Luglio 2005

LOTTIAMO PER STRAPPARE TUTTI I DETENUTI MALATI ALLE TENEBROSE GALERE DELLO STATO ITALIANO

Non è un argomento nuovo, ed i recenti casi non sono sufficienti a cambiare la mentalità da ribrezzo

per cui il carcere deve essere preferibilmente la fine dell’esistenza di un essere umano.

Personalmente l’anno scorso avevo chiesto la fucilazione e di poter crepare in sciopero della fame senza

rompimenti di coglioni, ma qualcuno voleva farmi arrivare a Torino e forse nascondere certe prove “torinesi” che porto nel capo.

La riforma carceraria del 1975 costituì una risposta istituzionale alle lotte che il movimento dei detenuti aveva scatenato per 7 lunghi anni, a prezzo di molti sacrifici e vite umane, per strappare le umide e putride segrete del regime democristiano e clericale al silenzio ed all’arbitrio totale della violenza dello stato.

Su questo ciclo di storia, ci sono testi come quelli di Fantazzini, di Cavallina, della Invernizzi, libri sui NAP e della commissione carceri di Lotta continua, che sono valido supporto. Il Salierno non mi interessa perché era un picchiatore nero. (Non credo, nei casi di persone dedite alla delinquenza, alla redenzione da fascismo a comunismo.  Né nei casi di persone prive di un solido bagaglio culturale e di una esperienza umana di riferimento che li abbia portati fuori da questo contesto. Al massimo, credo che una persona del sottoproletariato strumentalizzata dai fascisti possa trovar posto nel proletariato, ma non come avanguardia politica. Tantomeno i borghesucci giovani fascistelli, che se diventano “comunisti” lo diventano perché gli torna comodo.)

Per poco, -come dopo la Gozzini del 1986 per i detenuti comuni-, durò l’illusione, poi si scatenarono i carabinieri di Dalla Chiesa che, ottenuta la responsabilità inizialmente su 7 carceri dette speciali, poi su altre, in genere bracci in cemento armato custoditi mitra in pugno e cani al guinzaglio da sgherri armati che impedivano qualsiasi diritto ai prigionieri, avviarono sperimentazioni e torture cd. psicologiche alle quali poi di volta in volta si aggiungevano la violenza, i trasferimenti, le perquisizioni vaginali alle donne in visita ed alle detenute, il divieto dei pacchi, dei libri, delle riviste …

All’epoca (10980-1983) si suicidavano circa 200 persone l’anno nelle carceri, altre 50 circa venivano ammazzate, sbudellate, segate a pezzi, in regolamenti di conti, a volte per un semplice cenno sbagliato o saluto negato …

Il potere facilitava la discordia, lavorava per crearla. Nelle città del Sud si contavano 100 morti all’anno per città in media, causati da queste “tecniche di contrasto”. I più stupidi, quelli che rivoluzionari non erano veramente, ci cascavano spesso. E volavano coltellate.

Su questo ciclo di storia c’è un libro molto controverso, ma valido, I duri di G.Naria, scippatomi in galera e forse introvabile, e poi ci sono vari testi memoriali dei più svariati prigionieri, poi c’è Il proletariato non si è pentito delle Ed. Maj, che ricostruisce bene i passaggi dell’emergenza art.90, tortura, ecc.

Nel 1982, in questa bolgia infernale, l’allora primo ministri Spadolini varò dei decreti segreti aventi anche competenza sulle carceri. Ancora oggi, ufficialmente non si sa cosa dicessero. I repubblicani non erano più i mazziniani di un tempo e neppure i fratelli Rosselli di Giustizia e libertà. Erano un partito filo-yankee, istituzionale, con rapporti discussi in Sicilia, con una forza elettorale ridotta, legata a un certo capitale finanziario anche Fiat, e non avevano più problemi particolari di garantismo. Neppi Modona, che essi consideravano con attenzione, tirava emergenzialismo. Cacciari era fuori dal coro, nel senso che scriveva per suo conto testi sulla più volte verificata come inesistente, crisi di Marx, e non si curava se un terrorista cadeva dalla finestra o si svenava o se un criminale si cuciva la bocca. Proviamo ad abbozzare un approccio di queste misure segrete. Ce le stamperanno sui giornali, un giorno. Magari ne azzecco qualcuna, 23 anni dopo, col senno del poi.

Innanzitutto gli avvocati erano tenuti a rispettare il segreto su certe cose ma potevano fare eccezione a tali segreti con confidenze segrete verbali a certi magistrati. Poi si potevano usare strumenti di controllo non ortodossi su qualsiasi persona sospettata di aiutare latitanti o nascondere armi (c’era una clausola che permetteva rastrellamenti di quartiere e condomini per cercare armi senza decreto di perquisizione). C’era la responsabilità all’Arma dei carabinieri per ogni competenza nella lotta alle Brigate rosse, in particolare per quanto riguardava i prigionieri. Si potevano fare offerte in denaro in nero a confidenti o persone a conoscenza comunque di elementi di interesse, senza passare per la magistratura. Credo poi, col senno del poi, che si potessero trasmettere immagini subliminali a “terroristi detenuti” che si reputava potessero “staccarsi dal gruppo”, per spingerli alla “dissociazione” ed al “pentimento”. Spingendoli alla pazzia, usando in concorso altri mezzi, si poteva far pensare male agli altri prigionieri, e farlo isolare dagli stessi. A questo concorreva il DAP con i trasferimenti e le assegnazioni finalizzate a creare aree DIS-omogenee per gli irriducibili, per farli litigare (cosa denunciata dalle BR nella risoluzione della Direzione Strategica n.4 del 1980), ed invece OMOGENEE per chi rinunciava alla lotta armata (creazione di Linee nere opportuniste di destra nelle carceri). Dalla Chiesa condusse questa “opera” infame con zelante attenzione, fregandosene se ogni tanto qualcuno moriva (come Berardi suicida o come Soldati ammazzato), anche se innocente delle situazioni che ne erano movente carcerario. Poi nel 1982 morì a Palermo, in un giorno caldo. Ma la tortura ai carcerati non finì. L’istituzionalizzazione dell’articolo 90 fu molto precisa e con zelo si sequestravano le copie delle fanzines come “Guardare avanti!” o delle riviste come “Il Bollettino” che massicciamente venivano spedite nelle carceri speciali. Si doveva impedire la sola comprensione ideologica tra chi stava in carcere accusato di gravi reati e chi anche solo voleva dar voce alla difesa ed espressione di identità dei prigionieri.

Poi c’erano le motivazioni alla limitazione del diritto alla salute dei prigionieri. Controversa questione, se avevi appoggi fuori potevi far valere questo diritto, diversamente, o se eri dentro per gravi reati, niente da fare.

A volte impedivano anche di partecipare ai funerali di un parente, figurarsi se ti facevano uscire per motivi di salute. E si moriva.

Anche oggi si muore, in genere però camuffano con scarcerazioni all’ultimo momento, specie per Aids e tumori, mentre crepi in galera se sei con gravi reati e se soffri di cuore o di patologie considerate meno gravi da medici generici o buttafuori da discoteca in camice bianco, messi lì a firmare la sentenza di morte.

Magistrati di sorveglianza che giudicano la tua situazione non così grave, o non al punto di rischio di morte.

Direttori che latitano alle udienze, magistrati di sorveglianza che latitano le mensili passeggiate in sezione.

Garanti che non esistono. E se ci sono NON SONO 24 ORE AL DI’ in sezione, ma comodi, dentro un ufficio con segretaria.

Avvocati, ahimè, che ti fanno aspettare mesi, perché sono o frustrati della loro impossibile funzione stante l’abolizione fattuale dello stato di diritto, o coinvolti in altri interessi.

Parenti che non hanno la misura della sofferenza di chi sta dentro.

Poveracci, poveri Cristi, che fanno anni e decenni di galera innocenti, e si sentono chiamare “mafiosi”, solo perché hanno conosciuto la persona sbagliata che regolarmente li ha venduti a peso in cambio di vantaggi e sconti di pena.

E ai quali magari, come è nel caso di Aldo, di nuovo in lotta rifiutando il vitto, lui che campa con 50 euro al mese per le sigarette, a Spoleto dopo un primo recente periodo di 46 giorni in cui ha perso 17 kg., che rivendica solo, a 69 anni, di poter avere un permesso con 9 anni di carcere su 11 e 10 mesi di condanna ingiusta, peraltro con l’assoluzione chiesta dal pm e l’avvocato che non ha consegnato i motivi, e di poter fare delle cure mediche, perché osteoporosi ed altre malattie lo stanno uccidendo e ne dimostra 80, e pur avendo 7 figli a Roma, pare di essere in mitologia, che son tutti cittadini “senza macchie”, è CLASSIFICATO detenuto pericolosissimo e in rapporti presunti con la mafia, e gli si impedisce ogni cosa, e non ha grandi mezzi per difendersi ed ottenere ciò che gli spetta, quella misura di diritto per la quale i partigiani han combattuto, misura minima per conquistare libertà ed autentica dignità al popolo, misura minima che viene resa utopia proprio per impedire al proletariato di lottare in avanti, per il socialismo, e ridurci alla sopravvivenza individuale, alla logica della preistoria.

E invece questo lavoratore condannato ingiustamente come mafioso senza nemmeno dargli reato associativo, questa onesta persona, sommessamente lotta, lotta, lotta, per i suoi e i nostri diritti, dal carcere di Spoleto, e nessuno dice nulla, a parte Vincenzo e Mauro, e altri detenuti comuni, per lui, dall’EIV di Spoleto.

Paolo Dorigo, luglio-agosto  2004