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SULLA SEZIONE LAGER DI OSSERVAZIONE PSICHIATRICA DI LIVORNO

 

MEMORIALE DEL 13 GIUGNO 2003 SUL PERIODO 26-5-2002/23-6-2002 DENUNCIATO DA PAOLO, INSERITO ALL'EPOCA IN "ANARCOTICO"

 

SUL CASO LONZI (ucciso nella sezione "normale") http://www.associazionevittimearmielettroniche-mentali.org/www.avae-m.org/AVVOCATOTRUPIANO.htm#lonzi

 

SUL CASO DEL DETENUTO BRUZZANITI "suicidato" nel giugno 2003 e conosciuto da Paolo nel giugno 2002 in brevissime comunicazioni tra cancello e cancello, detenuto come lui nella sezione di osservazione psichiatrica in totale isolamento. Pare che nonostante il processo del 29 ottobre 2004 alle istituzioni carcerarie di Livorno, con la lunga testimonianza di Paolo davanti al pubblico e il rinvio degli atti al PM, NON SIA CAMBIATO NULLA DA ALLORA ! Ricordiamo che all'epoca il "direttore" della sezione era tale Paolo Bernardini, ex psichiatra militare.

Sul processo di LIVORNO: http://www.paolodorigo.it/sulprocessodiLivorno.htm

 

Dal sito del “Soccorso rosso internazionale”

Breve cronaca di follia carceraria scritta dal compagno Claudio Latino, arrestato il 12 febbraio 2007

 

Claudio Latino, arrestato il 12/2/2007, dopo essere stato detenuto presso il carcere di S.Vittore di Milano, sempre in regime di isolamento, il 11/6/2007 viene trasferito a Livorno e “depositato” nella sezione di osservazione psichiatrica. Solo dopo l’intervento di parenti e avvocati e dopo 2 settimane di questo trattamento viene messo nella sezione EIV dove tuttora si trova.
Riportiamo quanto ha scritto su questa esperienza.

TOUR A LIVORNO – BREVE CRONACA DI ORDINARIA FOLLIA CARCERARIA


“Si prepari che è in partenza”. La voce dallo spioncino dà la sveglia, l’orologio dice ore 6 di lunedì 11 giugno. Un’ora per i bagagli.
E’ incredibile quanto roba si accumula in quattro mesi di isolamento. Un sacco nero di vestiti, uno di libri, cancelleria e corrispondenza, uno piccolo da accessori bagno, una borsa di roba da cucina e alimenti.
Data l’ora il commiato con il popolo di san Vittore si riduce al saluto dei lavoranti che passano e a piccole eredità alimentari da lasciare ai pochi di cui si ha una minima conoscenza.
Scarpinata, carico come un mulo lungo, lungo i vari corridoi e cortili fino all’entrata furgoni. Parcheggio in “camera di sicurezza” stile scantinato lurido. Perquisa e breve interlocuzione con il capo scorta che con tono lievemente sprezzante comunica la destinazione: Livorno. La parola evoca diversi collegamenti dalla fondazione del PCI alla squadra di calcio con al tifoseria di compagni, ma nella toponomastica carceraria richiama cose non proprio piacevoli. Comunque otto ore di furgone in una gabbia dove quando entri il primo pensiero è: “meno male che sono piccolo” e il campo visivo è tutto sforacchiato. Dopo un po’ il passatempo delle acrobazie visive per guardare il paesaggio diventa troppo costoso con l’immagine ridotta a palline che ti rimbalzano nel cervello. Meglio far finta di dormire.
In certe situazioni sembra che il corpo apra autonomamente una sua linea di scontro e una pisciata ogni due ore diventa una cosa imprescindibile con al conseguente “querelle” con la scorta. Tappe: Lucca, Massa, Pisa. Ogni tappa un detenuto e così scopri che in partenza si era in quattro. Gli altri tutti arabi.
Arrivo a Livorno ore 15.30. Impatto asettico, senza presenza umana. Telecamere, cancelli e blindate che si aprono con comando a distanza. La scorta mi parcheggia in camera di sicurezza telecamerizzata e con spioncino sigillato. Per più di un’ora non vedo nessuno della nuova “custodia”. Poi arrivano, passaggio in locale perquisì, nudo, flessioni, setaccio bagagli. Non “passa” l’orologio di “metallo”, le scarpe che impertinenti suonano al meta detector e tutta la roba da mangiare.
Pratiche di accettazione: impronte, foto e visita medica. Poi di nuovo scarpinata da mulo tra telecamere e cancelli elettrici. Destinazione finale cella nuda. Non c’è niente: niente tavolo, niente sgabello, niente armadietto, solo il letto. Con l’ultima pisciata scopri che nemmeno lo sciacquone della turca funzione e così capisci la ragione del fetore che tormenta le narici. La ciliegina è la finestra con una lamiera bucherellata saldata alle sbarre, nel solito stile campo visivo “a palline”. Inevitabile diventa l’apertura di un “cortese contenzioso” per un immediato cambio cella, con il custode di turno. E come sempre nella contraddizione affiora la realtà: sezione di osservazione psichiatrica per detenuti sottoposti a regime di alta sorveglianza. Ottenuta la sistemazione in una cella “accessoriata” senza lamiera alla finestra, e con lo sciacquone funzionante spunta impetuosa nella mente il quesito: “ Che cazzo ci faccio qui?”
Trentacinque chili in settanta giorni. Calo ponderale per sciopero della fame. E’ il mio coinquilino dirimpettaio di cella. Tunisino, traffico di coca, alta sorveglianza. Oltre allo sciopero della fame ha fatto anche dieci giorni di sciopero della sete che gli ha ridotto la funzionalità urinaria al 40%. Non è preso bene, lo imbottiscono di psicofarmaci e tranquillanti. Ha tentato più volte il suicidio, dice di non sopportare la detenzione e a vederlo risulta difficile non credergli.
C’è molto silenzio, respiri aria di depressione. La vedi nelle facce delle poche presenze evanescenti che passano davanti alla cella, oltre ai lavoranti tutti cinesi. Nel braccetto, diviso dal resto della sezione da un cancello, in tutto siamo in tre. Oltre al tunisino, un siciliano arrivato dopo di me. “Associazione” sedici anni di galera fatti, decine da fare, dice che lo hanno mandato qui con l’etichetta di schizofrenico.
Armadietti fuori nel corridoio; perché tutti, tranne me, possono tenere letteralmente nulla in cella e anche per avere un cambio di mutande devo chiamare la guardia. Aria a turno, uno alla volta, unico cortile, orari e durata imprecisati.
Clima buono, soleggiato e ventilato, volo di gabbiani e odore di mare. Colori: grigio panna del cemento, azzurro chiaro del cielo, giallo ocra dei muri scrostati del “Residence”.
La quiete ammorbata dei depressi ogni tanto va in frantumi. Battitura per una mancata telefonata. Crisi epilettica del siciliano. E’ la seconda crisi epilettica che vedo in quattro mesi di cella di isolamento. Prima era quindici anni che non ne incrociavo una, si vede che l’ambiente concilia.
“Come mai l’hanno trasferita qui?” E’ la domanda della psicologa ingenuamente inconsapevole di sfiorare il ridicolo. Ridicola perché rivolta al soggetto che suo malgrado subisce tutta la vicenda, ma non peregrina. Dopo quattro mesi di isolamento giudiziario in attesa del deposito atti da parte della pubblica accusa vengo trasferito a quattrocento chilometri di distanza dalla sede del processo fin qui dato per imminente. Alla faccia del diritto alla difesa “tutelato” dalla “democrazia” borghesia. “Lei è stato assegnato qui dal Ministero ma non possiamo metterla nella sezione a E.I.V. perché ci sono disposizioni che non lo consentono.” E’ la risposta dell’ispettore di turno alla stessa domanda, questa volta posta da me.
Il paradosso impera. Il Ministero mi classifica E.I.V., che nei gironi carcerari sta subito prima del 41 bis e subito dopo dell’Alta Sorveglianza (A.S.), ma non posso nemmeno accedere al mio girone e quindi scivolo automaticamente nell’unica “sistemazione disponibile”: la sezione di osservazione anticamera del manicomio criminale.
Non considerando che si possa trattare di un caso di psicanalizzazione degli oppositori politici di revisionistica memoria; di cosa si tratta? La tesi che mi viene propinata della custodia è che siamo di fronte ad un errore del Ministero che non si sarebbe accorto che tra le disposizioni stabilite dal magistrato la dott. Boccassini, c’è il divieto di “avere contatti con altri detenuti ristretti per reati concernenti associazione sovversiva e/o banda armata”.
Essendoci nella sezione E.I.V. qualcuno in questa situazione hanno pensato bene di parcheggiarmi temporaneamente qui in attesa di nuove disposizioni.
L’altra possibilità è che sia un errore non casuale, una particolare misura repressiva non gestita esplicitamente. In questo caso la dott.ssa Boccassini ne è la principale responsabile in collaborazione con il Ministero.

Concludo con una citazione di un mio compagno di sventura
“I veri pazzi sono gli psichiatri”

Livorno, via Macchie n. 9
17 giugno 2007

Claudio Latino




Stralci di una lettera del 22 giugno 2007-07


Ero all’aria quando sento un odore di bruciato e mi giro. Un denso fumo nero esce dalla finestra di Medi, un tunisino che ha la cella di fronte alla mia. E’ una colonna di fumo che riempie tutta la finestra. Dopo 5 giorni di sciopero della fame ha dato fuoco alla cella. Si sparge un po’ di panico tra la gente rinchiusa, non è bello sentirsi in trappola. Io egoisticamente faccio in tempo a pensare: “Per fortuna che sono all’aria”. Il secondo pensiero è: “Forse medi ha aspettato che scendessi per farlo”. E’ un tipo molto dolce e rispettoso. Lancio un paio di urla: “Al fuoco, al fuoco” e intervengono le guardie con gli estintori. L’incendio viene spento ma il dramma no. Sento Medi piangere sconsolato dice che non sopporta il carcere e vuole tornare delle sue bambine. E’ al terzo sciopero della fame, è in carcere da 10 mesi e ha già perso 35 chili. In pratica è ridotto a una larva. Quando torno in sezione nella cella di Medi c’è il disastro, un po’ di povere cose bruciacchiate sono sparse per il corridoio e Medi lo hanno traslocato due celle più in là. In pantaloncini e niente altro.
Può far sorridere ma io qui sono quello messo meglio, di gran lunga meglio di tutti….solo che non è possibile non soffrire della sofferenza umana. Ci riescono bene le guardie, sono pagate per questo, sono selezionate per questo, sono formate per questo. Sono disumanizzate per questo.
…Vi lascio, c’è da vedere che fine fa Medi, per ora siamo riusciti a fargli avere la maglietta ma è in una cella senza acqua e senza materasso.

Ciao Claudio