Dispiace tornare spesso sugli stessi argomenti, ma la sentenza
della Corte di Cassazione di ieri, che considera il ‘vaffanculo’ non più reato
perché è entrato nell’uso comune come sfogo, ci permette di toglierci un sassolino
dalla scarpa, e precisamente quello che riguarda certe dichiarazioni vergognose
ed insultanti che alcuni parlamentari hanno il vizio di rilasciare. L’amministratore della Camera - questo è il
compito affidato ai questori - denuncia che, poverino, «faccio una vita di
m..., niente cene o feste, solo lavoro fino a tardi, e prendo seimila euro
netti al mese, perché ne verso la metà al mio partito (gli ex-DS, ora parte del
Pd, n.d.a.). Guadagno meno del mio medico di base e la gente continua a dirmi che
sono inutile».
L’esponente neo democristiano dimentica alcune cose fondamentali.
Per prima cosa: il medico, per esercitare la professione, deve
conseguire una laurea, il che lo porta a studiare per tanto tempo e ad
acquisire le dovute competenze; non ci risulta che la medesima cosa sia
richiesta a chi va in parlamento, tanto è vero che, per aspirare a diventare
Presidente della Repubblica, occorre semplicemente essere in possesso della
licenza elementare. Secondo: seimila euro moltiplicati per due danno il
risultato di 12 mila, e non 14.500 netti che egli asserisce siano lo stipendio
mensile di un deputato - ma in realtà si tratta della sola paga base, alla
quale vanno aggiunte le varie indennità (trasferte, diarie, gettoni di
presenza, e quant’altro) fino ad arrivare ad una cifra di circa 25 mila Euro al
mese, da moltiplicarsi per 15 mensilità annuali. Terzo: l’ex diessino si lamenta che non può partecipare a cene o
feste perché lavora troppo (!): tutti coloro che sono stati ad una festa di
partito, o semplicemente leggono i quotidiani editi dalle stesse formazioni
politiche che ne pubblicizzano gli appuntamenti, sanno che questi signori si
recano a tutte le feste che possono, in giro per l’Italia, in modo da scroccare
cene e ‘curarsi’ l’elettorato. Ad ogni
modo, fin qui si tratta di dichiarazioni farneticanti, ma non oltraggiose: il
discorso cambia quando lo stesso Albonetti si spinge a dire, in un’aula di
Montecitorio semideserta, che «al bar della Camera si pagano prezzi equivalenti
a quelli dei bar del centro di Roma, al ristorante prezzi per pasto che, dopo
la cessione dei servizi all’esterno, si avvicinano al 50% della spesa, come
accade in qualsiasi mensa aziendale».
Per far capire quanto certa gente sia lontana dalla realtà, diamo
qualche prezzo del bar della Camera (ripreso dal pezzo a pagina 11 della
“Repubblica” del 17 luglio all’uopo dedicato, n.d.a.), lasciando al lettore le
considerazioni sulla base dell’esperienza personale: caffé 0,70; cappuccino
0,90; panino 1,50; tramezzino 1,80; toast 1,20; pizza rossa 1,60.
Per quel che concerne il ristorante, è esemplificativa, più di
tante parole, l’affermazione di un’addetta: «sì, sulle bevande e la caffetteria
i costi sono quasi come all’esterno, ci sono forti sconti sulla gastronomia»;
come dire che chi mangia alla Camera spende molto meno che fuori! Questo significa, in tutta evidenza, che i
suoi 6.000 Euro hanno un potere di acquisto molto maggiore di quelli del medico
di base di cui sopra, il quale non ha nemmeno diritto a tutti i suoi privilegi:
viaggi gratis in treno ed in aereo, auto blu, entrata gratis a cinema, teatri,
manifestazioni sportive, e tanti altri.
Chiudiamo facendo una considerazione: se, come dice il parlamentare, lui
fa una vita di m..., cosa dovrebbero dire i proletari che si ammazzano di
lavoro per una cifra di molto inferiore, che spesso non tocca neppure i mille
Euro?
Stefano Ghio
Torino, 18 luglio 2007