COMUNICATO STAMPA

 

Abbiamo appreso ieri con dolore e rabbia

dell'assassinio di una giovane donna

 

Monica Guarino a Taranto, lavoratrice delle pulizie come noi, uccisa davanti al suo bambino da un suo ex uomo, che lei aveva per ben due volte inutilmente denunciato, e che non accettava che lei avesse scelto di lasciarlo e di decidere lei della sua vita, dei suoi rapporti. Ne vogliamo parlare perché, se apparentemente può sembrare un caso personale, frutto di vicende personali, gli omicidi di donne che a decine stanno accadendo in questi ultimi tempi a livello nazionale, ogni mese, e a volte si può dire ogni settimana fanno capire e devono far capire a tutti che non si tratta di singoli casi, ma di una condizione di vita generale delle donne che va sempre più peggiorando e che unisce i singoli casi. Oggi è successo nella nostra città, ma nel 2003, solo per i fatti che arrivano a notizie‑stampa, vi sono stati circa 100 omicidi di donne in famiglia o fatti da uomini che avevano comunque un rapporto con quelle donne; e poi, insieme alle donne uccise, vi sono migliaia di donne che continuamente, ogni giorno, subiscono violenze, lesioni, percosse dai "loro" uomini o da ex conviventi, o subiscono "semplicemente" una vita di inferno e di oppressione quotidiana. Questi assassini, queste violenze, sono, al di là delle ragioni particolari, testimonianze di una condizione di oppressione delle donne sempre più pensante, lo specchio di un ritorno ad una sorta di moderno medioevo in cui le donne non possono aver diritto di decidere della propria vita, devono essere sottomesse alla volontà degli uomini, o schiacciate se non la accettano; e dall'altra parte questi assassini testimoniano un clima di prevaricazione, una concezione di predominio maschile sempre più dilagante tra gli uomini e nelle famiglie in cui le donne sono una sorta di "propria proprietà". Anche tra le lavoratrici delle pulizie vi sono donne sole, che pur di rompere una condizione di oppressione, anche di violenze, hanno scelto di caricarsi sulle proprie spalle da sole il peso di vivere spesso con pochi soldi, con difficoltà, con il problema di dar da mangiare ai figli. E, insieme a tutto questo, rischiare quasi una "condanna" per aver fatto questa scelta. Questo clima pesantissimo non nasce a caso, esso è favorito e alimentato da tutta la campagna che in ­questi mesi, dalla stampa, alla televisione, ai partiti, al governo, alla chiesa, in maniera ipocrita, esalta la famiglia, nascondendo la vita reale delle donne, per ricacciare dentro e solo al servizio della famiglia le donne. Per costoro le donne non sono delle persone, ma devono solo essere brave madri e mogli senza diritti, la cui vita vale meno che niente (meno di un embrione, come dice per esempio la legge sulla fecondazione assistita che proprio in questi giorni il parlamento vuole varare), tanto ‑ come è successo in questo caso a Taranto, ma come avviene troppo spesso ‑ da non prendere neanche in considerazione le loro denunce di violenze, maltrattamenti, perché considerate "naturali"!

 

Per tutto questo, essere vicino alla donna uccisa, al suo bambino, ai suoi famigliari per noi oggi vuol dire soprattutto impegnarci di più a lottare contro questa condizione delle donne, contro chi permette e alimenta questa condizione di oppressione, di violenza, impegnarci ad unire tutte donne, le lavoratrici che vogliono ribellarsi.

 

 

Lavoratrici dello Slai Cobas

 

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