Carmilla
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Il caso Cervia e il caso Landi:
connessione?
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Era il '90. C'era Bush, c'era la guerra in Iraq. Qualcosa ricorda
qualcosa: è tutto come adesso, mancavano solo le Nuove BR. Scompare Davide
Cervia (nella foto a sinistra): esperto di guerre elettroniche. E' un caso
avvolto dal mistero, prima che diventi un non-caso avvolto dall'oblio, dalla
menzogna, dall'indegna omertà di Stato. Tra le Torri Gemelle e l'Iraq, nel
2002, muore di finto suicidio Michele Landi (nella foto a destra): è un tecnico
informatico che si occupa di perizie e sta lavorando sul caso Biagi. Non c'è
mezzo di comunicazione che ricordi, in occasione della morte di Landi, il
caso Cervia, mentre il coro del sospetto sale unanime congiungendo l'omicidio
di Landi ai segreti delle supposte nuove supposte brigate supposte rosse.
Come direbbe Lucarelli in tv: abbiamo un Bush, abbiamo una guerra in Iraq,
abbiamo un tecnico informatico - fate voi.
Noi facciamo noi. Vorremmo riportare alla pubblica evidenza, per quanto ci
consentono i nostri 10.000 lettori quotidiani, che ESISTE UNA CONNESSIONE TRA
IL CASO CERVIA E IL CASO LANDI: si indaghi su questo. Ecco la connessione
(non è uno scoop): sia Cervia che Landi hanno lavorato al SISTEMA N.A.T.O.
CATRIN per l'intercomunicazione e il controllo militare dello spazio aereo e
non soltanto (qui le specifiche). Bisogna sottolineare che codici del
sistema Catrin sono stati rubati da infiltrati del KGB: uno dei massimi
successi dell'intelligence russa negli ultimi decenni. Sia Cervia che Landi
hanno avuto connessioni con la Libia e con conoscenze circa il caso Ustica.
Queste evidenze sono scandalosamente messe sotto silenzio dall'assenza di vigilanza
dei media su due casi che sollevano domande inquietanti su che cosa sia
l'Italia dal '90 a oggi.
Di seguito, per non dimenticare, pubblichiamo, su Cervia, estratti dal libro
di Gianluca Cicinelli Il caso Cervia - Un giallo di Stato (allegato ad Avvenimenti,
nel '95), mentre su Landi ci affidiamo a un'intervista rilasciata a Sette
dalla sorella dell'informatico ucciso. Infine, un articolo de Il Piccolo,
quotidiano triestino, che mette esplicitamente in connessione i due casi
attraverso il sistema militare a cui avevano lavorato entrambi.
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IL CASO CERVIA
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Gianluca Cicinelli
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Protesta anti-Usa alla Maddalena
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Il presidente della Regione
Sardegna: Dopo 32 anni basta con i sommergibili nucleari nelle
nostre acque. Via gli Usa dalla Maddalena Soru chiede di chiudere la
base
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Piergiorgio Pinna
La Maddalena Repubblica
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Nei
giorni scorsi un primo affondo:
"Il patto segreto che ha consentito la nascita del punto d'approdo per
la Us-Navy sull'isola di Santo Stefano dev'essere reso pubblico".
Ieri l'assalto finale: "Lo dico in amicizia: è arrivato il momento nel
quale è necessario che gli americani abbandonino la base per i sommergibili
nucleari".
Appena conclusa la visita nell'arcipelago del Nord Sardegna al
distaccamento della marina statunitense durata quasi tutta la giornata, il
nuovo presidente della giunta regionale sarda, Renato Soru, non ha nascosto
le sue convinzioni: "Abbiamo fatto la nostra parte per 32 anni, ci
sentiamo come un esercito rimasto al fronte per tanto tempo e che adesso ha
bisogno di un ricambio".
Nelle ore precedenti Soru si era incontrato con i rappresentanti del
ministero della Difesa italiano e della presidenza del Consiglio e con i
vertici di marina, esercito e aeronautica del nostro Paese.
Le stesse parole pronunciate in una conferenza stampa al termine della visita
sono state poi ripetute dal capo del governo regionale davanti a una folla
raccolta nell'aula consiliare del Comune della Maddalena, che ha risposto
alle dichiarazioni con un lungo applauso.
"Le servitù militari sono uno dei temi in agenda trattati durante
l'incontro con Silvio Berlusconi", ha poi aggiunto, ricordando come
anche il poligono di Capo Teulada, nell'estremità sud occidentale
dell'isola, debba essere dismesso in virtù di un'intesa firmata nel 1987
dall'allora presidente della Regione Mario Melis e dall'allora ministro
della Difesa Spadolini.
"Quell'impegno è stato disatteso - ha ricordato - Ora noi vogliano
riproporlo in un contesto di riduzione del territorio riservato alle
servitù militari".
Soru ha poi riaffermato l'esigenza di garantire un'azione di monitoraggio
costante per eliminare ogni dubbio relativo alla presenza di radioattività
alla Maddalena.
Di recente, soprattutto dopo un incidente a un sommergibile nucleare
americano a poca distanza dalla base appoggio, sono infatti riemerse
preoccupazioni circa i livelli d'inquinamento radioattivo E alcune indagini
indipendenti hanno mostrato come effettivamente siano stati rilevati tassi
preoccupanti di sostanze fortemente nocive nelle acque marine.
Il presidente ha anche parlato della riconversione dell'arsenale militare
nell'arcipelago, annunciando la richiesta di non portare avanti progetti
senza preventive intese con la Regione.
In Sardegna la presenza dei soldati è di fatto imponente: quasi 38mila
ettari, il 60 per cento di tutte le servitù militari italiane, si trovano
infatti nell'isola, sottratti sin dal Dopoguerra agli usi civili. Si
tratta, come ha rammentato lo stesso Soru, di ridistribuire questo peso e,
nel caso della Us-Navy e dell'accordo bilaterale tra il Pentagono e il governo
italiano circa La Maddalena, di rinegoziare la presenza americana.
Per quanto possa apparire paradossale, mentre cresce la protesta e
nonostante la pronuncia negativa del comitato misto paritetico
Stato-Regione, un recente piano di ampliamento della stessa base non
conosce soste. Si parla dell'arrivo di altri marines, che dovrebbero così
passare in breve tempo da 2500 a oltre 4000 uomini e della modernizzazione
di una serie di approdi.
Un progetto complessivo che prevede alla fine la costruzione di infrastrutture
fisse, attorno alla nave appoggio per i sommergibili nucleari Emory Landi,
per un totale 57 mila metri cubi.
Davvero un processo anacronistico e quasi surreale in un'area ambientale
tra le più suggestive del Mediterraneo che di recente è stata trasformata
in un grande parco naturale.
Per capire meglio che cosa significhi la presenza di questo distaccamento
basterà ricordare come la Emory Land sia una nave da 22.600 tonnellate, con
mille uomini di equipaggio, insieme officina e arsenale galleggiante, con a
bordo i missili da crociera Slcm Cruise a testata nucleare. Visto poi che
Emory Land è a tutti gli effetti territorio degli Stati Uniti d'America,
ogni controllo non è possibile neanche da parte delle autorità militari
italiane.
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Davide Cervia nasce a Sanremo nel '59, dove risiede con la famiglia
fino al '78, quando decide di arruolarsi come volontario in Marina, anche se
poi rinuncia a rimanere in servizio fino al termine della ferma di sei anni.
Accade infatti che nel 1982 conosce Marisa Gentile, che sposa durante l'anno.
Dopo il matrimonio comincia a provare insoddisfazione per i lunghi periodi di
lontananza dalla nuova famiglia che si e' formato e decide di congedarsi con
un anno di anticipo sulla scadenza naturale. Nel 1988 si trasferisce a
Velletri, dove lavora nella societa' Enertecnel Sud, che ha sede presso
Ariccia, trenta minuti di auto dalla sua abitazione."
"Davide Cervia viene visto l'ultima volta alle ore 17 del 12 settembre
1990. "Ho visto un gruppo di persone che spingevano Davide con la forza
verso l'interno di una macchina color verde scuro. Ho visto anche che lo
hanno picchiato e subito dopo gli hanno messo un fazzoletto sulla bocca, come
per narcotizzarlo. Davide urlava tanto, faceva resistenza, tentava di
difendesi. Poi, forse perche' mi aveva visto o forse perche sperava che fossi
nel giardino,mi ha chiamato urlando tre volte il mio nome." Cosi'
racconta a Marisa (la moglie di Davide Cervia) Mario, un anziano che vive
solo da anni custodendo una villa vicino ai Cervia.
Qualche mese piu' tardi due persone si presentano a casa di Mario. Dicono di
esere due agenti assicurativi, ma il loro tono e' arrogante e perentorio,
insistono per entrare in casa, dicono che devono parlargli. L'agricoltore non
si fida dell'aspetto minaccioso e riesce a riparare all'interno
dell'abitazione."
"Marisa Gentile (la moglie di Davide Cervia) casualmente viene messa
sulla pista giusta da un ex collega di Davide ancora in servizio. Quando
Marisa lo mette al corrente di tutto l'accaduto, il militare non ha dubbi nel
mettere in relazione la specializzazione conseguita da Davide con la sua
sparizione.
Un ispettore della Digos incontra Marisa. E' insistente: vuole sapere il nome
di un ex collega di Davide che prestava servizio a la Spezia ma che e' di Napoli.
Una descrizione precisa che permette a Marisa di capire subito a chi si
riferisce l'ispettore della Digos. Si tratta di una persona che ha fornito
alla famiglia indicazioni sul passato in Marina di Davide, successivamente
rivelatesi di estrema utilita'. "In quel momento - ricorda Marisa - ebbi
la certezza che le mie conversazioni telefoniche erano regolarmente
ascoltate, perche' con quella persona ho parlato soltanto al telefono".
In seguito si presentera' a casa di questo ex collega di Davide un uomo, con
la scusa di un censimento sulle Fiat Uno (sic): in realta' e' un uomo con
incarichi non precisati in Polizia. Se il suo scopo e' di intimorire il
marinaio, la missione puo' considerarsi un successo. Da quel momento
chiedera' a Marisa di non contare piu' su di lui.
Al convento dei Cappuccini di Velletri arriva una lettera anonima da
Grottaglie, in provincia di Taranto. Chi scrive dice di essere la moglie di
un ex sottufficiale di Marina, "agganciato" da strani e misteriosi
individui che gli chiedono di fare il lavoro che sa, se vuole evitare guai.
Il fatto che non sia firmata e' giustificato dalla paura di essere
individuati e di esporsi quindi a rischi troppo elevati. La speranza
dell'anonima scrivente e' che l'inchiesta vada avanti e che "i magistrati
indaghino meglio nei servizi segreti" per venire a capo della verita'.
Il 12 settembre 1994 il Comitato per la verita' su Davide Cervia ha occupato
per dodici ore l'ufficio del capo-gabinetto del ministero della Difesa, alla
presenza di numerose telecamere e giornalisti di varie testate.
Lo Stato Maggiore della Marina fornira' ai familiari di Davide ben quattro
fogli matricolari diversi, prima di arrivare a quello reale, in cui viene
ammessa la qualifica di "specialista Ete/GE" (tecnico
elettronico/guerra elettronica)."
L., un altro collega di Davide Cervia, riferisce: "Il nostro corso in
Marina militare era inizialmente di 900 persone. Quando si fa il corso base
non sai neppure che esistono le guerre elettroniche. Gli Elt, i tecnici
elettronici, erano 120. Dopo i primi tre mesi di corso siamo diventati 90.
Dopo un anno siamo diminuiti a 50 persone. Alla fine del secondo anno abbiamo
portato a termine il corso in 22, di cui solo 6 sistemisti. Noi eravamo fieri
di un radar ideato dalle industrie belliche italiane, un radar
tridimensionale. Quello che non capivamo proprio, che anzi ci faceva
arrabbiare, era averlo venduto a 109 paesi. Noi sistemisti siamo stati
invitati a compiere "gite turistiche" con le navi, che avevano lo
scopo di magnificare e vendere i nostri armamenti ai paesi stranieri. Non
immaginavamo per niente il giro di soldi che era dietro al traffico d'armi.
La palazzina dove studiavamo aveva le porte blindate. Eravano tenuti sotto
controllo dai servizi. Scoprivi cosi' che il tuo amabile interlocutore del
treno era un uomo della "sicurezza" che ti controllava. All'inizio
del corso si fa un giuramento di particolare riservatezza, di livello Nato.
Ti permette di accedere a tutti gli uffici che hanno una classe di segretezza
affine alla tua.
Per un paese straniero e' quasi impossibile formare dei propri tecnici,
perche' ci sono delle nozioni-chiave di base per cui neanche un ingegnere
elettronico riesce a leggere i manuali delle singole apparecchiature che
leggiamo noi. Ma non e' un problema d'intelligenza. Ci sono delle chiavi
precise per capirle. Io ho conosciuto Davide Cervia alla scuola sottufficiali
di Taranto nel 1979. Lui era entrato sei mesi prima di me. Era capo-corso, il
primo degli allievi."
"Le indagini ufficiali sono ferme a quel 12 settembre 1990 e il
silenzio, come una pietra tombale che avvolge tutti i segreti italiani,
rischia di far dimenticare una vicenda drammatica che coinvolge i nostri
servizi segreti, sempre loro, lo Stato maggiore della Marina militare e i
trafficanti di tecnologia militare.
Il magistrato che conduce le indagini convoca per la prima volta la moglie di
Davide Cervia, Marisa Gentile, dopo sei mesi esatti dalla scomparsa del
tecnico. Il sostituto procuratore Romano Miola, che segue il caso, l'attende
nella sua stanza ma non e' solo. Con lui e' il procuratore capo, Vito
Giampietro, anzi sara' proprio lui ad interrogarla. Fin da subito il contatto
con la procura non e' sereno. Il procuratore chiede a Marisa Gentile di
rispondere alle domande con un "si'" o con un "no" e ad
ogni tentativo della donna di spiegare meglio varie circostanze, viene
bruscamente invitata ad attenersi alle richieste o, nella migliore delle
ipotesi, interrotta. Il dottor Giampietro contesta ogni episodio riportato
dalla moglie del tecnico rapito.
La giornalista Laura Rosati chiede di essere ricevuta dal sostituto Miola il
quale, non conoscendo da subito il motivo della visita, e' molto cordiale. Il
cambiamento del suo atteggiamento e' tanto repentino, quanto radicale, non
appena viene pronunciato il nome di Davide Cervia. Alzandosi di scatto,
terreo in volto, ripete ossessivamente, mentre addirittura volta le spalle
all'interlocutrice: "Non posso dire niente, vada via".
Le intimidazioni colpiscono un po' tutti coloro che tentano di scoprire cosa
si muova dietro il rapimento di Cervia.
Nonostante l'importanza delle affermazioni di L., un ex militare che aveva
studiato guerre elettroniche a Taranto con Davide Cervia, gli inquirenti non
danno peso alle rivelazioni sulle guerre elettroniche e sulle
"gite" che i militari della Marina italiana compiono per
pubblicizzare nel mondo il sistema d'arma su cui e' specializzato Davide
Cervia.
L., dopo essersi congedato dalla Marina per un incidente, viene avvicinato da
sconosciuto che gli propongono di tornare al suo vecchio lavoro in cambio di
soldi. Non accetta. Viene minacciato. L'impianto elettrico della sua auto
prende fuoco (come era accaduto a Davide Cervia). Riceve una telefonata:
"Hai visto? Puo' essere la macchina, puo' essere qualsiasi cosa."
L. racconta agli inquirenti di conoscere la situazione di altri tecnici
specializzati in guerra elettronica minacciati da sconosciuti, ma il titolare
dell'inchiesta non gli chiede nemmeno di chi si tratta. Riceve altri
avvertimenti nell'ottobre 1990, poco dopo il rapimento di Cervia. L. vive
ancora oggi nascosto. Nessuno lo protegge.
Gli inquirenti prestano invece ascolto ad un certo Giuseppe Carbone, di
Taranto. Spunta fuori il 22 gennaio 1991. Carbone e' la persona giusta al
momento giusto. Con la sua versione tutto torna per chi tende alla tesi
dell'allontanamento volontario. Nessun intrigo internazionale, nessun
rapimento. Ci sono pero' molti dati di fatto che hanno permesso di appurare
come Giuseppe Carbone non abbia mai conosciuto Davide Cervia. Eppure occorreranno
affinche' gli inquirenti si accorgano dell'impresentabilita' di Carbone.
Nessun procedimento per falsa testimonianza pende sul suo capo. Rimane il
mistero su chi gli abbia fornito tutte le informazioni su Davide, ma
soprattutto come fa a conoscere cosi' bene gli ufficiali che lavorano al
ministero della Difesa a settecento chilometri da casa sua. Carbone ha una
fedina penale consistente: appropriazione indebita, emissione di assegni a
vuoto (un reato commesso due volte), reati amnistiati ma che non dovrebbero
sfuggire al vaglio di chi indaga su Cervia.
Quando alla moglie di Cervia arrivano le minacce di morte che investono tutta
la sua famiglia, decide, per alcuni giorni, di non mandare i figli a scuola.
Due carabinieri vanno piu' volte a scuola per verificare la possibilita' di
denunciare Marisa Cervia per mancati obblighi scolastici. La procedura e'
anomala perche' spetta ai capi d'istituto segnalare eventuali inadempienze
agli obblighiscolastici dei genitori.
Alla trasmissione televisiva "I fatti vostri" Marisa Cervia ha
raccontato di aver ricevuto l'offerta di un miliardo per non cercare piu'
Davide."
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IL CASO LANDI
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Mio fratello non si è ucciso
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Lorenzo Viganò
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SULLA VIA DI DAMASCO
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Amman, Ottobre
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Durante
il sequestro di Simona Pari e Simona Torretta le autorità italiane fecero
l'impossibile per trovare un canale che permettesse di comunicare con i
sequestratori. Fonti arabe bene informate hanno rivelato ad Arabmonitor che
a un certo punto, quando i rapporti con la massima istituzione sunnita
irachena, l'Associazione degli ulema, sembravano raffreddarsi, Roma si
rivolse a una prestigiosa istituzione islamica siriana, la Fondazione
Kuftaro, che gestisce il Centro islamico Abu Nour, per sollecitarne l'aiuto
e l'intervento presso gli ulema iracheni.
La Fondazione Kuftaro e il centro Abu Nour sono noti in tutto il mondo
islamico per la moderazione dei loro insegnamenti. Il Gran Muftì della
Siria, Sheikh Ahmad Kuftaro, recentemente deceduto, che aveva accolto
Giovanni Paolo II durante la sua celebre visita a Damasco, culminata con
l'ingresso nella maestosa moschea degli Omayyadi, è stato sempre
all'avanguardia nel promuovere il dialogo con le altre confessioni,
ospitando spesso persino alla preghiera del venerdì dei rappresentanti di
altre fedi che potessero parlare ai convenuti presso la moschea di Abu
Nour.
L'Italia decise quindi, per la prima volta dall'inizio dell'occupazione
dell'Iraq, di sollecitare i buoni uffici dell'istituto di Damasco,
informandone ovviamente anche le autorità dello Stato siriano, per ottenere
una risposta positiva in merito alla sorte delle due donne rapite. I
responsabili del centro spiegarono ai rappresentanti italiani di non avere
il benché minimo contatto con i gruppi della resistenza irachena, ma che
avrebbero fatto il possibile per stimolare l'Associazione degli ulema ad
agire e cercare i canali appropriati per comunicare con i sequestratori.
Alla fine dello scorso settembre, due giornali arabi, il kuwaitiano Al Rai
Al Aam e il giordano Dustur scrissero che un alto funzionario dei servizi
di informazione italiani, Nicola Calbari, si era recato personalmente in
Siria per avviare i colloqui. Prima di lui, tuttavia, il canale venne
aperto da un consigliere dell'ex presidente albanese Rexhep Mejdani che su
richiesta del governo italiano si recò a Damasco in missione per
raccogliere la disponibilità dei dirigenti islamici locali.
Bussò a delle porte aperte. Il suo soggiorno fu breve, ma creò un clima di
reciproca fiducia. I contatti dietro le quinte proseguirono e anche nel
momento in cui comparvero su Internet degli annunci deliranti sulla sorte
delle due donne, le autorità italiane mantennero la calma, perché
attraverso questo canale potevano verificare che nulla in realtà fosse
accaduto. Il mediatore albanese rientrò in Siria nei giorni cruciali delle
trattative in Iraq per il rilascio di Simona Pari e Simona Torretta e fu la
prima persona, in rappresentanza dell'Italia, a cui venne comunicato che la
liberazione era ormai solo questione di ore.
Il Centro Abu Nour si mantenne infatti in costante contatto telefonico con
l'Associazione degli ulema iracheni, che fu l'autentico motore
dell'operazione di salvataggio sul terreno.
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Col ritorno delle Brigate
rosse, vale forse la pena di ripercorrere la misteriosa storia della morte
(un anno fa) di Michele Landi, il perito informatico, consulente nel delitto
D'Antona, che indagava anche sull'omicidio di Marco Biagi "Sette"
racconta fa storia con una guida d'eccezione, la sorella Elena. Che dice la
sua verità.
Il quattro aprile sarà un anno esatto.
Un anno da quando Michele Landi, esperto informatico di 36 anni, consulente
di parte nel caso D'Antona e collaboratore nelle indagini sull'omicidio di
Marco Biagi, viene trovato impiccato nella casa di Montecelio di Guidonia,
borgo medioevale vicino a Roma. Un anno di indagini e sopralluoghi, durante
il quale sono stati analizzati computer, appunti, effetti personali, passando
al setaccio la sua casa e il suo lavoro alla ricerca di risposte, di un
indizio che potesse fare luce sulla morte misteriosa. Ma anche un anno in
cui, nonostante il dispiego di forze ed energie, non si è arrivati a niente,
se non a dar vita a un fumoso mix di cronaca, terrorismo e sesso, che ha
fatto spegnere a poco a poco i riflettori su questo giallo, fin dall'inizio
in bilico tra l'ipotesi del suicidio e quella dell'omicidio.
"Michele non si è ucciso, ne sono assolutamente sicura",
afferma Elena Landi, sorella trentaquattrenne dell'esperto in computer, che
da quel 4 aprile ha avuto la vita sconvolta e che insieme con i suoi genitori
sta ancora aspettando una risposta dalla magistratura di Tivoli che si occupa
del caso.
"Mio fratello non aveva alcuna ragione per arrivare a un gesto
simile. Hanno scritto che era depresso, che aveva problemi finanziari, ma non
è vero. Michele era una persona vitale, appassionata, disponibile Per questo,
quel giorno. ho voluto andare sul posto: per rendermi. conto direttamente d
ciò che era successo Sapevo che se lo avessi visto avrei capito se davvero
aveva voluto togliersi la vita, ma quella scena, che non dimenticherò mai -
il corpo che penzolava dalla scala, insieme ai colori, agli odori di quella
casa, mi rimarrà dentro per sempre - non ha fatto che confermare la mia idea.
Nessuno avrebbe potuto uccidersi in quel modo, e tantomeno lui".
In effetti di cose che non tornano in quella morte ce ne sono molte: la
innaturale posizione del corpo le cui gambe, anziché penzolare nel vuoto,
appoggiavano con le ginocchia su un divano posto sotto le scale, le
stampelle, che aveva usato fino a qualche giorno prima - conseguenza di una
caduta in moto -, sistemate ordinatamente contro il tavolino ("ma se lui
era un caotico cronico!"), l'assenza di un biglietto o di una lettera
d'addio...
Dubbi che fin da subito inducono più di una persona a rifiutare
categoricamente l' ipotesi del suicidio. A cominciare dai suoi amici che
avevano visto Michele Landi fino alla sera prima e che non avevano notato in
lui nulla di anomalo, ma anche colleghi di lavoro che gli erano stati al
fianco in alcune esperienze professionali. Primo fra tutti Lorenzo Matassa,
pm di Palermo, che dichiara senza giri di parole che a suicidarlo sono stati
i Servizi segreti.
"Quando ho sentito la parola Servizi non ci volevo credere e mi sono
chiesta che diavolo stesse succedendo", prosegue Elena Landi. "Noi
non sapevamo nulla di tutto ciò. Sapevamo che Michele era responsabile della
divisione Information technology della Luiss Management (la Libera università
internazionale degli Studi sociali), che era stato interpellato nelle
indagini per l'omicidio di Massimo D'Antona, ma niente di più. È sempre stato
molto riservato sul lavoro, teneva alla privacy e non amava raccontare della
sua vita. Lui aveva la sua, noi la nostra. E quando ci ritrovavamo insieme
parlavamo d'altro".
Invece il perito informatico, ex ufficiale di complemento dell'Esercito,
tenuto in grande considerazione dalle forze dell'ordine, aveva una sorta di
doppia vita.
Accanto alla passione per il paracadutismo, le immersioni subacquee, la vela,
accanto all'impiego alla Luiss trovava anche il tempo di dedicarsi a
consulenze più delicate, che a guardarle oggi non possono non far nascere
inquietanti sospetti.
Oltre che al caso D'Antona (di cui fu consulente di parte per Alessandro
Geri, il presunto telefonista delle Brigate rosse che avrebbe rivendicato
l'omicidio), Michele Landi si era infatti dedicato alla formazione degli
uomini del Gat, il gruppo anticrimine tecnologico della Guardia di Finanza,
era stato consulente per gli uffici giudiziari di Roma e Palermo, aveva
collaborato, sembra a titolo personale, alle indagini sul delitto di Marco
Biagi (dichiarò di poter risalire ai postini elettronici che avevano inviato
la rivendicazione delle Br, ma quindici giorni dopo l'omicidio del professore
veniva ritrovato senza vita) e a quelle sul caso Ustica; aveva avuto rapporti
con il Sisde come docente di un corso di ricerca investigativa telematica, e
tra l'86 e l'88, alla scuola di Artiglieria di Bracciano, aveva lavorato al
sistema Catrin, lo stesso a cui si era dedicato Davide Cervia, (esperto in
strategie militari sparito nel nulla nel settembre 1990.
Abbastanza per far traballare la tesi del suicidio che all'inizio era stata
la pista più seguita, cui si erano mischiate via via le ipotesi di un gioco
erotico finito male, forse legato alla presunta omosessualità di Michele
Landi. "Mio fratello non era gay, anzi", afferma Elena
Landi: "Aveva sempre molte ragazze che gli gironzolavano intorno e
per quanto riguarda il gioco erotico non c'era nulla in quella scena che
poteva farlo supporre e, se non sbaglio, niente lo ha confermato".
Piuttosto, in molti hanno dichiarato che in quei giorni il perito informatico
era preoccupato: si sentiva spiato, seguito, e a un amico aveva confidato di
essere ormai a un passo dal trovare il mittente da cui era partita la
rivendicazione dell'omicidio di Marco Biagi. Così, a metà maggio 2002, nel
fascicolo aperto dalla procura viene scritta come nuova ipotesi di reato
quella dell'omicidio (al solo scopo, sembra però, di permettere perizie ed
esami scientifici altrimenti interdetti).
Un'ipotesi avvalorata dai risultati di alcune analisi del Ris di Parma, e da
altri fatti poco chiari, come la violazione del sito dove Michele Landi
sembrava avesse "nascosto" alcuni documenti, e le dichiarazioni di
un hacker secondo il quale il perito gli aveva dato da decrittare un
dischetto contenente documenti legati a Gladio, poi spariti con il dischetto.
Un mix di rivelazioni che non ha fatto altro che aumentare il mistero intorno
alla sua morte. E ora, a che punto sono le indagini?
"Piacerebbe anche a noi saperlo, ma siamo ormai completamente
tagliati fuori", si lamenta Elena Landi. "Dalla procura ci
dicono che stanno aspettando nuovi elementi, ma non ci spiegano quali. Non
sappiamo su che cosa stanno lavorando, né come vogliono chiudere l'inchiesta.
Tutto tace. I giornalisti pensano che noi non parliamo per paura, ma la
verità è ch non sappiamo nulla. In più, la casa e tutti gli effetti personali
di Michele, dai computer alla moto, sono ancora sotto sequestro, al punto che
non possiamo nemmeno recuperare una sua foto, un suo libro, chiudere le
utenze e disdire l'affitto. Tutto è ancora aperto, come la nostra ferita. La
mia idea è che presto archivieranno il caso come suicidio, e noi, pur non
condividendo questa tesi, l'accetteremo. Perché ?
Perché siamo coscienti che l'intenzione è stata quella fin dall'inizio,
che noi, pur lottando con tutte le nostre forze, non riusciremo mai scoprire
la verità.
Dopo le rivelazioni, le diverse piste, i lunghi silenzi, chi mai ci potrà
assicurare che quella che alla fine sarà presentata come la verità lo sia
davvero?
Non è pessimismo il mio, ma realismo; la rabbia dei primi momenti ha
ormai lasciato il posto alla razionalità. In più, se Michele, per
proteggerci, non ha volu dirci nulla, se non ha voluto lasciarci un indizio
che potesse suggerirci un' interpretazione di quel che è accaduto, è perché
così voleva e noi non vogliamo violare la sua scelta. E come se mio fratello
mi avesse autorizzato a non dedicare la mia vita alla ricerca di chi lo ha
ucciso, se di omicidio si tratta".
Un atteggiamento quantomeno curioso, quello di Elena Landi, ma non difficile
da comprendere. Anche perché dopo un anno i dubbi rimangono gli stessi, e la
procura di Tivoli continua a non voler rilasciare dichiarazioni.
Ciononostante un'idea, Elena Landi, se l'è fata "Io penso che Michele sia
stato ucciso per le sue consulenze più delicate e rischiose. Ma, ripeto, non
potrò mai saperlo con certezza. Per questo, ora, l'unica cosa che io e i miei
genitori vorremmo è il dissequestro della sua casa con tutto quello che
contiene. Un anno fa qualcuno ci ha portato via Michele, poi le indagini ci
hanno portato via il suo mondo, la sua vita. Ora vogliamo solo che ce la
ridiano".
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IL GIALLO: Alla fine degli anni
Ottanta una serie
di contatti in città
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I misteriosi viaggi a
Trieste del supertecnico dei computer
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Silvio Maranzana - Il Piccolo
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TRIESTE - Michele Landi
sarebbe stato più volte a Trieste alla fine degli anni Ottanta per motivi
soprattutto di amicizia, ma non è escluso che si trattasse anche di lavoro
come sostiene una fonte bene informata, con un capitano della Guardia di
finanza. Ma altre strane analogie vi sono tra le attività del superesperto
informatico ed episodi avvenuti nella nostra città. E' stato appurato che
proprio in quegli anni Landi era in contatto con la società
"Catrin", la stessa con cui collaborava Davide Cervia, il tecnico
di guerre elettroniche sparito nel nulla il 12 settembre '90.
Il "Catrin" era un avanzato sistema elettronico di controllo e
coordinamento dei campi di battaglia ed era stato messo a punto anche dalla
Meteor di Ronchi dei Legionari. Un tecnico elettronico triestino, Giorgio
Stanich, era stato smascherato dal Sismi proprio mentre stava per passare ai
sovietici informazioni sul "Catrin". Il fatto era accaduto a
Trieste, nella trattoria "Al porto industriale", a due passi
dall'Iret, l'azienda di cui Stanich era dipendente. Anche l'epoca presenta
strane coincidenze, era il 16 febbraio 1989.
Stanich, evidentemente tradito, cadde in trappola con un'operazione
coordinata da un altro triestino, l'ammiraglio Fulvio Martini, allora capo
del Sismi. Stanich, arrestato, venne condannato a nove anni di reclusione, la
stessa pena che i giudici triestini emisero, in contumacia, nei confronti di
quelli che avrebbero dovuto essere i destinatari delle carte segrete: gli
ufficiali del Kgb Vitali Alexandrovic Popov e Kirikkovic Smetankin.
Oltretutto il modo in cui è stato "suicidato" Landi ricorda da
vicino la messa in scena di un altro suicidio, quello del banchiere Roberto
Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati neri, a Londra e che per quel suo
ultimo viaggio era partito proprio da Trieste. Gente uccisa o sparita, come
Cervia, ma anche come l'ingegnere triestino Giuseppe Franca le cui tracce si
perdono nell'agosto '99 sull'isola di Skopelos, più volte setacciata invano
alla ricerca del corpo. "Mio marito progettava anche motori per
carriarmati", ha raccontato la moglie. Un altro caso dunque di segreti
militari, ma anche altri intrecci. In una rivendicazione ritenuta poco
credibile dalla polizia il rapimento di Franca è stato rivendicato dagli
anarchici greci della "17 novembre" e in una inchiesta ancora segreta
gli investigatori avrebbero trovato agganci tra la "17 novembre" e
ambienti anarco-insurrezionalisti della nostra zona.
Qualche giorno prima di morire Landi confidò agli amici di aver fatto
scoperte importanti sulla fonte della rivendicazione dell'omicidio Biagi e
una delle prime azioni dimostrative delle rinascenti Br venne messa in atto a
Trieste davanti alla sede dell'Ince. I terroristi agirono con la sigla Nuclei
territoriali antimperialisti.
Infine il rapporto con la Guardia di finanza che Landi tenne anche a Trieste.
E in città tra i finanzieri si sono registrate morti strane. Massimiliano
Molino morì asfissiato in un appartamento dove non c'era gas, il capitano
Alessandro Vitone, che coltivava gli informatori, si schiantò con la propria
auto contro il guard-rail a Redipuglia, il generale Sergio Cicogna si suicidò
con la pistola d'ordinanza.
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