IN MATERIA DI
OPZIONE STRATEGICA (“combattentismo”
a parole e di saltuaria espressione “simbolista”, e opportunismo nei fatti,
atto ad IMPEDIRE la crescita della classe operaia e del proletariato, oggi più
ancora di ieri, maggioranza tra le classi lavoratrici, anche grazie alla sua
diffusione mondiale conseguente all’espansione mondiale del m.p.c.,
prospetticamente anche maggioranza rispetto alla classe contadina;
secondariamente si tenga conto dello scioglimento della RAF nel 1996 come
evidente dimostrazione della deriva dell’impostazione guerrigliera metropolitana,
e della caduta per la terza volta in meno di vent’anni, dei tentativi di
ricostruzione delle FF.RR. da parte delle BR-PCC, come dimostrazione empirica
dell’errore; errore che ebbe inizio con lo scioglimento del Fronte delle
Fabbriche da parte delle BR nel 1976, segno dell’abbandono progressivo della
Linea di Massa; infine, dei riferimenti ideologici “terzomondisti” dell’opportunismo:
a parte il Medio oriente, nulla o poco più: una “dipendenza petrolifera” in
materia di visione strategica) E DI STRATEGIA ED IDEOLOGIA PROLETARIA
RIVOLUZIONARIA COME ESPRESSIONE COMUNISTA ATTUALE E CONTEMPORANEA (MLM
principalmente maoismo), IN ITALIA, XXI SECOLO
Dal documento presentato ai Tribunali di
Livorno e Biella nel maggio-ottobre 2004 da Paolo Dorigo in detenzione (LINK: http://www.paolodorigo.it/2004_05_14_Livorno_Documento_n_1.htm
http://www.paolodorigo.it/doc 2
htm/2004_05_14-2005_04_25-Documento 2 - Livorno - aggiornatoi.html
)
(…)
Vi sono anche delle considerazioni da fare,
a trentacinque anni dall'inizio della guerriglia in Europa e a quaranta dalle
prime esperienze in USA: sotto il protilo della memoria delle masse, che le
masse hanno delle esperienze, il modello della guerriglia metropolitana è
stato, anche nel Tricontinente, a parte forse i n Uruguay dove i guerriglieri
presiedono le camere parlamentari, del tutto sconfitto dai media della
borghesia imperialista, verso i quali voleva competere con la logica della
“sfida” (i sequestri, l'implicito ma negato politicamente, “bisogno di un
riconoscimento” dall'infame stato borghese), in quanto, inserendosi
preliminarmente nelle sue logiche, ne è rimasto impigliato e sconfitto poi sul
piano dei rapporti di forza. Di qui alle “star”, dei libri revisionisti di
ex-guerriglieri metropolitani, alle “interviste” con voce pacata e riflessiva,
rivisitante il passato, incutente timore reverenziale di resa ai giovani, il
passo è stato, per la gran parte dei dirigenti della guerriglia metropolitana
(Italia, Germania, Francia), molto breve, pressocchè automatico. Ne è un
esempio il politicamente giovane Persichetti, che dall'alto della sua breve
esperienza, dà degli “epigoni” ai compagni più recentemente arrestati. La
logica della differenziazione carceraria ha vinto su questo modello, perchè ha
saputo imporre i suoi tempi e le sue “leggi” a gran parte del corpo militante
prigioniero. La lotta contro questa repressione e sistema carcerario si è così
piegata, da collettiva ed esemplare (Asinara, 1978, Trani, 1981), ad
individuale e spesso inquinata da tentativi di gestione del potere. Ciò
nonostante, anzi proprio per l'esperienza di ciò che è stato, la solidarietà
nell'affermarsi, apre all'orizzonte anche nei paesi capitalistici “avanzati”,
della guerra popolare quale sistema di distruzione/costruzione rivoluzionaria
del tutto maturo e diversamente basato, sulle masse e non sulla sola
soggettività.
(dal capitolo 9)
La rottura del ’69 operaio che seguì al
’68 del movimento degli studenti in tutti i paesi occidentali, grazie anche
alla forza della GRCP, fu catalizzata dall’inizio della guerriglia comunista in
Italia attorno a tre dati ideologici di fondo: “i nostri punti di riferimento
sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l’esperienza in
atto nei movimenti guerriglieri metropolitani” (BR, Autointervista, 1971). Lo
sviluppo della lotta armata nei paesi occidentali e delle rivoluzioni di nuova
democrazia e di liberazione nazionale, quindi l’affermazione
controrivoluzionaria nei paesi del centro imperialista e la formazione ed
estensione delle guerre popolari nei paesi del Sud del mondo, con l’inizio di
una nuova crisi generale, hanno prodotto diverse e nuove definizioni teoriche.
Ma il punto di svolta storico dell’affermazione del m-l-m è nella definitiva
caduta e crollo del revisionismo traditore che aveva preso il potere nei paesi
del campo socialista nell’Europa orientale e nell’URSS dopo la morte del
compagno Stalin.
È il m-l-m la teoria che oggi offre il
maggiore spazio di comprensione ed identificazione agli autentici rivoluzionari
nel mondo attuale, è l’ideologia forza dell’esperienza storica e del patrimonio
del M.C.I., arricchita dalle esperienze di questi ultimi 30 anni. Nel movimento
rivoluzionario e comunista internazionale, i problemi che hanno trovato
definizione e sistematizzazione con il nuovo movimento comunista internazionale
sono stati catalizzati dall’esperienza dei primi partiti comunisti maoisti di
tipo nuovo, che dalla metà degli anni ’80 rivendicano al m-l-m la guida della
Rivoluzione proletaria mondiale. Questa oggi è il frutto sia del divenire
storico del movimento comunista, sia dello sviluppo e dell’estensione del m.p.c.
al mondo intero. L’emergere di una CLASSE PROLETARIA MONDIALE UNICA, nettamente
distinta dai residui di aristocrazia operaia dei primi paesi capitalisti, ma
omogeneamente integrata in un unico ciclo capitalistico mondiale, ha forzato i
tempi all’analisi proletaria onde dotare il novimento storico della
trasformazione rivoluzionaria di un’arma poderosa e formidabile, capace di
andare oltre i santini senza perdere una sola goccia del sangue e sudore proletario accumulatasi nel patrimonio
storico del comunismo mondiale. Al marxismo-leninismo, quindi, si è aggiunta
l’esperienza del socialismo in Cina e della lotta di classe che vi si è
scatenata, nonché quella delle esperienze guerrigliere metropolitane, e
soprattutto delle guerre popolari che si sono sviluppate in crescendo anche
nella coscienza dei comunisti, nonostante il silenzio della cesura culturale
sciovinista e revisionista della canea opportunista che monopolizza la cultura
operaia e proletaria in occidente. La definizione del marxismo-leninismo-maoismo
va dunque oltre il dogmatico agitare dei libretti rossi di tanti gruppuscoli
m-l che del MaoTseTungpensiero facevano un uso prettamente propagandistico
senza trarre da quella esperienza le lezioni storiche che anche una classe
operaia ed un proletariato come il nostro potevano cogliere. Si è oggi ben
oltre queste categorizzazioni. Il dibattito si è sviluppato a livello
internazionale ed il confronto tra molteplici esperienze rivoluzionarie, nel
corso degli anni, pur con differenze ideologiche in alcuni casi, ha portato
alla formazione di autentici Partiti comunisti marxisti-leninisti-maoisti nel
mondo, tanto che anche nei paesi occidentali questa teoria rivoluzionaria sta
iniziando a dare fastidio a molti cattedrattici. Questi partiti hanno anche
avanzato proposte ed analisi ai comunisti di tutto il mondo, ed in alcuni paesi
sono la principale forza politica del popolo, in lotta per il potere. Non a
caso sono demonizzati, colpiti ed aggrediti in tutte le maniere
dall’imperialismo, soprattutto laddove, come in Perù e Nepal, agiscono come
frazione rossa del movimento comunista internazionale, ma anche laddove, come
nelle Filippine, sviluppano una teoria più vicina alle tesi classiche del
marxismo-leninismo pur operando attraverso la strategia della guerra popolare.
Ad essi va la solidarietà degli autentici rivoluzionari in tutto il mondo,
poiché da essi viene il massimo della solidarietà: stanno facendo la
Rivoluzione nel proprio paese. E la fanno in nome del proletariato mondiale,
che per la prima volta nella storia corrisponde alla geografia planetaria in
forma compiuta anche se nel perdurare di notevoli differenze di formazione
economica e sociale.
Il marxismo-leninismo-maoismo non è una
quindi una deformazione del marxismo-leninismo i cui sostenitori stanno facendo
molti danni, è la sua attuale prosecuzione ed evoluzione, data dall’estensione
del m.p.c. sul piano mondiale, e comprende in estrema sintesi (e scusandosi per
la stringatezza voluta):
·
·
la teoria marxista, dei
caratteri di emancipazione, libertà ed eguaglianza propri dell’esperienza
rivoluzionaria francese e della sua successiva rottura con l’idealismo tedesco
alla necessità di unire i propri sforzi e quelli di Engels, intellettuali
rivoluzionari, alle prime organizzazioni clandestine operaie, fino alla Lega
dei Comunisti ed al manifesto del partito comunista quale bandiera eterna degli
sfruttati, nel fuoco della rivoluzione europea del 1848; del materialismo
storico e dialettico, concezioni di base della rivoluzione come aspetto
soggettivo determinato dalle condizioni oggettive e storiche di un dato modo di
produzione inteso come la fondamenta di ogni società, e dell’ideologia della
classe dominante come prodotto dello sviluppo storicamente determinatosi in
essa; della analisi dei caratteri storici, sociali, oggettivi e della vita dei
lavoratori nelle prime città operaie e strutture industriali, nello studio e
nella analisi e definizione scientifica della genesi del capitale e del modo di
produzione ad esso sotteso, attraverso la critica dell’economia politica e la
conoscenza delle tendenze e controtendenze alla sua crisi, che è storicamente
determinata a creare le condizioni scientifiche del passaggio dell’umanità al
socialismo, forma superiore di società ove la classe lavoratrice è emancipata
ed emancipatrice dall’alienazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; della
natura e della importanza del ruolo dirigente e trascendentale della classe
operaia nella via del socialismo; del ruolo del partito comunista e del suo
programma, con le necessarie rotture e discriminanti dalle posizioni errate in
seno ai primi partiti socialdemocratici; nella costituzione della Associazione
Internazionale degli Operai, nel cuore della controrivoluzione europea, come
punto di partenza del movimento socialista sul piano mondiale, con la rottura
dalle concezioni idealiste, borghesi risorgimentali ed anarchiche (queste
ultime in quanto oppositive alla necessità storica della dittatura della classe
operaia nel socialismo futuro); della difesa e rivendicazione della natura
rivoluzionaria della prima esperienza di dittatura della classe operaia e degli
organismi popolari rappresentativi nella Comune di Parigi, attraverso
l’esaltazione del valore liberatorio e prospettico dell’assunzione del potere
nelle mani della maggioranza, sfruttata ed oppressa, del popolo, sotto la guida
del proletariato; nel rilancio dell’Internazionale Socialista e del movimento
comunista attraverso la fondazione dei primi partiti operai e
socialdemocratici, soprattutto con Engels dopo la morte di Marx, che vede anche
l’affermazione politica del partito in Germania alla fine del XIX secolo.
·
·
la teoria leninista, sorta
come evoluzione dei circoli socialdemocratici della futura Leningrado,
comprende la natura classista, clandestina, soggettiva e di avanguardia del
partito, analizza e predispone al futuro le esperienze del movimento operaio
del XIX secolo (in particolare in La Comune e in Karl Marx), struttura la
concezione proletaria della guerra partigiana quale strumento rivoluzionario nella
lotta per il potere, ripropone l’esigenza discriminante della direzione della
classe operaia nel partito e la natura internazionalista ed internazionale del
partito comunista (inteso sia come attuazione del compito rivoluzionario nel
proprio paese, sia come Internazionale Comunista), del rifiuto del militarismo
assassino dell’imperialismo attraverso la guerra alla guerra ed il
coinvolgimento dei proletari arruolati nell’esercito nella lotta rivoluzionaria
per il potere, della necessità della dittatura proletaria per la costruzione
del socialismo, della necessità che i sindacati siano forma proletaria di
espressione e non alternativa al potere dei consigli e delle assemblee dei
lavoratori (i Soviet) che devono costituire la base della società socialista e
della necessità di pianificare lo sviluppo economico e sociale coinvolgendo le
classi sfruttate e reprimendo la borghesia nella sua resistenza al nuovo potere
socialista e collettivista; quindi dell’esigenza di una direzione collettiva
nel partito.
·
·
la teoria leninista viene
arricchita dal compagno Stalin con il suo contributo nella costruzione della
società socialista, nello sviluppo della politica internazionalista dei partiti
comunisti, nell’affermazione della superiorità ideologica del marxismo-leninismo
attraverso una esposizione semplice ed articolata e comprensibile alle più
ampie masse dei suoi princîpi (BIBL. -43-), nella difesa del partito dalle
posizioni borghesi ed economicistiche sviluppando la massima partecipazione
popolare al processo storico, nella difesa della patria dall’aggressione
nazifascista attraverso la grande guerra patriottica, cercando di creare le
basi per una coesistenza pacifica tra i popoli, che nel venire però sfruttata e
speculata dall’imperialismo, anticipa i termini del conflitto, che è
attualissimo tra i popoli oppressi (uniti ora prospetticamente al e nel campo
socialista), e l’imperialismo (questi i principali aspetti positivi della guida
del compagno Stalin nell’Unione Sovietica).
·
·
in comune alle esperienze
sovietiche cinese e russa, la teoria, lo studio, la verifica e la sintesi
ideologica sulla lotta per caratterizzare e determinare correttamente la natura
e lo sviluppo della costruzione del socialismo e dell’economia collettivista,
la teoria del fronte unito contro il fascismo, la possibilità di costruire il
socialismo anche in un paese accerchiato dal capitalismo.
·
·
per quanto riguarda la
teoria maoista, la analisi di classe alla base di ogni attività politica e
progettuale del partito comunista, la natura della rivoluzione di nuova
democrazia nei paesi oppressi dall’imperialismo; la teoria della guerra
rivoluzionaria e popolare fondata sull’alleanza della classe operaia e della
classe contadina (e non sulla direzione dei contadini come affermano i
“marxisti-leninisti” antiMaoTseTungpensiero); la natura del processo di lotta
di classe anche all’interno del partito, dello stato e della società
socialista, le specificità della classe contadina e della sua lotta per la
trasformazione delle campagne e della società, la comprensione del materialismo
dialettico nella classe con le teorie sulla pratica, sulla contraddizione e
sulla lotta tra le due linee nel partito; la rivoluzione ininterrotta culturale
proletaria quale elemento di continua verifica e di lotta nel partito e nella
società socialista contro il revisionismo moderno e il riapparire della
ideologia e dei complotti della borghesia contro l’approfondimento della
transizione socialista verso il comunismo, la teoria dei tre mondi, la
teorizzazione della futura ondata della rivoluzione proletaria mondiale
nell’arco di 50-100 anni (anni ’60), la teoria della prosecuzione della lotta
di classe “per diecimila anni”.
Nel complesso il
marxismo-leninismo-maoismo, ossia l’ideologia proletaria del marxismo al
massimo grado raggiunto dalla diffusione del modo di produzione capitalista e
dall’imperialismo NEL MONDO INTERO, nonché dalle esperienze socialiste e
dalla critica al revisionismo affermatosi in URSS nel 1956, propugna il
conflitto di classe al livello dato e possedendo una articolata teoria
rivoluzionaria dei tre strumenti della rivoluzione, Partito, Esercito e Fronte,
dà la possibilità ai rivoluzionari d’avanguardia sia nel centro imperialista
che nei paesi del Tricontinente (che oramai sono in molti casi anch’essi
paesi capitalistici), di costruire il percorso della guerra di popolo che
porterà alla presa del potere, essendosi dimostrata insufficiente e
limitata, e non da ora, ovunque sia stata verificata a parte che
nell’immediato post-II guerra mondiale in alcuni paesi dell’Europa orientale, la
teoria dell’insurrezione che ha funzionato nell’Ottobre 1917 in Russia (di
cui abbiamo già visto nel paragrafo “dei tentativi insurrezionali negli anni
‘20” nella rivisitazione storica del M.C.I. all’inizio di questo contributo).
Infatti l’evoluzione e la complessità
dei rapporti sociali al livello dato dal capitalismo imperialista, sia nei
paesi del centro che della “periferia” (altro termine sciovinista di cui ci
dovremmo liberare in riferimento ai paesi del Sud del mondo: rovesciando il
mappamondo, cosa cambia ?), è tale per cui solo all’apice conclusivo
della guerra mondiale tra le masse sfruttate ed il capitale, si potranno dare
momenti insurrezionali susseguentisi a ritmo incessante, sino alla completa
caduta degli eserciti imperialisti.
Ma questo momento storico potrà darsi
solo dopo l’affermarsi del socialismo e dell’avviamento della transizione (in
una situazione di lotta permanente e di costruzione nella lotta, da parte della
masse oramai partecipi del proprio destino, possibilmente prima che la barbarie
si innesti definitivamente nel cuore degli uomini avviando sfaceli ed
arretramenti epocali) in una serie di paesi.
DELLE
“CRITICHE” ALLA TEORIA DELLA ATTUALITA’ DELLA GUERRA POPOLARE
Quale l’origine e la causa dei mali che
affliggono il movimento comunista nel nostro paese, e di cui le deformanti
“critiche” alla trascendentale importanza e valore che riveste oggi la g.p.p.
nel mondo sono il frutto più recente, se non il prevalere opportunista delle
teorizzazioni di un ceto politico borghese ed intellettuale anticomunista nel
P”c”i della svolta di Salerno togliattiana ha dapprima epurato un partito di
avanguardia (il PCd’I del 1943), quindi progressivamente corroso un partito di
massa portando alla fine degli anni settanta allo scontro politico all’interno
della classe operaia, a favore dei padroni; questo prevalere del revisionismo
in Italia ha inoltre deformato scientemente e criminalizzato molte concezioni
ed espressioni di posizioni rivoluzionarie presenti nella classe operaia, si è
opposto alla espressione dell’autonomia di classe (definita tout-court
“avventurista”), alla guerriglia di migliaia e migliaia di operai comunisti e
di giovani proletari (definita “terrorismo”), e sul piano internazionale alla
Cina di Mao Tse-Tung (BIBL. -44-) ed al marxismo-leninismo autenticamente
portato avanti nella Grande Rivoluzione Proletaria Cinese dall’avanguardia
rivoluzionaria poi repressa ed incarcerata dal revisionismo dengista (e non
tanto dalla posizione élitaristica di Lin Piao, demonizzato oltre al necessario
proprio per combattere il prodotto delle posizioni del IX Congresso del PCC e
le posizioni di sinistra a livello mondiale).
Questa esperienza storica dimostra che
il problema non si limita alla questione per cui l’accumulo di forze (di
impostazione leniniana, al fine di giungere all’insurrezione popolare
liberatoria) non può darsi in maniera lineare nello scontro di classe, ma che
lo stesso accumulo di forze non può che essere contestuale alla costruzione di
un nuovo potere popolare dal basso (gli organismi di massa rivoluzionari, i
consigli, ossia i soviet), che in una società come la nostra trova forse ancora
più difficoltà che nelle società arretrate, per cui l’analisi che oggi prende a
“modello” il “marxismo-leninismo” antiMaoTseTungpensiero per i paesi del centro
imperialista, contrapponendolo erroneamente al maoismo buono per i “soli” paesi
del “terzo mondo” a maggioranza contadina (e nemmeno, secondo costoro, per i
paesi industrializzati dell’America Latina orientale, dove invece si è
esplicata una guerriglia metropolitana e non si è ancora sviluppato il
maoismo), non è solo riduttiva ma è addirittura millenaristica e quindi
opportunista poiché alla fine dei conti non solo evita di fare i conti con il
problema concreto del livello di scontro e della situazione concreta in cui
questo accumulo di forze dovrebbe avere inizio, ma si riduce a mera agitazione
politica che al massimo riproduce una mentalità attendistica nella classe
operaia.
Ora il probema che pare affliggere i
compagni antiMaoTseTungpensiero (non ci interessa qui confrontarci con le
miriadi di falsi “leninisti” di gruppetti come il PMLI, rigidamente ancorati
alla calunnia ed al carro controrivoluzionario delle sfilate sindacali), è
quello del rivendicare al marxismo-leninismo l’applicazione odierna della FORMA
dell’insurrezione quale metodo canonico rivoluzionario attuale nelle
“società avanzate”, quando in realtà laddove ha fatto scuola come in Russia
nell’Ottobre 1917, è stato in una situazione ben particolare, in un paese
anch’esso semifeudale a maggioranza contadina, anche se dotato di strutture
militari avanzate, paese sfasciato dalla guerra e dalla miseria delle masse, e
non certo nei tentativi falliti in Germania, in Italia nel 1945 e 1948, ed in
numerosi altri paesi europei.
Questo aspetto, (come in molti più
pregevoli contributi di partiti maoisti e di collettivi nel nostro paese,
soprattutto negli anni ’70, allorquando l’ “insurrezionalismo” veniva messo al
bando dalla guerriglia operaia e proletaria, nell’affermarsi della teoria della
guerra di classe di lunga durata), pare essere dimenticato dai molti compagni
antiMaoTseTungpensiero nel M.C.I., specie in Europa, ed ovviamente tra i
partiti comunisti dell’attuale Russia, e tra coloro che li considerano il faro
della rivoluzione mondiale nella loro prospettiva, sempre dietro l’angolo,
della nuova rivoluzione bolscevica (magari fosse, la Storia avrebbe un
sobbalzo, la ripetizione uguale dei fenomeni politici e collettivi in uno
stesso paese a distanza di un secolo sarebbe politicamente confortante solo per
chi non sa assumere l’elemento della trasformazione e quello della dinamicità
delle cose, principio essenziale della concezione rivoluzionaria).
Questa posizione neo-revisionista in
realtà si fonda su molti travisamenti. Eccone alcuni:
·
·
La teoria del ’26 di Stalin
riferita alla Cina ed alla necessità di armarsi del popolo, non fa i conti con
la suicida analisi contemporanea di trotsky (ancora interno all’epoca al PC(b)
dell’URSS) che invitò all’insurrezione i comunisti di Canton e Shangai, con
l’esito che sappiamo, nel ’27.
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·
La guerra popolare di lunga
durata teorizzata e praticata da Mao e dal PCC si svolse sotto la direzione della
classe operaia alleata alla classe contadina e non il contrario.
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La guerra popolare non si
fonda solo sulle “basi rosse” ma anche sul concetto di guerra di mobilità e su
molte altre concezioni pratiche che sono da orientamento per le rivoluzioni in
tutto il mondo in quanto non si fonda come strategia su una data situazione
specifica (più o meno foreste, più o meno montagne) bensì sulla linea di massa
della lotta prolungata che vede impegnate le masse nel processo rivoluzionario
ben oltre la logica del “colpo di mano” storicamente dimostratasi inadeguata di
fronte alla complessità delle situazioni e delle forze in campo.
·
·
La contrapposizione tra
“insurrezione” e guerra popolare è un’impostura poiché l’insurrezione è
prevista nella teoria della g.p.p. come esito finale dell’accerchiamento delle
città. Questo non è improponibile nei paesi del centro imperialista poiché
tutto il mondo è paese ed ovunque i borghesi si asserragliano in quartieri ben
protetti. La lotta di popolo a Lima ne è un esempio, si svolge nel grado
massimo storico di militarizzazione imperialista a protezione del capitale in
ogni occasione di anniversari del potere o di scontro sociale.
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Il faro della rivoluzione
proletaria mondiale è il Perù ove è iniziata la guerra popolare nel 1980. La
guerra popolare in Nepal ne segue il corso e la strategia.
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È falso che in India ed in
altri paesi la guerra popolare non abbia “colto” significativi successi. La
stessa esistenza di aree liberate e di centinaia di migliaia, di milioni, di
contadini e di proletari organizzati FUORI dalla società del capitale e delle
caste, dovrebbe essere un successo per chi si ritrova da 30 anni e più a
tabaccare nelle stamberghe della rivoluzione proletaria italiana, tra cicche e
quartini.
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Non è vero che i
marxisti-leninisti-maoisti affermino che le lotte di liberazione nazionale in
vari paesi (“Palestina, Paesi Baschi, Irlanda, Afghanistan, Kurdistan, Cecenia,
Kosovo, Kashmir, Sri Lanka, etc.”) sia assimilabile alle g.p.p.: si tratta in
questo caso della solita tattica della banalizzazione, dell’appiattimento delle
differenze attribuito a chi viene fatto oggetto di critica. Come vediamo anche
in alcuni casi a parte:
1. 1. In Palestina esiste una lotta popolare
di indipendenza nazionale e di liberazione dal sionismo che si esprime anche
come guerriglia. Ma non esiste una guida univoca marxista-leninista-maoista del
proletariato (ancora poco sviluppato) e del popolo. Inoltre l’imperialismo
sionista con la sua natura di stato religioso ha fomentato contraddizioni nel
campo popolare palestinese che si sono trasformate anche in lotta religiosa.
2. 2. Nei Paesi Baschi la lotta di
indipendenza nazionale è di tutto il popolo ma è soprattutto lotta di massa,
ben al di là delle demonizzazioni dei fascisti spagnoli al governo e della
pedissequa U.E. Inoltre storicamente nelle Asturie e in Euskadi la lotta di
indipendenza nazionale si è fusa alla lotta della classe operaia e dei
minatori.
3. 3. In Irlanda la lotta popolare contro
l’imperialismo inglese si esprime da due secoli e storicamente ha attraversato
una tappa importante con la conquista dell’indipendenza nel centro-sud
dell’isola, dopo una feroce lotta nel campo rivoluzionario che ha visto la
sconfitta dell’opportunismo. L’avanguardia della lotta di indipendenza
nazionale si è espressa nella guerriglia, ma i comunisti rivoluzionari hanno un
ruolo ancora rilevante nella lotta di liberazione nell’Ulster. Tuttavia non
siamo certo in presenza di una guerra popolare e vi è una contraddizione nel
campo nazionale tra indipendentisti e filo-britannici, di natura religiosa.
4. 4. In Afghanistan il progresso ed il popolo
avevano portato al potere il socialismo, ma la CIA e i movimenti da essa
fomentati hanno scatenato una guerra contro il socialimperialismo che si era
posto a “tutela” di questa esperienza. Con gli esiti che sappiamo. Oggi però in
Afghanistan ed in Iraq la lotta dopo l’occupazione militare occidentale a guida
angloamericana si è trasformata in guerra di resistenza ed indipendenza
nazionale, con il superamento della “guida teologica” talebana.
5. 5. In Kurdistan invece esiste proprio una
guerra popolare che ha conseguito dagli anni ’70 in poi (ed in particolare dal
1984 fondazione del PKK e quindi dell’ERNK) notevoli successi ed appoggio
popolare (costato massacri e genocidi da parte dell’esercito turco), nel
conseguire esclusivamente obiettivi politici di indipendenza e libertà
dall’occupazione militare turca, se oggi subisce una flessione non è certo per
l’appoggio mai venuto meno dell’Esercito degli Operai e dei Contadini di
ispirazione maoista, che continua ancor oggi nelle città del Kurdistan turco e
nel Kurdistan occidentale (turco).
6. 6. Cecenia e Kosovo appaiono due cose astralmente
distanti. La prima lotta è sorta dopo il disfacimento dell’URSS e quindi il
venir meno della legittimità storica perdurante delle scelte corrette fatte nel
merito della questione del Caucaso da Lenin e Stalin all’inizio degli anni ’20
(BIBL. -45-). Nel secondo caso una guerriglia fascistoide pagata dalla CIA e
appoggiatasi con capitali giacenti in Svizzera è stata sostenuta
dall’imperialismo NATO fino a quando gli è servita contro la Repubblica
Federativa Jugoslava che, ancorché revisionista, era pur sempre una spina nel
fianco del capitalismo occidentale, tedesco ed italiano.
7. 7. In Kashmir la lotta di indipendenza
nazionale segue la questione della scissione pakistana dall’imperialismo
indiano dopo l’indipendenza dall’impero britannico a causa della dominazione
fascista hindu in India. Continua ancor oggi ed ha delle caratteristiche non
comunque assimilabili ad una guerra popolare.
8. 8. In Sri Lanka invece la lotta di
liberazione nazionale è certamente giunta al grado di equilibrio strategico con
punte di offensiva da parte delle forze rivoluzionarie ed indipendentiste, ed
al suo interno vivono caratteri di guerra popolare.
9. 9. In Colombia infine non siamo in presenza
di una guerra popolare ma di una guerra di liberazione nazionale che potrà
sfociare in una guerra popolare antimperialista ma che non pare poter sfociare
in un ennesimo trattato di pace neorevisionista come in altri paesi (Salvador,
Honduras, Guatemala) nei decenni precedenti a causa del grado di sviluppo della
guerra e dell’occupazione militare yankee. Chi la confonde con una guerra
popolare continua a fare CONFUSIONE.
·
·
Le teorizzazioni non più a
favore della g.p. da parte della “direzione” del PCC sono ovvie, dato che dal
1976 in Cina comanda il revisionismo assassino. Quanto agli altri contributi di
Mao, l’assalto al quartier generale e la eventuale necessità di fronte ad un
golpe revisionista, di reiniziare la lotta armata, e la previsione della nuova
grande ondata della rivoluzione proletaria sono punti imprescindibili per non
ricorrere al citazionismo caro a questi compagni per denigrare le tesi degli
attuali Partiti Comunisti maoisti nel mondo che conducono rivoluzioni
vittoriose anche se di lungo periodo.
·
·
Si dimenticano questi
“critici” che in questa fase imperialista “resistere” e condurre avanti la
lotta “è già vincere”.
·
·
Circa l’analisi di classe
italiana e la praticabilità della g.p. in Italia ho affrontato l’argomento altrove
in questo scritto. Basti pensare alla diffusione dei piccoli centri (oltre
8.000 comuni) ed al fatto che la popolazione metropolitana delle 10 maggiori
città è in calo rispetto al 1971, a dimostrare che la “urbanizzazione” non è
una caratteristica dominante né tipicamente univoca del nostro paese, che ha
invece molte zone ove si sono sviluppate in passato sacche di resistenza,
repubbliche partigiane, guerriglie antinaziste e lotte popolari. Bene lo sa
l’imperialismo che “segue” con la presenza di basi militari e straniere questi
territori in maniera particolare, sfruttando anche qui le “scuse” del
banditismo, in genere.
·
·
Falso che fosse la
piccola-borghesia a guidare la guerriglia metropolitana in Italia negli anni
’70. Falso che le concezioni della guerra popolare fossero universalmente
affermate nella guerriglia (basti pensare a PL). Anzi la guerriglia
metropolitana aveva ben poche connotazioni strategiche, si sviluppava ancora
principalmente in propaganda armata ed ha visto fallire il passaggio rapido
alla “guerra dispiegata” proprio per questa debolezza teorica ed ideologica del
suo quadro militante oltre che per la repressione ed il peso infame
dell’influenza del revisionismo nella classe operaia, e dei limiti ed errori
della lotta armata stessa, le cui connotazioni e direttrici erano anche molto
diverse a parte la guida della maggiore organizzazione rivoluzionaria di
allora, coesa sino al 1980.
·
·
Falso che la tenuta delle
zone liberate o basi rosse fosse discriminante per la rivoluzione cinese; esse
erano sì durature ma non permanenti. Le caratteristiche della guerra di
resistenza in Italia rendono possibile ipotizzare che la fase acuta della
guerra popolare stessa possa svolgersi in pochi anni dato il grado di coscienza
delle masse certo superiore a quello dei paesi del Sud del mondo ove ancora
dominano la fame e l’analfabetismo. Il problema è quindi opposto, ossia di
quale strategia deve essere dotata la guerra di classe nella metropoli: la
strategia maoista, dotata della linea di massa. Questa ha un esempio
volutamente qui atipico come citazione nella lotta rivoluzionaria salvadoregna
guidata dal Comandante Marcial alfine suicida per evitare la fucilazione da
parte di un manipolo di traditori revisionisti nel Frente FMLN; Cayetano Carpio
vi vedeva nelle masse “le montagne” ossia il rifugio della guerra di popolo
anche laddove il territorio è minuscolo geograficamente (BIBL. -46-).
·
·
È falso che la “tribuna
parlamentare” possa avere un ruolo oggi in un paese imperialista. Semmai, in
fase di rivoluzione iniziata, un Parlamento popolare alternativo può fungere da
nuovo potere in alternativa, che, anche se non “connesso” alla g.p. in atto,
non potrà essere “vietato” in ragione della natura pubblica e trasparente della
sua esistenza tra le masse (come un Fronte ampio popolare che si muove
politicamente ed in campo sindacale e rivendicativo nel solco della
trasformazione rivoluzionaria ma senza con ciò porsi militarmente contro lo
Stato se non nella difesa della strada e della piazza dalle angherie delle
truppe di regime).
·
·
Ovviamente la questione
FONDAMENTALE è quale sia la contraddizione principale oggi. Per chi non voglia
vedere cosa c’è dietro gli ananas Jaffa, i pompelmi e le banane Chiquita, le
auto ed i computers, questo è ovviamente un non problema. Noi che ci poniamo
questo problema l’abbiamo risolto nel differenziare la contraddizione
fondamentale (del m.p.c.) da quella principale (della fase storica). Falso che
chi fa questa differenza abbandoni il socialismo scientifico, che è
innanzitutto analisi di classe e della natura della crisi capitalista. Falso
che la crisi capitalista non fosse all’apice all’epoca del IX Congresso.
Semplicemente ha avuto uno sbocco contenuto grazie anche al golpe in Cina, ma
soprattutto al tradimento revisionista in Italia ed altri paesi, ed alla
politica socialimperialista di Mosca.
·
·
“Fans” saranno quelli che propugnano tesi antistoriche ed anti
marxiste, anti leniniste ed anti maoiste, ponendo Stalin come ultimo gradino
dello sviluppo del marxismo-leninismo.
·
·
Revisionismo è il loro,
come quello di Togliatti che dopo Salerno continuava ad essere “stalinista” e
come quelli che nel P “c” i si definivano comunisti e stalinisti nel pestare a
sangue i giovani proletari che occupavano le università e le case sfitte su
basi politiche non revisioniste ed opportuniste.
·
·
È il proletariato a guidare
la rivoluzione e le g.p. in corso nel Tricontinente. Definirle lotte
“contadine” vuol dire non conoscerle e diffamarle.
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·
La linea generale della
I.C. sui paesi delle “colonie” risentiva appunto del carattere ancora
arretratissimo del proletariato e della produzione capitalista in quei paesi, e
non è stato aggiornato proprio per le divisioni avutesi nel M.C.I. tra
socialimperialismo russo e comunismo cinese.
·
·
Cos’è la follia
imperialista americana di oggi se non il contraltare dell’imperialismo alla
evoluzione della lotta popolare e delle g.p. nei paesi del Tricontinente ?
Questo non ce lo si spiega. Noi pensiamo proprio che la lotta tra imperialismo
ed antimperialismo sia mortale e che sia l’imperialismo a spingerla al massimo
di acutezza proprio per affermarsi sulla supremazia militare. Ma i popoli hanno
dalla loro la supremazia politica (Giap: l’uomo è l’elemento principale).
·
·
Chi offende il Presidente
Gonzalo stia lontano dalle teorie rivoluzionarie: esse hanno innanzitutto
bisogno di rispetto ed amore per chi patisce la repressione, la denigrazione e
l’annientamento praticato dalla controguerriglia. Gonzalo nei suoi scritti
distingue nettamente la teoria di base del PCP dal LinPiao pensiero. Leggersi i
testi sulla Nuova democrazia, Sulla costruzione del partito, e i testi del I
Congresso del 1987 in Pensiero Gonzalo, vol.I).
Volendo estendere la critica, costoro
peraltro affermano quale elemento tra quelli che rendono inattuabile la teoria
della guerra rivoluzionaria popolare di Mao, nella nostra realtà, la mancanza
di aree strategiche, di possibili zone liberate, basi d’appoggio della
rivoluzione. A parte che l’esperienza più alta e fulminante del proletariato
italiano è stata la guerriglia e la resistenza antifascista articolata nelle
città e nelle montagne dalle Alpi agli Appennini, oltre alle rivolte popolari
avvenute a Napoli, in Calabria (Repubblica Comunista di Caulonia), e che in
questa esperienza, pur se per periodi di tempo non lunghissimi ed in una
situazione di guerra dispiegata, sono state realizzate zone liberate e
Repubbliche partigiane in numerose zone delle Alpi ed Appennino tosco-emiliano
(per tutte, quella dell’Ossola -BIBL. -47– e di Montefiorino), non si capisce
perché i compagni leninisti non vogliano assumere il dato politico e
qualitativo che nella società del centro imperialista, urbana e tendenzialmente
definibile della metropoli diffusa come in Italia oggi, le “basi d’appoggio”
della rivoluzione sono LE MASSE STESSE, e che quindi è per carenza di linea
politica e di pratica che il movimento comunista oggi nel nostro paese è poco
più che una testimonianza della necessaria trasformazione sociale. E non si
capisce perché attaccare la definizione -assolutizzata e quindi mistificata ed
astratta dal suo portato complessivo, e quindi anche ideale, per le masse-
della “universalità” della Guerra Popolare, quasi a voler “scacciare” l’idea della
reale natura del conflitto (guerra di classe laddove è quasi assente la classe
contadina, guerra popolare ove è maggioritaria la classe contadina ma sempre
fondamentale la classe operaia, in ogni caso sempre e comunque guerra
rivoluzionaria delle masse) necessario a conquistare via via l’equilibrio e la
offensiva strategica della rivoluzione proletaria.
Riproduzione dunque del
“marxismo-leninismo” antiMaoTseTungpensiero non già come assunzione di
patrimonio storico e contestualizzata analisi concreta della situazione
concreta, bensì come base teoretica di minoritarismi millenari che tradiscono
il dovere di spingere e forzare la realtà nella direttrice della linea
proletaria e dell’interesse delle masse più ampie ad una liberazione dalle
catene della borghesia, oggi attuabile, e non nel suo rimandare a “tempi
migliori” che storicamente ha avuto a che fare con gli opportunisti faciloni a
definire “avventurismo” il comunismo come movimento reale; costoro sono sempre
più incapaci di pesare realmente nel conflitto sociale apportando modificazioni
e consapevolezza soggettiva nella classe, del proprio ruolo.
Aspetto centrale, insito e forse anche
inconsapevole di questa ostilità alla teoria rivoluzionaria della guerra
popolare, l’eurosciovinismo o socialsciovinismo, che ha radici lontane nel
“primato” coloniale e nella politica guerrafondaia della II Internazionale.
L’eurosciovinismo presente purtroppo
ancora oggi nel movimento comunista e pure nel movimento rivoluzionario, che a
volte sottende la sottovalutazione della qualità politica delle guerre popolari
in corso dirette da partiti comunisti maoisti, è sinonimo di sopravvalutazione
del ruolo dei comunisti in occidente INDIPENDENTEMENTE dal loro effettivo ruolo
e capacità di intervento nella propria società, e questo è negativo ed
anti-internazionalista perché tende a negare la necessaria considerazione di
quale sia il centro della rivoluzione in ogni singola fase, giungendo
addirittura a fare passi indietro nell’analisi politica e in definitiva
disperdendo le forze proletarie in ipotesi politiche sterili ed insufficienti.
In definitiva: è più avanti un processo
rivoluzionario in cui contadini operai ed avanguardie costruiscono capanne e
sistemi di vita nella guerra popolare, od un processo rivoluzionario ove il problema
è chiarire alle masse l’opportunismo imbelle di Bertinotti ?
DEL BILANCIO
POLITICO E DELLA PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA M-L-M
Il ripetersi dei limiti nella conduzione
dello scontro si è tradotto ancora una volta in una espressione di
discontinuità dello scontro. Questo ripetersi del carattere di discontinuità
non permette alla classe, complessivamente intesa, quell’avanzamento che
necessariamente deve identificarsi con il processo in atto, e per quanto mi
riguarda rappresenta una svolta cosciente nella comprensione del carattere
generale della rivoluzione in atto.
Come infatti è avvenuto in tutti gli
altri paesi imperialisti, è chiaro che la direzione del processo rivoluzionario
non può essere assunta concedendosi rinvii alla costruzione del partito nella
classe con una adeguata linea di massa, né essere delegata principalmente
all’attività combattente, per quanto essa sia necessaria condizione ed
indispendabile elemento dello scontro dal punto di vista storico della guerra
di classe, come è.
Come può un’avanguardia rivoluzionaria,
necessariamente clandestina al potere, adeguarsi ai passaggi di fase ed alle
necessità che la classe ripone nella sua direzione, senza una linea di massa ?
È una domanda che viene svolta al contrario di quella “come piò un’organizzazione
guerrigliera avere una linea di massa in un paese imperialista di fine
XX-inizio XXI secolo ?”. Il problema appunto sta se si vuol fare una episodica
guerriglia, e su questo la mia autocritica è piena e consapevole nei confronti
della classe per quanto mi compete storicamente e non giuridicamente, o se si
vuole condurre una rivoluzione proletaria in un paese capitalista e
imperialista. Questo documento si orienta decisamente alla seconda via, senza
escludere assolutamente la guerriglia anzi cercando di valorizzarla dentro il
processo rivoluzionario.
Il principale limite è stato dunque, a
causa del sacrificio politico di parte rivoluzionaria, costato divisioni e
arretramenti, della “linea di massa”, quello di aver sofferto l’attacco del
nemico senza riuscire a determinare i passaggi necessari alle masse proletarie
e lavoratrici della società, la stragrande maggioranza della popolazione,
esclusa dalla politica e dai suoi balzelli e trucchi elettorali per portare al
potere le classi minoritarie e più ricche legate alla borghesia imperialista,
proletariato e lavoratori che sono il referente della classe operaia, la nostra
classe. Solo per questo abbiamo perduto una tappa dopo l’altra nella difensiva
strategica risentendo sempre di attacchi repressivi in grado di bloccare per
anni la lotta. Perché la rivoluzione non è una prospettiva millenaria,
ma una necessità storica, a cui i comunisti dedicano la vita, commettendo anche
errori, ma sempre dedicandogli la vita come necessità della classe, e non di un
ceto politico che ha la necessità di traghettarsi di fase in fase, senza mai
trasformarsi ed adeguarsi alla realtà dello scontro (oggi molto più duro, sul
piano della mera sopravvivenza, per le stesse masse sfruttate della società
imperialista).
È attorno al carattere antimperialista
della rivoluzione proletaria mondiale che si può comprendere il primato
dell’ideologia marxista-leninista-maoista, che è in grado di comprendere,
elaborare e sviluppare una teoria rivoluzionaria adatta ad ogni formazione economica
e sociale costituendosi come massimo punto di sintesi dell’esperienza del
Movimento Comunista Internazionale. Il centro della questione è nel
riconoscimento della lotta tra le due linee, che si conclude inevitabilmente ad
ogni ciclo in un separarsi dal revisionismo, e principalmente nel
riconoscimento della linea di massa del partito.
Uscire da questo sentiero rosso o
trascurarne la portata, subendo il fascino della virtualità mediatica della
politica di oggi, ha delle conseguenze congiunturali negative sul piano
politico e sullo scontro con lo Stato borghese, in quanto riproduce un’idea
della rivoluzione che è essenzialmente di testimonianza, e non di effettuale
trasformazione. Infatti la qualità ed il livello raggiunto dallo scontro di
classe anche grazie all’esperienza guerrigliera lungo trent’anni di intervento
rivoluzionario, è estremamente alta dal punto di vista politico; la politicità
immediata dello scontro di classe nel nostro paese deve portare ad un
coinvolgimento della classe nel campo rivoluzionario e questo si può dare solo
attraverso la linea di massa e la partecipazione delle masse alla guerra
rivoluzionaria, ossia attraverso l’affermazione politica del
marxismo-leninismo-maoismo nella classe.
E questo al di là dei più eroici
sacrifici e costi personali che i combattenti si assumono coerentemente, e non
certo da oggi.
Diversamente dal processo di costruzione
del partito comunista (il cui carattere deve essere indiscutibilmente clandestino
ed immediatamente combattente e politico-militare di avanguardia) e
dell’esercito proletario nonché del fronte rivoluzionario delle masse (che
articola la partecipazione politica in ogni ambito sociale), i cui passaggi
hanno propri tempi nell’internità alla classe operaia ed al proletariato
metropolitano, la costruzione ed il consolidamento del F.C.A. (che è
articolazione di avanguardia che rispetta i principi politici ed etici del
popolo nel proprio paese e che unisce i rivoluzionari, i popoli oppressi e gli
antimperialisti dell’area geopolitica) può avere una valenza immediatamente
concreta nell’insieme delle contraddizioni dirompenti che sconvolgono la pace
armata con l’imperialismo solo se i rivoluzionari dei paesi occidentali sanno
cogliere l’aspetto di fondo, centrale, del problema dell’imperialismo oggi come
già negli anni ’30 seppero fare del problema del fascismo. Al di fuori di
questa consapevolezza, tra schemini e schematismi, tra slogan e impotenza
politica a dedicare le forze della classe allo sforzo sovrumano che non può
essere compiuto senza l’appoggio delle masse (solo le masse possono distruggere
l’imperialismo), la proposta del F.C.A. rimane, secondo me, un riferimento
sorto in una situazione diversa da quella di oggi per i rivoluzionari
occidentali peraltro non praticato al livello necessario e con la necessaria
continuità, e rimane come discriminante la necessità della massima solidarietà
tra le forze popolari, progressiste e rivoluzionarie di tutti i popoli del
Tricontinente con i comunisti, gli antimperialisti e gli antifascisti dei paesi
del centro imperialista.
Questa è la concezione che ho
personalmente elaborato e che propongo ai comunisti, alla luce dell’esperienza
storica e della velocità con cui gli eventi sconvolgono equilibri dati e
concezioni inadeguate allo scontro, cercando di mantenere saldi i principi
della linea di massa, dei tre strumenti della rivoluzione e della
indispensabilità dell’intervento antimperialista.
A questa lotta di liberazione degli
oppressi, dei proletari e dei popoli del mondo tutti stanno già partecipando
nelle diverse loro capacità ed espressioni, la guida politica sta allora ai
comunisti marxisti-leninisti-maoisti conquistarla con il loro livello di
superiorità ideologica, politica e programmatica.
DI ALCUNI
DISTINGUO
Con dei distinguo necessari: nessuna
deroga allo stragismo (e di conseguenza ad azioni potenzialmente stragiste) e
valenza selettiva dell’attacco in questa fase, e, qualora politicamente
necessario, valenza militare dispiegata unicamente verso le forze armate
imperialiste e mai verso i civili. Negazione insomma di valenza etica e
politica alla logica del “tanto chiasso con poca fatica” tipico del terrorismo
stragista.
Né può esservi alcuna deroga verso
l’antifascismo, necessaria base e parte della politica proletaria, e non solo
memoria.
Non serve un elenco completo degli
effetti politici dello stragismo interno ed internazionale in questo trentennio
per qualificare questo principio politico. Basterà riferirsi al fatto che la pace
è un valore acquisito dalle masse nei paesi occidentali imperialisti, che hanno
sofferto due guerre mondiali e distruzioni delle città nel secolo XX, senza
precedenti nei secoli immediatamente precedenti. La pace significa una serie di
conquiste sociali e di abitudini che non appartengono esclusivamente alla
borghesia imperialista, che anzi ha altri luoghi e sistemi di socializzazione,
sicché gli attacchi stragisti si rappresentano immediatamente come un
impedimento improvviso e soggettivo (non determinato dal padronato o dallo
Stato nella comprensione immediata che le masse ne hanno) all’esplicarsi della
normale vivibilità e dei rapporti sociali dati.
La necessità della guerra rivoluzionaria
allora nel centro imperialista ha da divenire tale nella comprensione
soggettiva delle masse, e non nel subire iniziative estranee alla logica
dell’umana comprensione (come lo stragismo del 1993). Non a caso la borghesia
imperialista, sia prima, che molto più dopo, l’11 settembre (attacco simbolico
al capitalismo imperialista americano ma speculare ai bombardamenti militari
sulle città, e quindi terrorista e stragista nella sostanza al pari dei
bombardamenti americani su Hiroshima e Nagasaki, nonché nel sacrificio, anche
sul Pentagono -obiettivo militare- dei civili che viaggiavano in un aereo
civile), fa uso della propaganda del “pericolo” stragista (che non è del tutto
assente ma che è giocoforza episodico ed individuabile provenendo da ben
specifiche aree politiche dell’estremismo reazionario sunnita) per costruire su
questo una ancor più pressante e potente militarizzazione della società,
fondata sul controllo a tappeto del territorio e delle persone e sul razzismo
nei confronti degli immigrati.
Non a caso e per nulla paradossalmente,
la politica di Al Qaeda (rafforzatasi con il sostegno della CIA) è opposta a
quella concezione dello sconvolgimento epocale data dall’invasione barbarica
dell’impero romano. Anziché concepire la conquista dell’occidente e la
creazione di una nuova “società mondiale islamica” e multietnica attraverso
l’immigrazione di massa e l’islamizzazione dell’ “infedele” società “opulenta”
occidentale (rappresentazione per certi versi anche concepibile per un
rivoluzionario idealista che metta avanti a tutto la comprensione della
bassezza cui è giunta la società capitalista occidentale), lo stragismo di Al
Qaeda rafforza le barriere e l’asserragliamento, in assenza di un reale
conflitto rivoluzionario, nonché dà alibi all’aggressione imperialista verso il
Medio Oriente. Come per le stragi fasciste di Piazza Fontana, di Peteano,
Brescia, Savona, Gioia Tauro, Italicus, Bologna e via dicendo, questa politica
stragista fa il gioco della controrivoluzione, oltre ad essere eticamente
inaccettabile.
La guerra rivoluzionaria e popolare
condotta dai partiti comunisti è altra cosa e contempla lo scontro militare
solo con le forze armate nemiche, la cura dei prigionieri feriti, il rispetto
della vita dei prigionieri e il rilascio di quelli che non aderiscano alle
forze rivoluzionarie, contempla la punizione dei nemici del popolo e l’attacco
selettivo ai centri del potere e alle basi del nemico. La lotta armata per il
comunismo sviluppatasi in Italia per trent’anni non ha derogato a questi
principi.
Per quanto riguarda i caratteri
specifici della rivoluzione nazionale Palestinese, occorre ricordare (anche
alla luce del fatto che i terroristi della UE hanno fatta propria la lista nera
degli yankee), che le organizzazioni rivoluzionarie Palestinesi non fanno uso
di stragi contro civili. “israele” d’altronde con la sua pratica nazista,
legittima a sua volta le organizzazioni islamiche che fanno uso di questa forma
di lotta, giocando sul fatto di possedere strumenti di distruzione molto più
potenti.
Nella stessa logica e non a caso, la
immediata diffamazione del fascista Aznar nei confronti di ETA subito dopo la
strege di Madrid nell’immediato periodo pre-elettorale, a dimostrazione che il
suo ruolo nella lotta di liberazione del paese Basco e nel conflitto che oppone
proletariato e popoli oppressi in Spagna al potere centrale, è immediatamente
politico e non solo limitato alla questione nazionale.
DELLA
COMPRENSIONE POLITICA DEI FATTI PER LE MASSE
Allora con queste discriminanti
politiche non siamo di fronte solo ad un problema di linea di massa, ma anche
della immediata comprensibilità e rivendicazione da parte delle masse,
dell’iniziativa rivoluzionaria. Non a caso bene ha fatto l’avanguardia
combattente all’indomani dei fatti di Arezzo, a specificare la casualità
dell’evento e il rifiuto dell’appellativo “terrorista”, e questo al di là della
diversità di concezioni rispetto a quelle qui esposte.
Lo sfacelo creato dal revisionismo e
dall’affermazione borghese negli anni ottanta, quindi le guerre imperialiste di
aggressione e conquista degli anni novanta, hanno creato una situazione molto
più grave e drammatica ma generalmente omogenea a livello mondiale.
In questo senso è opportuno specificare
la debolezza nell’inceppamento della macchina imperialista nella nostra realtà,
anche e soprattutto a causa della dipendenza dei fatti politici dalla
mistificazione e criminalizzazione, allarmismo e terrorismo mediatico del
sistema; ciò che si è espresso quantomeno nelle intenzioni, si è posto vari
obiettivi comuni a tutti i movimenti autenticamente antagonisti, della
resistenza, di combattere la guerra ed inceppare la macchina bellica
imperialista, rivendicando la parola d’ordine legittima dal punto di vista
storico della resistenza, della guerra alla guerra. Questo limite ha dei
significati e dei motivi ben precisi.
I conti tra la borghesia e la classe
operaia, tra il capitalismo e il comunismo, sono tutt’altro che stati fatti.
L’orizzonte politico rivoluzionario dato
dai tre strumenti della rivoluzione e della lotta antimperialista nell’area del
Medio Oriente (la Spagna degli anni ’30 di oggi), non costituisce un
arretramento, anzi è una tesaurizzazione dell’esperienza nell’interesse
dell’affermazione rivoluzionaria. Per quanto oscuro e cupo e privo di speranze
possa apparire il futuro ai proletari oggi, nella società capitalista si
assiste ad una degenerazione totale su ogni piano, morale, culturale, di
costume e qualità della vita, che discende proprio dal vuoto politico creato
dal revisionismo borghese e dal riformismo all’interno delle masse, che è
riempito solo parzialmente dalla forte conflittualità sociale, dalla coscienza
della classe operaia, dalle lotte dei vari movimenti.
Nella nostra cultura rivoluzionaria a
partire dalle azioni Haigh e Dozier, noi comunisti di avanguardia siamo stati
legati alla concezione politica dell’azione catalizzante il programma
politico-militare. Oggi la realtà dello scontro è talmente avanzata che
occorrono non solo delle profonde discriminanti, specie verso lo stragismo di
Al Qaeda (il che non significa negare il diritto a non essere torturati
esiliati assassinati umiliati e ridotti a larve dei combattenti islamici,
peraltro di realtà anche molto diverse da Al Qaeda, dai torturatori della CIA),
per rendere l’azione rivoluzionaria concepibile e condivisibile dalle masse
oppresse e dalla stessa maggioranza dei lavoratori dell’occidente, ma che
occorre anche capire che la forza simbolica dell’attacco non basta certo da
sola a sopperire all’angosciante situazione di miseria, sfruttamento e dipendenza
vissuta dalle masse proletarie, per quanto sia fastidiosa e
propagandisticamente negativa per gli imperialisti. È maturata la necessità
della guerra popolare.
La questione della “rivoluzione
islamica” che ha un suo carattere di liberazione nazionale ed identitaria nei
singoli paesi del Medio Oriente, nord ed est africa, centro asiatico, Indonesia
e Filippine, che a volte confligge anche con la stessa necessità prodotta dalla
lotta di classe in questi paesi di portare a processi di liberazione della donna
e di affrancamento da sistemi di sfruttamento e di dipendenza ancora
semi-feudali, non può essere confusa con la presenza di una scheggia impazzita
che colpendo a livello di massa e nemmeno di “classe” (come poteva essere
l’estrazione sociale dei viaggiatori d’aereo dei primi anni settanta oggetto di
sequestri da parte della rivoluzione palestinese), si pone oggettivamente come
fattore di legittimazione per gli interventi assassini e neo-coloniali
dell’imperialismo americano, oltre ad aver goduto per lungo tempo di appoggio
da parte della CIA in funzione anticomunista (Libano 1982, Iraq, Afghanistan,
ecc.).
I nostri compagni sono e rimangono i
comunisti di questi paesi, anche se sparano meno colpi d’arma da fuoco.
Ed anche lì hanno patito le mosse assassine
del revisionismo, come in Afghanistan nei primi anni 90. Revisionismo che poi è
stato a sua volta vittima dei medesimi meccanismi repressivi e criminosi. Il
dare la morte in politica non può essere altro che prodotto di processi
rivoluzionari e lotte di liberazione che producono determinati eventi per
necessità e legittimità storica, e non certo per riproduzione di autoritarismi
che hanno fatto il loro tempo; essendo attuabile il potere popolare, la giusta
misura e soluzione di tutte le cose non deve necessariamente imitare la logica
puritana o inquisitoriale, cosa che invece il movimento talebano in Afghanistan
ha fatto eccome. Oltre a questo il rispetto dei prigionieri di guerra deve
essere rivendicato ed attuato, e non solo o tanto per le convenzioni
internazionali in quanto tali, ma perché le convenzioni sono esse stesse il
prodotto dei conflitti che hanno portato l’umanità più volte nel baratro della
storia, di cui dopo alcuni decenni si perde la memoria.
PROSPETTIVA
Nella nostra situazione questo significa
bilancio dell’esperienza e critica-autocritica-trasformazione, onde valorizzare
il patrimonio di 200 anni di lotta proletaria comunista, nel segno e
nell’assunzione di questo patrimonio e dell’applicazione concreta dei principi
rivoluzionari alla situazione concreta. Ovunque nel mondo, alle masse è ben
chiara la necessità storica della liberazione dalle catene dello sfruttamento
del modo di produzione capitalista e del dominio imperialista. E questo non può
non influire sul senso comune del rifiuto della guerra imperialista anche nel
nostro paese. Ma questo non è sufficiente, poiché come dicevamo più sopra
l’imbelle iniziativa riformista e parolaia porta ad obiettivi sempre più
difensivi ed inutili.
A chi combatte lo sfruttamento oggi, e
quindi a tutti i lavoratori sfruttati che vogliono far valere la propria
dignità e diritto ad una vita degna d’essere vissuta, si danno oggi competenze
diverse e ruoli che non sono secondari in nessun caso.
È stato il popolo sovietico a scacciare
i nazisti da Stalingrado e Leningrado, è stato il popolo cinese a sconfiggere
l’imperialismo giapponese ed americano, sono sempre e solo le masse a poter
sconfiggere l’imperialismo. Senza conquistare le masse alla necessità della
rivoluzione, il che è tuttaltro che impossibile e remoto date le condizioni
oggettive vissute dalle masse nei paesi occidentali capitalisti, è impossibile
affermare la linea rivoluzionaria. Non va dimenticato che un dato storico nelle
rotture rivoluzionarie è proprio l’adesione comune delle masse al sentimento di
rifiuto di una data situazione (quello che Lenin definiva il “non poter più
vivere così”) e questa adesione fa parte dello sviluppo rivoluzionario stesso.
A dimostrarlo, l’immediato senso di appartenenza alla vita politca nazionale,
di ogni episodio significativo avvenga nel mondo, che rende l’idea di una
situazione di guerra già in atto, corrispondente all’affermazione della
contraddizione tra imperialismo ed antimperialismo. I colpi dela resistenza
irachena all’imperialismo, ad esempio, lungi dal far ragionare i caporioni
della borghesia imperialista al potere nel nostro paese, né di quelli all’
“opposizione”, aprono comunque varchi e lampi di coscienza, approfondendone la
distanza e chiarendo “da che parte siamo”, in milioni di proletari e persone
comuni.
(dal capitolo 11)
Perché sostengo, uscendo certo dal
seminato canonico del movimento comunista nel nostro paese e soprattutto dai
teoremi che tengono incatenata l’analisi di classe nel movimento rivoluzionario
dopo l’offensiva di classe del 1981, che OGGI, dopo gli arretramenti
intervenuti anche rispetto alle stesse conquiste delle masse negli anni
sessanta e settanta del secolo XX, la rivoluzione nel nostro paese, di cui la
guerra di classe è parte, ha una valenza in qualche modo intermedia, collocata
tra i paesi del centro imperialista e quelli del Tricontinente, tale da poter
definire la necessità della prossima tappa rivoluzionaria per le masse popolari
e la classe operaia, quella di una rivoluzione Proletaria di Nuova Democrazia,
organizzata dal basso verso l’alto, attraverso il potere dei Consigli popolari
?
Non certo per motivi bassamente
“geopolitici” (disciplina molto abusata negli ultimi decenni ed utile alla
borghesia più che al proletariato, come ha dimostrato storicamente anche di
recente l’esperienza dei Balcani, anche da noi rivoluzionari), bensì per alcuni
dati storici: la composizione della borghesia e delle classi, la natura
burocratica dello Stato, la questione dell’arretratezza del Sud e delle isole.
Dati che affronto solo con spirito contributivo, dato che sono inerenti
all’analisi di classe proletaria, che è essa stessa necessariamente frutto
della lotta di classe e del lavoro collettivo intrinseco all’attività del movimento
comunista ed autenticamente rivoluzionario, analisi di classe a cui ho sempre
lavorato (Mao Tse-Tung, Chi non ha fatto inchiesta non ha diritto di parola).
Composizione della borghesia nel nostro
paese e caratteristiche deli rapporti sociali. Alla grande industria,
latifondi, miniere, cantieri navali e borghesia finanziaria storiche si
aggiungono i gruppi sorti sulle speculazioni edilizie dal boom in poi, quelli
sorti su prodotti a basso contenuto tecnologico ma affermatisi sul mercato di
massa (moda, vestiario, occhiali). L’industria di stato è stata quasi
completamente rilevata da grandi gruppi monopolistici (es.acciaio) ed ha subito
forti ridimensionamenti. Molte industrie significative e diverse di media
grandezza sono in mano a capitali stranieri. La piccola e media industria
rappresenta una fetta molto rilevante del sistema economico del paese,
articolata prevalentemente sul decentramento produttivo e sui distretti
industriali settoriali (es.il tessile a Prato, l’orafo a Vicenza e Valenza Po,
il legno in Friuli, i mobilifici nel nord-ovest, ecc.). A questa borghesia
industriale si aggiunge una componente estremaente fluida e selvaggia nel
settore commerciale, ove grandi aziende e gruppi sono stati accaparrati da
gruppi finanziari e speculativi (es.Standa), composta di gruppi commerciali di
medie dimensioni e di un settore commerciale ed artigiano privato più composito
ma meno corposo che in passato, a causa della chiusura di molte botteghe e
negozi di piccole dimensioni.
Una caratteristica che tende a rendere
ingannevoli le statistiche è quella delle “piccole aziende”. Queste, sorte in
tutti i settori e a coprire mansioni (e “servizi” di ogni genere, prima
affidati all’industria od allo Stato), che inizialmente costituivano uno dei
bacini elettorali fondamentali della associazione a delinquere di stampo
mafioso denominata “democrazia cristiana”, nel tempo sono aumentate
numericamente a dismisura.
Tutttavia in moltissimi casi, vuoi per
fenomeni di esternalizzazione e indotto di realtà industriali medie e grandi
(boite e lavoro a cottimo casalingo), vuoi per fenomeni di crescente fornitura
esterna di servizi prima affidati a strutture interne (ad esempio i
programmatori), vuoi per le difficoltà della crisi che hanno determinato il
sorgere di attività di piccolo commercio ed artigianato “nuove”, vuoi per i
“nuovi bisogni” che nella popolazione opulenta occidentale si sono via via
affermati (la bellezza e la cura del corpo, per esempio), sono sorte figure di
lavoratori sfruttati che compaiono come lavoro autonomo ed artigianale;
sfruttati perché, al di là degli strumenti di difesa che adottano (tariffe),
dipendono dal ciclo di riferimento produttivo. La riproduzione della capacità
lavorativa degli sfruttati (lavoratori industriali), in misura certo minore di
quella delle altre classi, è oggi afferente anche a fattori che vanno ben oltre
il normale “paniere inflattivo” che rappresentava fino al 1984 (congelamento
della contingenza) un elemento di conquista della lotta di classe. Il venir
meno delle garanzie sociali alla riproduzione, e il crescere della crisi di
valorizzazione, hanno fatto sì che progressivamente fasce proletarizzate e
piccolo-borghesi, con mezzi diversi ed in settori in genere diversi, hanno
contribuito al crescere del fenomeno delle “ditte individuali”. Fenomeno (che
trova conforto anche nelle cifre delle aziende sotto i 16 dipendenti, ossia
escluse dallo Statuto dei lavoratori per volontà ancora una volta non solo dei
padroni ma anche della borghesia “illuminata” piena di merda che “governa” la
cultura della “sinistra democratica”; in queste aziende, il numero medio di
dipendenti per “azienda” è di 3 dipendenti e qualche decimale, ossia oltre 3
milioni di lavoratori per quasi un milione di “aziende”) che quindi solo in
apparenza è di ostacolo alla rivoluzione delle masse sfruttate, perché in
realtà condivide con esse gli effetti della crisi.
Nei “servizi” -ossia in un settore in
cui è in crescita la presenza di aziende ove si produce plusvalore, che era
connaturato invece due secoli fa quasi esclusivamente dalle industrie- il
settore dei media (in realtà partecipe alla produzioni di merci materiali) e
della pubblicità, delle assicurazioni, dello sport e dello spettacolo, si
articola in una componente monopolista via via crescente (basti pensare alla
Manzoni nella pubblicità, o alla Mediaset nelle televisioni, od al numero
esiguo di effettivi editori rispetto al numero di molto aumentato di quotidiani
ed emittenti, specie locali), che possiede la gran parte delle principali
aziende, ed in una componente locale e diffusa che fa capo agli imprenditori
locali più in vista.
Nei locali di intrettenimento, nello
sport, nelle finanziarie, nelle immobiliari, nei cantieri edili, (ove il lavoro
nero infuria ed i rischi per i lavoratori sono più alti che altrove, dato che
la “sicurezza” è un fattore del tutto aleatorio e funzionale al profitto,
perché le modalità operative del lavoro stesso sono da “terzo mondo”, e non
solo perché tese alla massima velocizzazione e quindi sfruttamento delle
persone, ma anche per il carattere umiliante e servile che si vuole
mantenga il “Lavoro” nel nostro paese: il 38,5% dei 215 “infortuni” mortali
nell’edilizia nel 2003 -il 15% circa dei quali riguarda immigrati- sono causati
da cadute dall’alto, il 15,4% dal travolgimento da parte di mezzi, il 15% da
crolli della struttura, il 9,2% da oggetti che hanno colpito il lavoratore, il
9% dal ribaltamento del mezzo, il 7,5% da folgoramento), sono presenti capitali
di provenienza spesso extralegale (ossia determinati da accumulazione
originaria), ove lo sfruttamento giunge fino alla mercificazione sessuale in
funzione del ruolo nel lavoro stesso, al di là delle forme diverse che assume,
che reprimono le esigenze dei lavoratori in maniera bestiale, capitali che
tendono a costituire la fascia bassa della borghesia imperialista.
Ma questo fattore della mercificazione
sessuale è legato storicamente anche al lavoro della donna in casa, e viene ad
assumere un ruolo più nefando grazie ad alcuni fattori che sono in crescita:
·
la fine
delle famiglie “normali”, con l’aumento del numero dei nuclei familiari di un
solo componente, la diffusione della solitudine e dell’isolamento tra gli
stessi abitanti di un medesimo edificio, l’allontanamento della popolazione
dalla gestione dei problemi dei quartieri (con la sola partecipazione e lotta
nei casi di disfacimento più evidenti, che poi in genere rifluiscono al finire
della specifica emergenza), il lavoro sottopagato delle “badanti”, a
testimoniare anche dell’abbandono degli anziani e della vigliaccheria della
società borghese che li relega nelle case di riposo solo quando possono
permetterselo e che fino a quando lo Stato pagava, li cacciava nelle cliniche
neurologiche (spesso private e della Chiesa Vaticana, che hanno sostituito in
maniera occulta i manicomi e che ancora oggi ricavano lautissimi guadagni dai
contributi statali e dalle “mance” dei familiari che possono permetterselo
affinché non li facciano morire – o il contrario), e negli ospedali a vegetare,
mentre in misura crescente diventano “barboni” e senza-casa, vagabondi d’un
“progresso” egoistico ed edonista.
·
La
difficoltà per i giovani a mettere su casa e quindi il numero in crescita di
ragazze che si buttano nella prostituzione temporanea, o nel campo della
“bellezza”, a fare da coriandoli degli spettacolini, ai vari livelli (dal
lap-dance alle veline) del ludibrio della borghesia imperialista utile a
soggiogare la mente del popolo, nonché del numero di giovani maschi che si
buttano nella malavita e nello spaccio di stupefacenti ben prima di conoscere
ciò a cui rischiano di andare incontro, con la conseguenza anche di un aumento
della repressione sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, e quindi
della militarizzazione delle istituzioni (basti pensare ai pronto soccorso,
alle ferrovie, ai taxi, alle metropolitane, ai locali pubblici, ecc.).
·
La
mercificazione dell’educazione, con le tariffe sull’alimentazione dei bambini
negli asili e nelle scuole elementari, l’attacco al tempo-pieno, le imposizioni
classiste sulla salute (fecondazione artificiale, attacco ai medici di
famiglia) che comportano sia un peggioramento della qualità della vita, sia il
crollo della struttura portante della vita sociale, la famiglia, con l’aumento
dei drammi, dei suicidi, la diminuzione delle nascite, ecc.
È
evidente che i fascisti che vogliono irrigimentare la società in questa fase
non hanno idea di cosa stanno mettendo in piedi, sempre che all’ “idea”
utopistica e borghese della “società unitaria” fascista neo-corporativa non
abbiano aggiunto quella della società intesa come pied-a-terre e club-privée
ove mandare pure i piccolini perché divengano prima del previsto “produttivi”.
Le terre
sono, a parte le comunità e le cooperative agricole ed i piccoli appezzamenti
privati, possesso di latifondi classici legati alle industrie ed ai mercati
principali, ove lo sfruttamento è istituzionalizzato e sindacalizzato, ma anche
di latifondi ove lo sfruttamento di manodopera specie immigrata, temporanea e
fluida, è più marcatamente selvaggio.
Componente
di borghesia compradora, specie in Sicilia, Puglia, Campania. Il peso
complessivamente importante delle borghesie locali e dei piccoli imprenditori,
spesso impegnati direttamente nei processi produttivi, e delle piccolissime
aziende, quelle sotto i fatidici 16 dipendenti, ove lo Statuto dei lavoratori
non ha peso alcuno, costituiscono un elemento di arretratezza e di impedimento
al progresso sociale dati i caratteri di paternalismo e coercizione sociale che
li caratterizzano. Un altro elemento in questo senso, prima ancora di
considerare il peso della Chiesa, è la frammentazione della realtà civile
(oltre 8.000 comuni e quasi altrettante caserme dei carabinieri, decine di
migliaia di frazioni, e l’urbanizzazione diffusa, antitetica alla natura della
grande metropoli europea (Parigi, Londra, Roma, ecc.) anche nelle campagne, per
cui si assiste in alcune aree anche del Nord in cui l’attività economica è in
depressione e la popolazione è in calo continuo, ad uno svuotamento abitativo e
lavorativo, ed in altre ad una metropolizzazione diffusa che non corrisponde ai
caratteri di vita e rapporti sociali delle metropoli. La dimostrazione di ciò è
Milano, il cui comune, periferie comprese, è in calo abitativo, con una
crescita della fascia urbana ampia. I 10 maggiori centri urbani del paese hanno
perso abitanti negli ultimi 30 anni. Questo determina ovunque una maggiore
lunghezza della giornata lavorativa sociale, una dispersione della popolazione
nei mille rivoli della sopravvivenza e della riduzione del tempo dedicato ai
rapporti sociali ed alla cura di sé.
La
borghesia amplifica la sua distanza dalla qualità della vita della maggioranza
della popolazione, i ceti medi ed impiegatizi risentono in maniera crescente
della crisi e del costo della vita, spingendo ad una proletarizzazione di massa
anche questi settori intermedi. Il calo della popolazione è anche strutturale
(livello demografico che ha toccato il saldo negativo per alcuni anni), e non è
completamente sanato dall’afflusso di popolazioni immigrate, in buona parte
“clandestine” (secondo i criteri razzisti dell’Europa di Shengen), che vanno
spesso a sostituire la popolazione operaia, ma che entrano anche a far parte in
alcuni casi della borghesia e dei ceti medi.
Complessivamente
la comparsa di sempre maggiori frazioni di capitale e la consistenza numerica
contenuta della popolazione appartenente alla borghesia imperialista non
permettono allo Stato imperialista di superare quei caratteri di voluta
arretratezza e di burocrazia che erano propri della “prima repubblica” governata
dalla borghesia industriale, dal clero, dai possidenti terrireri e dai mafiosi,
che costituivano la base di potere della “democrazia cristiana”, e che oggi
vivono soprattutto in “Forza italia” ed altri gruppuscoli “centristi” ma anche
in quote diverse, nei cosiddetti “popolari” e nei seguaci dell’enfant-prodige
Rutelli.
MEDIOBANCA –
maggiori azionisti – 2002 |
settore |
% |
Capitalia |
Bancario |
8,41 |
Unicredit |
Bancario |
7,83 |
Consortium |
Assicurativo |
4,99 |
Gruppo
Ligresti |
Edilizio |
3,80 |
Gruppo Pirelli |
Industriale,
chimica |
3,62 |
Gruppo
Generali |
Assicurativo |
1,99 |
Gruppo RAS |
Assicurativo |
1,81 |
Gruppo FIAT |
Industriale,
auto |
1,81 |
Fin.Privata |
Finanziaria |
1,75 |
Commerz Bank |
Bancario |
1,64 |
Burgo |
Industriale,
cartiere |
1,45 |
Pecci |
|
0,70 |
Cerruti |
Industriale,
moda |
0,64 |
Ferrero |
Industriale,
dolciumi |
0,41 |
Lucchini |
Industriale,
siderurgia |
0,41 |
Candy |
Industriale,
elettrodomestici |
0,14 |
Fin.Sev. |
Finanziaria |
0,10 |
Montefibre |
Industriale,
chimico |
0,09 |
|
|
41,59 |
I
“grandi cambiamenti” nella composizione di Mediobanca, agente politico
finanziario centrale per il suo ruolo nelle scelte capitalistiche nostrane,
successivi alla crisi della “prima repubblica”, si dimostrano in realtà come
verifica del mutato peso negli assetti capitalistici, del capitale finanziario,
che tendenzialmente nel nostro paese tende scientificamente alla distruzione
della grande industria ed a convogliare il nostro paese nelle mani delle
principali multinazionali anglo-americane.
La
privatizzazione del collocamento al lavoro attraverso le aziende interinali
costituisce un manifesto eclatante della dipendenza e precarietà delle giovani
generazioni, a confermare anziché negare la questione generazionale, pur se in
chiave ben diversa da come siamo abituati a leggerla sociologicamente, nei
termini di una difficoltà assoluta nel mettere su casa e famiglia per i giovani
proletari, a differenza di quanto accadeva negli anni sessanta e settanta,
quando la casa non era un bene di lusso ed era reperibile ad ogni settore
sociale, anche se in condizioni abitative assai discutibili. Oggi vi sono
milioni di abitazioni vuote, tenute in questo modo per far lievitare il prezzo
di mercato, o affittate con sistemi di rapina a giovani studenti ed immigrati,
il che comporta un ulteriore aggravio non solo del costo sociale della vita ma
anche una limitazione allo sviluppo produttivo e quindi si dà come limite al
plusvalore e come fonte di generazione di capitale finanziario in eccedenza.
Questa
presenza di un’economia palesemente passiva e corrosiva (che la borghesia di
“sinistra” vede a volte come spiegazione della crisi ma che ne è solo una
manifestazione) comporta sul piano politico delle resistenze di componenti
della borghesia (sue frazioni locali, per esempio) all’integrazione europea, su
cui speculano i settori più sporchi della borghesia imperialista (che
posseggono la quasi totalità dei media, del mondo dello spettacolo, della
speculazione edilizia, di alcuni settori industriali e fiananziari), spesso
oggetto di indagini giudiziarie ma non per questo estranei al potere, nonché
delle rivalse (da “ventennio”) di politica da “grande potenza”, tipiche per
esempio del frutto della frustrazione leghista (per la mancata autonomizzazione
del nord, solo “parzialmente” compensata in termini di maggior potere alle
fazioni di borghesia imperialista nelle singole regioni, dalla devolution) in
campo della giustizia, con accordi brevimano di estradizione e reciprocità
giuridica con dittature e paesi antidemocratici soprattutto dell’area
mediterranea (Turchia, Iran, Spagna, ecc.), e con politiche revansciste e
reazionarie in materia di giustizia. In questo campo, la borghesia istituzionale
non riesce più a svolgere il proprio compito senza confliggere sempre più
spesso con gli interessi delle organizzazioni politiche espressione delle
frazioni di borghesia.
Le
corporazioni professionali sono molto diffuse e costituiscono il contraltare dello
Stato burocratico, necessarie a mantenere le aspirazioni delle classi sfruttate
dietro il bancone delle tasse e dei balzelli, delle file con il numero in mano
e delle multe e sanzioni, in un sistema punitivo e premiale che privilegia i
potenti ed i ricchi. Queste corporazioni, in particolare quelle che operano
privatamente (avvocati, notai, commercialisti, ragionieri, architetti,
ingegnieri, dentisti, oculisti, giornalisti, ecc.) si riproducono in maniera
quasi feudale, per “diritto ereditario”, a causa della struttura sociale
pre-scritta della divisione del lavoro. Il mantenimento di uno status-quo di
privilegio gli è riconosciuto socialmente e non costituisce giammai elemento di
messa in discussione da parte della “sinistra” della borghesia né tantomeno
della destra. Il loro ruolo si articola esattamente al compito di riprodurre la
stabilità di un’ordinamento sociale che riflette un “liberismo” a senso unico,
dove l’unica libertà è quella di sfruttare e di mantenere il proprio potere. Il
peso della cultura è in flessione, mentre appare crescente in maniera
esponenziale il peso dei poli tecnologici creati dalle maggiori industrie e
dalle componenti emergenti dei settori economici multinazionali legati alla
medicina, alla tecnologia militare e scientifica, alla biologia, ecc. Tutto ciò
mette in discussione l’analisi dell’Italia come Stato imperialista compiuto, al
di là dei ridiciìoli sforzi (D’Alema con Clinton, Berlusconi con Bush) di
significarsi come solidi alleati NATO e disposti alle più nefande avventure
militari, e quindi rappresenta da un lato un elemento di forza del
proletariato, dall’altra un elemento di caotica e duratura anarchia economica e
politica a cui le tanto declamate modifiche istituzionali parlamentari hanno
dato una mano, anziché una sistemazione. In questo, specie ora con il regime
filo-fascista e reazionario del “Polo delle libertà” (di sfruttare, reprimere,
rubare e proteggere gli interessi dei più forti economicamente), l’Italia
appare per certi versi simile a certi regimi sudamericani dove il potere
politico è strettamente legato al potere dei media televisivi; d’altronde la
varietà e frammentarietà delle frazioni, specie locali, di borghesia in campo,
distingue l’Italia dai paesi del terzo mondo. Non però, quanto all’indipendenza
nazionale ed al rispetto dei principi pacifici e sociali della Costituzione del
1947.
Natura
burocratica dello Stato nel nostro paese. Fondata sulla dittatura del regno
Sabaudo nel meridione che non modificò gli odiosi assetti sociali e di
proprietà terriere e che represse nel sangue le comunità e le loro forme di
resistenza ai feudi, sul mantenimento del potere della Chiesa, sul ruolo
politico del risorgimento nel centro-nord, sulla presenza di un corpo armato
politico reazionario e repressivo (i carabinieri), la “Nazione” italiana ha
inteso sin da subito, con le avventure coloniali e militariste, qualificare
qull’identità “romana” che avrebbe dovuto stando alle affermazioni nelle intenzioni dei potenti cancellare centinaia di anni di
devastazioni, centinaia di anni di miseria e feudi, centinaia di anni di
dominazioni straniere. In realtà sin da subito la borghesia avvia la
costruzione di uno Stato burocratico ed estraneo agli interessi più immediati
del popolo, gravando l’analfabetismo e l’arretratezza delle regioni del Sud,
attingendo alla Chiesa in campo educativo e di controllo sociale (Patti
Lateranensi), dominando spietatamente la devianza con un sistema penale
enormemente classista (ancor
prima dei codici Rocco),
costruendo sistemi economici di Stato fondati sul corporativismo e il
contenimento dei conflitti sociali, costruendo una classe fascista di
magistrati, prefetti e questurini, che sostanzialmente la nuova Repubblica
antifascista non eliminò ma solo inizialmente contenne per poi riassorbire e
lasciargli mano libera nella repressione sociale. Costruita per settori,
dipartimenti e strutture specifiche, lo Stato italiano che ha gestito la
ricostruzione economica del dopoguerra sul dominio di classe, i finanziamenti e
la presenza militare americana, ha costituito una sorta di colonia politica
dell’imperialismo sin dal secondo dopoguerra a causa della politica aggressiva
ed anticomunista degli USA. La epica e ben nota prassi burocratica da
azzeccagarbugli, dietro cui si nascondeva e cela tuttora l’intrico di favori,
interessi, privilegi e “diritti ereditari” (nella medicina e nell’università,
nell’esercito, nelle forze di polizia e nella magistratura), è solo in parte
contrastata dal capitale multinazionale e monopolistico, che ha imparato a
sfruttarne i favori e gli intrichi di interessi (tipico il connubio
industrie-università-enti di ricerca scientifici). In questi settori, il fatto
che si tratti di ambiti pubblici, funzionanti con capitali frutto del gettito
fiscale e quindi del sudore dei lavoratori, nulla influisce a determinare una
reale dipendenza dello Stato dalle necessità del popolo. Lo si è visto con la
condizione, per esempio, della salute, ridotta a camera mortuaria per i deboli
e a lussuosi residence per i ricchi, con le attese di mesi per semplici
accertamenti, e con il malcostume di molti professionisti facili all’errore
(spesso mortale), ed in cui i livelli retributivi sono astralmente lontani, tra
ausiliari ed infermieri, e preziosi e ricercatissimi primari occupati ovunque e
desiderosi di operare per tele-trasmissione. Lo si è visto con le condizioni
della sicurezza sui posti di lavoro, e della nocività, e dei trasporti. Gli
“incidenti” sul lavoro sono circa 1 milione all’anno, di cui circa 1.400
mortali, oltre la metà dei quali nel settentrione (almeno queste sono le cifre
del 1996-2002). Una buona parte dei quali riguarda esplosioni ed incidenti
chimici, un’altra parte operazioni azzardate di pulizia di silos e contenitori
di materiali pericolosi, moltissimi riguardano il lavoro edilizio, altri,
incidenti durante spostamenti merci e lavorazioni. Questa strage quotidiana
(circa 6 morti al giorno) non ha alcun rilievo politico, se non in occasione
delle stragi più pesanti, con il corredo di strilli sindacali e scioperi di
solidarietà di ¼ d’ora, ecc. La situazione non è cambiata affatto anche se in
passato vi erano più incidenti (ma anche più lavoratori industriali). A questo
si aggiunga il prezzo che i lavoratori debbono pagare, con le loro famiglie ed
i cittadini delle città e quartieri colpiti, della nocività diretta (da
contatto con materiali letali, come l’amianto, per esempio: in Italia sono
stati 9.000 i decessi tra il 1988 ed il 1997, per difetto, a causa di neoplasie
da amianto; 140.000 sono le domande per il riconoscimento pensionistico a causa
dell’esposizione lavorativa all’amianto, e 700.000 sono nei paesi capitalisti
occidentali i morti previsti entro il 2030 per mesotelioma) e della nocività
delle emissioni impreviste e delle fughe tossiche (da Manfredonia a Ravenna, da
Marghera a Priolo, ecc.). In sostanza l’unico cambiamento avutosi rispetto alle
stragi ed alle pesantissime situazioni sociali degli anni ’70 (Seveso su tutte)
è che sono meno attivi i siti petrolchimici e di altre produzioni a rischio. Ma
il costo sociale che le popolazioni debbono pagare al malgoverno del territorio
ed alla speculazione edilizia si vede con gli smottamenti e tracimazioni che
avvengono quasi ogni inverno, e che trovano impreparate le popolazioni. La
“sicurezza” che lo Stato offre ai cittadini è, insomma, prettamente data dalla
militarizzazione del territorio e non certo dalla tutela dell’ambiente. Belle
parole a cui le mobilitazioni ecologiste non hanno certo obbligato i governi a
ristabilire con operazioni drastiche e scientificamente rispettose
dell’ecosistema, atte a difendere foreste e fiumi, paesi e vallate.
Convincendoci sempre più che il problema politico nel nostro paese è
assolutamente centrale e riguarda la gestione socialista dei mezzi di
produzione e della vita sociale, unica alternativa alla barbarie celata dietro
il benessere dell’apparenza e degli idromassaggi (che sostituiscono oggi lo
status symbol del passato, il frigorifero). Le ferrovie, costruite col sudore
del lavoro, così come tutti i servizi pubblici, del gas e dell’acqua, corrente
elettrica e trasporti urbani, sono state parzialmente privatizzate e hanno
subito l’applicazione di criteri logistici e di “redditività” assolutamente
incompatibili con la qualità del servizio, anche qui biforcatosi astralmente
tra alta velocità e piccoli tragitti locali. Le autostrade, con il gran clamore
delle grandi costruzioni, dei nuovi trafori e di mastodontici ponti, sono
passate dalla promessa fatta al popolo negli anni cinquanta di una futura
gratuità, alla privatizzazione ed aumento progressivo ed esponenziale,
parallelo ai carburanti, delle tariffe. Gli incidenti ferroviari sono
aumentati, e i morti nelle strade si cntano a migliaia nelle strade. Questi
sono frutti di una “spoliazione” della natura “sociale” dello Stato, che non fa
stranamente venir meno tuttavia la sua natura burocratica. Anzi, mano a mano
che lo Stato si libera dei lacci e lacciuoli della dipendenza dalla
riproduzione della vita sociale, aumenta le strutture e le norme utili a
giustificarne l’esistenza. Questo è tipico dello Stato burocratico dei paesi
latino-americani, anche se in proporzioni certo minori del nostro paese. La
micidiale produzione normativa dei vari uffici ministeriali, estranea e spesso
in contraddizione con lo spirito delle leggi del Parlamento, e priva
sostanzialmente di controllo da parte della “classe politica” ossia delle
strutture politiche delle varie frazioni di borghesia imperialista che si sono
storicamente impossessate del potere e delle competizioni elettorali (sin da
prima del fascismo) che sono interne proporzionalmente agli interessi in gioco,
è tale e tanta da costituire essa stessa una specificità di peso enorme nei
rapporti sociali. Tipica la politica sulla casa, passata, di fronte al fiorire
di interessi speculativi di costruttori e “piccoli proprietari”, dall’approccio
della garanzia proporzionale al reddito ed alla qualità della vita della
politica delle “case popolari” e dell’ “equo canone”, alle truffe,
speculazioni, rapine ed esclusioni, legittimate dallo Stato non a caso con le nuove
norme sugli sfratti sin dalla fine degli anni settanta, dopo un ciclo, che
tuttora continua a causa della mancata risoluzione di questo primario
bisogno sociale, di lotte sociali e di massa, sempre represso dagli apparari
repressivi dello Stato (allora poveri contro poveri, ora professionisti ben
pagati ed esecutori ottusi ed obbedienti contro poveri, a smentire Pasolini).
In ogni ramo e settore, privilegi occulti e riconoscimenti palesi, reciprocità
di riconoscimenti, occlusioni ed intralci alla vita, regole eccessive ove si
esplicano pezzetti di libertà, ed assenti o inapplicate ove servirebbe
rispetto. Tipico il caso degli ispettori del lavoro, che, pur operando con
improvvisazione, spesso non sono inattesi, e comunque sono in genere del tutto
insufficienti al rispetto ed all’applicazione delle leggi in un paese che non è
mai stato nazione se non nelle avventure militariste e nel tifo calcistico. Una
nazione in cui lo Stato, proprio perché è nato Sabaudo e nazionale in una
non-nazione, -composito puzzle di lingue e culture diverse, per secoli dominate
da diverse forze di occupazione, con regioni spesso dipendenti dal potere
clericale, ed impostosi senza porre ovviamente, dati i suoi interessi, la
questione contadina all’ordine del giorno, se non tardivamente e in maniera
tale da privilegiare i latifondisti e non il lavoro-, mantiene tuttora dei
caratteri di arretratezza ed ottusità burocratica che i numerosi passi
tecnologici di riadeguamento liberista alla velocità della circolazione di
merci e capitali non hanno certo eliminato né possono eliminare perché si è
voluta sedimentare la concezione dello Stato come entità propria separata dagli
interessi, pur classisti, dei ceti sociali e del popolo inteso come insieme. Il
che in quest’ultimo caso è ovvio, ma pesa quando soltanto attraverso
l’aggiramento delle norme si possono risolvere dei problemi, come dato
strutturale ed intrinseco alle cose. Questo carattere burocratico e, in quanto
autoprotettivo, “mafioso”, dello Stato, sta alla base della vacuità ed inutilità
e ridolaggine delle “politiche” che i vari esecutivi attuano, ben coscienti del
problema, allo scopo di mantenere lo status quo di un paese capitalista
avanzato con una cultura ed un rispetto civile assolutamente arretrato. Questo
carattere spiega anche perché l’Itaia, come altri paesi “deboli” della politica
europea, operi essenzialmente per “linee teatrali” atte a rinviare le
contraddizioni date dalla prospettiva istituzionale comunitaria proprio perché
viceversa sarebbe troppo pesante l’attuazione dei principi continentali, pur
borghesi, in un paese come il “nostro”. E questo spiega anche perché l’Italia
contemporanea si sia sempre, nel fascismo come oggi, appoggiata sulle più
nefaste politiche internazionali, proprie degli sciacalli e della violenza più
infame. Non a caso l’avventura neo-coloniale somala, ha i suoi paralleli
storici nel XX come nel XIX secolo. Ed in questo paese, ove la monarchia
sabauda ed il fascismo da essa accettato hanno costruito questo Stato
burocratico, i fascisti sono tornati al governo e gli eredi al trono sono
tornati dall’esilio. Il tutto è oggi abbellito e addobbato dalle politiche di
rappresentanza, oramai inflazionantesi le une alle altre in un caos mediatico
che opera censurando progressivamente i conflitti sociali e gli atti repressivi
di polizia. Il tutto dietro la difesa della “personalità dello Stato” che si
vuole “dei cittadini” sulla carta e sulla bocca di tutti, ma che è realmente
estraneo alla vita ed alla sopravvivenza della maggioranza dei cittadini, costituendosi
esso stesso come eversore della Costituzione (dallo Stato DEI cittadini allo
Stato in quanto Stato), nel privilegiare oramai strutturalmente le attività di
sfruttamento sulle necessità dei suoi sudditi, il condono degli evasori sui
diritti dei lavoratori che tutto producono e tutto edificano. Questo dato è
talmente sedimentato nella vita sociale che per molti anche nella “sinistra”
borghese, è diventato addirittura “normale”, portando ad un vuoto di
partecipazione civile che, se da una parte è frutto del livello dato dal
conflitto di classe, dall’altra è causato dalla reale estreneità di milioni di
lavoratori dalla vita sociale e politica del paese. Effetto “scandaloso” per i
politici nostrani ? Tutt’altro, oramai accettato il senso comune della deriva
civile degli Stati imperialisti, questo fa anche gioco alla borghesia, che
recupera in questo modo terreno per i propri soprusi interessati al profitto.
In questo sfacelo, la “sinistra” della borghesia cerca di contrastare gli
assalti frontali delle frazioni al potere, tutti tesi a svuotare
progressivamente di quei pochi residui significati di diritto e partecipazione
e rappresentanza sociale, gli organi esecutivi in particolare in campo
giuridico e legislativo.
Il Sud,
conquistato manu militari dalle truppe sabaude (Piemontesi) nella seconda metà
del secolo XIX, ha costituito sempre strutturalmente una riserva di manodopera
a basso costo per ogni genere di attività od affare. Meridionali erano gli
operai che hanno fatto la fortuna dei padroni negli anni del “boom economico”.
Meridionale è il 95% della popolazione carceraria stabile del paese di origine
italiana. Meridionale è gran parte del lavoro contadino. Meridionali sono la
gran parte dei latifondi, spesso rimasti inalterati da secoli. Meridionale è
buona parte della borghesia nera che costuituisce una fetta specifica del
capitale nel nostro paese. E nel meridione, in particolare in Sicilia, le forze
reazionarie e cattoliche che hanno detenuto il potere per 45 anni prima di
Tangentopoli, hanno sempre controllato l’elettorato, come è accaduto nel 2000
con “Forza Italia”. Evidente che il mantenimento del meridione in condizioni di
arretratezza e, solo selettivamente, inserendovi strutture avanzate,
costituisce una delle scelte strutturali e strategiche del capitalismo italiano
legato alle multinazionali e vendipatria.
Tutti
questi sono punti di riflessione che portano coloro che vogliono partire dalla
realtà per superarla e trasformarla attraverso il movimento reale delle masse
verso il socialismo ed il comunismo, a comprendere che il nostro paese
costituisce ancora un esempio anomalo nel novero dei paesi imperialisti, ed in
qualche maniera la futura Rivoluzione proletaria socialista in Italia non potrà
che essere anche una Rivoluzione di Nuova Democrazia nel senso che occorrerà
ricostruire la concezione stessa della democrazia dal basso, senza la quale il
socialismo non è attuabile senza, come storicamente si è visto, riprodurre
degenerazioni borghesi e privilegi che lo portano alla sconfitta tattica. Perché
tattica ? Perché, se è vero che l’Umanità potrebbe sconfinare nella barbarie e
nell’estinzione a causa del procedere dell’imperialismo capitalista, è anche
vero che è intimo ed insito alla natura dell’Uomo, e quindi nell’oggettvità
della vita e delle relazioni materiali e sociali tra gli individui, il buon
auspicio verso il divenire progressivo della Storia, che a tutt’oggi è stato
prefigurato con risultati parziali anche molto significativi della possibilità
nella trasformazione e affermazione dei principi dell’Eguaglianza, della
Fraternità e della Solidarietà tra i lavoratori, contro ogni sfruttamento e
schiavizzazione dell’Uomo, dal Socialismo, punto di passaggio al Comunismo,
fase matura della Umanità.
DELLA PROPOSTA RIVOLUZIONARIA ALLA CLASSE
Questa
si esplica oggi lungo direzioni diverse, ma non opposte. Una grande
frammentazione sociale ha caratterizzato gli anni della ristrutturazione
padronale e della rivincita vendicativa e infame della repressione statale
sulle lotte espresse dalla classe operaia e dal movimento rivoluzionario, a
tutti i livelli, sino al 1982. Questo non poteva evitare di produrre miriadi di
difficoltà e rinnovamenti nel corpo di classe. Ma ci ha pensato la situazione
rivoluzionaria venutasi a creare con la caduta del muro di Berlino, la
aggressione imperialistica americana ed occidentale al Medio Oriente ed ai
popoli del Sud del mondo, il crollo del sistema di potere e corruzione
democristiano e “democratico” nel nostro paese con “Tangentopoli”, frutto delle
contraddizioni interne al sistema e non più comprimibili, a determinare nuovi
assetti e conflitti. E in questa situazione la lotta armata per il comunismo ha
ripreso a pesare nello scontro di classe agendo direttamente sui centri
nevralgici della politica filo-padronale di contenimento delle legittime
esigenze dei lavoratori e di loro compressione e convogliamento entro le rigide
regole imposte dall’approfondimento della crisi al capitale anche nei paesi
cosiddetti “avanzati”. I margini della mediazione sociale sono così saltati, e
il ricompattamento periodico attorno alle “istituzioni” non offre giustamente
altro di sé che una indegna parodia di cuò che fu la “solidarietà nazionale”
sbirresca e forcaiola degli anni ’70. Questa situazione, come abbiamo visto
analizzando il fascismo ed i caratteri specifici della Rivoluzione nel nostro
paese, è in evoluzione: siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo.
Mentre la
resistenza del popolo Irakeno avanza formidabile ad inceppare il funzionamento
stesso dell'invasione militare dell'imperialismo yankee, giungendo persino a
colpire il personale spionistico e militare di gestione della diplomazia
americana, attaccando con forza sia il collaborazionismo interno che la
possibilità di permanere nl paese da parte delle forze imperialiste, da parte
sua Turchia ed “israele” nell'area non sono certo venute meno ai propri ruoli,
come abbiamo visto e vediamo ogni giorno, assassinando bambini e negando
libertà ed indipendenza, terra e diritto alla sopravvivenza, alla stessa
popolazione non direttamente impegnata nel conflitto, proprio perchè troppa è
l'infamia che questi paesi vogliono imporre rispettivamente ai popoli del
Kurdistan e della Palestina, ed ai loro militanti prigionieri e dirigenti
costantemente isolati e torturati nelle caserme segrete e tecnologiche dei
regimi. E vi è ancora qualcuno in Italia che parla di missioni umanitarie e di
allargamento della UE, anziché, lì, di interventi tesi ad impedire ciò che è
diventato oramai prassi quotidiana. L'impegno delle forze militari italiane in
questo Medio Oriente, al di là delle richieste oggi di ritirare le forze, non è
solo carattere del governo reazionario, è carattere della stessa posizione con
cui questa classe borghese imperialista al potere si qualifica rispetto alla
popolazione interna ed immigrata. Per questo non possiamo oggi parlare di
lotta armata interno alla dinamica rivoluzionaria senza parlare di resistenza. Per
questo la violenza che esercitano più o meno occultamente sui prigionieri, me
compreso, è la stesso via Tasso. Per questo va espresso dal proletariato un
costante sostegno, indirizzato al rafforzamento del campo poletario nlla fase
di costruzione delle condizioni per l'avviamento vero e proprio della fase
rivoluzionaria, alle iniziative (...), come azioni di resistenza al regime che
si sta costruendo sulla pelle della gente e delle stesse leggi. Ancora comunque
al di sotto del necessario, e non solo a causa degli incessanti colpi
repressivi che l'imperialismo assesta preventivamente contro il proletariato e
non certo, se non episodicamente, contro le proprie bande armate fascista e
tantomeno nei confronti della frammistione totale tra regime e compagni di
borghesia nera, che oramai ha invaso anche le “forze dell'ordine” stesse in un
fascismo strisciante di regime, ma anche dei problemi politici tuttora
irrisolti posti all'avanguardia rivoluzionaria sin dalla ritirata strategica e
della lotta della classe operaia con le autoconvocazioni del 1984.
Un nemico,
lo Stato borghese imperialista e ancora in parte semi-feudale, nel quale la
professionalizzazione delle forze armate ha un suo ruolo ben preciso di
prospettiva ed estraneità ai principi stessi Costituzionali ai quali oggi
richiamarsi dal punto di vista di classe è cosa ben diversa da ciò che intende
una ipocrita e fasulla magistratura che intende solo mantenere un potere
particolare nello Stato di emerenza perenne, e non certo difendere i deboli e
gli oppressi dalle angherie dei potenti.
La
situazione di gravità assoluta in cui versa il proletariato del nostro paese e
le componenti sfruttate tutte, immigrati, pensionati, donne e giovani,
disoccupati e precariato, in prima fila, è tale da costituire di per sé una
delle condizioni della situazioni rivoluzionaria, per dirla con Lenin. Ma
questo non abbrevia le circostanze di modo che il problema primario delle
costruzione del partito della rivoluzione non esista. Questo problema esiste e
non può più venir posto in termini rivoluzionari al di fuori della coerente e
chiarissima ripresa e riappropriazione del nostro patrimonio di classe, del
marxismo-leninismo-maoismo.
La
costruzione di autentici partiti comunisti in grado di dirigere lo scontro di
classe portando il proletariato ed il popolo all’offensiva è, anche in Italia,
posta chiaramente del
marxismo-leninismo-maoismo, che saprà dimostrarsi capace di qualificarsi come
arma della classe per unire le forze autenticamente rivoluzionarie e diigerne
il processo [termine che in Politica, sta a significare l'evolversi, lo
svilupparsi, di una realtà], senza intendere assolutamente questo come
“governabile” da forze militari bensì comprensibile e riappropriabile da parte
e delle masse tutte, italiane ed immigrate, che costituiscono l'esercito
proletario degli in costruzione.
La
parola in questo senso è al movimento comunista, ai proletari, ai
rivoluzionari, alle organizzazioni comuniste combattenti, ed alle
organizzazioni guerrigliere di recente costituzione, che devono trovare la
forza per nuove offensive ed espressioni autentiche di chiarezza non limitate
ai “canoni” di progettualità dimostrarsi inadeguate.
Come
prigioniero comunista e rivoluzionario, il problema non si pone in termini di
mera adesione ad una opzione politica, ma di affermazione dei principi e dei
valori ed analisi entro cui dare il proprio contributo, ossia, nel mio caso, di
una collocazione precisa della priorità politica al marxismo-leninismo-maoismo.
(dal capitolo 12)
Per questo oggi, tredici anni dopo l’aggressione dell’Iraq,
tre anni dopo l’invasione dell’Afghanistan, dopo un anno dall’ultima occupazione
militare dell’Iraq, che segue 80 anni di rapina petrolifera anglo-americana
nell’area, cinque anni dopo i macelli dei bombardamenti sulle inermi
popolazioni serbe, undici anni dopo l’occupazione militare fallimentare
della Somalia (NOTA 27), sei anni dopo le “rappresaglie” americane su
Khartoum, diciotto anni dopo i bombardamenti su Tripoli,
ventiquattro anni dopo la strage di Ustica e un decennio dopo la strage del
Cermis, e via dicendo, Grenada, Haiti, Panama, e oggi ancora gli
interventi di consiglieri e truppe speciali in Nepal e Filippine, la
creazione di basi militari imperialiste americane in territorio di guerra
popolare come in Perù ed Ecuador (ove la lotta di classe degli operai e dei
contadini indios sta assumendo un carattere esplicitamente rivoluzionario) ed
in aree di guerra di liberazione nazionale come in Colombia, ed il loro
appoggio da sempre riconfermato alle formazioni paramilitari stragiste, che
ammazzano selettivamente i dirigenti comunisti, i sindacalisti ed i preti invisi
ai capitalisti ed alle consorterie, non solo mafiose, della borghesia
compradora, e massivamente intere popolazioni contadine ed agli eserciti
delle dittature e dei signori della guerra dei paesi del Tricontinente ricchi
di risorse energetiche, minerarie e diamantifere, ecc., tutto ciò non
può smentire in alcun modo le ragioni di chi combatte armi alla mano
l’imperialismo, schifando giustamente i falsi secchielli umanitari “a
svuotare” il mare dell’infamia dell’occidente che candide e laide mani
episcopali e di giovani professionisti illusi di servire così al progresso
“dando una mano” porgono a bimbi morenti causa i loro stessi mandanti politici
ed economici (illusione che i media ben alimentano e non da oggi), né può
smentire chi si “permette” di chiamare l’Italia, fedele scudiero di
mamma-Washington, Stato Imperialista (NOTA 28).
Stato Imperialista nelle relazioni
internazionali e nei rapporti economici con la stragrande maggioranza dei paesi
del mondo, stato gendarme sul piano interno, ma sempre più arena della
spartizione dei dividendi del profitto tra le formazioni della Borghesia
Imperialista a questo stadio del modo di produzione capitalista, sempre più
interconnessi nell’ambito della catena.
·
Attualità
dell’analisi leniniana sull’imperialismo che nessuno può smentire. Tanto più
che il quadro internazionale pare PROPRIO retrocesso a quello di 90 anni fa,
dopo il crollo del revisionismo nei paesi dell’Est Europeo che furono
socialisti sino alla metà degli anni ’50 del secolo scorso.
·
Attualità
delle tesi dell’avanguardia comunista combattente degli anni settanta (NOTA 29)
sullo Stato Imperialista delle Multinazionali che non può certo essere smentita
oggi, un quarto di secolo dopo, come volevasi dimostrare per la intrinseca
scientificità ed oggettività del processo storico, come sempre e per sempre.
·
Situazione
rivoluzionaria in sviluppo sul piano mondiale e controtendenza militarista
dell’imperialismo che si confrontano a livello mondiale nella in una lotta di
resistenza antimperialista dei popoli che di fatto è una guerra antimperialista
alla barbarie militarista e guerrafondaia dell’imperialismo americano (NOTA
30).
Quei
marxisti-leninisti che oggi insistono a smentire la analisi della situazione
rivoluzionaria in sviluppo, della tendenza alla rivoluzione proletaria mondiale
in atto, e a sminuire l’importanza, sino a denigrarla con denominatismi
demonizzanti di “linpiaoismo” dovrebbero riflettere molto bene prima di sputare
sentenze fondate su un’impianto politico che non ha ancora capito che il centro
della Rivoluzione mondiale oggi non sta né in Europa né in Russia.
È il marxismo-leninismo-maoismo
oggi ad essersi affermato scientificamente oltre ogni sentimentale incertezza
come il marxismo al massimo punto sinora raggiunto dallo sviluppo storico della
lotta del proletariato mondiale (unica classe) per il comunismo (unica società
mondiale), attraverso le sue conquiste più recenti della teoria materialista
dialettica e della contraddizione, della teoria scientifica della guerra
popolare rivoluzionaria e della rivoluzione culturale proletaria, che sono
state negli anni sessanta e sono storicamente ancora oggi la base fondante di
ogni movimento autenticamente rivoluzionario.
Nell’analisi
non si può correre dietro alle “certezze” del passato (l’URSS, la linea di
demarcazione Est/Ovest intesa come cortina di ferro anziché come
occidente/oriente, oggi l’attesa messianica nella rivoluzione in Russia dove il
capitalismo sta diffondendosi come la malaria e dove la popolazione cala
anziché crescere proprio perché per affermarsi il capitalismo ha bisogno di
stabilizzarsi e non può farlo in un sistema di depredazione innestato sul
fallimento del burocratismo revisionista che ha distrutto il socialismo in
costruzione sino al 1956, e dove al popolo restano solo le radici delle
patate).
Chi lo
ha fatto, ne ha pagate politicamente le conseguenze, come dimostrano i dati di
fatto.
Questo
non significa non essere solidali con i partiti comunisti ricostituitisi dopo
il crollo del revisionismo o con quelli in costruzione nei paesi già
socialisti, ma significa non dare loro la stessa importanza che i comunisti di
tutto il mondo davano al Partito bolscevico durante il quarto di secolo di vita
della Internazionale Comunista.
Ciò che
conta è il patrimonio storico che non può essere cancellato perché vive nella
lotta continua del proletariato e della classe operaia e continuamente si
trasmette di generazione in generazione senza perdere la memoria storica di ciò
che è stato ed anzi spingendo ad un grado più elevato di maturità la lotta
rivoluzionaria.
L’ideologia
proletaria è oggi come
sempre una nostra arma potentissima, che noi comunisti dobbiamo saper impugnare
nel popolo e tra i proletari perché è il frutto primo e più alto del sangue
versato dai nostri compagni lungo tutto lo sviluppo storico della classe
operaia e del proletariato e delle classi oppresse. Rifarsi all’ideologia come
arma e strumento dell’analisi e della lotta significa fare l’analisi corretta e
giusta della situazione concreta.
Per
questo, come già negli anni sessanta, chi si caratterizza storicamente come
anti-maoista non può andare da nessun’altra parte che nei rigagnoli secchi di
una memoria che non vuole riadeguarsi ed uscire una volta per sempre dal
mefitico euro-sciovinismo (base fondante del sopravvissuto social-sciovinismo
ed anche del defunto socialimperialismo revisionista). Deviazione
euro-sciovinista che nessun comunista occidentale può permettersi oggi senza
porsi fuori dal fronte concreto che oppone i popoli ed i proletari ai capitalisti
ed al militarismo assassino imperialista.
(dal capitolo 13)
Non riconosco alcun diritto all’occupazione del suolo del mio
paese alle truppe militari americane, alle quali rivendico il diritto alla
Resistenza sia contro la guerra imperialista che da queste basi trae
alimentazione sia contro la dipendenza politica ed il ricatto permanente che ne
consegue, come se il nostro Paese non avesse pagato il suo riscatto dall’onta
del fascismo con il sangue versato dal popolo e dai partigiani nella Resistenza
dal 1943 fino al dopoguerra inoltrato.
(dal
capitolo 14)