Toni Negri, in origine Antonio, inizia la sua “attività politica” nei giovani democristiani di Padova (come Gianfranco Bettin, a Venezia, quindici-venti anni dopo).

 

Nella sua fase senile, Toni Negri si dedica a Spinoza.

Il tempo ci manca per perderci dietro alle motivazioni di classe élitaria borghese, strumentalmente operaista e fondamentalmente anti-operaia, proprie del Negri al viaggio in temi di motivazioni spirituali e debolezza dell’uomo.

Sappiamo di lui che non è un uomo forte, che ha fretta di essere libero “di insegnare”, una volta carcerato, e di fondare un movimento di “dissociazione” da ciò che anche con le sue idee era stato costruito in precedenza.

È questo che vediamo nella sua ricerca di Spinoza.

 

Da giovane, Toni Negri ipotizza percorsi insurrezionali (ed è simile la sua concezione armata a quella revisionista di prima linea che pensa la politica in maniera subdolamente borghese “per fini proletari” che proletari non solo –il feticismo della violenza rivoluzionaria come diktat prima che come espressione reale-) e studia-“insegna” Lenin (le 33 lezioni): in realtà trasmigra Lenin ad uno scimmiottamento che si fa forte di una realtà proletaria veneta fortemente radicata, ma pur sempre scimmiottamento è. Illeggibile.

 

Poi ipotizza che si possa vincere anche in Italia e non solo in Portogallo (restaurazione a metà degli '80), Angola, Mozambico, Viet Nam, Lao, Kampuchea, ecc. Definisce l'Italia "anello debole" della catena imperialista (capisce il semifeudalesimo italiano, ma per chiccheria non lo definisce così). Solo che non inserisce tra le 5 campagne QUELLA CONTRO LA PRESENZA YANKEE IN ITALIA (la questione inizia ad essere posta solo dopo l'azione Dozier delle BR del 1981-1982, con una prima campagna contro la presenza americana, giugno 1982, in occasione della manifestazione nazionale contro la visita di Reagan, Roma 5 giugno 1982).

 

Più avanti, dopo aver contribuito al percorso dei CPV, il Toni, prima di creare la “dissociazione” portandosi dietro dopo poco tempo gran parte di “radio sherwood” come “area” e non più dei CPV,  studia “Marx oltre Marx”. Chi lo capisce è bravo. Il succo è fare la rivoluzione senza farla perché a farla tanto ci pensano i borghesi, basta starci dentro e poi le cose andranno tutte a fagiolo. (Per lui e per chi ha lo stipendio di ricercatore, forse, per le decine di milioni di proletari italiani e immigrati viventi in Italia, no di certo).

 

Dialoga a distanza con Cacciari, suo vecchio cruccio, e si guarda in cagnesco con Asor Rosa, più istituzionale e filone. Umberto Eco sta in disparte.

 

Le case editrici soffrono. Siamo alla metà degli ottanta. Serve un qualcosa di grosso.

 

Il revisionismo ancora una volta arriva in aiuto dei vermi.

 

È Gorbacev, o Gorbaciov che dir si voglia, che mi stupisce, un pirla in cella con me a Rebibbia nel 1988, in carcere per sbaglio, lo legge. Non riesco a digerirlo per più di mezz’ora. È idiota. Pensa e sostiene che la “trasparenza” dall’alto ripulirà come per magia, il “socialismo reale sovietico” tanto vituperato da Negri ma messo sotto critica ben prima che Negri diventi o si definisca “comunista”, dai comunisti cinesi.

 

Mio padre non può essere utile al dibattito. Odia Negri e la violenza proletaria, ed è finito a fare il critico delle minchiate che fanno in Regione. Se ne accorge nel 1985 e lascia perdere la politica. La politica istituzionale non è per uomini onesti. Del resto Negri è onestissimo. Ridendo fortemente denota la sua sensibilità, ma trasmigra in Francia non a piedi traverso i valichi di montagna innevati, ma in barca a vela. I radicali incazzatissimi. Tra lui e i radicali, comunque, lui è meno peggio.

 

Arriviamo al 1989, il revisionismo crolla.

 

Inizia la terza guerra mondiale, quella tra imperialismo e popoli oppressi (Iraq 17.1.1991).

 

Negri non se ne accorge subito. È troppo impegnato a descriverne gli orrori per capire che è uscito dal marxismo proprio poco prima che il marxismo abbia la verifica mondiale più eclatante della sua scienza e dialettica.

 

Se ne accorge dopo, quando torna utile al sistema, che cerca di reinserire i detenuti con un rubamazzette ed un assassino poi dissociatosi evitando così l’ergastolo, e così lancia la teoria dell’Empire.

 

Non abbiamo parole per dire quante vite di compagni siano state segnate dal suo tradimento di classe, anche perché non è un problema: storicamente è già stato definito nel 1982 con il suo “documento dei 51” tra i quali purtroppo c’erano anche compagni dei ’70 che pensavano ancora in un certo modo, ma che non erano più militanti (come il caro Augusto Finzi, che nel 1977 era uscito dal Petrolchimico mediando sul licenziamento) e che ciò nonostante la borghesia aveva voluto carcerare.

 

Perché ci sono compagni e compagni.

 

Paolo Dorigo

militante comunista maoista

14-10-2007