PALERMO
- Da sei anni cerca di svelare uno dei più fitti misteri della recente storia
siciliana: la mancata cattura di Bernardo Provenzano nelle campagne di
Mezzojuso dopo la soffiata di un pentito, il 31 ottobre del 1995. Adesso il
sostituto procuratore Nino Di Matteo si prepara a chiudere l' indagine con una
richiesta mozzafiato: il rinvio a giudizio dell' ex capo dei servizi segreti
Mario Mori (allora comandate del Ros) e del colonnello dei carabinieri Mario
Obinu. Capo d' imputazione pesante come un macigno: favoreggiamento aggravato
dall' aver agevolato Cosa Nostra. Il magistrato ha notificato ieri l' «avviso»
ai due alti ufficiali, a breve ci sarà la formalizzazione della richiesta con
il visto del procuratore Francesco Messineo. Stralciata la posizione di altri
due indagati, il generale dell' Arma Antonio Subranni (per il quale si profila
il proscioglimento) e il colonnello Michele Riccio, quest' ultimo finito sotto
inchiesta per calunnia perché fu lui ad accusare i tre colleghi di avere
favorito la latitanza del capomafia corleonese. La denuncia di Riccio arrivò a
sorpresa nel 2001 in un' aula del tribunale a Genova, dove il carabiniere
veniva processato per traffico di stupefacenti. Un' accusa atipica, riferita
alla gestione spregiudicata delle indagini e delle prove raccolte contro un
clan internazionale di narcotrafficanti. Riccio rivelò che nel 1995, quando
lavorava in Sicilia, ricevette la soffiata di un confidente, Luigi Ilardo,
mafioso di Caltanissetta. Non era un pentito, ma aveva sempre notizie di prima
mano. Gli aveva parlato di un summit organizzato da Provenzano in un casolare
di Mezzojuso, a quaranta chilometri da Palermo, era l' occasione buona per
piombare addosso al corleonese, latitante da una trentina d' anni. L' ufficiale
informò Mori, Obinu e Subranni ricevendo però un inatteso stop perché -
avrebbero spiegato i superiori - mancavano i mezzi tecnici. L' operazione,
condotta da una squadra di otto carabinieri, si risolse in un semplice
appostamento con qualche foto. Tutto qui. Ma i sospetti vanno oltre e altre
omissioni il pm Di Matteo contesta a Mori e Obinu, che neppure successivamente
organizzarono indagini «nonostante Ilardo avesse confermato l' abitualità dell'
utilizzo di quei luoghi per riunioni cui partecipava il latitante». E ancora
non furono «attivate indagini per verificare la presenza di Provenzano in quel
territorio», né si indagò sulle persone (Giovanni Napoli e Nicolò La Barbera)
indicate da Ilardo come collettori tra il superlatitante e altri mafiosi. In
ultimo, i magistrati si chiedono perché furono informati del mancato blitz solo
nove mesi dopo, con il rapporto «Grande Oriente» presentato il 30 luglio 1996.
Ilardo, che voleva diventare pentito in piena regola, non fece in tempo a porsi
sotto la tutela dello Stato: pochi mesi dopo le confidenze fatte a Riccio
qualcuno gli tappò la bocca con una raffica pallettoni. Il 30 gennaio del 2001
La Barbera fu arrestato insieme con un altro grosso calibro della mafia,
Benedetto Spera, proprio in contrada Giannino, a un passo dal casolare indicato
da Ilardo quale rifugio di Provenzano. * * * Il caso La soffiata Il 31 ottobre
1995 una «soffiata» indica la presenza di Bernardo Provenzano nelle campagne di
Mezzojuso (Pa). Ma l' operazione si risolse in nulla L' accusa I pm vogliono
chiedere il rinvio a giudizio di Mario Mori, allora comandante dei Ros, per
favoreggiamento aggravato dall' aver agevolato Cosa Nostra
Mignosi Enzo