Nel 1999 si avviò il Comitato Promotore per la costituzione del (nuovo) PCI, in Italia.

Inizialmente ne fui affascinato. Il compagno Giuseppe Maj scendeva in campo, le diffamazioni alle sue spalle mosse per decenni dai compagni "brigatisti" sciamavano, di fronte ad una promozione comunista apertamente rivoluzionaria, specie nel metodo adottato del Partito clandestino.

Poi, con gli anni, la proposta di partecipare alle elezioni rivolta ai prigionieri politici, ed altre espressioni di linea politica, ma soprattutto, la linea neo-revisionista nell'ambito del MCI, e anche di aperta censura verso la linea e la lotta dell'avanguardia proletaria della rivoluzione proletaria mondiale, il Partito Comunista del Perù, mi hanno man mano fatto capire che il compagno Giuseppe Maj è un inguaribile neo-revisionista, e che non a caso, le nostre strade sono molto distanti. Loro si muovono nel cielo della politica, noi cerchiamo la mobilitazione delle masse del proletariato nell'autorganizzazione, loro propongono una linea oggettivamente idealista e accusano il prossimo di idealismo. Su questo tipo di critiche ed autocritiche ci sono vari documenti nel sito.

Ma va detto che su un punto non si può dar torto al nPci nemmeno a volerlo: nella critica e denuncia alle cricche reazionarie, delle guerre interborghesi che si svolgono nel "teatrino della politca", come scrive "Resistenza", l'organo del Partito dei Carc.

Ecco un articolo di cui condivido l'assetto generale anche se non le dirette parole d'ordine che si rifanno al loro programma.

f.to Paolo Dorigo, militante comunista maoista, membro della redazione di Guardare Avanti !, 18 settembre 2009

 

 

Comunicato del 13 settembre 2009

 

La combinazione Vaticano - Criminalità Organizzata scricchiola.

Incrinato l’asse portante del governo della Repubblica Pontificia negli ultimi 30 anni. La Repubblica Pontificia verso l’impasse !

 

Approfittare della crisi politica per cacciare la banda Berlusconi e instaurare un governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari !

 

Condurre su larga scala la Campagna d’Autunno per garantire un posto di lavoro ad ogni adulto: uomo, donna, autoctono o immigrato !

 

La fase terminale della crisi generale del capitalismo ha fatto aggravare in ogni paese imperialista anche la crisi politica. In ogni paese i governi borghesi mettono sotto pressione le forze di polizia e aumentano controlli, aggressioni, ronde, manovre sporche, pene e prigioni, nell’illusione di risolvere con l’apparato repressivo i problemi creati dall’ordinamento sociale sorpassato e dalla mancanza di coesione sociale. Grandi prospettive di vittoria si aprono per il movimento comunista ovunque si libererà abbastanza dal dogmatismo e dall’economicismo e abbraccerà con sufficiente decisione la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

 

In Italia la crisi politica si sta sviluppando in un modo suo particolare,

corrispondente alle particolarità del paese.

 

Come l’on. D’Alema ama spesso ripetere, l’Italia non è un normale paese imperialista. Fare dell’Italia un normale paese imperialista sembra in certi momenti essere il suo programma. Ma la complicità che lega tra loro gli esponenti delle classi sfruttatrici di fronte alle masse popolari e li rende ottusi od omertosi, impedisce a D’Alema di dire apertamente perché l’Italia non è un paese (imperialista) normale: D’Alema tira il sasso e nasconde il braccio o forse sente il suono delle campane ma non capisce da dove viene.

La principale particolarità del nostro paese, quella che fa l’Italia diversa da tutti gli altri paesi imperialisti, consiste nel fatto che il nostro paese è sottoposto a un’autorità politica (occulta) di ultima istanza, il Papa, inamovibile e insindacabile nell’ambito dell’ordinamento esistente ben più di quanto lo sia la “Guida Suprema” nella Repubblica Islamica dell’Iran. Il reggitore supremo del nostro paese è anche un’autorità internazionale residuata del Medioevo europeo e del ruolo svolto dall’Europa nella creazione del mondo attuale. In realtà è selezionato da una rete internazionale di prelati e di personalità ben al di sopra della borghesia italiana, ma pretende addirittura di essere designato da Dio e di derivare direttamente da Dio non solo la sua autorità (questo lo pretendevano tutti i monarchi d’un tempo), ma addirittura le sue parole, donde la sua infallibilità. Il Vaticano e la sua Chiesa sono l’eredità morbosa e malefica che il Medioevo europeo ha lasciato al nostro paese e di cui la borghesia, quando 150 anni fa lo unificò, non fu capace di liberarsi stante le condizioni in cui si svolse l’unificazione.

Chi cerca di capire la natura e la concatenazione degli eventi d’Italia senza tener conto di questo carattere particolare del paese, è fin dall’inizio fuori strada. Non gli è possibile ricostruire razionalmente né la storia dell’Italia moderna né lo sviluppo degli eventi contemporanei.

Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale il Papa aveva condiviso la soprintendenza alle cose d’Italia con il Re dei Savoia. Quando il Re fu travolto dalla sua complicità col fascismo, il Papa rimase solo a soprintendere agli affari della neonata Repubblica Pontificia, in combutta con gli imperialisti USA.

L’attuale crisi politica da noi si sviluppa in questo contesto, a circa 60 anni da quando la Repubblica Pontificia riuscì a imporsi in alternativa all’instaurazione del socialismo. Ed è una crisi della Repubblica Pontificia stessa, non di una sua soluzione governativa.

 

Per capire la natura e l’entità della crisi in corso e i suoi possibili sviluppi, bisogna quindi ripercorrere la storia della Repubblica Pontificia.

 

Alla fine degli anni ’40 del secolo scorso essa si impose grazie alla forza propria del Vaticano, alla forza degli imperialisti anglosassoni (in particolare USA), alla forza delle Organizzazioni Criminali (Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra principalmente), alla disperazione della borghesia italiana debilitata dalla sconfitta del fascismo. Ma fu principalmente a causa della linea imposta nel PCI dai revisionisti moderni capeggiati da Togliatti che la Repubblica Pontificia prevalse sul movimento comunista. Togliatti e i suoi complici accettarono il Vaticano come centro occulto del nuovo assetto politico del paese, sperando e cercando di averne i favori e il mandato a governare le correnti relazioni economiche e sociali, in cambio del rispetto dei suoi interessi economici (la parte della ricchezza prodotta in Italia che il Vaticano e la sua Chiesa incamerano per mantenersi, per alimentare il lusso e lo sfarzo delle loro corti, dei loro palazzi e delle loro cerimonie, per fare le loro opere di beneficenza e finanziare le loro opere pie, per svolgere il loro ruolo internazionale) e della sua egemonia intellettuale e morale su una parte della popolazione. Come era facile prevedere, le cose andarono alquanto diversamente.

Incamerato il riconoscimento e consolidato il suo ruolo di autorità di ultima istanza, perché il Vaticano avrebbe dovuto lasciare spazio al movimento comunista sia pure diretto dalla destra? Si trattava pur sempre di un movimento che aveva le sue proprie basi di forza nelle masse lavoratrici che per i loro propri interessi erano contrapposte al Vaticano e alla sua Chiesa. La Democrazia Cristiana fu la soluzione governativa designata dal Vaticano. La politica DC combinava lo sfruttamento dei lavoratori con la beneficenza e l’elemosina: quindi ben si adattava al periodo di ripresa dell’accumulazione di capitale e di sviluppo dell’apparato produttivo che seguì la Seconda Guerra Mondiale e al regime di controrivoluzione preventiva che in quegli anni la borghesia imperialista importava dagli USA. L’abbandono del territorio, lo sfascio idrogeologico, ambientale, morale e intellettuale e la perdita di sovranità che vennero realizzati in quei decenni (e che per alcuni aspetti resero lo stato del paese persino peggiore di quello ereditato dal fascismo) ben si addiceva sia al tradizionale e naturale disinteresse del Vaticano e della sua Chiesa per le sorti terrene dei popoli che scorticano, sia al perseguimento del profitto subito e ad ogni costo, alla rapina e al saccheggio senza riguardo per le conseguenze future che caratterizzavano la mentalità del capitalismo americano che si trapiantava nel nostro paese. Le masse popolari pagarono a duro prezzo le conquiste di civiltà e di benessere e i diritti che tuttavia sulla scia del movimento comunista, ancora forte nel mondo e in Italia, riuscirono a strappare alla borghesia e al suo Stato.

Negli anni ’70 con l’inizio della seconda crisi generale del capitalismo incomincia però anche la crisi del regime DC su cui fino allora si era basata la Repubblica Pontificia per il governo degli affari correnti del paese.

 

La fine, per leggi proprie del modo di produzione capitalista, del periodo di ripresa dell’accumulazione di capitale e di sviluppo dell’apparato produttivo e l’esaurimento, per limiti nella crescita intellettuale del movimento comunista, della forza propulsiva del progresso umano che esso aveva esercitato durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, sono il contesto internazionale in cui avviene la fine del regime DC.

La fine del capitalismo dal volto umano è la fine della linea di politica economica e sociale su cui dopo la Seconda Guerra Mondiale il regime DC si era consolidato e per alcuni decenni aveva retto. La combinazione dello sfruttamento con la beneficenza e l’elemosina e il rispetto più o meno approssimativo delle conquiste e dei diritti strappati dai lavoratori, diventavano incompatibili con le misure necessarie per far fronte alla crisi assieme ai gruppi imperialisti degli altri paesi: privatizzazioni, esternalizzazioni, delocalizzazioni, finanziarizzazione, speculazione finanziaria, globalizzazione.

 

È a questo punto della storia d’Italia che le Organizzazioni Criminali (Mafia, ‘Ndrangheta e Camorra principalmente) tracimano dai territori tradizionali, travalicano i vecchi giri e mestieri, si impiantano a livello nazionale, invadono i grandi circuiti nazionali e internazionali della finanza, dell’industria e del commercio e assumono nuove responsabilità politiche a livello nazionale, ispirate da Licio Gelli e dalla sua P2.

Berlusconi e Craxi sono i personaggi chiave della nuova fase della Repubblica Pontificia, quella appunto che finisce in questi mesi.

Nel 1976 Craxi strappa a Mancini la segreteria nazionale del PSI. Di quale nuovo corso Craxi fosse portatore e di quale ambiente fosse l’esponente politico e la marionetta, era noto a una larga cerchia della classe dominante. Come sfrontatamente dirà D’Alema durante Tangentopoli nei primi anni ’90, “Lo sapevano tutti”: ovviamente tutti gli individui che contano. Ma in una classe dominante che vive nella paura delle masse popolari e fonda il suo potere sulla loro intrattenuta ignoranza, sulla loro fiduciosa credulità, sulla diversione della loro attenzione e sulla mancanza di un loro orientamento unitario, vi è una complicità di ferro che lega tra loro, anche di fronte ai crimini, gli esponenti “responsabili” della politica, della finanza, del clero, dell’amministrazione pubblica, delle forze armate e delle polizie, degli affari: solo chi è complice è ammesso a sapere (e a spartire il bottino) e se qualcuno esce dal coro senza essersi precostituito adeguate protezioni, paga con la vita. O comunque con l’emarginazione.

Fino allora la Mafia aveva avuto voce in capitolo nella politica nazionale tramite la DC di Andreotti. Con l’installazione di Craxi alla testa del PSI nel 1976, essa inizia a costruire una propria rappresentanza politica a livello nazionale alternativa alla DC. Tramite tra la Mafia e Craxi in questa operazione sarà proprio Berlusconi. Questi ha fatto la sua carriera di operatore finanziario della Mafia e la sua fortuna di speculatore immobiliare nella Milano della cui amministrazione comunale Craxi è padre e padrone da anni, proprio nel periodo in cui la Mafia si installa a Milano, nella Borsa e nel mondo finanziario.

Silvio Berlusconi è persona di grandi capacità e di grande ambizione che, stante la scuola a cui è stato formato, ha impiegato e impiega contro le masse popolari italiane e contro il progresso dell’umanità, per perpetuare nel contesto concreto il sistema di relazioni sociali borghesi nell’ambito della Repubblica Pontificia, come Mussolini lo fece nel contesto della prima crisi generale del capitalismo e dell’eredità della Prima Guerra Mondiale nell’ambito della diarchia Monarchia-Vaticano. Le ha impiegate con successo dapprima per fare carriera come finanziere della mafia, poi per costruirsi un impero economico personale, quindi per acquistare autonomia anche rispetto alla Mafia senza farsi schiacciare ed eliminare (come successo invece a Virgillito, a Sindona, a Calvi e ad altri), assurgere alla direzione delle Organizzazioni Criminali e del sistema della P2 di Licio Gelli e diventare la personificazione più moderna del padrino mafioso e dell’uomo politico borghese dei nostri tempi. Come ha fatto con altri personaggi, ad esempio con Mussolini e ancora di più con Hitler, quando le cose volgono male la borghesia cerca di confondere le tracce e di far in modo che non si riconosca in dati personaggi l’espressione più integrale e più pura del suo proprio carattere nelle condizioni dell’epoca. Ma in realtà Berlusconi incarna meglio di qualunque altro personaggio il carattere della borghesia imperialista della nostra epoca. Questa è anche la ragione del suo successo a livello nazionale e internazionale nei molti campi in cui si è cimentato. Tuttavia il soggetto reale dell’attuale crisi politica italiana non è Berlusconi con i suoi vizi e le sue virtù. Il soggetto reale della crisi è la Repubblica Pontificia.

Analogamente il soggetto reale del passaggio politico degli anni ’70 nel nostro paese non è la coppia Craxi - Berlusconi, ma la Repubblica Pontificia che deve trovare una soluzione governativa alternativa alla DC e la trova nella rappresentanza politica nazionale delle Organizzazioni Criminali costituita dal PSI di Craxi.

 

Nella classe dominante in quegli anni “tutti” sono al corrente sia della penetrazione della Criminalità Organizzata nel mondo industriale e finanziario della Lombardia e del resto del paese, sia del ruolo che il PSI di Craxi sta assumendo. Alcuni esponenti della classe dominante non sono convinti della piega che gli avvenimenti stanno prendendo: temono che finirà male. Berlinguer cercherà di coalizzare attorno al suo PCI quella parte della classe dominante che si oppone alla penetrazione mafiosa e criminale nei “salotti buoni” della borghesia settentrionale e al ruolo politico nazionale che le Organizzazioni Criminali stanno assumendo per la prima volta nella storia d’Italia. A sua maniera Berlinguer denuncia l’operazione in corso e il ruolo del PSI. Ma lo fa senza la decisione di chi dà una battaglia in cui o si vince o si muore, senza parlare chiaro, parlando per allusioni, guardandosi bene dal mobilitare le masse popolari con il progetto di un’alternativa realistica. Insomma si oppone al ruolo politico delle Organizzazioni Criminali di cui Craxi è portatore, ma salvaguardando anzitutto la solidarietà che lega tra loro i membri della classe dominante contro le masse popolari, alla quale le Organizzazioni Criminali e i loro portavoce politici appartengono.

Berlinguer denuncia chiaramente che con l’avvento di Craxi alla segreteria del PSI negli anni 70, il ruolo del PSI nella politica italiana era cambiato e gli equilibri di potere erano cambiati. In effetti la Mafia stava passando da un ruolo politico locale in relazione con DC-Andreotti a un ruolo politico nazionale per il quale PSI-Craxi era il suo strumento. Era grazie ai soldi della Mafia che arrivavano al PSI tramite Berlusconi, che Craxi emancipava finanziariamente il PSI dal PCI e ne faceva il protagonista principale del teatrino nazionale della politica borghese. Ma la partita giocata da Berlinguer non aveva prospettive di successo, era un progetto velleitario da sinistra borghese. Nelle aspirazioni e nelle ispirazioni era una linea di conservazione, perpetuazione e perfezionamento della politica DC, ma quando oramai questa era incompatibile con la nuova crisi generale del capitalismo. Nella pratica (la linea dell’EUR lo mostra chiaramente, come lo confermano la linea seguita dai “socialisti” Mitterrand in Francia, Gonzalez in Spagna, Schmidt in Germania) avrebbe seguito la stessa linea seguita dalla coppia Craxi - Berlusconi: il “programma comune” della borghesia imperialista che si viene definendo in quegli anni. L’estrema destra del PCI, Napolitano & C, rimprovereranno sempre a Berlinguer di non avere subordinato il PCI al “progetto di modernizzazione” sostenuto da Craxi, permettendo così al PSI di sganciarsi radicalmente dalla DC e di separare le sue sorti da quelle della DC.

In realtà di fronte alla nuova crisi generale del capitalismo solo la mobilitazione delle masse popolari organizzate avrebbe potuto imprimere alla storia del nostro paese un corso diverso da quello che c’è stato, imponendo un nuovo sistema di relazioni sociali: dal capitalismo dal volto umano all’instaurazione del socialismo. Per ragioni di classe, i borghesi che si opponevano a che le Organizzazioni Criminali assumessero un ruolo politico nazionale preminente, non la potevano neanche prendere in considerazione. Restando operazione di palazzo, interna alla classe dominante e chiusa nell’orizzonte delle sue relazioni sociali, il progetto di Berlinguer non poteva che fallire, minato dal contrasto tra la sua ispirazione e le necessità imposte dagli interessi della classe che doveva farsene realizzatrice, tra la sua teoria e la pratica.

Né le Brigate Rosse, che allora erano la sinistra del movimento comunista, avevano una comprensione abbastanza dialettica della situazione da concepire un progetto di così ampio respiro e usare esse a proprio vantaggio il passaggio politico in corso e i contrasti tra i suoi protagonisti borghesi trasformando il tutto in crisi e disfatta della Repubblica Pontificia. Quando in un paese vi è un contrasto decisivo, o si è alla testa dello scontro, o si è usati da chi è alla testa: che lo si voglia o no, che se ne sia consapevoli o meno. Così la lotta di classe diretta dalle Brigate Rosse (emblematica la lotta del 1980 alla FIAT) di fatto indebolì ulteriormente il progetto Berlinguer. Gianni Agnelli era schierato con Berlinguer (ancora nel 1994 contro Berlusconi appoggerà la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto finita contro un muro con il fiasco del 27 marzo), ma persino la FIAT pesò a favore delle Organizzazioni Criminali grazie a Cesare Romiti, quello che con tutta la famiglia farà fortuna nel malaffare dei rifiuti, in Campania e altrove, in connivenza e collaborazione con le Organizzazioni Criminali.

 

Negli anni ’80 Craxi e il suo PSI diventano dunque a livello nazionale la rappresentanza politica della Mafia e delle altre Organizzazioni Criminali, profondamente penetrate nel mondo finanziario e industriale di tutto il paese. Il mandato del Vaticano a governare arrivò al PSI di Craxi negli anni 80. La nuova combinazione tra Vaticano e Organizzazioni Criminali viene consacrata con l’elevazione di Pertini alla presidenza della repubblica, con l’avvento di Craxi alla testa del governo, con il rinnovo del Concordato (1984). Sono anche gli anni in cui il PSI di Craxi lancia l’attacco alle conquiste economiche e sociali e ai diritti strappati dalle masse popolari alla borghesia: con il Decreto di S. Valentino (febbraio 1984) viene intaccata d’autorità la scala mobile.

Quando a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 la combinazione degli avvenimenti nazionali e internazionali diventa tale che la DC e il PSI di Craxi-Andreotti-Forlani (il CAF) vengono insieme travolti, Berlusconi che fino allora era stato il burattinaio di Craxi, l’eminenza grigia del regime, per salvare il salvabile deve occuparsi direttamente del teatrino della politica borghese.

L’allarme di Berlusconi per la ripresa in questi mesi delle inchieste di Palermo e Milano sulle stragi dei primi anni ’90, è legato al fatto che quelle stragi sono il contesto in cui lui, che come fiduciario della Mafia aveva fino allora manovrato Craxi e il suo PSI, dopo che Craxi era stato eliminato decise di scendere personalmente in politica e divenne capo del governo (1994). Se le due Procure procedono, vuol dire che ora si è formata una coalizione che si sente abbastanza forte per eliminare Berlusconi (se fossero iniziative personali di magistrati aspiranti suicidi, qualcuno li aiuterà a suicidarsi).

 

Riassumendo:

1. la banda Berlusconi, rappresentanza politica nazionale delle Organizzazioni Criminali, per più di quindici anni ha governato l’Italia su mandato del Vaticano (con la complicità di Prodi e D’Alema, che hanno svolto il ruolo sussidiario nell’attuazione del “programma comune” della borghesia imperialista ogni volta che la banda ne ha avuto bisogno);

 

2. gli scricchiolii dell’asse Vaticano - Berlusconi sono gli scricchiolii dell’asse Vaticano - Organizzazioni Criminali su cui da alcuni decenni si regge il governo italiano.

 

Quale soluzioni può avere la crisi politica in corso? Su chi il Vaticano può appoggiarsi per perpetuare la Repubblica Pontificia, delegandogli la gestione delle correnti relazioni economiche e sociali nelle attuali condizioni, le condizioni della fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo?

Di questo discutono nella Conferenza episcopale italiana (Bagnasco, Ruini, Tettamanzi & C) e in Vaticano (Ratzinger, Bertone & C). La rottura del Vaticano con le Organizzazioni Criminali rappresentate politicamente dalla banda Berlusconi è quindi un passaggio decisivo della crisi politica dell’Italia borghese. In questi mesi si spezzano le particolari relazioni tra il Vaticano e le grandi Organizzazioni Criminali (Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta principalmente) su cui regge il governo italiano da 30 anni in qua, prima nell’epoca Craxi poi nell’poca Berlusconi. In questi mesi può avvenire qualcosa di analogo a quello che avvenne nei primi anni ’90. La Conferenza Episcopale italiana discute del dopo Berlusconi, sotto il manto della “Guida Suprema”, Benedetto XVI (alias Joseph Ratzinger).

 

Il Vaticano in Italia è l’autorità politica di ultima istanza, ma resta un’istituzione medioevale. Per sua natura, non è in grado di svolgere in prima persona il ruolo che uno Stato moderno ha nelle relazioni economiche e sociali di un paese capitalista, analogamente a come nel Rinascimento non poteva promuovere esso stesso la costituzione di uno Stato nazionale in Italia (come ben spiegò a suo tempo Machiavelli). Se cercasse di farlo, diventerebbe un partito o una fazione politica tra le altre. Quindi subirebbe la sorte di ogni partito o fazione politica. Il Vaticano invece è un’istituzione che opera ancora oggi come un’istituzione medioevale, quando la Chiesa, come le altre istituzioni dell’epoca, estorcevano ai contadini e agli artigiani una quota parte del prodotto del loro lavoro, ma non assumevano direttamente la gestione delle relazioni e delle attività economiche. Cosa che oggi uno Stato non può più fare.

 

Il Vaticano non ha una sua politica economica e sociale adatta alla crisi generale, ma non può neanche accettare e avallare la politica economica e sociale con cui la Banda Berlusconi e le Organizzazioni Criminali affrontano la fase terminale della crisi generale.

Negli anni ’70 il Vaticano ha dovuto rinunciare alla linea del capitalismo dal volto umano impersonata dalla DC, linea diventata incompatibile con la crisi generale del capitalismo iniziata a metà degli anni ‘70. Finché si trattava di tirare in lungo e procrastinare gli sbocchi catastrofici della crisi generale, la rappresentanza politica nazionale delle Organizzazioni Criminali, prima con Craxi e poi con Berlusconi, per il Vaticano ha “ben operato” seguendo il “programma comune” della borghesia imperialista. Ma da un anno siamo entrati nella fase terminale della crisi generale e il Vaticano non può aderire alla linea apertamente criminale e razzista impersonata dalla banda Berlusconi. Perché è una linea incompatibile con l’egemonia del Vaticano e della sua Chiesa sulle masse popolari italiane, in qualche misura formate dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria a difendere i propri interessi di classe e a una certa comprensione del carattere collettivo della vita di ogni individuo. La prima ondata della rivoluzione proletaria ha costretto persino la Chiesa e il Vaticano all’aggiornamento del Secondo Concilio Vaticano.  

 

Il Vaticano e la sua Chiesa sono un residuato del Medioevo europeo. Il potere del Vaticano e della sua Chiesa non ha né origini né basi misteriose ed è tutt’altro che indistruttibile. Al contrario, è pericolante.

Su cosa poggia il potere del Vaticano? Sostanzialmente su quattro pilastri che si condizionano tra loro:

1. l’egemonia intellettuale e morale che il Vaticano ha su una parte (decrescente ma ancora importante) delle masse popolari italiane,

2. la debolezza della borghesia italiana che non ha mai instaurato una sua egemonia intellettuale e morale su una parte decisiva delle masse popolari italiane,

3. le relazioni che il Vaticano ha con le autorità e i potentati degli altri paesi imperialisti (ancora tutti, salvo il Giappone, di origine europea: l’Occidente bianco),

4. l’aiuto che il Vaticano dà ai gruppi imperialisti di origine europea (all’Occidente bianco) nello sfruttamento di gran parte dei paesi oppressi e nel tenerli sottomessi.

Di questi quattro pilastri, decisivo è il primo: crollato questo, tutto l’edificio medioevale del Vaticano crollerebbe. Il Vaticano quindi ricorrerà a ogni mezzo per evitare che si formi una contrapposizione aperta tra sé e le masse popolari italiane, per evitare che si riduca ulteriormente e fortemente la frazione delle masse popolari italiane su cui esso ha ancora egemonia intellettuale e morale.

Ma le masse popolari italiane non sono subordinate intellettualmente e moralmente al Vaticano per decreto divino. Una parte importante si è già sottratta all’egemonia vaticana. In molti campi della vita, in primo luogo quelli relativi alle relazioni familiari, alla procreazione, alla contraccezione, alle relazioni sessuali l’egemonia del Vaticano è ridotta al lumicino. La parte delle masse popolari che ha aderito al programma razzista e criminale delle Lega Nord ha già in parte rotto, da destra, con l’egemonia del Vaticano e della sua Chiesa. Anche se Bossi e la sua Lega Nord hanno abbandonato il dio Po e ora si dichiarano difensori della “tradizione cristiana cattolica e romana del nostro paese”, il Vaticano non può dare mandato di governare alla Lega Nord.

Questo è il vicolo cieco in cui si trova la politica borghese in Italia. Il fattore decisivo tra l’impasse politico della borghesia e l’instaurazione del socialismo è il progetto politico del governo di Blocco popolare: un’alternativa politica, di governo, alla mobilitazione reazionaria.

 

L’instaurazione della Repubblica Pontificia è stata un successo del Vaticano, ma ha anche creato una trappola in cui il Vaticano resterà incastrato, se il nuovo movimento comunista italiano sarà all’altezza del suo compito.

Noi comunisti dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani del marasma in cui ha cacciato le masse popolari del nostro paese.

Dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani della sorte dei milioni di disoccupati ed emarginati che la Repubblica Pontificia ha creato e sta creando nel nostro paese.

Dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani della sorte di miseria, umiliazione, galera e morte a cui la Repubblica Pontificia condanna centinaia di migliaia di emigranti.

Dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani dell’abbrutimento razzista in cui ha condotto una parte importante delle masse popolari: le zone di maggior impiantamento della Lega Nord sono anche le zone dove la Chiesa ha maggiore egemonia intellettuale  e morale (anzitutto il Veneto, le province di Bergamo e Brescia e le altre province lombarde).

 

Questi sono i temi che dobbiamo porre al centro della battaglia politica, imporre come centro dell’attenzione anche nel teatrino della politica borghese.

 

Per realizzare tutto ciò dobbiamo in particolare dare una prospettiva politica realistica e costruttiva anche alle masse popolari che, in misura più o meno forte, ancora subiscono l’egemonia intellettuale e morale del Vaticano e della sua Chiesa, ma sono contrarie alla condotta razzista e criminale della banda Berlusconi, alle loro associazioni, correnti, gruppi e ai personaggi che le rappresentano. Dobbiamo evitare che il buonismo, stupido, ipocrita e inconsistente alla prova dei fatti, della sinistra borghese, porti anch’esse all’esaurimento e a cedere il passo alla mobilitazione reazionaria.

Non ha senso predicare a chi è a rischio di perdere quello che ha conquistato, che deve dividere la miseria con chi non ha nulla. Una vita dignitosa per tutti è possibile.

Le sei misure che sintetizzano i provvedimenti che prenderà il governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari (il governo di Blocco Popolare) sono l’unico programma realistico e costruttivo anche delle associazioni e correnti antirazziste cattoliche. Dobbiamo portarlo anche tra esse e tradurlo anche con esse in un movimento politico che le attui: la costituzione di un governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari.

 

Che il Vaticano levi dal fuoco le sue castagne, che peli le sue gatte, che ingoi i suoi rospi!

 

Per la natura stessa delle cose le masse popolari che ancora in tutto o in parte subiscono l’egemonia intellettuale e morale del Vaticano e della sua Chiesa non possono darsi altro programma che le sei misure che noi proponiamo per il governo di Blocco Popolare, salvo aderire alla mobilitazione reazionaria. Per non perdere completamente la sua egemonia, il Vaticano e la sua Chiesa saranno costretti a ingoiare o a spaccarsi. Su questo oggi i vescovi e i prelati del Vaticano stanno già litigando. Noi comunisti dobbiamo portare con decisione e chiarezza la nostra proposta politica alle masse popolari da cui il Vaticano e la Chiesa dipendono! Il Vaticano e la sua Chiesa per loro natura sono nemici del socialismo e incompatibili col socialismo. Ma le masse popolari sono il loro tallone d’Achille e il loro futuro è nel socialismo.

 

Questo è il quadro della crisi politica in Italia, questi sono i suoi attori principali dal lato delle classi dominanti.

Come si vede, è un quadro strettamente legato alla Campagna d’Autunno per i posti di lavoro, all’instaurazione di un governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari, all’instaurazione del socialismo. Per capirlo chiaramente e tradurre questa interpretazione del mondo in un’efficace azione di trasformazione del mondo bisogna che noi comunisti assimiliamo a un livello superiore il Materialismo Dialettico, che rompiamo ancora più nettamente i nostri legami con il dogmatismo e con l’economicismo che hanno infettato e frenato e in definitiva reso impotente il vecchio movimento comunista del nostro paese e degli altri paesi imperialisti, che adeguiamo la nostra azione alla situazione concreta con cui abbiamo a che fare che a grandi linee, a livello nazionale, è quella sopra descritta.

 

La strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata ci permette e ci obbliga a elaborare tutte le forme di transizione, tutti i passaggi necessari tra la situazione presente che abbiamo sopra delineato, l’instaurazione del socialismo, il comunismo. Essa porta nel movimento comunista del nostro paese, e degli altri paesi imperialisti, una grande innovazione. Secondo la concezione prevalente nel vecchio movimento comunista, la rivoluzione socialista consisteva in un’insurrezione che prima o poi sarebbe scoppiata per la combinazione e la confluenza di una serie di fattori su cui il Partito comunista aveva poca o nessuna influenza. La rivoluzione socialista era un evento che sarebbe scoppiato e il Partito comunista doveva prepararsi per essere pronto a cogliere l’occasione. Questa concezione si è dimostrata fallimentare nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria. Il movimento comunista non ha instaurato il socialismo in alcun paese imperialista. Non a caso simile concezione (rivoluzione che scoppierà e partito che si prepara) trova la sua espressione più aperta e integrale e nello stesso tempo caricaturale nella concezione e nella pratica delle sette trotzkiste e bordighiste. Mentre nel movimento comunista reale quella concezione primitiva, mutuata dall’esperienza della rivoluzione borghese, è sempre entrata in contrasto con le esigenze pratiche del movimento stesso. Noi abbiamo tirato le conclusioni teoriche di quel contrasto che l’esperienza ha più volte messo in luce. E il movimento comunista per arrivare al successo ha bisogno di una certa coscienza di quello che sta facendo: senza teoria rivoluzionaria il movimento comunista non può andare oltre un livello elementare.

Il valore della strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata sta invece nel concepire la rivoluzione socialista come un processo che il Partito costruisce campagna dopo campagna, una linea che il Partito attua facendo leva sul movimento spontaneo delle masse popolari per accrescere le sue forze, una guerra che il Partito conduce manovrando fase dopo fase le forze di cui già dispone per acuire le contraddizioni tra la classe dominante e le masse popolari e le contraddizioni tra i gruppi della borghesia imperialista (insomma la crisi politica) fino a rendere impossibile alla borghesia il governo del paese.

L’instaurazione del socialismo sarà un processo compiuto dalle masse popolari promosso e guidato dal Partito comunista a partire dalla situazione attuale e facendo leva sulle contraddizioni proprie della situazione attuale, in primo luogo sulle contraddizioni della crisi politica della classe dominante: quelle che abbiamo fin qui illustrato.

 

Noi dobbiamo avanzare tutte le rivendicazioni economiche e pratiche, dobbiamo esigere dalle Autorità e dai capitalisti tutti i provvedimenti economici necessari per alleviare immediatamente le sofferenze delle masse popolari, in primo luogo lavoro e reddito. Le sei misure del governo di Blocco popolare sintetizzano questi provvedimenti.  Le rivendicazioni economiche sono indispensabili e possono avere successo. Ma il fattore decisivo del successo e quello che a lungo andare decide di tutto è la lotta politica.

 

In un contesto come quello della fase terminale, i problemi economici si risolvono con misure politiche.

Le singole aziende sono in crisi, perché l’intero sistema delle relazioni sociali è in crisi, deve cambiare!

 

La rinascita del movimento comunista è frenata dal dogmatismo e dall’economicismo dei comunisti.

1. Anche di fronte al precipitare della crisi la maggior parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti si rifugiano virtuosamente nell’analisi che Marx ha fatto delle crisi cicliche decennali del secolo XIX e, a conferma della giustezza della loro lotta contro il revisionismo moderno, rivendicano la confermata verità del marxismo (quello che però ora fa perfino Tremonti). In realtà la crisi attuale ha a che fare solo alla lontana con quelle crisi. Esse duravano al massimo pochi anni ed erano risolte dalla spontanea ripresa degli affari, dei consumi e degli investimenti. L’attuale non è una crisi ciclica di breve periodo. È la fase terminale della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Lo studio dell’esperienza della prima crisi generale del capitalismo, quella della prima parte del secolo XX, più che lo studio dell’esperienza delle crisi cicliche decennali del secolo XIX, ci aiutano a capirla. Essa ha prospettive, forme di sviluppo e leggi di sviluppo diverse da quelle delle crisi cicliche decennali del secolo XIX. Dalla crisi attuale non si esce per ripresa spontanea degli affari, dei consumi e degli investimenti. Si esce tramite uno sconvolgimento profondo delle relazioni politiche internazionali e del sistema delle relazioni sociali almeno nei maggiori paesi. Questo è il contesto della nostra lotta.

2. Di fronte al precipitare della crisi la maggior parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti invocano misure politiche keynesiane e ne promuovono la rivendicazione. Certamente bisogna costringere la borghesia e le sue autorità a prendere provvedimenti contronatura (cioè contrari alla natura dei capitalisti), ed è possibile farlo: le sei misure del governo di Blocco popolare ne sono la sintesi. L’enormità del disastro economico, sociale e ambientale, la salutare paura di perdere tutto (non solo la ricchezza ma anche la pelle) e l’esistenza di strumenti tecnici come la moneta fiduciaria mondiale (che resiste nonostante le spinte verso l’oro che sta diventando anch’esso nuovamente moneta internazionale) ci consentono di obbligare i capitalisti a misure contronatura. Ma i capitalisti le prenderanno e le manterranno e queste misure saranno passi e aspetti del processo costruttivo di un nuovo ordine e non solo fattori di disfacimento del vecchio, solo se saranno promosse e imposte da un movimento di lavoratori e masse popolari organizzate che vogliono instaurare il socialismo (quindi nell’ambito di una strategia, con forme di transizione adeguate al grado di sviluppo dell’organizzazione e della coscienza delle masse, con strumenti organizzativi adeguati). Le misure keynesiane alleviano momentaneamente, ora qua ora là, le sofferenze delle masse popolari ma non risolvono la crisi. La prima crisi generale fu risolta dalle guerre mondiali e dalla prima ondata della rivoluzione proletaria, non dal New Deal di Roosevelt né dalle affini politiche economiche fasciste e naziste. Le misure keynesiane creano a loro volta altri contrasti e costrizioni insopportabili. Generano corruzione ad ogni livello e di svariatissimi tipi, nelle classi dominanti e tra le masse popolari. Gruppi di capitalisti approfittano delle misure che le masse popolari impongono alla loro classe, le deformano e le revocano (le misure sono precarie). Tutto ciò crea un disfacimento sociale generale. Infatti sono misure che agiscono solo sul lato della distribuzione, non agiscono sul lato della produzione. Un partito comunista che propone solo o principalmente una politica keynesiana (nel migliore dei casi un reddito universale) senza una riorganizzazione generale del sistema delle relazioni sociali (in primo luogo di quelle di politiche e poi di quelle economiche), crea principalmente caos e si limita al caos. Quindi apre la via (o lascia comunque la via aperta) alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Una politica rivoluzionaria che mira all’instaurazione del socialismo è la sola che rende massime le possibilità di successo delle singole rivendicazioni e combina ogni singolo successo in un processo che sfocerà nell’instaurazione del nuovo superiore ordine sociale: il socialismo.

 

La strategia della guerra popolare di lunga durata ci permette di combinare in modo giusto lotta politica e rivendicazione economiche, l’obiettivo finale con i singoli passi del processo che porta all’obiettivo finale. Ci permette di tirare dalla crisi, politica economica e culturale in cui la borghesia ha gettato l’umanità, tutto il positivo possibile. La borghesia ha causato un grande cataclisma. L’umanità è coinvolta e sconvolta da un dramma di dimensioni epocali. Ma può uscirne con un grande passo in avanti dell’evoluzione storica della specie umana. Questo è il senso della nostra lotta.

Il nostro programma è fare dell’Italia un nuovo paese socialista, facendo leva anche sulle anormalità, sulle caratteristiche particolari che fanno dell’Italia attuale una Repubblica Pontificia, governata da un’autorità di ultima istanza che si vuole di origine divina.

I primi paesi socialisti ci hanno mostrato a grandi linee la strada da seguire. Le aziende devono diventare istituzioni pubbliche come le scuole, gli ospedali, le tante aziende di servizi pubblici che già abbiamo visto all’opera. Devono essere amministrate secondo criteri di pubblica utilità, per soddisfare la richiesta individuale e collettiva di beni e di servizi da parte della popolazione. I beni e i servizi devono essere distribuiti alle famiglie, ai lavoratori autonomi, alle aziende o destinate a impieghi di pubblica utilità secondo criteri noti e condivisi. Questa è il punto di partenza e la base materiale del socialismo. I primi paesi socialisti, nella prima fase della loro esistenza, prima che la destra vi prendesse il sopravvento, introducesse criteri borghesi di direzione e di gestione e li avviasse sulla via della decadenza, della corruzione e del disfacimento, ci hanno mostrato che il socialismo è possibile e che è un sistema superiore di società. Chi nega il ruolo storico principalmente positivo dei primi paesi socialisti e rifiuta la strada che nella prima fase della loro pur breve esistenza essi hanno indicato al mondo, non è in grado di presentare un’alternativa di società alla società attuale. È inevitabilmente ridotto ad auspicare sterilmente una società come l’attuale senza i suoi lati evidentemente negativi, un capitalismo senza speculazione, con il capitale finanziario moderato, con i capitalisti che si accontentano del “giusto profitto” e con la moderazione che consentirebbe a tutti di avere di che vivere. In realtà solo superando i limiti messi in luce dalla prima ondata della rivoluzione proletaria ma applicando le sue lezioni possiamo concepire e realizzare una società alternativa all’attuale.

 

Non si tratta di inventare piattaforme di obiettivi che dovrebbero unire e mobilitare le masse. Si tratta di imporre con le forze esistenti alla borghesia, tramite la paura di perdere tutto compresa la pelle, misure che per la borghesia sono contronatura e quindi impossibili e provvisorie, di raccogliere grazie ai successi così conseguiti forze maggiori fino a costituire un nuovo potere abbastanza forte per instaurare un nuovo organico sistema di relazioni economiche e sociali in tutto il paese e un nuovo sistema di relazioni internazionali.

 

Il comunismo è principalmente il movimento pratico di trasformazione dello stato attuale delle cose. È nella pratica della lotta per distruggere il sistema imperialista mondiale e costruire il nuovo mondo che si dimostra la superiorità della concezione comunista. Per trasformare il mondo, bisogna conoscerlo. Ma l’aspetto principale è la trasformazione. Conosciamo per trasformare!

 

Questa è la concezione che guida il (nuovo)Partito comunista italiano!

 

È animati da questa concezione che noi chiamiamo tutti i comunisti, tutti i lavoratori avanzati, tutti i progressisti e i sinceri democratici a lottare con forza contro il governo della banda Berlusconi e contro la Repubblica Pontificia, per porre fine alla sua politica aggressiva contro i popoli oppressi e per porre fine alla crisi generale in cui ha precipitato le masse popolari del nostro paese. Si tratta di una unica lotta.

 

Le misure per impedire gli effetti più disastrosi della crisi generale del capitalismo e l’instaurazione di un governo di Blocco Popolare che le attui, aprono la via all’instaurazione del socialismo e rafforzano la lotta antimperialista in ogni angolo del mondo!

 

Con la nostra lotta per instaurare il socialismo nel nostro paese diamo un grande contributo alla lotta delle masse popolari degli altri paesi e alla rinascita del movimento comunista a livello internazionale!

 

Per la nostra lotta per instaurare il socialismo nel nostro paese possiamo giovarci delle lotte che le masse popolari degli altri paesi in tutto il mondo conducono per far fronte alla fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo e per porre fine all’aggressione imperialista!

 

Per questo lotta il nuovo Partito comunista italiano!

Per questa lotta il nuovo PCI chiede il concorso e il contributo della parte più generosa e onesta, della parte più avanzata delle masse popolari del nostro paese!

 

Compagni, operai, proletari, donne, immigrati e giovani: arruolatevi nel (nuovo)Partito comunista italiano!

 

Partecipate alla campagna di organizzazione del Partito!

Costituite clandestinamente in ogni azienda, in ogni zona e in ogni organizzazione di massa un Comitato di Partito!