Una denuncia "bomba" di Paolo Dorigo, 4 gennaio 2009
STORIA DI UNA TAPPA NELLA PROVOCAZIONE INFINITA DELLA "GIUSTIZIA" DEVIATA
premessa
Come chiunque può intendere, un militante politico rivoluzionario del proletariato che non ha che la appartenenza alla sua classe,al proletariato, in assenza di un Partito rivoluzionario cui aderire, e trovandosi in detenzione, può, in determinate circostanze, accettare posizioni politiche non proprie, in rispetto a regole e principi (centralismo democratico) che sono sì validi, normalmente in una organizzazione ed in un partito, ma che in effetti non è corretto sempre ed in ogni caso rispettare quando si sia in presenza di "bande" o strutture più o meno informali (LOS, LOD) e comunque sorte come non fatto collettivo e paritetico tra compagni prigionieri che resistono nella prigionia ma come ambito chiuso e criptico, soggetto ad una presunzione di "sacralità" antimaterialistica ed antidialettica verso una data "linea politica". Quindi al di fuori di un chiaro programma e di una appartenenza ad una organizzazione o partito che effettivamente siano attivi e presenti in maniera significativa nella classe. Nella vicenda di Aviano, proprio questa questione, che ha posto due contraddizioni, una, tra linea rossa e linea nera come linea politica (posta a partire dal documento del giugno 1995 a Trieste al processo d'appello per Aviano, presentato da Paolo Dorigo), ed una, tra linea rossa e linea nera, nel metodo (posta a partire dalla critica di numerosi prigionieri a quanti "gestirono" come Br-pcc la azione, tra l'altro firmata diversamente, di Aviano, che poteva essere tranquillamente superata in un quadro di solidarietà, cosa che non avvenne per via di altri fattori ESCLUSIVAMENTE di linea e "controllo" politico, che ancora oggi pesano, e che denunciamo in vari interventi come legati ai trattamenti di tortura e controllo mentale dei prigionieri).
Come corollario della seconda questione, si ha la provocazione mirata, continua, subdola, artefatta, incredibilmente sproporzionata rispetto alla entità di un singolo militante, attuata dallo Stato, a difesa mano a mano di una schiera maggiore di loro "servitori" che si susseguirono nella copertura della disonestà iniziale ("falso ideologico" l'accusa di Paolo Dorigo al pm Antonello Maria Fabbro), facendo inizio da quei disonesti che costruirono e gestirono l'istruttoria a tutto vantaggio della costruzione di un "pentito", Angelo Dalla Longa, che pentito non doveva apparire, allo scopo di poter continuare ed approfondire indagini su indagini sia sul mondo della "sovversione", che su quello della "malavita". Infatti il Dalla Longa era collegato a numerose "entità" criminali. Dal Foltran che manda a dire che certe armi "non erano state usate secondo quanto concordato" al Cassarà di Gela che gestiva un traffico di eroina a Pordenone, e via dicendo. Coprendo Dalla Longa (anche con l'aiuto ingenuo per quanto irresponsabile di gruppi musicali legati al partito di rifondazione comunista), si costruì o comunque rafforzò un canale nero semiclandestino nelle carceri, che aveva lo scopo di colpire la linea politica rossa che si era espressa ad Aviano, e di seminare zizzania nelle Br-pcc a livello di prigionia. Questo lo si fece quando era impossibile mantenere sotto controllo Paolo nella sezione giudiziaria di Novara, dopo che iniziò a creare seri problemi alla custodia nell'estate del 1996, anche con sue azioni e denunce, e venne quindi trasferito nella "base nera" di Opera.
La pagina che segue, se si consideri che la vicenda giudiziaria a cui fa riferimento ebbe notevole rilievo nella malavita e nelle carceri, nonché nel controllo del traffico di armi dall'Europa dell'Est, ha una sua rilevanza proprio perché dimostra:
Nel 1980, un provocatore malandrino, spacciato dai media locali veneziani e padovani come "rapinatore", ossia Gioacchino Zatta, viene denunciato in "Autonomia" n.20, numero speciale sul processo 7 aprile, il cui quarto blitz, dopo il 7 aprile, 21 dicembre, 23 gennaio, era scattato l'11 marzo 1980, era stato costruito insieme a Calogero da quello che diventerà il notissimo Ganzer Giampaolo. All'epoca Ganzer era pargollo del notissimo Carlo Alberto Dalla Chiesa, che non è diventato eroe della borghesia per il solo fatto di essere stato ammazzato da altri borghesi, ma che lo è diventato, per la borghesia più infame della storia italiana, per la strage di Alessandria del 1974 e per il suo servizio nero "antiterrorismo" e di gestione ed avviamento delle famigerate "carceri speciali". Perché scomodiamo Dalla Chiesa e Ganzer per un miserabile delatore a fantasia di nome Zatta Gioacchino ?
Semplicemente perché Gioacchino Zatta dipende dall'attuale gen.Ganzer !
Nel 1980, Paolo scriveva su, leggeva e diffondeva "Autonomia", ma ovviamente non poteva conoscere di persona tutti i provocatori che a Padova, a bizzeffe, Calogero portava come "testimoni".
Di conseguenza, nel 2000, Paolo non ricordava il nome di Zatta tra i delatori del 7 aprile.
Nel 2001, a Biella in carcere, fu concesso dopo varie richieste e proteste, a Paolo, di consultare (solo consultare) e nemmeno con troppo tempo a disposizione, il proprio fascicolo carcerario, presso la matricola del carcere. In quella occasione, oltre a scoprire che nel giugno 1997 a Opera il noto Marco Furlan portavitto, aveva denunciato la sua persona per avergli impedito di distribuire il pane al 4° piano del 1°padiglione, essendo in sciopero del vitto tutto il carcere perché venisse ricoverato un detenuto affetto di AIDS ed ormai in stadio terminale da giorni, ... Paolo scoprì una nota del 1999 del DAP diretta al direttore del carcere di Opera, in cui si indicavano i nominativi dei detenuti "terroristi" ristretti nelle varie sezioni del carcere; una copia era stata infilata nel suo fascicolo.
Così Paolo scoprì che nelle sezioni maschili oltre a lui, Cacciatore, Guagliardo, Caciotti, Micaletto, e ai fascisti Cavallini, Furlan, Caruso, Vinciguerra, risultavano nei fascicoli e rapporti interni del DAP, anche dei perfetti sconosciuti, come appunto lo Zatta Gioacchino. Che era nello stesso piano, il 2° del 1°padiglione, di uno degli assassini del compagno Brasili (Milano, 1975), Enrico Caruso. Mentre era al 2°, Zatta godeva del privilegio di avere un notevole spazio di orto a sola sua disposizione dove recarsi tutte le mattine a lavorare, viene "beccato" mentre ha un rapporto sessuale con un vecchietto mingherlino. Così viene spostato al 2° padiglione, dove c'è più caos e transito, e maggiore controllo da parte delle guardie.
Alla fine del 1999, lo Zatta Gioacchino, che ovviamente non usciva mai all'aria, stava alla sezione A del quarto piano del 2° padiglione, in precedenza stava al 2° piano del 1° padiglione. Paolo lo vede all'aria, in tre mesi, solo 2 volte. La prima volta nel passeggio in cemento, la seconda al campo sportivo. Non parla con lui. E' lo Zatta ad avvicinarsi a lui la seconda volta, a vantarsi delle rivolte al penale di Padova negli anni '70, e già lì Paolo si secca. Lo allontana in malo modo quando questo Zatta si addentra nel "conosci questo, conosci quello ?", facendo peraltro il nome di un compagno dei '70 di Padova. Indubbiamente Ganzer lo aveva imbeccato tramite qualche guardia carceraria.
Paolo, che era alla sezione B del 2°, dopo i trasferimenti di massa interni al carcere e in altri istituti, voleva passare alla sezione A, dove pensava di mettersi in cella con un altro compagno con cui socializzava sempre all'aria (trasferimenti che erano seguiti all'avvio della gestione del nuovo "direttore" l'ex commissario di polizia Mellace Agazio). Paolo deve aspettare che lo Zatta venga scarcerato, per poter passare in quella sezione. Quindi, in cartella lo Zatta risultava "terrorista", ma in realtà NELLA GESTIONE SPECIALE, lo Zatta era protetto.
Ecco qui l'articolo di "Autonomia" nella parte relativa allo Zatta 1980. Nota bene che vari ragazzi hanno riferito di sapere che lo Zatta recluta grazie alla pubblicità giornalistica, dei ragazzi giovani (in genere bisex) con i quali poi va a fare delle rapine tenendosi il grosso del gruzzolo. La cosa si è ripetuta almeno altre due volte con relativi arresti e pronte scarcerazioni, anche dopo il 2000. Lo Zatta è ben noto alla "giustizia" italiana, che si serve di lui per ordire provocazioni.
Non a caso, liberatasi la cella dello Zatta, occupata da tale Roberto Vielmi, alla sezione B, Paolo nel gennaio-febbraio 2000 riesce a spostarsi alla B, e va a finire nella stessa cella anzichè con M.S., un compagno, dato che le guardie stranamente non permettono il relativo cambio di cella per poter rimanere insieme Paolo e questo compagno.
All'epoca era ancora comandante del 2° padiglione il noto Scarpa, un maresciallo sardo odiatissimo in tutto il carcere, perché era sempre presente ai pestaggi. Nota bene nella rivolta del maggio 2000, che ad Opera durò una settimana e poi si ripeté lo sciopero a giugno e luglio, uno dei contenuti denunciati dai detenuti era l'assassinio di Gianluigi Piras, un detenuto giovanissimo, sardo, "colpevole" secondo altri, di una delazione allorquando venne arrestato per una rapina ed era minorenne, che venne fatto risultare suicidato. Tutti al 2°4 A erano coscienti che non era stato un suicidio. Gianluigi venne fatto girare per molte sezioni perché in ogni sezione dove andava veniva trattato male dalle guardie, certamente in conseguenza di dicerie di merda di alcuni altri (a dire il vero pochi) "vecchi" detenuti, merde più ancora delle guardie, che non solo non fecero nulla per lui, ma che dopo che si suicidò, ci ridevano sopra. Ma non era, secondo molti, me compreso, né un infame né un delatore. Tant'è che quando viene spostato al 2°4 C (sezione protetti all'epoca a Opera, sullo stesso piano di due sezioni comuni) devono mandarlo subito alle celle perché spacca il grugno sia ad una guardia che ad un pentito ivi ristretto. Di qui il "suicidio". I detenuti del 2°4 A fanno una lettera anonima alla Procura di Milano accusando lo Scarpa del "suicidio". La lotta partirà dopo un mese circa da questo episodio, e nel documento dello sciopero si fa esplicito riferimento ai fatti di Parma, di Sassari, ed anche a Gianluigi. Lo Scarpa poi venne rimosso. Non so se sia ancora nel DAP.
Il Vielmi se ne sta anche questo sempre in cella, cosa che a Paolo non piace molto. Appena si libera un posto, Paolo si sposta ad altra sezione. La cosa che Paolo ricorda delle pochissime chiacchierate fatte con il Vielmi, è che costui si dilunga sulla sua zona di origine (del Vielmi stesso) come a cercare qualche notizia, il che indispone e fa pensare male a Paolo, che subito dopo, appena possibile, cambia cella su sua richiesta. Butacaso, dopo due mesi che Paolo viene trasferito allo speciale di Biella, un suo coimputato, che ha la moglie a Opera, viene trasferito, nonostante sia in EIV, proprio in quella stessa cella, appartenente per altro ad un circuito non EIV, ma comune. Tra Paolo e questo suo coimputato esisterebbe una "diatriba" sentimentale in quanto la novella sposa è la ex convivente di Paolo, ma il problema se sussistente, non sarebbe suo, bensì' del "maritino", che sarebbe geloso pur avendo vinto lui la "tenzone", alimentata in varie forme dal precedente direttore Fabozzi a Opera che aveva deciso la linea da seguire con il direttore Fragomeni a Novara.
Se non che in quella stessa limitatissima zona geografica del Veneto che interessava così tanto al Vielmi descrivere e disquisire a Paolo, proprio in quel periodo o subito dopo, accade una importante operazione di polizia, ordita dalla "mobile" di Venezia, il cui capo di allora, che di cognome fa Rizzi, diventa dopo pochi mesi un importante boss della polizia buta caso a Milano.
Questo per dimostrare che cosa è il DAP, un centro di provocazione e costruzione di montature in grande stile.
Non a caso di quella vicenda giudiziaria si parlò molto all'epoca, e dopo pochi mesi morì anche un giovane sinto, detenuto, imputato in quella vicenda.
Certamente quella vicenda è servita a costruire montature.
Il coimputato di Paolo che fu in quel carcere, non risulta abbia mai reso testimonianza al proletariato sul signor Vielmi, se non per parlarne bene, tanto da mandare i saluti a Paolo, il quale NON ha mai raccolto questi saluti se non nell'unico modo corretto: una dimostrazione di deficenza o di provocazione.
Ma all'epoca, chi avrebbe dovuto essere capace di esercitare la forza del numero verso la soliarietà, non seppe o non volle farlo, continuando a dare alimento alle provocazioni dello Stato, fino a giungere alla ripresa delle ostilità delle guardie verso Paolo (dicembre 2001), le cui risposte (contro agenti digos e penitenziari) determinarono infine il suo trasferimento a Livorno dopo aver dato il via alle torture esplicite tecnologiche a partire dal maggio 2002.
Lo stesso PATTUME di cui parla "Autonomia" nel 1980, io ho conosciuto nel 1992-1993 nella persona di Angelo Dalla Longa e di chi lo ha presentato in giro tra i compagni come "un compagno". Aver dato ospitalità in casa mia due giorni a questo pattume, mi è costato 15 anni tra galera e tortura tecnologica che ancora continua, oltre alla perdita delle possibilità lavorative che avevo prima, e dei miei anni migliori.
Paolo Dorigo
4 gennaio 2008, 13° anniversario del gesto di rivolta cosciente praticato nel carcere di Novara, gesto speculato da infami e merde senza fine, e di cui lo Stato imperialista si è profittato per innestare strumenti di manipolazione e controllo mentale sulla mia persona.