Il 20 luglio il governo trova l’accordo con i sindacati per
l’ennesima controriforma delle pensioni: nella pratica si tratta dell’ennesima
vittoria dei ‘destri’ della coalizione che riescono a spuntare il mantenimento
dell’innalzamento dell’età per andare in pensione fino ai 62 anni nel 2013,
esattamente ciò che TPS, lo Smilzo, Pane e Cicorie, il Rospo, e compagnia
brutta sostenevano da sempre. In
particolare lo scalone viene diluito in quattro gradini. Nel 2008 si andrà in pensione a 58 anni con
35 di contributi, mentre dal luglio 2009 entrerà in vigore il sistema delle
quote: 95 dovrà essere la somma tra l’età anagrafica (che comunque non potrà
essere inferiore ai 59 anni) e l’età contributiva; nel 2011 la quota sarà
innalzata a 96 (minimo 60 anni) e nel 2013 un nuovo innalzamento a quota 97
(minimo 61 anni). Come si può
facilmente intuire si tratta dell’ennesima truffa ai danni dei lavoratori, come
anche lo stesso segretario del PdCI - Oliviero Diliberto - fa notare (si veda
“La Stampa” del 21 luglio, pagina 6, intervista di Raffaella Rampino): «la
somma finale tra l’età pensionistica e i contributi il cittadino deve potersela
giocare come vuole. Perché sennò, e faccio solo un esempio, se uno ha lavorato
per quarant’anni avendo cominciato a sedici, che fa, deve per forza arrivare a
quota 96? Gli mancherebbero altri 40 anni di lavoro». E’ del tutto evidente che il professore cagliaritano sbaglia i
conti: a questo ipotetico lavoratore mancherebbero ‘solo’ cinque anni per
potersi ritirare - l’età anagrafica minima sarà di 61 anni e lui ne avrà solo
56 - ma la sua quota finale sarà di 106 (61 anni e 45 di contributi) e non 97;
a parte questo il ragionamento dell’esponente amendoliano è assolutamente
corretto. A questo punto ci si aspetterebbe
che l’avvocato sardo dicesse chiaro e tondo che su questo tema il PdCI è
disposto ad aprire una crisi di governo, invece - alla domanda diretta della
giornalista «farete cadere il governo al Senato?» - risponde, evasivamente:
«cercheremo di spostarne l’asse a sinistra», come a rassicurare i ‘destri’ che
è pronto a piegare nuovamente la testa.
Se il PdCI è pronto a genuflettersi ai voleri dei ‘destri’ dell’Unione,
non è che il resto della cosiddetta “sinistra radicale” se la passi molto
meglio.
La Sd di Fabio Mussi giudica «ottima» l’intesa raggiunta, così
come i Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio (anche se immaginiamo che Mauro
Bulgarelli e Paolo Cento non siano dello stesso avviso), ma come al solito è
Rifondazione a presentare le maggiori problematiche. A parole tutta la dirigenza afferma che si tratta di «un accordo
da respingere» perché «hanno semplicemente diluito la Maroni (la legge Biagi,
n.d.a.)», ma nei fatti - qualora fosse messo il voto di fiducia sul provvedimento
- sarebbero soltanto i senatori Fosco Giannini (L’Ernesto), Franco Turigliatto
(Sinistra Critica) e Claudio Grassi (Essere Comunisti) a votare contro; questo
comportamento porterebbe ad una sicura crisi di governo, e sarebbe comunque
tutta Rc-Se ad essere additata come la causa del crollo del governo Prodi;
questo l’(in)Fausto ed i suoi accoliti non se lo possono permettere. Siamo assolutamente convinti che il resto
della maggioranza rifondarola cederà alle pressioni di Dini, Rutelli, Fassino ed
i loro accoliti, e voterà a favore di questa ennesima controriforma
previdenziale, segnando così un ulteriore passo verso il suicidio politico.
Stefano Ghio
Torino, 21 luglio 2007