APPELLO PER EMANUELE
E MARIO LEO
Che l’opulento
Nord-Est sia vendicativo è noto, in particolare con quelle persone che
vengono arrestate e condannate, spesso senza prove e perché servono dei
colpevoli da sbattere sui giornali ed in galera, per reati come il
sequestro di industriali o loro parenti, per la buona pace della
carriera degli “investigatori”.
E’ il caso della
carcerazione di Mario Leo Morabito e di Emanuele Calfapietra, che da 16
anni sono detenuti in barba al rispetto che le Leggi prevedono per la
dignità dell’uomo e per la salute, che dovrebbe essere stando alla carta
un pre-requisito alla pena in carcere e che invece viene minata e
distrutta dal regime carcerario e da particolari trattamenti, in
moltissimi casi nel silenzio dei media, perché oggi, nel regime fascista
vigente, dove l’apparenza dei diritti democratici non riesce a
nascondere più la realtà nuda e cruda, per sfondare la barriera
dell’opinione pubblica occorre o morire o compiere gesti estremi avendo
però un buon sostegno esterno (già difficile per chi vive in libertà) od
un buonissimo avvocato (il che è ancor più difficile), e questo
indipendentemente che si sia lavoratori, donne sfruttate, bambini che
fanno il lavoro nero, immigrati i cui diritti sono calpestati, umiliati
a tutto andare, che si sia malati senza assistenza o “matti” posti in
strutture spesso private di degenza bestiale, o carcerati messi a
marcire senza lavoro nelle galere, quasi sempre in condizioni di
sovraffollamento od abbrutimento.
Mario Leo ha avuto
problemi psichici ed è stato dichiarato totalmente invalido di mente,
ciononostante continua a scontare la pena e viene sballottato da una
sezione speciale all’altra, ora è da un paio di mesi in una delle
peggiori, a Napoli, e sta rischiando di diventare cieco. A Trani
riusciva ancora a dipingere, prima era a Voghera, prima ancora a
Spoleto, poteva fare qualche corso ed aveva qualche ora d’aria in più,
ma ora sta in una condizione detentiva tremenda. Non si capisce perché
nel circuito EIV vi debbano essere sezioni come Poggioreale (dove per 15
giorni tra ottobre e novembre han messo a vivere forzatamente l’avvocato
Trupiano per poi riconoscerlo estraneo ai fatti) con 3 letti per cella e
altre come Biella o Sulmona con molte celle libere.
Ha idee anarchiche,
come molti in Calabria, la sua regione, e desidera almeno ricevere un
po’ di riviste ed il “Manifesto”, in questo senso il passaparola
dovrebbe bastare, ma in Italia oggi non è così, dei prigionieri dispersi
nelle galere ci si ricorda solo in casi estremi quando vanno sui
giornali.
Emanuele da 10 anni
è paralizzato, e ciononostante continua a vegetare nella sezione
infermeria centrale di Secondigliano, carcere napoletano ove come noto
vigono regole interne delle guardie tra le più spietate. Non è in grado,
come è stato spesso il caso di altri detenuti mantenuti in centri
clinici carcerari nonostante siano paralizzati o privi di braccia o
gambe, di scontare la pena in condizioni concepibili da una persona
civile.
La politica
penitenziaria centrale, dopo il regalino fatto da Berlusconi, nel
giugno 2002, al blocco emergenziale carcerario nazionale con la
mancata conversione in legge del decreto Bindi (che gestiva la sanità
penitenziaria GIUSTAMENTE al livello del servizio sanitario pubblico), e
le insistenti difficoltà ed ostacoli posti in varie regioni che per
questo si sono sollevate (Toscana, ed altre) disponendo la
regionalizzazione del passaggio della sanità carceraria al Servizio
Sanitario Nazionale, sono spinte al massimo attorno ad alcune linee
guida in materia sanitaria.
In pratica,
attraverso il rafforzamento della corporazione della “medicina
penitenziaria” [in pratica una branca autoproclamantesi scientifica,
di diversa gestione della salute, proprio perché si ostinano a
considerare la vita ed i diritti – specie quello di sapere delle proprie
condizioni, di ottenere gli accertamenti desiderati, di essere curati in
forma trasparente e con correttezza e serietà che vadano oltre le
trascrizioni infermieristiche nella propria cartella clinica delle
rapide e spesso grossolane annotazioni di questi medici penitenziari, i
cui dirigenti di istituto sono a volte persino privi di
specializzazione alcuna] e addirittura la libera iscrizione alla
propria associazione a qualunque medico di qualunque specializzazione
(proprio per rafforzarsi al di là delle disposizioni ministeriali), si
forma un coacervo di interessi economici che sfuggono a qualsiasi
logica, per cui incredibili business non permettono qui una bilancia
decente, altrove le aspirine, altrove ancora la presenza permanente
quantomeno di un medico 24 ore su 24, per non dire delle strutture più
coercitive come gli OPG, che vengono tenuti in vita per ospitare oltre
1.000 detenuti che grazie a certe leggi vedono così prolungare
spesso all’infinito la carcerazione, se il loro nome non è famoso o ben
visto, ben oltre i 30 o 40 anni, portandoli a morte sicura tra le
sbarre.
Queste linee guida
sono:
- L’effettuazione di
quanti più accertamenti è possibile nei centri clinici (a detrimento
spesso, come nel mio caso, della qualità degli stessi e soprattutto
rendendo possibili le “interpretazioni” di comodo dei referti, dato che
un direttore sanitario è capace, se serve, di non telefonare neppure ad
uno specialista che ha stilato un referto in un altro centro clinico, la
cui scrittura e stesura del referto non sia completamente comprensibile;
questo per fare un esempio dei più ridicoli).
- Il rifiuto od il
rinvio all’effettuazione degli accertamenti ed operazioni chirurgiche
esterne alle carceri ed ai centri clinici, come se nelle carceri non vi
fossero già altri motivi per spendere i fondi interni, problema che non
si porrebbe se la gestione della sanità penitenziaria fosse civile ed
esterna (del SSN).
- La
psichiatrizzazione di qualsiasi detenuto che dichiari strane percezioni,
per nascondere l’uso oramai diffuso del controllo mentale.
- La diffusione di
psicofarmaci senza limiti, addirittura in forma sperimentale.
- La
sottovalutazione di pericolosissime patologie, dalle epatiti conclamate,
alla sindrome di immunodeficienza acquisita, ecc., che comportano il
proseguimento della pena anche per persone che hanno una speranza di
vita di 1 anno o meno.
- Il mantenimento,
appunto, nelle strutture penitenziarie, di persone che in carcere non
dovrebbero starci, con l’apertura di diverse sezioni per “minorati
psichici” (come a Rebibbia, Sulmona, Sollicciano, ecc.).
- In generale, lo
strapotere della custodia ed i maltrattamenti ed il trattamento poco
consono alla salute ed al rispetto delle persone che si vive nei centri
clinici, luoghi ove è molto più facile morire “di causa ignota” in
ambito penitenziario (vedasi il caso di Mario Moro, che dopo 6 anni si
viene a sapere probabilmente innocente della morte dell’agente per il
quale fu arrestato e morì in poche settimane in circostanze misteriose
ad Opera).
- Il mantenimento,
nelle sezioni ospedaliere carcerarie esterne (sezioni “bunker”), come
alle Molinette di Torino, di regole interne allucinanti (al massimo 10
minuti di deambulazione al giorno, in pratica totale isolamento in
condizioni di degenza).
Mentre si ciancia
tanto di apertura del mondo carcerario all’esterno, il potere interno
dell’Amministrazione Penitenziaria ha scoperto insomma il “filone d’oro”
della ricerca scientifica sui detenuti e della spesa sanitaria come un
”luogo off-limits” ove poter disporre di qualunque fondo (peraltro con
limitazioni crescenti di spesa a decorrere dal 1996) non
nell’interesse dell’accertamento e della cura delle patologie denunciate
dai detenuti ma nell’interesse di mantenere in carcere i
“simulatori per necessità” come si viene considerati.
Un pò difficile
preoccuparsi per casi come questo di Emanuele e di Mario Leo, in un
paese preso da tutt’altri problemi, con una cronaca nera sempre più
oscenamente ed infimamente crudele, ove non vi è alcun rispetto per i
bambini e le bambine, per le donne immigrate che lavorano, per i
lavoratori clandestini, precari, in nero e occasionali, per i malati
terminali, per i vecchi appena pensionati e già prossimi alla morte.
Un po’ difficile
anche sostenere che si possa andare avanti per “casi”, e colgo
l’occasione per rigettare qui l’idea che la lotta che sto conducendo sia
in linea con chi concepisce la politica dei diritti come quella dei
“casi”. Le carceri in Italia sono tutte un caso.
E il nostro non è un
“iceberg”, ma un inferno dantesco camuffato da realtà diverse e garanzie
cartacee calpestate da migliaia di circolari ministeriali.
Solidarietà a Mario
Leo ed Emanuele, garanzie di cura e di carcerazione nel diritto,
scarcerazione per Emanuele, sono diritti che andrebbero gridati a piena
voce da tutti.
Purtroppo l’Italia è
ancora quella di Garibaldi e dei Savoia, con il Sud oppresso dal Nord.
Quando il marcio è
così diffuso da essere la norma, il toro va preso per le corna.
RITORNO IMMEDIATO
DELLA SANITA’ PENITENZIARIA AL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
DIRITTO DI OPZIONE
PER GLI ACCERTAMENTI SANITARI E LE OPERAZIONI CHIRURGICHE TRA I CENTRI
CLINICI E GLI OSPEDALI REGIONALI
ABOLIZIONE DELLA CORPORAZIONE DELLA MEDICINA PENITENZIARIA E SUA MESSA
SOTTO CONTROLLO DA PARTE DI COMMISSIONI REGIONALI, DEL TRIBUNALE DEI
DIRITTI DEL MALATO E DEL S.S.N.
I MALATI ED I
SOFFERENTI NON SONO DI DUE CATEGORIE.
Paolo Dorigo
militante comunista
prigioniero marxista-leninista-maoista
Carcere di Spoleto
sezione EIV
12-7-2004
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