il patrimonio del M.C.I., nella valorizzazione degli elementi comuni alla realtà cinese ed asiatica, del modo di produzione “andino”, nel ruolo del partito organo della classe operaia dirigente del processo rivoluzionario, nella sua alleanza con la classe contadina e con le comunità oppresse, nella analisi specifica del paese semi-colonizzato e della sua rivoluzione che è insieme di classe ed antimperialista, secondo le basi fondamentali di Mariátegui, nel metodo di lotta ideologica nel partito e nell’assunzione del valore della GRCP per tutti i partiti comunisti del mondo, nella fedeltà ideologica ai principi classisti e di lotta al revisionismo, nella costruzione dei quadri secondo una linea di classe, nel nrafforzamento del ruolo del partito attraverso le organizzazioni di massa dei lavoratori e delle varie specificità della società, nell’applicazione concreta della teoria rivoluzionaria della guerra di popolo per tappe, attraverso un lavoro di preparazione ed accumulo di forze che permetta nel volgere di pochi anni di passare dalla difensiva all’equilibrio strategico, grazie alla teoria della indipendenza (autosostentamento) militare ed alimentare delle colonne guerrigliere, e del loro appoggiarsi sul popolo, nel ruolo fondamentale delle donne nella rivoluzione e nelle basi rosse, nell’organizzazione rivoluzionaria della nuova società in costruzione in tutti i suoi aspetti, anche di costume rivoluzionario.

Il processo rivoluzionario peruviano si sviluppa così in tre processi consecutivi: la lotta ideologica e la costruzione del partito, la preparazione, la guerra popolare. In questo modo la linea di demarcazione con l’opprotunismo ed il revisionismo è continuamente precisata, la linea giusta non è formuletta dogmatica frutto del plauso della base verso questo o quel leader, ma invece arma-pensiero, strumento per le masse e per le avanguardie insieme, frutto di una lotta continua che dopo una lunga preparazione ha dato vita alla guerra popolare in Perù, che è tuttora faro ideologico degli autentici rivoluzionari, iniziato a Chschi (Ayacucho) il 17 maggio 1980.

Potremmo dire allora che, tra il tentativo del Che iniziato a La Paz nella cospirazione, e quello del Presidente Gonzalo avviatosi con le scuole militari di partito in Perù, c’è un passaggio di maturità epocale, nel riconoscimento della natura antimperialista del processo rivoluzionario classista.

Il sacrificio del Che e dei suoi compagni è utile a chi sa coglierne lo spirito e i limiti, ed è dannoso a chi lo asalta acriticamente.

Contemporaneamente all’esperienza ultima del Che, si sviluppa in Cina la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.



DEL 1966: ANNO COMUNE DI DUE ESPERIENZE CRITICHE: QUELLA

DELLA GRANDE RIVOLUZIONE CULTURALE PROLETARIA E DELL’ESPERIENZA BOLIVIANA DEL CHE

La GRCP scatenata da Mao Tse-Tung accogliendo le istanze critiche della base studentesca ed operaia contro la burocrazia borghese nel PCC, che non era burocrazia solo nell’accezione più nota del termine, ma proprio come potere che autoriduce se stesso, come cancrena, quindi simile a quello ingenuamente gli italiani credevano sconfitto nel ’92, ossia: la borghesia riproduce se stessa, e risorge anche dall’interno di una rivoluzione, dal suo partito, laddove vi siano dirigenti e quadri che confondono ruolo storico e missione, potere e ruolo, dovere ed umiltà, e che un po’ alla volta si traducono in becchini delle loro stesse aspirazioni collettive, celando il proprio individualismo borghese dentro la difesa delle proprie cricche ed orticelli, fuori da una visione generale ed unitariamente classista della politica rivoluzionaria. Acuta furberia, distruttiva perché insterilente e recante confusione all’importanza del piano generale su cui si attesta la classe operaia ed il suo processo organizzativo rivoluzionario, che si riproduce fenomenologicamente come un cancro ed un virus attecchente anche nei movimenti rivoluzionari sconfitti, dando luogo a rigagnoli che al più possono far crescere qualche fiorellino ben geneticamente strutturato, in serra. Questo per quanto riguarda aspetti inerenti il movimento di classe nel nostro paese.

In generale, si può dire che la GRCP è innanzitutto un movimento di massa che scende in politica e trascina nel rivoluzionamento sociale e nella messa in critica dei dirigenti corrotti e revisionisti, il partito comunista al potere. È Mao stesso ad indicare “fuoco sul quartier generale”, poiché sa che condurre una lotta ideologica da soli e senza il conforto di un movimento di classe, non porta a granché laddove allignino parti borghesi nel cuore del proletariato al potere, nel centro esecutivo dello Stato e del partito. La lotta si avvia in ogni importante centro operaio, nelle campagne, tra gli studenti ed i docenti, con la partecipazione ideologica e politica del movimento delle Guardie Rosse interno all’Armata Rossa, attraverso il movimento di critica – autocritica – trasformazione e la continua espressione politica di ciascuno e di ogni collettivo con i manifesti murali (tazebao) che saranno non a caso lo strumento principe della socializzazione politica nei movimenti studenteschi della contestazione del ’68. L’acutezza dello scontro che si esplica in violenza di classe, punizioni esemplari e fucilazioni, e campi di rieducazione, è stata, per quanto cruda, l’unica maniera in cui era possibile impedire alla cultura borghese ed egoisticamente individualista di riemergere ed affossare la Rivoluzione ed il processo di collettivizzazione sociale economica e produttiva con la riappropriazione da parte delle masse, dei mezzi di produzione e riproduzione sociale. L’esplicarsi di lotte ideologiche si scontra anche con forme di assolutizzazione ideologica (di estremismo di sinistra) che sono combattute al pari della corruzione, anche con le fucilazioni. Tuttavia saranno proprio i revisionisti (sopravvissuti generosamente alla rivoluzione culturale ed ai campi di rieducazione, dopo fatti significativi ed importantissimi quali il complotto di Lin Piao, e le morti di Ciou En-Lai e di Mao tse-Tung), a compiere il colpo di stato reazionario contro la direzione di sinistra della rivoluzione culturale, incarnata da Chiang Ching e Wang Hong-Wen. Mao aveva intuito questa possibilità, ed invitato Chiang Ching a “fare la lotta armata” se i revisionisti fossero riusciti a prendere il potere. La generosità del popolo cinese che restituì ingenuamente alla politica i dirigenti revisionisti s(deviazionismo e opportunismo di destra) sottoposti a critica, fu malamente compensata dalla montatura contro i compagni della cosiddetta “Banda dei quattro”, dall’attacco alla Costituzione rivoluzionaria, quindi dalla progressiva eliminazione dei collettivi di produzione e delle Comuni.

DELL’AUTONOMIA OPERAIA

Dalla svolta di Salerno (ma certa documentazione sostiene sin dall’appello del 1937 a mussolini, di Togliatti), la direzione del P”c”i è ostile e lontana anni luce dalla via rivoluzionaria, e lavora instancabilmente a spurgare a sinistra il partito dagli elementi “facinorosi” … L’ignoranza storica sulla natura intimamente controrivoluzionaria del P”c”i fa sì che a molti giovani rivoluzionari dei gruppi della “sinistra rivoluzionaria” degli anni ’70, i dirigenti opportunisti cerchino di propinare (fino a quando non sbattono sulla porta in faccia delle realtà autogestite dell’autonomia di classe che irrompe nella politica operaia dopo la fine del ciclo di lotte operaio ’68-’74) la buffonesca tesi del “pungolo da sinistra” a questa accolita di aspiranti detentori al potere borghese. Che prodotti sia in grado di produrre questo “pungolo” di una manciata di parlamentari (600.000 voti nel 1976, che nel proporzionale al contrario di n10 parlamentari ne assegna 6), lo dimostra l’accettazione supina e pronta del P”c”i alla legge spietatamente controrivoluzionaria che promuove i “premi” per i delatori, detta “legge Cossiga” approvata il 6.2.1980 ma avviata come decreto nel dicembre 1979 al primo arresto (segreto) di un dirigente di colonna br, che diviene il primo “grande” pezzo di merda e “pentito” della storia infame della giustizia italiana, P.P. (per decoro lo indichiamo con le iniziali: lo stato borghese ne fa ancor oggi un “martire” nonostante abbia fatto “sacrificare” la vita di suo fratello, collaboratore anch’esso, con una significativa quanto infame e squallida uscita mediatica sul quotidiano borghese sionista di Scalfari nel settembre 2002). Questo senza voler trascinare nel fango della storia tutta la base dell’allora P“c”i, che spesso invece pensava ancora all’esperienza leniniana del’17 come al punto puù alto raggiunto dalla storia del movimento proletario, come per esempio le lotte antifasciste di Genova nel 1960, o quelle contro le basi americane e la NATO degli anni ’60 promosse dalla Federazione Giovanile Comunista, e le numerose occasioni di scontro e sacrificio da parte degli operai e dei contadini, sotto l’incalzare delle aggressioni della celere e dei carabinieri (BIBL. -38-). Almeno fino alla “svolta della bolognina” di Occhetto, che sancisce la definitiva trasformazione del revisionismo italiano nel “liberal-democraticismo” dei club borghesi delle élites dirigenziali del partito e del mondo culturale dei baroni e dei propagatori dell’emergenza.

La forza del revisionismo fu tuttavia discutibile, perché le idee comuniste sono ancora fortissime nel popolo e nel proletariato italiano, nonostante la ben poca forza d’urto dei partitini parlamentari che si definiscono ancora oggi tali. Lo si vide nel nuovo ciclo di lotte operaie sin da Piazza Statuto nel 1962 a Torino, allorquando la base operaia espresse in pratica prolungata la contestazione dei “sindacati gialli” del collaborazionismo filo padronale (BIBL. -39-), e quindi nell’ostracismo sbirresco dei sindacati confederali, riunitisi straordinariamente dopo anni di separatezza, all’alba del nuovo ciclo di lotte del ’68-’69, verso l’autonomia operaia, le assemblee autonome di fabbrica (Fiat, Alfa, Petrolchimico) ed i movimenti che produssero il futuro “assalto al cielo”. Questi, se da un lato sedimentarono una formidabile riappropriazione della politica “dal basso” della classe operaia e dei giovani proletari e studenti, anche borghesi, dall’altro non si tradussero in una autentica strategia rivoluzionaria perché l’ideologismo idealista francofortese di cui erano intrise le teorie di vari dirigenti politici di quelle esperienze (per tutti il futuro promotore della dissociazione dalla lotta di classe, “Toni”.N., non a caso condannato politicamente fin da prima della sua proposta di dissociazione, dal nuovo movimento operaio), si riprodusse su sé stesso negando pervicacemente in quasi tutte le sue esperienze (facendo eccezione il ciclo di lotte a Marghera nel 1978-1981 -BIBL. -40-, onda lunga dell’autonomia di classe nel nord Italia, non a caso colpita pesantemente dalla repressione ordita dai controrivoluzionari revisionisti soprattutto padovani che costruirono il “teorema Calogero”, ciclo politico storico di rilievo per la sua forza politica ed impatto sociale, su cui mi impegno ad affrontare in futuro, dopo che mi avranno liberato della tortura che subisco, un contributo storico) il riconoscimento dell’internità alla lotta di classe, della strategia rivoluzionaria della guerra di classe di lunga durata. Pagine di storia che la borghesia, i dissociati, gli arresi, i traditori ed i revisionisti di sempre, vollero cercare di cancellare o dimenticare nella loro valenza ed attualità, dietro millenni di anni di galera, centinaia di ergastoli, e migliaia di arresti, in pochi anni. Attualità dell’espressione politica della classe operaia, attualità di una linea di massa rivoluzionaria. Quindi l’autonomia operaia, di classe, il suo essere “movimento reale”, fatica al di fuori dell’esperienza veneta, a trovare nel radicamento politico e sociale la forza prospettica di una alternativa poltica nella teorizzazione del “contropotere”.

L’autonomia di classe non è stata uno schieramento politico, né un ceto politico, bensì l’espressione della classe operaia e del proletariato metropolitano. Oggi si esprime appunto come realtà di classe, comportamenti e forme di lotta ed organizzazione sociale che contestano lo sfruttamento e chi lo cogestisce, senza darsi progetti complessivi in termini di partito o altro. Ma è comunque ricco contenuto, portato di conflittualità sociale che nei paesi del centro imperialista viene attaccato in quanto espressione di autonomia, di individualità, di libertà e di espressione politica autonome dalla borghesia in quanto tale, perché il potere reazionario che sta preparando il regime fascista (nel quale stiamo già mettendo piede) che vorrebbe partecipare al terzo macello mondiale imperialista e controrivoluzionario prossimo venturo scaldandosi nel frattempo le ossa in Medio Oriente, non può follemente tollerare alcuna espressione di democrazia “dal basso” che metta in discussione la sempre più difficoltosa concertazione sociale (partecipata per scelta istituzionale reazionaria non solo dalla triplice ma anche da vari sindacati alcuni dei quali, pur in apparenza antagonisti, non esitano a far proprie le tesi criminalizzatorie contro i Comitati di appoggio e resistenza per il comunismo, per esempio, espressione pubblica del movimento comunista che è attaccata in maniera feroce dallo Stato perché esprime solidarietà ai rivoluzionari prigionieri, portato storico, comunque la si veda, della scelta rivoluzionaria conseguente sorta nella fila del proletariato e ad essa classe, unicamente, rivolta e dipendente). Negli anni settanta, l’autonomia operaia fu in tutti i poli operai del centro-nord, una realtà in divenire, non solo una forma di autorganizzazione. In questo senso, l’appartenenza di classe era non-appartenenza al Partito revisionista, alterità in divenire. È a questa autonomia di classe, o meglio operaia, che si rivolgeva un unico odio che univa tutti gli opportunisti, dalla canea revisionista ai leaders dei gruppi (la triplice), dai falsi marxisti-leninisti sprangatori Katanga del Capanna futuro imbonitore e pacifico sornione dell’abbandono della lotta “rivoluzionaria”, ai trotzkisti impazziti di paura il 12 marzo 1977. Lo si vide anche in molte provocazioni di regime, come la montatura sul rogo fascista della casa dei mattei a Roma, di cui furono ingiustamente accusati e condannati dei compagni. Lo si vide in molti episodi di criminalizzazione preventiva della lotta operaia, oltreché nell’oscena montatura di Calogero e dei dirigenti picisti di Padova.

L’autonomia operaia non era un semplice movimento “consliare” di origini sindacaliste rivoluzionarie o anarchiche d’inizio secolo, ma era (ed è) l’espressione dell’avanguardia in movimento, dello sputtanamento del regime fin dentro i calzoni tagliuzzati del capo-squadra, della rottura delle mediazioni nei luoghi di estrazione del plusvalore e nel tentativo di ricomporre politicamente un’identità di classe sul territorio, per meglio difendere il diritto a migliorare e rendere meno mortalmente pesante la “qualità della vita”. L’autonomia di classe è come un dito in culo ai padroni, che gira tanto più veloce quanto più la maturità e l’adesione alla lotta degli operai riesce a ridurre al silenzio i burocrati sindacali ed i maiali che come parassiti succhiano il sangue dei lavoratori, nel suo saper cogliere in ogni contraddizione anche la più piccola, la sua natura classista, e nella sua capacità di farla crescere per maturare all’interno della classe i termini del processo rivoluzionario. Nel centro del processo capitalistico di allora, nel bel mezzo del “benessere compiuto” e delle nuove esclusioni (nel ’76-’77 delle ronde contro il lavoro nero, oggi il lavoro nero ed il popolo dell’immigrazione, complessivamente oggi si tratta del 15% circa della popolazione attiva, quindi oltre 3 milioni di proletari e qualche decina di migliaia di affaristi ed usurai totalmente illegali), l’organizzazione del lavoro è ancora centralizzata e gerarchizzata a sufficienza per determinare nell’autonomia di classe una focalizzazione verso gli aspetti più immediati e sociali della catena dello sfruttamento. Che oggi la struttura sociale del lavoro sia più precaria e frantumata, non fa che rendere più approfondito lo scontro, più ramificata la messa in discussione del regime vigente, non esclude affatto la ricchezza di contenuto che nel lavoro salariato, data la sua insopprimibile ansia di liberazione, si esprime nell’antagonismo alle forme di coercizione che il nuovo modello “post-fordista” cerca di imporre. Allora, le lotte che portano alla “chiusura” delle boite e dei “covi” del lavoro nero, quelle per l’ottenimento di diritti sociali (le mense collettive studenti e lavoratori, la gratuità dei trasporti, la rivendicazione del reddito minimo garantito), si sommano alle rivendicazioni politiche (le 35 ore pagate 40) ed a quelle che assumono i dati concreti dello sfruttamento per trascinare la lotta operaia ad una rivendicazione di rottura (sull’organizzazione del lavoro, i turni, l’abolizione delle figure dei jolly, ecc., quelle contro gli straordinari pagati normalmente fuori-busta, come strumento di ricatto e differenziazione nella classe, ancora oggi con molto piacere del “Cavaliere” che ha così meno problemi con la sua “base tributaria”, e sul diritto alla salute, che si esplicano nelle uniche controinchieste e sputtanamenti della nocività intrinseca del lavoro e di quella più mortale delle fughe di gas, degli incidenti, degli sbocchi delle tubature di olio bollente e acidi, delle conseguenze della velocità della catena o delle misure del ciclo produttivo, ecc.).

L’autonomia di classe quindi è internazionale, perché assume la classe al centro dello sviluppo rivoluzionario, e si rifà allo studio delle esperienze storiche dei vari cicli di lotte operaie dimenticati volutamente dalla storiografia revisionista ed universitaria di genere (BIBL. -41-). Non a caso internazionalismo ed autonomia di classe si coniugano nella successiva formazione capitalistica che vediamo oggi, trent’anni dopo in tutta Europa: una classe operaia così, non s’era mai vista. Esemplificazione del mondo autentico del rapporto di sfruttamento nella sua dimensione ed essenza internazionale. Alla caduta dell’imperialismo nel Tricontinente, sarà questo mondo in movimento la base ampia di massa della trasformazione rivoluzionaria, perché nel frattempo ogni cosa che non sarà corrotta sarà giocoforza autonomia di classe, formidabile prospettiva politica che traduce nel nostro odierno futuro la previsione scientifica di Marx ed Engels.



DELL’ESPERIENZA VISSUTA NELLA LOTTA ARMATA E DI CLASSE NEL VENETO NEL ’76-‘81

L’esperienza a cui ho partecipato non aveva nulla a che vedere con l’operaismo armato, anche se teoricamente risentiva fortemente dell’influenza negativa della scuola padovana dell’opportunista intellettuale fondatore della dissociazione.

L’esperienza a cui ho partecipato dal 1976-1977 al 1982 è stata quella di una organizzazione di classe che si fondava attorno ad un programma politico di classe e che guardava, con le opportune diversità e differenze teoriche e politiche, alle Brigate Rosse come all’esperienza guida del processo rivoluzionario, rivendicandosi anch’essa alla parola d’ordine della “unità dei comunisti nella costruzione del Partito comunista combattente” (riferimento politico: rivendicazione della distruzione dell’Ufficio regionale dei trasporti, Venezia, Fronte comunista combattente, ottobre 1977).

L’esperienza a cui ho partecipato non escludeva il ricorso alle azioni più cruente nello svolgersi del processo rivoluzionario, ma non metteva al centro della lotta l’omicidio politico, ogni azione era calibrata ed organizzata al livello di comprensione e di necessità delle masse (esempio campagna contro il lavoro nero, gennaio 1978, o campagna contro la politica della riduzione dei servizi sociali e della spesa pubblica, ottobre 1978, o campagna contro la politica padronale della Confindustria e del governo, dicembre 1978: riferimento, rivendicazione da parte delle organizzazioni Organizzazione Operaia per il Comunismo e Proletari Comunisti Organizzati, Controinformazione, inizio 1979, o campagne contro la repressione e lo Stato, aprile 1978 ed aprile 1979, dopo l’attacco brutale del PCI e della magistratura emergenziale alla organizzazione sociale della lotta di classe articolata nei comitati di fabbrica e di quartiere, nelle assemblee studentesche e nelle lotte per il diritto alla casa ed ai servizi sociali, che era mirato a demonizzare l’esperienza dell’Autonomia spacciandola per subordinata a quella brigatista onde impedire al proletariato di potersi esprimere nella lotta di classe).

L’esperienza a cui ho partecipato rivendicava internità alla lotta di classe alle azioni di difesa del proletariato prigioniero, portate avanti dai N.A.P. e da altre organizzazioni, internità che si portava avanti da parte di chi già aveva vissuto la galera nella solidarietà al processo rivoluzionario.

L’esperienza a cui ho partecipato si qualificò al suo punto più alto nel corso della Campagna del 1981 che nacque con le lotte operaie e la solidarietà studentesca in piazza contro la repressione poliziesca, contro il ricorso alla cassa integrazione quale strumento della ristrutturazione padronale al Petrolchimico di Porto Marghera e nelle fabbriche del polo. Campagna nel corso della quale alla lotta per la difesa e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori si aggiungeva la lotta contro la nocività in fabbrica e fuori, per la occupazione delle case sfitte e per l’organizzazione degli studenti nel territorio, riuscendo in determinate situazioni sociali ad organizzare l’unità della classe anche con altri settori di lavoratori.

Questa lotta dava terribilmente fastidio al potere centrale, di cui il polo chimico era interesse e merce di scambio, ed al revisionismo berlingueriano che si esplicava in una organizzazione sindacale che falsificava burocraticamente e politicamente le carte in tavola, che disorganizzava i lavoratori, li esponeva ai rischi mortali delle esplosioni e delle fughe di gas e di acidi che la politica della riduzione della manutenzione e della organizzazione del lavoro sempre più “produttiva” ma in realtà dannosa per i lavoratori ed i cittadini, senza portare avanti la lotta in un senso forte ed unitario di classe se non nelle celebrazioni dei morti sul lavoro, per tutti quelli del 22 marzo 1979 allorquando tre operai, Bruno Bigo, Giorgio Rasia e Lucio Oreda, morirono bruciati vivi da una fuga di acido fluioridrico.

Sicchè mentre la politica sindacale spingeva verso il solito pateracchio della cassa integrazione, la lotta operaia si era riorganizzata e si era articolata in un programma di lotta interno al polo chimico e che coinvolgeva anche tutte le fabbriche di Marghera ed i lavoratori del pubblico impiego, gli studenti, i senza casa, in un movimento proletario che secondo una certa concezione non era metropolitano solo per la concezione secondo cui la metropoli è un dato quantitativo, dato che le condizioni di vita di cui parliamo riguardavano un altissimo concentrato di composizione organiza di capitale e di estrazione del plusvalore in una zona abitata da circa mezzo milione di persone, ma per la qualità della vita e l’estensione della giornata lavorativa sociale che convogliava in un unico calderone ogni espressione della classe. La classe operaia di Marghera era stata al centro di dure e innovative lotte sin dal 1° agosto del 1968, allorquando una dura battaglia operaia di 3 giorni sconvolse l’ordine costituito e portò allo scontro diretto la lotta operaia con lo Stato. Il 7 aprile ed i blitz successivi erano rivolti contro quella generazione di militanti che oramai avevano ceduto il testimone ai compagni più giovani, e che proprio per questo gli infami revisionisti del PCI avevano accusato di ogni genere di atto rivoluzionario compiuto ben dopo lo scioglimento dell’Assemblea autonoma di Porto Marghera.Quindi nel 1981 tutto il Movimento Comunista Veneto si mobilitò attorno alla lotta di Marghera e riarticolò programmaticamente in termini di programma ampio di massa la iniziativa delle istanze di organizzazione di classe che si erano sedimentate nella pratica.

Nel 1981 la lotta rivoluzionaria era ad un punto di svolta, stava coinvolgendo ampie masse, stava riconquistando fabbriche nel nord al revisionismo, ed aveva ottenuto una vera e significativa, propositiva vittoria, con la chiusura del kampo di concentramento dell’Asinara. Tuttavia la confusione era grande, perché nelle carceri le lotte ideologiche e le discriminanti contro l’opportunismo (in carcere finivano molti compagni ed ex-compagni che nulla c’entravano con la lotta armata e che però venivano trattati con la stessa durezza) comportavano dei cedimenti che sin da allora l’autonomia di classe in movimento a Marghera caratterizzò contro l’opportunismo di Toni Negri (cfr. Il proletariato non si è pentito, articolo di “Autonomia” nel merito).

Sicchè l’avanguardia combattente, che sino al marzo 1980 aveva mantenuto a livello nazionale e internazionale la sua forza e fascino per tutto il proletariato, e che da allora con il pentitismo aveva iniziato a subire durissimi colpi che si estendevano a tutto il Movimento di resistenza proletario nel paese, da allora iniziò a subire frazionamenti che si riversarono in una logica concorrenziale nella lotta armata tra le varie organizzazioni. Il che si tradusse in un massacro per la classe operaia a Torino e Genova, per intanto.

Nel 1981, l’anno in cui si dispiegano le diverse concezioni ideologiche della lotta armata in seno al proletariato italiano, si hanno quattro azioni contemporanee che caratterizzano ancora oggi la storia del nostro paese per l’esito infelice che ebbe la prosecuzione di una di queste, avvenuta nel dicembre 1981: la cattura di un generale americano responsabile delle forze aeree terrestri per il sud Europa.

Queste azioni furono dirette contro:

Queste campagne furono accompagnate da diverse azioni di vario livello che si dialettizzavano attorno all’esplicarsi del programma guerrigliero.

Queste azioni, anche se articolate attorno a programmi politici diversi nella classe, ricevettero molto appoggio dalla classe, e riuscirono a rompere la censura mass mediatica in alcuni casi. Non nel caso di Marghera, dove però l’azione di sequestro del dirigente responsabile degli incidenti mortali degli ultimi anni dovuti a mancata manutenzione e a fattori di scelta bestiale del capitale in parte statale di riferimento, erano costati molto sangue, l’azione si svolge contestualmente ad un innalzamento della lotta di classe nel polo, riuscendo addirittura a convogliare il 15 giugno 1981 due turni di lavoratori in uno sciopero autonomo indetto dal Comitato Operaio dei Petrolchimico, cui avevo aderito da militante esterno sin dalla sua fondazione nel 1978, fondazione che aveva ripreso le basi della passata esperienza dell’Assemblea Autonoma. Questo sciopero fu una disfatta per i revisionisti ed i sindacati confederali, e determinò un passaggio storico assolutamente determinante ed inedito: nel bel mezzo di una dura campagna guerrigliera e di un conflitto di classe molto acuto nel quale si giocavano migliaia e migliaia di posti di lavoro, dopo quasi 13 anni dal 1° agosto 1968, si riusciva ad affermare uno sciopero autonomo su un programma rivendicativo che coglieva sia le istanze di base salariali e normative sia di critica al modello di produzione con la rivendicazione della IV squadra, necessaria a maggiore manutenzione e minore peso dei turni e carichi di lavoro. Si rivendicava insomma non solo il posto di lavoro ed il salario, le indennità e la salute, la manutenzione per la sicurezza dagli “incidenti” ma anche una organizzazione del lavoro non finalizzata alla massima estrazione del plusvalore, mettendo in crisi il modello sindacale della compartecipazione ideologica dei lavoratori al fine capitalistico, e rivendicando i dati qualitativi della lotta per cui il lavoro deve essere socialmente utile e necessario (tipo di prodotti che escono dal ciclo, loro utilizzo) e non deve gravare sul diritto alla vita della popolazione circostante alla fabbrica (che attorno al polo chimico è stata bombardata per oltre un decennio al tempo da fughe di gas ed anidride solforosa continue e talmente gravi da portare all’ospedale anche 300 operai alla volta).

L’esito di questa campagna, che le organizzazioni comuniste operaie portarono avanti dialettizzandosi ad un livello di comprensione agevole per la classe, a sostegno delle BR, anche con l’incendio di beni di due dirigenti sindacali della Cisl, fu tuttavia diverso da quello che la conduzione della lotta operaia nel polo aveva considerato come necessario a poter proseguire la lotta su un piano più alto senza perdere quella adesione di massa che aveva permesso al sottoscritto di gridare all’avanguardia della classe riunita attorno alla solidarietà ai prigionieri politici rivoluzionari, che solo 6 pullman il sindacato confederale aveva saputo mettere insieme nella manifestazione contro l’azione rivoluzionaria delle BR. Tutto ciò si tradusse in una ennesima frattura anche nell’avanguardia combattente del polo veneto e friulano, un’ennesima divisione che fu da anticipazione agli squarci nella solidarietà e nella compattezza dell’avanguardia combattente sin dalla sconfitta del 28 gennaio 1982 che seguì all’iniziativa rivolta contro l’imperialismo americano. Sconfitta tattica, che portò però ad un arretramento colossale della guerriglia ed alla dichiarazione della ritirata strategica (17 marzo 1982) da parte delle Br-Pcc, mentre per un altro periodo la guerriglia si articolò attorno al Partito guerriglia del proletariato metropolitano. Arretramento causato soprattutto dal tradimento di quasi tutti i componenti della colonna, che subirono il contraccolpo psicologico della reazione controrivoluzionaria.

Questo produsse un clima di terrore nel movimento comunista, ed una disistima di molte tendenze opportuniste in quanto mettevano al centro il tradimento di questa maggioranza di militanti davanti al ruolo ed al significato che comunque aveva avuto quest’ultima iniziativa antimperialista.

Il clima nella classe operaia che si iniziò a vivere da allora fu pesantissimo. Centinaia di arresti anche nel solo nostro polo interregionale, causarono uno strapotere poliziesco per cui vi fu un arretramento politico opportunista da parte delle componenti principali della autonomia padovana e veneziana, come non avvenne nelle stesse forme in alcun altro territorio a parte il polo milanese ove i colpi repressivi avevano già riguardato in passato e continuavano a riguardare diverse componenti rivoluzionarie.

Per questo possiamo dire oggi che da oltre un quindicennio il proletariato risente della inadeguatezza della guida della lotta che si dava attorno al progetto politico che era divenuto onorevolmente nonostante le moltissime defezioni, tradimenti, sotterfugi e guerre intestine, l’avanguardia del processo rivoluzionario.

Questa iniziativa antimperialista che avvia la storia delle Br-Pcc si era dialettizzata così ai movimenti di lotta contro l’installazione di nuovi armamenti missilistici (puntati contro i paesi del campo socialista guidati dal revisionismo russo e dei partiti comunisti dell’Est Europa), installazione che aveva innalzato il livello politico ed il coinvolgimento della classe ben oltre la semplice solidarietà ai popoli oppressi dato il rischio di guerra nucleare tra il blocco imperialista ed il blocco socialimperialista. Tuttavia a quell’epoca i compagni, ed anch’io, nella nostra area, non avevano la comprensione reale della natura del revisionismo nei paesi dell’Est, poiché essendo su una linea di confine, risentivamo del fascino del percorso di costruzione del socialismo iniziato con la Rivoluzione d’Ottobre come se fosse ancora un processo in corso; i termini ideologici di conoscenza e maturità acquisiti a partire dal 1984 dai partiti aderenti al MRI a proposito della rivendicazione di patrimonio rivoluzionario per tutto il proletariato mondiale al marxismo-leninismo-maoismo, non solo non erano ancora chiari, ma avevano un grande spettro di varianti che l’avanguardia combattente non era riuscita a colmare e sistematizzare in maniera organica nel programma rivoluzionario e nelle basi ideologiche senza le quali ogni processo rivoluzionario è destinato a fallire.

Da allora in poi vi è stato uno sviluppo di due tendenze divergenti nell’avanguardia combattente in Italia. La espulsione dei militanti della “seconda posizione” che darà vita alla breve ma significativa esperienza dell’Unione dei comunisti combattenti, segnerà una volta ancora la incapacità dell’avanguardia combattente di coniugare l’attacco al cuore dello Stato con la conquista al programma rivoluzionario delle istanze della classe a partire dal basso, in una dialettica bidirezionale tra avanguardia e classe ove il centro è nel programma e la direzione è nel Partito comunista combattente in costruzione.

Le caratteristiche del mio percorso politico sono allora caratterizzate sia dall’agitazione anche ipersoggettivista verso i problemi e le conseguenze della repressione, essenzialmente rivolte a portare nel proletariato e nel movimento di classe (allora molto confuso dalle sconfitte e dalla pubblicità borghese alla dissociazione, nonché dai contenuti di abbandono della lotta riportati nella società da centinaia di detenuti scarcerati dopo breve tempo in genere grazie ai loro racconti ai magistrati), i contenuti della solidarietà proletaria ai prigionieri, rivendicando alcuni dati:

La pesantezza e minuziosità della attività controrivoluzionaria nelle carceri portò il numero dei prigionieri rivoluzionari nel volgere di un decennio ad una realtà molto poco significativa numericamente. Ma proprio per questo di grande valore politico, nella prospettiva di un riadeguamento complessivo che però non ha saputo ancora darsi in vent’anni.

Nel mio percorso questo ha voluto dire ulteriore criminalizzazione, anche folle per le sue caratteristiche peculiari di vendetta che la particolarmente violenta ed inquisitoria magistratura veneziana seppe mettere in campo.

Nella nuova fase politica come è noto seguita al crollo del revisionismo nei paesi dell’Est Europeo ed alla nuova politica di aggressioni e guerre imperialiste che gli USA hanno scatenato in ogni parte del mondo a partire dallo scarto, dalla rottura, del 1991, allorquando per la prima volta a partire dall’ultimo dopoguerra si è data una campagna bellica di diversi paesi imperialisti contro un paese indipendente ed ostile alle politiche del capitalismo imperialista occidentale, senza un contrasto da parte di alcuna potenza (unipolarismo americano).

In seguito, il peso della discontinuità e l’evolversi della situazione interna ed internazionale mi ha portato a ragionare in termini politici sul dato di fatto di un non riconoscimento delle mie posizioni da parte di gran parte dei prigionieri rivoluzionari delle Brigate Rosse. Fatto cui ero sostanzialmente preparato ma nella considerazione che vi sono nella realtà dello scontro di classe gli spazi per esprimere delle concezioni rivoluzionarie anche se non perfettamente omogenee ed uguali a quelle che avevano primato.

Molta acqua è passata sotto i ponti in pochi anni per me. Il trattamento di tortura cui sono sottoposto tuttora dimostra che lo Stato ha cercato e cerca attraverso alcuni suoi apparati (magistratura emergenziale ?) di piegare la mia resistenza ed identità politica, senza riuscirci, perché ogni mia posizione politica è frutto di sforzo e volontà, al di là del fatto che dalla metà di maggio del 2002 ho appreso oggettivamente di essere sottoposto ad un trattamento di pressione e tortura atto a farmi recedere dalla mia stessa vita e militanza politica al fianco del movimento comunista e di classe: al mio annientamento, in quanto considerato, erroneamente, anello debole del movimento rivoluzionario nelle prigioni.

La condizione del prigioniero rivoluzionario è certo oggi quella di un bastione proletario assediato da una pressione controrivoluzionaria e di permanente provocazione, ma questo non toglie nulla al fatto che non vi è scelta, quando un compagno fa una scelta di vita, è quella. Trentunanni fa io l’ho fatta, da giovanissimo, al fianco della classe operaia, e non saranno le minacce assurde ed antigiuridiche di portarmi a Guantanamo o quelle di condannarmi all’ergastolo per “reati” come l’intervento al Convegno contro la repressione del giugno 1981 a Milano in cui espressi sostegno politico all’azione delle Brigate Rosse di sequestro del direttore del Petrolchimico, fabbrica di morte e sfruttamento degli operai, a farmi recedere dalla mia militanza politica.

Come prigioniero comunista e come rivoluzionario non posso limitare oltre l’espressione del mio pensiero propositivo, critico ed autocritico in termini complessivi, dato che la trasformazione richiesta ad ognuno di noi nella barricata proletaria è tale e talmente qualitativa da non potersi trattenere alle riproduzioni stantie di formule e cerimoniali.