RIBADIAMO CHE E' DAL 1945, QUANDO A FARLO SUGLI STESSI GIORNALI E SU ALTRI SORTI DOPO, ERANO I SERVI DEI NAZISTI, CHE ATTIVITA' SINDACALI DELLA CLASSE OPERAIA NON ERANO DEFINITE "TERRORISMO"
Il Movimento rivoluzionario internazionale, sigla che dà asilo agli estremisti
di mezzo mondo, aveva dettato la linea da tempo: «Fare delle fabbriche le
fortezze del comunismo». E le ultime indagini italiane
fanno temere che non si tratti di parole al vento.
Queste caccole pensano che il comunismo sia anticostituzionale dimenticano che sono comunisti la maggior parte dei partigiani e dei caduti che hanno costruito l’Italia repubblicana.
E dimenticano che il LAVORO è la base della nostra società e NON lo sfruttamento.
A febbraio, nel Nord Italia,
da Torino a Padova, un’inchiesta della procura di Milano ha portato in carcere
con l’accusa di terrorismo 15 lavoratori e un’altra ottantina sono stati
indagati. Nei giorni scorsi la direzione antimafia di Potenza ha fatto
perquisire le case di 25 tra operai, impiegati e infermieri con l’accusa di
associazione eversiva, mentre la posizione di un’altra trentina di
insospettabili, tra cui alcuni insegnanti, è sotto esame.
Due
informative della Digos, che Panorama ha letto in esclusiva, aiutano a capire
lo scenario in cui si muovono le persone sospettate. In tutto già 150 presunti
terroristi. Tra loro molti sindacalisti (sette arrestati militavano nella Cgil,
che li ha immediatamente sospesi).
Non è
finita. In numerose città sono in fase avanzata indagini delle Digos e dei
carabinieri del Ros (il 23 ottobre hanno arrestato cinque presunti
anarco-insurrezionalisti spoletini). L’allerta va da Napoli (a Pomigliano
d’Arco è rinato Potere operaio) a Palermo (sotto controllo la Fiat di Termini
Imerese), da Pontedera (dove ribolle la Piaggio) a Firenze (monitorate la Nuova
Pignone e la Gkn driveline). Passando per i cantieri di Marghera e Taranto.
Secondo
gli esperti dell’antiterrorismo, il clima odierno non consente
sottovalutazioni. Gli operai italiani, siderurgici, metalmeccanici, portuali,
sono arrabbiati. Sabato 20 ottobre a Roma sono scesi in piazza in centinaia di
migliaia contro l’accordo sul welfare tra governo e sindacati confederali. E
nelle fabbriche più importanti migliaia di no avevano già bocciato il patto con
gli industriali (tabella a destra). Percentuali bulgare, come in Fincantieri o
alla Fiat: a Pomigliano d’Arco le tute blu contrarie sono state il 90 per
cento, a Melfi l’85.
Una
rabbia che sempre più spesso viene intercettata da piccole sigle sindacali
radicali pronte a dare voce a questo malcontento.
L’ultima
relazione semestrale sulla politica informativa e della sicurezza preparata dai
nostri 007 sottolinea il «rischio di infiltrazioni eversive in direzione del
mondo del lavoro». Per gli analisti del Dis (Dipartimento delle informazioni
per la sicurezza, l’ex Cesis) in certi ambienti le «tematiche occupazionali»
vengono affrontate «in un’ottica estremista tesa a delegittimare i sindacati e
a strumentalizzare le vertenze in una prospettiva rivoluzionaria». E così,
nelle ultime settimane, risulta a Panorama, l’intelligence ha riattivato i suoi
canali di monitoraggio nelle principali catene di montaggio.
Dopo
gli arresti di febbraio dei militanti del Partito comunista politico-militare
(l’ala movimentista delle nuove Br, erede della cosiddetta Seconda posizione)
il ministro dell’Interno Giuliano Amato aveva sottolineato l’«affiancamento»,
tra i neobrigatisti, «dell’azione armata con un lavoro politico di inserimento
nelle lotte sociali in fabbrica, nelle contestazioni contro la Tav, nelle
proteste di periferia».
Gli
stessi concetti espressi dal giudice Guido Salvini nell’ordinanza di custodia
cautelare per i 15 presunti br fermati a febbraio. Il giornale clandestino
Aurora, organo ufficiale delle nuove Br, nel terzo numero della primavera 2006
elencava le battaglie da portare a esempio: quella degli autoferrotranvieri
milanesi, le proteste per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, le marce
in Val Susa, gli operai in lotta a Melfi, la mobilitazione di Pomigliano
d’Arco, le banlieue francesi.
Uno
spirito che non è andato perduto, sebbene molti compagni siano finiti in cella.
Infatti c’è chi è subito pronto a raccogliere il testimone. Dai centri
proletari occupati Gramigna e La fucina di Padova e Sesto San Giovanni ai
Comitati proletari per il comunismo di Foggia, Vicenza e Padova, ai Comitati
d’appoggio alla resistenza per il comunismo (Carc), sparsi in tutta Italia e
particolarmente controllati a Napoli e Bologna (dove è in corso un’inchiesta).
All’elenco
vanno aggiunte le sigle finite nel mirino della Digos potentina, guidata da
Guglielmo Santimone (sotto casa una manina gli ha disegnato una stella a cinque
punte con un mirino): lo Slai Cobas per il sindacato di classe e il Partito
comunista maoista (Pcm).
L’indagine
ha molti punti di contatto con quella milanese sul Pcp-m. Le due operazioni,
oltre alla suggestione dei nomi (Tramonto e Rosso di sera), mirano a
contrastare gruppi con linee simili (anche se il primo aveva un progetto
rivoluzionario in fase avanzata, arsenale compreso). Secondo gli investigatori,
entrambi teorizzano il modello maoista della guerra popolare di lunga durata e
la costituzione di cellule rivoluzionarie in ogni fabbrica. Non più piccole
avanguardie militari e clandestine, come le Br di Nadia Desdemona Lioce, ma
lavoratori «avanzati» capaci di combattere in prima fila le battaglie
sindacali. Alla luce del sole.
Per
esempio a Melfi alcuni degli indagati facevano parte della rsu aziendale, hanno
cercato l’accordo con altre sigle per portare avanti le loro sfide, hanno
fondato la Federazione dei metalmeccanici uniti. Obiettivo: allargare la base
del consenso nella prospettiva di «conquistare il maggior numero possibile di
avamposti per la rivoluzione proletaria mondiale».
Ma per
capire l’urgenza del problema delle infiltrazioni è utile leggere le due
informative della Digos (datate marzo 2006 e maggio 2007) alla base
dell’inchiesta potentina.
Le
carte in mano al pm Francesco Basentini raccontano la fase embrionale di una
cellula eversiva all’interno di una fabbrica (la Fiat di Melfi), a partire
dalla propaganda davanti ai cancelli. Per esempio, si legge nei documenti che
Massimiliano Gaeta, arrestato a febbraio su richiesta del pm milanese Ilda
Boccassini, ex membro del Cpc (Comitato proletario per il comunismo) foggiano,
è stato più volte segnalato dalle forze dell’ordine per i volantinaggi davanti
allo stabilimento. In quei mesi, secondo gli 007, viene sventato un attacco al
centro vernici della fabbrica.
Nello
stesso periodo il Cpc finisce sotto inchiesta per i rapporti con alcuni br
irriducibili rinchiusi nel carcere di Trani e pubblica un opuscolo intitolato
Reati associativi: imparare a difendersi. Poi Gaeta si trasferisce a Sesto San
Giovanni, dove diventa uno degli animatori del centro sociale La fucina, sede
dell’Aslo, l’Associazione per la liberazione degli operai. La stessa che in
questi giorni ha espresso solidarietà agli indagati di Potenza. Dunque Nord
chiama Sud e viceversa.
Gli
attivisti non sono molti, ma si spostano dove occorre formare le nuove leve,
come confermano i viaggi di Sergio Caprini, bergamasco, 47 anni, ex operaio
della Ponteggi Dalmine, indagato e poi assolto per banda armata. Nel 2005 si
trasferisce a Lavello, a pochi chilometri dalla fabbrica di Melfi, per
promuovere l’apertura di un circolo operaio. Non ha lavoro, ma una piccola
abitazione. Per conto di chi è sceso nel profondo Sud? Ufficialmente
rappresenta lo Slai cobas per il sindacato di classe.
Sulla
loro rivista La nuova bandiera è scritto: «Serve la formazione di quadri
operai, per togliere dalle mani dei “soliti noti del sindacato e della
politica” la direzione della lotta operaia, in funzione dell’obiettivo
strategico, il potere in mano alla classe operaia». L’Aslo condivide e in un
volantino esorta: «Organizziamoci tra operai, tra gente che vive la stessa
condizione di sfruttamento, al di là delle parrocchie sindacali. Solo così
abbiamo la possibilità di difendere noi stessi».
Ma non
sempre alle parole seguono i fatti. Lo Slai cobas ufficiale diffida i
fuoriusciti del Sindacato di classe dall’utilizzare la stessa sigla; Alternativa
sindacale, a Melfi, si scontra duramente con Palatrasio e soci.
Per gli
investigatori è chiaro che il sindacalismo non è la sola vocazione del gruppo.
Gli 007 pedinano Caprini e scoprono che a Taranto condivide per un breve
periodo l’appartamento con un trentenne, William Frediani, che dopo poco viene
arrestato con l’accusa di far parte delle Cellule di offensiva rivoluzionaria.
Negli
internet point, secondo l’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna, l’ex
Sisde), utilizza un documento falso. Intanto intorno alla fabbrica,
all’imbrunire (da qui il nome dell’operazione, Rosso di sera), vengono
distribuite riviste eversive. Sui manifesti braccia toste stringono fucili in
un tripudio di bandiere rosse. Con la vernice i lavoratori «avanzati» danno un nome
alla rabbia dei colleghi spremuti dai turni di notte: Cpc, Pcm, nPci (il
clandestino nuovo Partito comunista italiano). Nella notte brilla qualche
stella a cinque punte. Le stesse scritte compaiono all’interno degli
stabilimenti. Sui muri e nei bagni. «Succede» ammettono alla Fiat. «E ogni
volta facciamo denuncia».
I
movimenti di Caprini e compagni insospettiscono gli agenti dell’Aisi, che
annotano: «Le precauzioni adottate in ogni occasione di incontri, la
sistematicità dei contatti tenuti secondo un rigido criterio verticistico, il
ricorso a internet con assoluta assenza di conversazioni telefoniche ricalca
perfettamente già notati schemi organizzativi».
Non è
finita: «Le ripetute presenze di Caprini a incontri tra pochi elementi scelti è
quindi da ritenersi come la penultima fase della costruzione di autonome
cellule di una stessa struttura prima di dare il via ad autonome azioni
coordinate da una riconosciuta direzione». La Digos è d’accordo: è così che
nasce la stella a cinque punte.
Ma chi
sono gli «elementi scelti» citati dagli 007? Personaggi noti nel mondo
dell’antagonismo, con biografie randagie ed esemplari. Secondo gli
investigatori il personaggio più carismatico è Ernesto Palatrasio, 60 anni,
coordinatore del Sindacato di classe, con precedenti contro l’ordine pubblico,
ideologo di matrice marxista-leninista-maoista, promotore di vari movimenti
radicali, da Rosso operaio a Proletari comunisti (con sezioni a Milano,
Bergamo, Ravenna e Palermo) dal Pcm a Soccorso rosso operaio.
La
moglie, Margherita Calderazzi, 56 anni, è responsabile del Movimento femminista
proletario rivoluzionario.
Fanno
parte del ristretto politburo anche Michele Passannante, operaio di 35 anni,
e Paolo
Dorigo, 48 anni, veneziano, rappresentante del Sindacato di classe nel
Nord-Est, condannato a 13 anni per l’assalto brigatista alla base Usa di Aviano
(Pordenone), ex militante del gruppo eversivo Comitati contro la repressione
(composto da ex brigatisti), marito di Alberta Bigiato, condannata
all’ergastolo per l’omicidio dell’ingegner Giuseppe Taliercio.
I giornalisti dimostrano qui una
squallida tendenza di amnesia storica. I Comitati contro la repressione NON
SONO MAI STATI GIUDICATI organismo eversivo e ben 19 imputati assolti nel 1992
(uno, Dario Rigolon, morì in conseguenza della detenzione), sono stati poi
anche risarciti per ingiusta detenzione.
Insomma,
curriculum pesanti, dove qualcuno prova a fare la rivoluzione, nel suo piccolo.
Per esempio a Milano, l’11 marzo 2006, quando parte della città viene devastata
dagli autonomi, partecipano agli scontri con la polizia altri due indagati,
Massimo Seghezzi, 34 anni, e Flavia Mapelli, 43 anni, entrambi bergamaschi,
operai «avanzati» della Tenaris Dalmine e della Triumph, con precedenti di
scontri.
Per
tutti il punto di riferimento è la rivolta delle banlieue parigine, dove molti
aspiranti rivoluzionari hanno contatti con alcuni latitanti. La rete
internazionale è la stessa per tutti, compresi gli arrestati di febbraio: passa
da Zurigo (dove vive Andrea Stauffacher, punto di riferimento dei rivoluzionari
continentali), Bruxelles, Barcellona, e spesso si ferma a Parigi.
Alla
fine di aprile del 2006 una decina di appartenenti alla presunta cellula
potentina parte per la Francia, pedinata dalla polizia. Alcuni scelgono l’aereo
e si imbarcano a Bergamo, altri viaggiano in pullman da Milano. Il 29 e il 30
aprile partecipano tutti al meeting internazionale «Dalla rivolta delle
banlieue alla rivoluzione proletaria», organizzato dalle riviste La nuova
bandiera e Drapeau rouge. Di rivendicazioni sindacali non si parla. L’obiettivo
è, secondo gli inquirenti lucani, «quello di valorizzare la rivolta violenta e
incendiaria condotta nelle periferie francesi». Si inneggia alla «lotta per il
potere operaio» e all’«inizio di una guerra popolare per il liberare il nostro
paese dalle catene del capitalismo». A partire dalle fabbriche.