Claudio Latino, arrestato il 12/2/2007, dopo essere
stato detenuto presso il carcere di S.Vittore di Milano, sempre in regime di
isolamento, il 11/6/2007 viene trasferito a Livorno e “depositato” nella
sezione di osservazione psichiatrica. Solo dopo l’intervento di parenti e
avvocati e dopo 2 settimane di questo trattamento viene messo nella sezione EIV
dove tuttora si trova.
Riportiamo quanto ha scritto su questa esperienza.
TOUR A LIVORNO – BREVE CRONACA DI ORDINARIA FOLLIA CARCERARIA
“Si prepari che è in partenza”. La voce dallo spioncino dà la sveglia,
l’orologio dice ore 6 di lunedì 11 giugno. Un’ora per i bagagli.
E’ incredibile quanto roba si accumula in quattro mesi di isolamento. Un
sacco nero di vestiti, uno di libri, cancelleria e corrispondenza, uno
piccolo da accessori bagno, una borsa di roba da cucina e alimenti.
Data l’ora il commiato con il popolo di san Vittore si riduce al saluto dei
lavoranti che passano e a piccole eredità alimentari da lasciare ai pochi di
cui si ha una minima conoscenza.
Scarpinata, carico come un mulo lungo, lungo i vari corridoi e cortili fino
all’entrata furgoni. Parcheggio in “camera di sicurezza” stile scantinato
lurido. Perquisa e breve interlocuzione con il capo scorta che con tono
lievemente sprezzante comunica la destinazione: Livorno. La parola evoca
diversi collegamenti dalla fondazione del PCI alla squadra di calcio con al
tifoseria di compagni, ma nella toponomastica carceraria richiama cose non
proprio piacevoli. Comunque otto ore di furgone in una gabbia dove quando
entri il primo pensiero è: “meno male che sono piccolo” e il campo visivo è tutto
sforacchiato. Dopo un po’ il passatempo delle acrobazie visive per guardare
il paesaggio diventa troppo costoso con l’immagine ridotta a palline che ti
rimbalzano nel cervello. Meglio far finta di dormire.
In certe situazioni sembra che il corpo apra autonomamente una sua linea di
scontro e una pisciata ogni due ore diventa una cosa imprescindibile con al
conseguente “querelle” con la scorta. Tappe: Lucca, Massa, Pisa. Ogni tappa
un detenuto e così scopri che in partenza si era in quattro. Gli altri tutti
arabi.
Arrivo a Livorno ore 15.30. Impatto asettico, senza presenza umana.
Telecamere, cancelli e blindate che si aprono con comando a distanza. La
scorta mi parcheggia in camera di sicurezza telecamerizzata e con spioncino
sigillato. Per più di un’ora non vedo nessuno della nuova “custodia”. Poi
arrivano, passaggio in locale perquisì, nudo, flessioni, setaccio bagagli.
Non “passa” l’orologio di “metallo”, le scarpe che impertinenti suonano al
meta detector e tutta la roba da mangiare.
Pratiche di accettazione: impronte, foto e visita medica. Poi di nuovo
scarpinata da mulo tra telecamere e cancelli elettrici.
Destinazione finale
cella nuda. Non c’è niente: niente tavolo, niente sgabello, niente
armadietto, solo il letto. Con l’ultima pisciata scopri che nemmeno lo
sciacquone della turca funzione e così capisci la ragione del fetore che
tormenta le narici. La ciliegina è la finestra con una lamiera bucherellata
saldata alle sbarre, nel solito stile campo visivo “a palline”. Inevitabile
diventa l’apertura di un “cortese contenzioso” per un immediato cambio cella,
con il custode di turno. E come sempre nella contraddizione affiora la
realtà: sezione di osservazione psichiatrica per detenuti sottoposti a regime
di alta sorveglianza. Ottenuta la sistemazione in una cella “accessoriata”
senza lamiera alla finestra, e con lo sciacquone funzionante spunta impetuosa
nella mente il quesito: “ Che cazzo ci faccio qui?”
Trentacinque chili in settanta giorni. Calo ponderale per sciopero della
fame. E’ il mio coinquilino dirimpettaio di cella. Tunisino, traffico di
coca, alta sorveglianza. Oltre allo sciopero della fame ha fatto anche dieci
giorni di sciopero della sete che gli ha ridotto la funzionalità urinaria al
40%. Non è preso bene, lo imbottiscono di psicofarmaci e tranquillanti. Ha
tentato più volte il suicidio, dice di non sopportare la detenzione e a
vederlo risulta difficile non credergli.
C’è molto silenzio, respiri aria di depressione. La vedi nelle facce delle
poche presenze evanescenti che passano davanti alla cella, oltre ai lavoranti
tutti cinesi. Nel braccetto, diviso dal resto della sezione da un cancello,
in tutto siamo in tre. Oltre al tunisino, un siciliano arrivato dopo di me.
“Associazione” sedici anni di galera fatti, decine da fare, dice che lo hanno
mandato qui con l’etichetta di schizofrenico.
Armadietti fuori nel corridoio; perché tutti, tranne me, possono tenere
letteralmente nulla in cella e anche per avere un cambio di mutande devo
chiamare la guardia. Aria a turno, uno alla volta, unico cortile, orari e
durata imprecisati.
Clima buono, soleggiato e ventilato, volo di gabbiani e odore di mare.
Colori: grigio panna del cemento, azzurro chiaro del cielo, giallo ocra dei
muri scrostati del “Residence”.
La quiete ammorbata dei depressi ogni tanto va in frantumi. Battitura per una
mancata telefonata. Crisi epilettica del siciliano. E’ la seconda crisi
epilettica che vedo in quattro mesi di cella di isolamento. Prima era
quindici anni che non ne incrociavo una, si vede che l’ambiente concilia.
“Come mai l’hanno trasferita qui?” E’ la domanda della psicologa ingenuamente
inconsapevole di sfiorare il ridicolo. Ridicola perché rivolta al soggetto
che suo malgrado subisce tutta la vicenda, ma non peregrina. Dopo quattro
mesi di isolamento giudiziario in attesa del deposito atti da parte della
pubblica accusa vengo trasferito a quattrocento chilometri di distanza dalla
sede del processo fin qui dato per imminente. Alla faccia del diritto alla
difesa “tutelato” dalla “democrazia” borghesia. “Lei è stato assegnato qui
dal Ministero ma non possiamo metterla nella sezione a E.I.V. perché ci sono
disposizioni che non lo consentono.” E’ la risposta dell’ispettore di turno
alla stessa domanda, questa volta posta da me.
Il paradosso impera. Il Ministero mi classifica E.I.V., che nei gironi
carcerari sta subito prima del 41 bis e subito dopo dell’Alta Sorveglianza
(A.S.), ma non posso nemmeno accedere al mio girone e quindi scivolo
automaticamente nell’unica “sistemazione disponibile”: la sezione di osservazione
anticamera del manicomio criminale.
Non considerando che si possa trattare di un caso di psicanalizzazione degli
oppositori politici di revisionistica memoria; di cosa si tratta? La tesi che
mi viene propinata della custodia è che siamo di fronte ad un errore del
Ministero che non si sarebbe accorto che tra le disposizioni stabilite dal
magistrato la dott. Boccassini, c’è il divieto di “avere contatti con altri
detenuti ristretti per reati concernenti associazione sovversiva e/o banda
armata”.
Essendoci nella sezione E.I.V. qualcuno in questa situazione hanno pensato
bene di parcheggiarmi temporaneamente qui in attesa di nuove disposizioni.
L’altra possibilità è che sia un errore non casuale, una particolare misura
repressiva non gestita esplicitamente. In questo caso la dott.ssa Boccassini
ne è la principale responsabile in collaborazione con il Ministero.
Concludo con una citazione di un mio compagno di sventura
“I veri pazzi sono gli psichiatri”
Livorno, via Macchie n. 9
17 giugno 2007
Claudio Latino
Stralci di una lettera del 22 giugno 2007-07
Ero all’aria quando sento un odore di bruciato e mi giro. Un denso fumo nero
esce dalla finestra di Medi, un tunisino che ha la cella di fronte alla mia.
E’ una colonna di fumo che riempie tutta la finestra. Dopo 5 giorni di
sciopero della fame ha dato fuoco alla cella. Si sparge un po’ di panico tra
la gente rinchiusa, non è bello sentirsi in trappola. Io egoisticamente
faccio in tempo a pensare: “Per fortuna che sono all’aria”. Il secondo pensiero
è: “Forse medi ha aspettato che scendessi per farlo”. E’ un tipo molto dolce
e rispettoso. Lancio un paio di urla: “Al fuoco, al fuoco” e intervengono le
guardie con gli estintori. L’incendio viene spento ma il dramma no. Sento
Medi piangere sconsolato dice che non sopporta il carcere e vuole tornare
delle sue bambine. E’ al terzo sciopero della fame, è in carcere da 10 mesi e
ha già perso 35 chili. In pratica è ridotto a una larva. Quando torno in
sezione nella cella di Medi c’è il disastro, un po’ di povere cose
bruciacchiate sono sparse per il corridoio e Medi lo hanno traslocato due
celle più in là. In pantaloncini e niente altro.
Può far sorridere ma io qui sono quello messo meglio, di gran lunga meglio di
tutti….solo che non è possibile non soffrire della sofferenza umana. Ci
riescono bene le guardie, sono pagate per questo, sono selezionate per
questo, sono formate per questo. Sono disumanizzate per questo.
…Vi lascio, c’è da vedere che fine fa Medi, per ora siamo riusciti a fargli
avere la maglietta ma è in una cella senza acqua e senza materasso.
Ciao Claudio
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