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(traduzioni dallo spagnolo da Un mundo que ganar, rivista del Movimento rivoluzionario internazionalista,  n.30,2004)

foto recente di un martire di una recente azione anti-sionista e del simbolo del suo partito,il FPLP

 

(traduzioni da A worl to win n° 30, 2004, e commenti a cura di Paolo Dorigo, militante comunista prigioniero m-l-m, carcere di Spoleto, 19-11-2004)

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traduzione n°2004/15  

vai a: LEYLA KHALED e la PALESTINA DI OGGI

 

PALESTINA:FUOCO INESTINGUIBILE

 

 

La scomparsa di Abu Ammar dirigente di Al Fatah e dell’OLP, nonostante gli errori che questo dirigente nazionale Palestinese aveva compiuto con gli accordi di Oslo e le successive conseguenze di una politica che legittimando l’esistenza dello Stato usurpatore fondamentalista religioso di “israele” aveva di fatto indebolito la portata della lotta nazionale di indipendenza, nonostante la politica borghese assunta nell’ambito dell’Amministrazione Nazionale Palestinese e il ruolo anche di repressione della stessa guerriglia e lotta popolare assunto in taluni frangenti e con il mantenimento in detenzione di numerosissimi combattenti dalla Polizia Palestinese, è comunque un duro colpo per il Popolo Palestinese che vedeva in lui comunque una bandiera, un simbolo in quanto si tratta del dirigente della guerriglia Palestinese degli anni ’60 che comunque ha saputo fondare la Organizzazione per la Liberazione della Palestina come sede unitaria della varie componenti della lotta popolare (che all’inizio comprendeva anche le organizzazioni del successivo Fronte del rifiuto, Fronte Popolare e Fronte Democratico innanzitutto) e guida anche dopo la crescita di talune organizzazioni islamiche di lotta nazionale Palestinese, più reazionarie per costituzione politica.

Anche per questo la traduzione che segue, nonostante sia datata di alcuni mesi, ha un valore politico in quanto colloca la lotta di liberazione nazionale Palestinese nel quadro internazionale di scontro tra proletariato mondiale ed imperialismo.

[La dicitura tradotta ‘israele’ è adottata dal traduttore in omaggio a questo stile proprio del FPLP-Comando Generale che la utilizza nella sua testata Forward, e non è invece utilizzata nell’articolo originale qui tradotto. I commenti tra parentesi quadre sono del traduttore.]

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Con il cambiamento della strategia globale yankee, grazie alla presa del potere da parte della squadra di Bush, avvenne un cambiamento nella politica sulla Palestina. Bush e soci criticarono fortemente i negoziati di Camp David del presidente Clinton, poiché consideravano che si incentravano troppo sull’idea che per rafforzare la posizione yankee in Medio Oriente, era necessario risolvere il conflitto in Palestina.  I membri di rilievo della squadre di politica estera di Bush sottolineavano: “Il futuro a Gerusalemme passa per Baghdad”. Ossia, la migliore maniera, ossia l’unica, di pacificare la lotta Palestinese era quella di abbattere il governo di Saddam ed usando un Irak dominato dagli Stati Uniti come leva per riconfigurare il Medio Oriente. Una grande parte di questa agenda fu di cancellare i resti del “vecchio ordine mondiale”. Gli strateghi di Bush sostenevano che uno dei principali fattori che propiziavano dei governi anti-yankee nella regione fu la presenza di un campo avverso guidato dai socialimperialisti sovietici.  Come evaporò l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti poterono approfittare per abbattere questi governi, incoraggiare le forze subordinate loro nella regione, soprattutto “israele”, e consolidare una dominazione senza rivali nella regione.

Questa regione, in Palestina, caccerebbe Yasser Arafat ed Hamas dallo scenario della storia e li avrebbe rimpiazzati con Palestinesi filooccidentali moderni, con i quali Bush potrebbe “accordarsi”. [Questo la dice lunga sul grado di demonizzazione americana delle forze più moderate Palestinesi, ossia l’OLP ed Hamas, che è in pratica uno Stato islamico nello Stato Palestinese, e che non è certo tra le organizzazioni più estremiste, ndT]. Per quasi un anno, il governo yankee si è rifiutato di fare trattati con Arafat, che taccia di essere “uomo del passato”, al di là il presidente eletto dall’Autorità Palestinese.  Nell’ottobre 2003, gli Stati Uniti erano ancora più lontani, vietando la adozione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU [utilizzando una norma feudale, il diritto di veto, ndT] che condannava la minaccia israeliana di mandare in esilio Arafat o di “buttarlo fuori gioco” con altri mezzi non dichiarati [di cui l’avvelenamento mortale di poche settimane fa è la dimostrazione più evidente del carattere nazista assunto dallo Stato israeliano verso le vittime della loro occupazione militare del 1948, ndT].

Come parte della preparazione della drammatica presa del potere in Irak, Bush lanciò un “cambio di rotta per la pace” in Medio Oriente, copatrocinato dall’ONU, dall’Unione Europea e dalla Russia. È un processo in tre fasi, che stabilizzerebbe nel 2005 uno Stato Palestinese e garantirebbe la sicurezza di Israele. Sulla carta, si tratterebbe di un processo “uguale”, in cui ogni aspetto avanzerebbe parallelamente all’altro [l’impostazione della politica pianificata dall’alto che non tiene conto né degli eventi né della volontà popolare, ndT].  Nella prima fase, per esempio, gli israeliani intendono “congelare le attività della colonizzazione” nei Territori Occupati (ossia, occupati a partire dal 1967 e non dal 1948) e smantellare gli insediamenti costruiti a partire dal settembre 2001 [NON A CASO, sfruttando l’effetti massmediatico di emozione per gli avvenimenti del 11 settembre, un po’ come se dopo il golpe in Cile l’Unione Sovietica e la DDR avessero invaso la Baviera, ndT].  Bush la chiama una “domanda forte” e Sharon dice che sarebbe “un sacrificio doloroso”.  Però, la occupazione israeliana di queste terre è una violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’ONU (242) e la situazione si complica per la costruzione di insediamenti qui, così come “israele” sta facendo da decenni sotto governi retti da “liberali” e partiti di “destra”. La colonizzazione illegale è cresciuta in ragione di 10.000 persone all’anno durante gli ultimi 3 anni, facilitata da un sussidio di 10.000 dollari del governo israeliano ad ogni famiglia di coloni. [Un po’ come mussolini ed hiltler utilizzavano i malavitosi nelle loro prime bande armate antioperaie, una forma di scatenare guerre tra poveri per occupare spazi e/o territori nuovi, ndT].  Quantunque si mascheri in movimento dei coloni con spropositi religiosi a proposito di chi dette agli ebrei la terra, le colonie sono fortezze fortemente armate il cui scopo è quello di rafforzare il controllo israeliano su ciò che rimane del territorio Palestinese. [Con grande differenza da quello che era lo stile delle prime colonie di sperimentazione comunitaria nel secondo decennio del 900, ndT]. Così che il cambio di rotta richiederebbe che i Palestinesi abbandonassero la lotta contro i ladroni della loro terra e che rimangano ad osservare mentre i sionisti consolidano questo controllo e rubano più terre.

Punto per punto, il cambio di rotta mostra questo “tratto parallelo”: richiede concessioni israeliane minori delle politiche ingiuste che da decenni lo hanno posto in violazione del diritto internazionale e in opposizione alla opinione pubblica mondiale, mentre richiede che i dirigenti Palestinesi abbandonino le loro giuste domande e reprimano ogni resistenza ad “israele” ed ai loro amici yankee.

Mentre gli israeliani hanno continuato a violare impunemente il cambio di rotta, Bush e Blair hanno condannato ripetutamente e fortemente l’Autorità Palestinese, dicendo che sono i Palestinesi ed Arafat le principali cause della mancanza di avanzamenti del processo di pace.  Mentre gli imperialisti anglo-nordamericani predicavano ipocritamente in ogni modo che le armi non avrebbero potuto mai aiutare la causa Palestinese [cosa che ricorda il discorsetto con energia e abuso compiuto dai dirigenti dei partiti democratici insieme agli yankee dopo il 25 aprile ai nostri Partigiani, ndT], si preparavano per difendere la loro stessa causa attraverso invasioni e guerra. Gridano “assassini sanguinari” ogni volta che un pugno di israeliani muoiono mentre inviano 150.000 soldati fortemente armati ad uccidere molte migliaia di civili irakeni e ad occupare il paese.  In nessun luogo del mondo si dimostra tanta ipocrisia imperialista come nel Medio Oriente.

Da poco, questa ipocrisia giunse al culmine, quando dopo aver liberato una guerra in Irak, “per eliminare le armi di distruzione di massa”, che non esistevano ancora, il governo yankee ammise che fornì missili da crociera armati con testate nucleari per i sottomarini israeliani. Siccome gli israeliani hanno di stazza un sottomarino nucleare nel golfo Persico e un altro ne hanno nel Mediterraneo, rappresentano nel Medio Oriente l’unica potenza nucleare con la capacità di colpire uno qualsiasi dei loro vicini arabi.  Mentre gli imperialisti yankee predicavano la pace e disarmavano l’esercito di Saddam, armarono con entusiasmo una formidabile macchina da guerra israeliana con missili nucleari nella regione più conflittuale del mondo.

ANCOR PIU’ MATTONI NEL MURO

Un ruolo chiave della recente campagna per estendere il suo controllo nell’ultimo anno è quello che gli israeliani chiamano la “valle della sicurezza” e che i Palestinesi chiamano “il muro di Berlino” o il “muro dell’apartheid”. Il muro ha nove metri di altezza e si penetra profondamente in Cisgiordania; isola una decina di migliaia di Palestinesi e li obbliga a passare per i posti di blocco israeliani per giungere ai loro appezzamenti di terra, posti di lavoro e scuole.  Mentre Sharon dice che il muro serve per proteggersi dai loro attaccanti-suicidi e non in nessuna maniera delimitare una frontiera permanente, l’opinione unanime dei Palestinesi è che questo è esattamente il suo proposito.

Il muro suscitò una forte condanna internazionale: si intende che un muro gigantesco fortemente pattugliato da dove gli israeliani sparano a quelli che transitano senza permesso, sia opera adatta a dei repressori totalitari della democrazia, non un governo come “israele” a cui gli Stati Uniti ci facciano passare per “l’unica democrazia nel Medio Oriente”.  Il governo yankee fa alcune critiche soavi al muro, ma vietò una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro il muro e quando si presentò la risoluzione davanti all’Assemblea Generale dell’ONU, gli Stati Uniti furono uno dei quattro che votarono contro. Il giorno successivo, “Israele” disse che ignorava la risoluzione [che se ne fregava, il che per uno Stato in un consesso internazionale non è il massimo dell’educazione, ndT].

Negli ultimi anni, “israele” ha usato il muro e la sua opprimente infrastruttura di controllo e repressione per peggiorare la vita dei Palestinesi. Nel 2003, una commissione parlamentare della Gran Bretagna fu in Palestina.  Alcuni deputati ebbero la forte impressione che Bush e Blair li ingannassero e che usassero il cambio di rotta per eliminare l'opposizione dai problemi bellici dei governi anglo-nordamericani, che non avevano l’intenzione di obbligare ‘israele’ di fare alcuna concessione ai Palestinesi.

La relazione incolpa il muro di sicurezza, come le incursioni israeliane, periodi di coprifuoco, posti di vigilanza ed altre restrizioni, di aver affossato la economia Palestinese.  Osserva che la disoccupazione ha raggiunto il 70 % che è un serio dato del declino del livello di vita e del tasso di denutrizione alto quanto nell’Africa sub-sahariana.  Ciò che fa sì che la povertà sia così sgradevole è il livello di privazione [che subisce il popolo Palestinese] in confronto ad “israele” e al fatto che non si deve a cause naturali ma ad azioni deliberate del governo di “israele”. La relazione descrive una pratica molto “emotiva”: che le ambulanze Palestinesi debbano attendere così davanti ai posti di blocco.  Dice: “è quasi impossibile ignorare che esiste una strategia israeliana deliberata di mettere la vita dei Palestinesi sotto pressione come parte di una strategia di dominare la popolazione.”

Mentre “israele” sottopone i Palestinesi ad un livello di oppressione senza precedenti, gli Stati Uniti continuano a rifornire la macchina militare sionista con armi e denaro indispensabili al suo funzionamento criminale.  Il Dipartimento di Stato yankee ha chiesto al Congresso 2.200 milioni di dollari in aiuto ad “israele” nel 2005, un aumento di 60 milioni dal 2004.  E ha convenuto su 9 mila milioni in più di garanzie di prestiti nei prossimi tre anni per risollevare la economia israeliana [il che ha dell’offensivo, dato che il costo della guerra ricade in misura molto maggiore sull’economia Palestinese, soggetta anche ai vincoli dell’occupazione e ai limiti alla circolazione delle merci]. In tutto, “israele” riceve quasi il 40% di tutto l’aiuto militare ed economico statunitense.

 

IL CAVALLO DI TROIA DI SHARON

 

Mentre chiudiamo questo numero della rivista, Ariel Sharon annunciava che il suo governo intendeva liberare Gaza dalle colonie ebraiche. I commentatori liberali, come  quelli del The New York Times, di Le Monde e di molti altri, raccomandavano di dare il benvenuto alla iniziativa di Sharon e di lavorare perché questa sia solo il “primo passo” di una ritirata israeliana generale dalla Cisgiordania, di modo che si possa iniziare lo scambio di “terra in cambio di pace” che è stata la pietra angolare dei piani di pace patrocinati dagli imperialisti per la regione.

Di fronte al risultato della iniziativa, è chiaro che la classe dominante israeliana non ha la minima intenzione di abbandonare la Cisgiordania dopo Gaza né di abbandonare “israele”.  La maniera in cui la cosa è presentata dal New York Times e da molti altri organi di informazione liberali imperialisti abbellisce quella che è una trappola israeliana.  Per accettare la proposta di Sharon, si dovrà ignorare ogni cosa che “israele” ha fatto negli ultimi anni, con l’appoggio yankee.

Il fine più probabile dell’iniziativa è di abbandonare le piccole colonie di Gaza, da 7.500 coloni in insediamenti isolati e remoti in zone povere e difficili da difendere, allo scopo di prendersi un grande pezzo della Cisgiordania, di molto maggiore importanza strategica ed economica, con più di 210.000 coloni.

 

Leyla Khaled e la Palestina di oggi

Stando ai fatti, è molto probabile che gli israeliani impongano una composizione, se necessario unilaterale, che ridefinisca gli insediamenti in Cisgiordania alle spalle del muro e ghettizzi i Palestinesi in un microStato con ciò che resta della Cisgiordania e di Gaza.  Alla fine, il lemma “prima Gaza” potrebbe tradursi in “solo Gaza”. Dopotutto, Le Monde e The New York Times pensano che “israele” non voglia che il muro, largo 6-700 km e costruito ad un costo di 1,4 milioni di dollari per km, funzioni esclusivamente come un muro di frontiera ?   Questo lascerebbe agli israeliani una buona parte della Cisgiordania e almeno la maggioranza degli insediamenti ebraici in questo luogo, che occupano una posizione decisiva per controllare l’acqua ed il sistema dei trasporti di tutta la zona. I Palestinesi [in questo caso] saranno prigionieri in ciò che rimane della sua stessa terra, dietro il gigantesco muro che accerchierebbe Gaza e a quello che rimane della Cisgiordania, in mezzo al territorio controllato da “israele”.  Nella partecipazione originale del Mandato Palestinese britannico del 1948, dell’ONU, “israele” ricevette il 50% ed i Palestinesi l’altro 50% del territorio. Dopo la guerra che seguì alla divisione ed occupazione del 1967 della Cisgiordania e di Gaza, “israele” mantenne il 78% del Mandato Palestinese.  Con la occupazione della porzione della Cisgiordania che sta dietro al muro, “israele” terrebbe tra l’80% e l’85% della terra.  I Palestinesi rimarrebbero con l’amara consolazione di ricevere quello che Sharon chiamò con sfacciataggine “gli attributi di uno Stato”, il che significa che una bandiera ed un inno nazionali nel loro stesso bantustán nello stile dell’apartheid sudafricano.

L’imposizione unilaterale di tale sistemazione in Palestina sarebbe una manovra disperata degli israeliani e in un certo senso, una ammissione della impotenza degli israeliani e dei suoi amici imperialisti.  Dalla fine degli anni ’80, quando i Palestinesi nei campi profughi incominciavano le massicce battaglie della prima Intifadah, “israele” e gli Stati Uniti hanno previsto che, per porre fine alla Resistenza Palestinese, non avranno alcuna possibilità salvo quella di giungere ad un accordo con una Amministrazione Palestinese docile.  Questa è stata la logica degli accordi di Madrid e di Oslo, e del cambio di rotta.

È possibile che “israele” lanci una manovra unilaterale. Da una parte, considera che ci sono alcuni fattori a suo favore, come una certa iniziativa che hanno in mente gli imperialisti yankee dopo la occupazione militare dell’Iraq e la pressione che hanno potuto esercitare su re Assad di Siria e i mullah iraniani.  E gli israeliani affrontano nuove difficoltà.  La immigrazione ebraica si è fermata davanti al risveglio della Seconda Intifadah ed è al livello minimo degli ultimi 15 anni; il turismo ha collassato; l’economia è in crisi; e appaiono crepe nel “monolitico esercito israeliano”, giacchè centinaia di riservisti ed alcuni ufficiali si sono rifiutati di andare nel Territori Occupati.

Nell’ultimo anno nei circoli governativi israeliani è aumentato il consenso ad una “separazione” unilaterale dai Palestinesi ed ad asserragliarsi dentro delle “frontiere difendibili”, e lasciare in qualche modo loro un “miniStato”.  Questa fu una piattaforma importante del partito laburista nelle elezioni presidenziali del 2003. Sharon, indipendentemente dall’aver appoggiato la espansione sionista in tutta la Palestina, da parecchio tempo sostiene una soluzione come questa.  Così, da due anni, si oppone alla risoluzione del partito likud sostenuto dall’ex primo ministro Netanyahu contro questo Stato. È chiaro che, per Sharon, la fase due, che fa appello alla istituzione di uno Stato palestinese “provvisorio” in mezzo a poco meno della metà della Cisgiordania, è ciò che rende praticabile il cambio di rotta.  Puede che Sharon tenti di trincerare le forze israeliane, per esempio nelle colonie illegali, dietro la scusa della sicurezza, lasciare ai Palestinesi l’istituzione di un microStato nella Gaza e aprossimativamente la metà della Cisgiordania, e quindi proclamare che è si è conclusa la fase due del cambio di rotta ed assicurare che questa soluzione “provvisoria” sia “permanente”.

Il lavoro che costa loro l’ottenere una soluzione [?] che ponga fine al conflitto violento in Palestina, si deve fondamentalmente al fatto che la causa degli imperialisti e dei sionisti è ingiusta.  Ma c’è di più. Nel mondo attuale, ogni causa delle classi dominanti è ingiusta … ma non tutte le classi dominanti impattano la impalcabile resistenza che i sionisti affrontano giorno per giorno.  La situazione dei Palestinesi rappresenta in molte forme una concentrazione dei crimini dell’imperialismo: l’espulsione di un popolo intero dalle loro terre, espulso dalle sue case e obbligato a vivere nei campi  profughi, e lo sviluppo di uno Stato colono nella principale avanzata armata dell’imperialismo occidentale nella regione, di cui alcuni milioni di coloni europei dominano decine di milioni di arabi.

Chiunque abbia vissuto subito la ruberia, l’intimidazione e il maltrattamento, chiunque abbia sofferto la frusta dell’oppressore o che abbia dovuto assistere con  impotente  furia mentre l’oppressore armato umilia e disprezza i suoi fratelli e sorelle, vede nella Palestina la propria condizione.  La ribellione dei Palestinesi, il negarsi alla resa, al di là di quelli che appaiono come ostacoli insuperabili, ispira milioni di loro ad esaminare ancora la loro propria situazione, e, in alcuni casi, a verificare le possibilità di resistere laddove precedentemente si pensava non ve ne fossero.

Il Popolo Palestinese sta affrontando, forse, il più intenso e globale colpo di tutta la storia. I sionisti e gli imperialisti sperano di aver massacrato talmente i Palestinesi che gli diano il benvenuto, o almeno si risolvano a tenersi dell’attuale Stato palestinese, un microStato soggetto ad una banda di compradores corrotti in un territorio grande meno di un quarto delle sue terre originali.

Ma i sionisti non hanno conosciuto la pace e nemmeno la conosceranno. Il centro del problema che affrontano è che il loro Stato coloniale repressivo si erige sulla terra di un altro popolo, ed i figli e le figlie della popolazione iniziale, che raggiungono oggi i 10 milioni, [aspirano a “riconquistare” la “loro patria”], sentimento molto forte anche nei milioni di rifugiati nei campi profughi.  Quantunque Arafat [volesse] concludere un accordo con il primo ministro laburista israeliano Barak a Taba nel 2000 e indipendentemente dalla percentuale precisa dei Territori Occupati che “israele” pose sul tavolo dei negoziati.  Arafat sapeva, come gli imperialisti sapevano, che qualsiasi accordo che abbandonerà il diritto di ritornare dei rifugiati e formalizzerà la subordinazione del popolo palestinese in un miniStato, non porterà mai alla pace.  Ironicamente, per questo talvolta Sharon si propone in maniera unilaterale: così, “israele” potrebbe far sì che gli elementi feudali e compradores abbiano il miniStato che tanto agognano [su questo argomento della borghesia Palestinese che prese possesso dell’ANP, una decina d’anni fa scrissi: “Il processo di pacificazione del conflitto sionista/palestinese, verte anche sull’abbandono, di parte della borghesia palestinese, dell’obiettivo dello Stato palestinese. Un abbandono che è logica conseguenza di fattori intervenuti a modificare lo scenario negli ultimi anni: il venir meno di appoggi economici e politici, la sconfitta della Guerra del Golfo, il rischio di un totale isolamento hanno spinto parte della borghesia palestinese verso l’accettazione degli accordi liquidazionisti, fondati sulla mutazione dell’obiettivo della conquista dell’identità nazionale palestinese quale avanguardia del processo di conquista della nazione araba, con l’obiettivo dell’ “autonomia” palestinese, acquisendo così il diritto a partecipare alla spartizione delle briciole residuali dei mercati dell’area.  La resistenza palestinese non ha alternative, e lo ha compreso fin da subito, con la lotta di popolo e con l’iniziativa della guerriglia, sia in tutto ‘israele’” –all’epoca usavo ancora il sostantivo al maiuscolo, l’orrore non era ancora abbastanza forte per l’odio che necessita ovunque oggi- “che nel vicino Libano. Il proseguimento dell’Intifadah, il carattere repressivo e antipopolare della ‘polizia palestinese’ a Gaza, l’incessante guerriglia contro l’esercito israeliano, i coloni, e contro l’Armata del Libano del Sud, lo dimostrano”], senza dover firmare una proibizione pubblica del decreto di far ritornare i palestinesi che ancora stanno nei campi profughi, e così avere un modo di accettare alcune condizioni che rappresenterebbero una capitolazione assoluta.

I Palestinesi affrontano oggi forze formidabili, e non hanno una guida [unica riconosciuta], ed hanno bisogno di fare dei passi ancora per sconfiggere il nemico sul campo di battaglia, ma non vi sono dubbi che continueranno la lotta e che gli oppressi del mondo staranno fianco a fianco con loro.

La lotta dei Palestinesi illustra potentemente la verità di Mao Tse-Tung secondo cui: “Creare disordini, fallire, creare ancora disordini, fallire ancora, fino alla loro disfatta: questa è la logica degli imperialisti e di tutti i reazionari del mondo nei confronti della causa del popolo; essi non andranno mai contro questa logica. … Lottare, fallire, lottare ancora, fallire ancora, lottare ancora, fino alla vittoria: questa è la logica del popolo e anch’esso non andrà mai contro questa logica.” [Cinque interventi per l’Agenzia Hsinhua in occasione della pubblicazione del libro bianco del dipartimento Abbandonate le illusioni, preparatevi alla lotta; 14 agosto 1949; articolo facente parte di un gruppo di di Stato degli USA e della lettera di Dean Acheson, in Opere di Mao Tse-Tung, vol.11, pag. 137-144, Ed.Rapporti sociali]

 

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