Testo di Nadia Lioce su Diana e 41bis tratto dal sito del s.r.i.(svizzera) |
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Vi scrivo per segnalare ai compagni e ai proletari che hanno a
cuore i rivoluzionari prigionieri, le volgari strumentalizzazioni a cui di
recente è stata oggetto la compagna Diana Blefari, e per respingerle
energicamente. |
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Vi scrivo per segnalare ai compagni e ai proletari che hanno a
cuore i rivoluzionari prigionieri, le volgari strumentalizzazioni a cui dii
recente è stata oggetto la compagna Diana Blefari, e per respingerle energicamente.
Esse, una volta di più, sottolineano l'importanza dell'intervento
solidale di classe anche in riferimento a situazioni e problematiche
obiettivamente delicate e complesse, affinchè non diventino materia di odiose
speculazioni da parte della borghesia. Un intervento a cui vi chiedo di contribuire con la pubblicazione
di queste righe. nel corso di questo mese, sull'onda di una denuncia pubblica
di un esponente del Prc locale in merito alla situazione della sezione 41bis
femminile del carcere dell?Aquila, e in specifico delle condizioni della
militante rivoluzionaria Diana Blefari, gli organi televisivi e di stampa
prevalentemente abruzzesi, hanno dato vita a una breve ma intensa campagna i
cui contenuti degradanti, celati sotto il velo di motivazioni umanitarie,
hanno di fatto costituito un affronto per l'identità rivoluzionaria dei
militanti prigionieri e tanto più grave in quanto si è realizzata una
speculazione su una situazione delicata. Tale campagna, potendo giovarsi
della condizione di segregazione e di relativo silenzio delle prigioniere in
41bis, ha preteso di trattarne alcune alle stregua di oggetti inerti, dei
quali poterne divulgare un'immagine che, partendo dal disconoscimento di
qualsiasi loro soggettività e proseguendo avventurandosi in abusate quanto
morbose diagnosi sul loro stato d’equilibrio psichico, in sostanza
disinnescasse la valenza politica della figura del rivoluzionario
prigioniero, rendendole passibili di pubblica commiserazione, e costruisse
una condizione politica per l’ammissibilità di un “gesto umanitario” da parte
di chi può decidere del regime di prigionia. In pratica questa operazione
mediatica oltre a perseguire i consueti scopi denigratori, è servita
mistificare le responsabilità istituzionali dell’aberrante condizione del
carcere duro, e della segregazione che impone, per chi, come la compagna
Diana Blefari, già antecedentemente alla sua applicazione, non usciva più di
cella e rifiutava di incontrare chiunque. Un comportamento di per sé indice della necessità di intervenire
rapidamente per evitare compromissioni dell’equilibrio psichico e, per chi ne
ha il potere, quantomeno revocando la misura per porre termine ai suoi
effetti strutturalmente patogeni. Uno stato delle cose scandalose che si protrae da molti mesi, del
quale, in particolare con questa manovra politico-mediatica, lo schieramente
borghese che a vario titolo si ritrova a misurarsi con la gestione delle
scelte pregresse dell’esecutivo a riguardo, ne fronteggia le implicazioni
contraddittorie affinché non arrechino pregiudizio agli indichiarabili ma
permanenti obiettivi di annientamento dell’identità politica dei prigionieri
proprio ora che l’adozione del 41bis li formalizza sul piano giuridico. Contro queste manovre mi preme ribadire che il solo sostegno apprezzabile per i prigionieri anche in questa circostanza delicata, resta sempre e soltanto quello della solidarietà di classe, l’unica in grado di esprimere e restituire quel senso di profonda dignità umana di cui è capace solo chi deve combattere ogni giorno per farla valere e che, riconoscendo nelle figure dei prigionieri rivoluzionari la rappresentazione delle proprie istanze di liberazione dallo sfruttamento e dal dominio della borghesia, resta sempre saldo nel rispetto e nella vicinanza a chi, sottoposto alla prigionia e all’isolamento dai propri compagni di lotta e di vita, può anche smarrirsi e aver bisogno di ritrovarsi, al riparo da possibili coartazioni e da sconsiderate ingerenze. A questa solidarietà andrà sempre la più sentita gratitudine di
tutti i prigionieri rivoluzionari. |
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