SERVIZI E CONTRORIVOLUZIONE DAL 1969 AD OGGI

 

[Per i periodi precedenti vi sono numerosi testi in circolazione, ma basti citare la rete Stay Behind, che attesta quale fosse il grado di indipendenza politica del nostro paese …]

Da quando ho appreso che un simil-uomo-di-sinistra come Accame dirige nientepopodimeno che i servizi segreti carcerari del 6° piano sotterraneo del Vicinale, di nome SISES, dal quale dipendono i doppi stipendiati  e i confidenti mascherati delle carceri, e che contemporaneamente scrive letterine democratiche a “Liberazione” che parlano di democrazia nelle forze armate, ho cominciato a capire perché in Italia pù di qualcuno ha bisogno che io sia “pazzo” o muoia suicidato.

 

In Italia, subito dopo Piazza Fontana, la parola di poliziotti e magistrati che demonizzavano l’anarchico Valpreda, anche per giustificare il volo mortale di Pinelli dalle finestre della Questura, valse qualcosa per due tre anni.

In seguito, un po’ il giornalismo d’inchiesta, un po’ le manifestazioni e la controinformazione, un po’ la sensibilità democratica di chi aveva combattuto il fascismo, contribuirono a chiarire al popolo che dei servizi segreti non era bene fidarsi molto.

Le bombe sui treni portavano sempre lì, e non solo quelle sui treni, tra quelle che generavano stragi. Frequenti, stragi.

La bomba alla stazione di Bologna ebbe coperture e depistaggi notevoli, fino a livelli di gerarchie militari. Queste già si erano mostrate per ciò che erano con alcuni colpi di stato mancati o comunque preparati. I servizi erano stati più volte riorganizzati, ma questo non aveva impedito alle barbe finte di colloquiare segretamente con ogni genere di soggetti e di armare le peggiori avventure di provocazione. Le bombe stragiste, infatti, avvenivano sempre in certi momenti storici.

Negli anni ottanta, venuta meno l’emergenza operaista, e ricondotto il conflitto sociale nell’alveo controllato dei sindacati di regime, garantite alle classi agiate del paese una serie di comodità e di optional sulla pelle dei lavoratori, i servizi si erano dedicati più ai familiari dei prigionieri politici che alle minacce oramai del tutto aleatorie, del KGB.  Con una crescita di specializzazione nelle provocazioni politiche di parte emergenziale della magistratura, si era giunti all’aberrazione giuridica e di diritto dell’iniziare ad usare i servizi segreti nelle indagini processuali.

Esisteva ancora il vecchio codice di procedura penale, e chi veniva arrestato poteva rimanere nella disponibilità del magistrato anche per mesi ed anni in isolamento.  Se oggi entro 5 giorni si deve venire interrogati, allora si poteva stare un mese in attesa del PM, che entro i 40 giorni doveva chiedere il passaggio dall’istruttoria sommaria a quella formale, al che si passava sotto l’autorità del Giudice Istruttore. L’isolamento e la privazione dei giornali erano la regola in questi casi. 

I giornali, diversamente dagli anni seguiti a Tangentopoli (spettacolarizzazione estrema della “giustizia” avvenuta in precedenza solo parzialmente  in alcuni casi come con Tortora o Negri), erano molto casti di notizie, ed i servizi non erano ancora così moderni come oggi, usavano ancora i vecchi sistemi (il vicino, il tassista, il barista, la puttana, ecc.).

Quindi in qualche modo era nelle prigioni che i servizi dovevano iniziare a raccogliere le proprie notizie, controllando i familiari, i colloqui, i rapporti delle amministrazioni carcerarie. Questo non è cambiato mai.  Sin dagli anni ‘70, le maggiori operazioni controrivoluzionarie spuntavano fuori dagli uffici interni delle direzioni e delle matricole.

All’epoca, dovendo fronteggiare fenomeni concreti, l’attività di questa gente verteva sulla scoperta di basi esterne, nomi di militanti, primizie di documenti. In questo senso un rappresentante del lavoro sporco di  regime fu il comandante del carcere di Cuneo, che in un libro spiegò per filo e per segno i suoi lavoretti, compreso il “recupero” del boia e traditore Patrizio Peci (quello che portò Caselli e Dalla Chiesa alle porte di via Fracchia ove fu l’eccidio maggiore della storia della prima fase della lotta armata italiana, con quattro militanti uccisi senza potersi difendere, ancora nelle brande).

Dopo Tangentopoli, il problema principale dello Stato era quello di limitare al minimo i conflitti sociali, di permettere alla borghesia imperialista di riorganizzare il proprio sistema politico saltato in maniera eclatante come mai durante la repubblica, di spostare l’attenzione del popolo dai crimini di regime, dalle loro ruberie e corruttele, dal loro sistema fondamentalmente corrotto fino al midollo, verso il crimine organizzato.

In questo senso operarono i servizi segreti, facendo innanzi tutto il gioco degli stessi magistrati speciali dell’ “antiterrorismo” (la cui carriera pare veramente infinita e condotta senza discontinuità alcuna sempre sulla cresta dell’onda, in misura del tutto eccezionale per un paese “democratico”, e del tutto sproporzionata rispetto ad individuali fenomeni simili in paesi vicini, es. Garzon e Bruguiere in Spagna e Francia), ossia favorendo determinate svolte nella mentalità di taluni ambienti sorti per ragioni storiche ed economiche nel meridione.   Infatti subito dopo l’inizio di Tangentopoli, la fine di Falcone fu un preciso segnale del potere centrale, perché questo era un magistrato che non era impegnato solo nel suo lavoro, ed era molto importante. Questo fatto, e la morte successiva di Borsellino, furono catalizzati nell’opinione pubblica, da parte dei media pilotati dalla grande borghesia ed  imbeccati dai servizi, allo scopo di giustificare due cose.

Innanzitutto la fine del nuovo codice procedurale, e l’inizio di  una nuova emergenza carceraria fatta di torture e pestaggi orientati ad attaccare con le leggi premiali del pentitismo, le organizzazioni della criminalità organizzata.

Secondariamente, a chiudere Tangentopoli e a riaprire la cuccagna.

Quindi i servizi segreti si dovettero modernizzare, anche perché la nuova fase internazionale data dalla caduta del muro di Berlino, dall’ingresso dell’ex Unione Sovietica tra i paesi capitalisti, e dalla guerra contro l’Iraq, aveva cambiato molte cose.

In particolare la vittoria squallida e sanguinosa di Eltsin aveva provocato una repressione interna anche ai residui ideologici presenti nello stato già socialista sovietico, determinando un notevole passaggio di background ed uomini tra i diversi servizi segreti, oramai divenuti all’est un banco di mercato di persone in cerca di ottimi redditi e nuove identità ad occidente, da una parte, dall’altra in un campo di strutture interne allo Stato che in qualche modo cercava una propria via per il potere.

Nel ’93, subito dopo la caduta della casa Bianca (il Parlamento sovietico) a Mosca, era avvenuta una operazione controrivoluzionaria e  mediatica di assoluto rilievo: la montatura delle “lettere di pace” del Presidente Gonzalo che il criminale di guerra Fujimori aveva portato a New York all’ONU per rappresentare la fine del pericolo rosso in Perù e la prossima fine della guerra popolare in quel paese (che ancora continua dopo 11 anni).  La violenza “democratica” dei soldati fedeli ad Eltsin e la propaganda artatamente curata a cauterizzare la ferita della Rivoluzione Andina in corso, trovava nel nostro paese un leit-motif nella periodica uscita mediatica sui “misteri” del caso Moro, con la montatura (non tanto nel senso fattuale quanto del come fu presentato Maccari ai media) del “quarto uomo”.

Un uomo molto fuori dalle cose da tempo, si trovava così mostrificato e la sua vita cambiava d’un tratto: una dissociata molto nota lo vendeva dopo 15 anni allo Stato in cambio di nuove garanzie, visto che certe cosette erano uscite, a proposito dei suoi rapporti con certi servizi.  Nonostante le ammissioni di Maccari, nonostante la gravità del suo reato, nonostante la lunghezza della pena, nonostante la notorietà della sua persona, tutte cose che dovevano portare ad una immediata sua classificazione nel circuito EIV, magari separato dai compagni visto che era in pratica uno che con la lotta armata non c’entrava più nemmeno da libero, il Maccari moriva a causa di un banale suo intervento a difesa di un detenuto da uno ben più prestante, dopo un paio di giorni da una normalissima collutazione carceraria.  Nessuno si è preoccupato di lui, nessuno ha contestato al Ministro della giustizia come mai il Maccari fosse in quel carcere, dove la morte e non solo i suicidi, è così normale.  In Italia infatti, in certi casi, da Portella delle Ginestre a Sindona, da Moroni alla Miserere, si può morire in carcere senza molto clamore, se si può essere scomodi al potere.

Ciò che conta è rappresentare in questi casi l’incidente o la condizione di depressione del malcapitato.

In genere i direttori carcerari non pagano per questi fatti.

Oggi si assiste all’intromissione crescente dei servizi, con le loro “relazioni”, non più solo nel campo della politica e dei movimenti antagonisti, ma addirittura dei movimenti sindacali, tanto da apparire la cosa persino concertata ai sindacati di regime CGIL-CISL-UIL, per es. nei confronti della FIOM questa estate.

Evidente la borghesia imperialista sta camminando a tappe forzate verso la consegna del potere di questo Stato di polizia a “famiglie” mafiose-poliziesche interne oramai ai gangli fondamentali del potere.  Tra queste, i servizi interni al dicastero degli Interni e della Giustizia, e le unità ROS dei carabinieri, vengono evidenziate con chiarezza.

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