IN MATERIA DI OPZIONE STRATEGICA (“combattentismo” a parole e di saltuaria espressione “simbolista”, e opportunismo nei fatti, atto ad IMPEDIRE la crescita della classe operaia e del proletariato, oggi più ancora di ieri, maggioranza tra le classi lavoratrici, anche grazie alla sua diffusione mondiale conseguente all’espansione mondiale del m.p.c., prospetticamente anche maggioranza rispetto alla classe contadina; secondariamente si tenga conto dello scioglimento della RAF nel 1996 come evidente dimostrazione della deriva dell’impostazione guerrigliera metropolitana, e della caduta per la terza volta in meno di vent’anni, dei tentativi di ricostruzione delle FF.RR. da parte delle BR-PCC, come dimostrazione empirica dell’errore; errore che ebbe inizio con lo scioglimento del Fronte delle Fabbriche da parte delle BR nel 1976, segno dell’abbandono progressivo della Linea di Massa; infine, dei riferimenti ideologici “terzomondisti” dell’opportunismo: a parte il Medio oriente, nulla o poco più: una “dipendenza petrolifera” in materia di visione strategica) E DI STRATEGIA ED IDEOLOGIA PROLETARIA RIVOLUZIONARIA COME ESPRESSIONE COMUNISTA ATTUALE E CONTEMPORANEA (MLM principalmente maoismo), IN ITALIA, XXI SECOLO

Dal documento presentato ai Tribunali di Livorno e Biella nel maggio-ottobre 2004 da Paolo Dorigo in detenzione (LINK:  http://www.paolodorigo.it/2004_05_14_Livorno_Documento_n_1.htm  http://www.paolodorigo.it/doc 2 htm/2004_05_14-2005_04_25-Documento 2 - Livorno - aggiornatoi.html )

(…)

Vi sono anche delle considerazioni da fare, a trentacinque anni dall'inizio della guerriglia in Europa e a quaranta dalle prime esperienze in USA: sotto il protilo della memoria delle masse, che le masse hanno delle esperienze, il modello della guerriglia metropolitana è stato, anche nel Tricontinente, a parte forse i n Uruguay dove i guerriglieri presiedono le camere parlamentari, del tutto sconfitto dai media della borghesia imperialista, verso i quali voleva competere con la logica della “sfida” (i sequestri, l'implicito ma negato politicamente, “bisogno di un riconoscimento” dall'infame stato borghese), in quanto, inserendosi preliminarmente nelle sue logiche, ne è rimasto impigliato e sconfitto poi sul piano dei rapporti di forza. Di qui alle “star”, dei libri revisionisti di ex-guerriglieri metropolitani, alle “interviste” con voce pacata e riflessiva, rivisitante il passato, incutente timore reverenziale di resa ai giovani, il passo è stato, per la gran parte dei dirigenti della guerriglia metropolitana (Italia, Germania, Francia), molto breve, pressocchè automatico. Ne è un esempio il politicamente giovane Persichetti, che dall'alto della sua breve esperienza, dà degli “epigoni” ai compagni più recentemente arrestati. La logica della differenziazione carceraria ha vinto su questo modello, perchè ha saputo imporre i suoi tempi e le sue “leggi” a gran parte del corpo militante prigioniero. La lotta contro questa repressione e sistema carcerario si è così piegata, da collettiva ed esemplare (Asinara, 1978, Trani, 1981), ad individuale e spesso inquinata da tentativi di gestione del potere. Ciò nonostante, anzi proprio per l'esperienza di ciò che è stato, la solidarietà nell'affermarsi, apre all'orizzonte anche nei paesi capitalistici “avanzati”, della guerra popolare quale sistema di distruzione/costruzione rivoluzionaria del tutto maturo e diversamente basato, sulle masse e non sulla sola soggettività.

(dal capitolo 9)

 

 

         La rottura del ’69 operaio che seguì al ’68 del movimento degli studenti in tutti i paesi occidentali, grazie anche alla forza della GRCP, fu catalizzata dall’inizio della guerriglia comunista in Italia attorno a tre dati ideologici di fondo: “i nostri punti di riferimento sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e l’esperienza in atto nei movimenti guerriglieri metropolitani” (BR, Autointervista, 1971). Lo sviluppo della lotta armata nei paesi occidentali e delle rivoluzioni di nuova democrazia e di liberazione nazionale, quindi l’affermazione controrivoluzionaria nei paesi del centro imperialista e la formazione ed estensione delle guerre popolari nei paesi del Sud del mondo, con l’inizio di una nuova crisi generale, hanno prodotto diverse e nuove definizioni teoriche. Ma il punto di svolta storico dell’affermazione del m-l-m è nella definitiva caduta e crollo del revisionismo traditore che aveva preso il potere nei paesi del campo socialista nell’Europa orientale e nell’URSS dopo la morte del compagno Stalin.

È il m-l-m la teoria che oggi offre il maggiore spazio di comprensione ed identificazione agli autentici rivoluzionari nel mondo attuale, è l’ideologia forza dell’esperienza storica e del patrimonio del M.C.I., arricchita dalle esperienze di questi ultimi 30 anni. Nel movimento rivoluzionario e comunista internazionale, i problemi che hanno trovato definizione e sistematizzazione con il nuovo movimento comunista internazionale sono stati catalizzati dall’esperienza dei primi partiti comunisti maoisti di tipo nuovo, che dalla metà degli anni ’80 rivendicano al m-l-m la guida della Rivoluzione proletaria mondiale. Questa oggi è il frutto sia del divenire storico del movimento comunista, sia dello sviluppo e dell’estensione del m.p.c. al mondo intero. L’emergere di una CLASSE PROLETARIA MONDIALE UNICA, nettamente distinta dai residui di aristocrazia operaia dei primi paesi capitalisti, ma omogeneamente integrata in un unico ciclo capitalistico mondiale, ha forzato i tempi all’analisi proletaria onde dotare il novimento storico della trasformazione rivoluzionaria di un’arma poderosa e formidabile, capace di andare oltre i santini senza perdere una sola goccia del sangue e sudore proletario accumulatasi nel patrimonio storico del comunismo mondiale. Al marxismo-leninismo, quindi, si è aggiunta l’esperienza del socialismo in Cina e della lotta di classe che vi si è scatenata, nonché quella delle esperienze guerrigliere metropolitane, e soprattutto delle guerre popolari che si sono sviluppate in crescendo anche nella coscienza dei comunisti, nonostante il silenzio della cesura culturale sciovinista e revisionista della canea opportunista che monopolizza la cultura operaia e proletaria in occidente. La definizione del marxismo-leninismo-maoismo va dunque oltre il dogmatico agitare dei libretti rossi di tanti gruppuscoli m-l che del MaoTseTungpensiero facevano un uso prettamente propagandistico senza trarre da quella esperienza le lezioni storiche che anche una classe operaia ed un proletariato come il nostro potevano cogliere. Si è oggi ben oltre queste categorizzazioni. Il dibattito si è sviluppato a livello internazionale ed il confronto tra molteplici esperienze rivoluzionarie, nel corso degli anni, pur con differenze ideologiche in alcuni casi, ha portato alla formazione di autentici Partiti comunisti marxisti-leninisti-maoisti nel mondo, tanto che anche nei paesi occidentali questa teoria rivoluzionaria sta iniziando a dare fastidio a molti cattedrattici. Questi partiti hanno anche avanzato proposte ed analisi ai comunisti di tutto il mondo, ed in alcuni paesi sono la principale forza politica del popolo, in lotta per il potere. Non a caso sono demonizzati, colpiti ed aggrediti in tutte le maniere dall’imperialismo, soprattutto laddove, come in Perù e Nepal, agiscono come frazione rossa del movimento comunista internazionale, ma anche laddove, come nelle Filippine, sviluppano una teoria più vicina alle tesi classiche del marxismo-leninismo pur operando attraverso la strategia della guerra popolare. Ad essi va la solidarietà degli autentici rivoluzionari in tutto il mondo, poiché da essi viene il massimo della solidarietà: stanno facendo la Rivoluzione nel proprio paese. E la fanno in nome del proletariato mondiale, che per la prima volta nella storia corrisponde alla geografia planetaria in forma compiuta anche se nel perdurare di notevoli differenze di formazione economica e sociale.

Il marxismo-leninismo-maoismo non è una quindi una deformazione del marxismo-leninismo i cui sostenitori stanno facendo molti danni, è la sua attuale prosecuzione ed evoluzione, data dall’estensione del m.p.c. sul piano mondiale, e comprende in estrema sintesi (e scusandosi per la stringatezza voluta):

·         ·         la teoria marxista, dei caratteri di emancipazione, libertà ed eguaglianza propri dell’esperienza rivoluzionaria francese e della sua successiva rottura con l’idealismo tedesco alla necessità di unire i propri sforzi e quelli di Engels, intellettuali rivoluzionari, alle prime organizzazioni clandestine operaie, fino alla Lega dei Comunisti ed al manifesto del partito comunista quale bandiera eterna degli sfruttati, nel fuoco della rivoluzione europea del 1848; del materialismo storico e dialettico, concezioni di base della rivoluzione come aspetto soggettivo determinato dalle condizioni oggettive e storiche di un dato modo di produzione inteso come la fondamenta di ogni società, e dell’ideologia della classe dominante come prodotto dello sviluppo storicamente determinatosi in essa; della analisi dei caratteri storici, sociali, oggettivi e della vita dei lavoratori nelle prime città operaie e strutture industriali, nello studio e nella analisi e definizione scientifica della genesi del capitale e del modo di produzione ad esso sotteso, attraverso la critica dell’economia politica e la conoscenza delle tendenze e controtendenze alla sua crisi, che è storicamente determinata a creare le condizioni scientifiche del passaggio dell’umanità al socialismo, forma superiore di società ove la classe lavoratrice è emancipata ed emancipatrice dall’alienazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; della natura e della importanza del ruolo dirigente e trascendentale della classe operaia nella via del socialismo; del ruolo del partito comunista e del suo programma, con le necessarie rotture e discriminanti dalle posizioni errate in seno ai primi partiti socialdemocratici; nella costituzione della Associazione Internazionale degli Operai, nel cuore della controrivoluzione europea, come punto di partenza del movimento socialista sul piano mondiale, con la rottura dalle concezioni idealiste, borghesi risorgimentali ed anarchiche (queste ultime in quanto oppositive alla necessità storica della dittatura della classe operaia nel socialismo futuro); della difesa e rivendicazione della natura rivoluzionaria della prima esperienza di dittatura della classe operaia e degli organismi popolari rappresentativi nella Comune di Parigi, attraverso l’esaltazione del valore liberatorio e prospettico dell’assunzione del potere nelle mani della maggioranza, sfruttata ed oppressa, del popolo, sotto la guida del proletariato; nel rilancio dell’Internazionale Socialista e del movimento comunista attraverso la fondazione dei primi partiti operai e socialdemocratici, soprattutto con Engels dopo la morte di Marx, che vede anche l’affermazione politica del partito in Germania alla fine del XIX secolo.

·         ·         la teoria leninista, sorta come evoluzione dei circoli socialdemocratici della futura Leningrado, comprende la natura classista, clandestina, soggettiva e di avanguardia del partito, analizza e predispone al futuro le esperienze del movimento operaio del XIX secolo (in particolare in La Comune e in Karl Marx), struttura la concezione proletaria della guerra partigiana quale strumento rivoluzionario nella lotta per il potere, ripropone l’esigenza discriminante della direzione della classe operaia nel partito e la natura internazionalista ed internazionale del partito comunista (inteso sia come attuazione del compito rivoluzionario nel proprio paese, sia come Internazionale Comunista), del rifiuto del militarismo assassino dell’imperialismo attraverso la guerra alla guerra ed il coinvolgimento dei proletari arruolati nell’esercito nella lotta rivoluzionaria per il potere, della necessità della dittatura proletaria per la costruzione del socialismo, della necessità che i sindacati siano forma proletaria di espressione e non alternativa al potere dei consigli e delle assemblee dei lavoratori (i Soviet) che devono costituire la base della società socialista e della necessità di pianificare lo sviluppo economico e sociale coinvolgendo le classi sfruttate e reprimendo la borghesia nella sua resistenza al nuovo potere socialista e collettivista; quindi dell’esigenza di una direzione collettiva nel partito.

·         ·         la teoria leninista viene arricchita dal compagno Stalin con il suo contributo nella costruzione della società socialista, nello sviluppo della politica internazionalista dei partiti comunisti, nell’affermazione della superiorità ideologica del marxismo-leninismo attraverso una esposizione semplice ed articolata e comprensibile alle più ampie masse dei suoi princîpi (BIBL. -43-), nella difesa del partito dalle posizioni borghesi ed economicistiche sviluppando la massima partecipazione popolare al processo storico, nella difesa della patria dall’aggressione nazifascista attraverso la grande guerra patriottica, cercando di creare le basi per una coesistenza pacifica tra i popoli, che nel venire però sfruttata e speculata dall’imperialismo, anticipa i termini del conflitto, che è attualissimo tra i popoli oppressi (uniti ora prospetticamente al e nel campo socialista), e l’imperialismo (questi i principali aspetti positivi della guida del compagno Stalin nell’Unione Sovietica).

·         ·         in comune alle esperienze sovietiche cinese e russa, la teoria, lo studio, la verifica e la sintesi ideologica sulla lotta per caratterizzare e determinare correttamente la natura e lo sviluppo della costruzione del socialismo e dell’economia collettivista, la teoria del fronte unito contro il fascismo, la possibilità di costruire il socialismo anche in un paese accerchiato dal capitalismo.

·         ·         per quanto riguarda la teoria maoista, la analisi di classe alla base di ogni attività politica e progettuale del partito comunista, la natura della rivoluzione di nuova democrazia nei paesi oppressi dall’imperialismo; la teoria della guerra rivoluzionaria e popolare fondata sull’alleanza della classe operaia e della classe contadina (e non sulla direzione dei contadini come affermano i “marxisti-leninisti” antiMaoTseTungpensiero); la natura del processo di lotta di classe anche all’interno del partito, dello stato e della società socialista, le specificità della classe contadina e della sua lotta per la trasformazione delle campagne e della società, la comprensione del materialismo dialettico nella classe con le teorie sulla pratica, sulla contraddizione e sulla lotta tra le due linee nel partito; la rivoluzione ininterrotta culturale proletaria quale elemento di continua verifica e di lotta nel partito e nella società socialista contro il revisionismo moderno e il riapparire della ideologia e dei complotti della borghesia contro l’approfondimento della transizione socialista verso il comunismo, la teoria dei tre mondi, la teorizzazione della futura ondata della rivoluzione proletaria mondiale nell’arco di 50-100 anni (anni ’60), la teoria della prosecuzione della lotta di classe “per diecimila anni”.

Nel complesso il marxismo-leninismo-maoismo, ossia l’ideologia proletaria del marxismo al massimo grado raggiunto dalla diffusione del modo di produzione capitalista e dall’imperialismo NEL MONDO INTERO, nonché dalle esperienze socialiste e dalla critica al revisionismo affermatosi in URSS nel 1956, propugna il conflitto di classe al livello dato e possedendo una articolata teoria rivoluzionaria dei tre strumenti della rivoluzione, Partito, Esercito e Fronte, dà la possibilità ai rivoluzionari d’avanguardia sia nel centro imperialista che nei paesi del Tricontinente (che oramai sono in molti casi anch’essi paesi capitalistici), di costruire il percorso della guerra di popolo che porterà alla presa del potere, essendosi dimostrata insufficiente e limitata, e non da ora, ovunque sia stata verificata a parte che nell’immediato post-II guerra mondiale in alcuni paesi dell’Europa orientale, la teoria dell’insurrezione che ha funzionato nell’Ottobre 1917 in Russia (di cui abbiamo già visto nel paragrafo “dei tentativi insurrezionali negli anni ‘20” nella rivisitazione storica del M.C.I. all’inizio di questo contributo).

Infatti l’evoluzione e la complessità dei rapporti sociali al livello dato dal capitalismo imperialista, sia nei paesi del centro che della “periferia” (altro termine sciovinista di cui ci dovremmo liberare in riferimento ai paesi del Sud del mondo: rovesciando il mappamondo, cosa cambia ?), è tale per cui solo all’apice conclusivo della guerra mondiale tra le masse sfruttate ed il capitale, si potranno dare momenti insurrezionali susseguentisi a ritmo incessante, sino alla completa caduta degli eserciti imperialisti.

Ma questo momento storico potrà darsi solo dopo l’affermarsi del socialismo e dell’avviamento della transizione (in una situazione di lotta permanente e di costruzione nella lotta, da parte della masse oramai partecipi del proprio destino, possibilmente prima che la barbarie si innesti definitivamente nel cuore degli uomini avviando sfaceli ed arretramenti epocali) in una serie di paesi.

 

DELLE “CRITICHE” ALLA TEORIA DELLA ATTUALITA’ DELLA GUERRA POPOLARE

Quale l’origine e la causa dei mali che affliggono il movimento comunista nel nostro paese, e di cui le deformanti “critiche” alla trascendentale importanza e valore che riveste oggi la g.p.p. nel mondo sono il frutto più recente, se non il prevalere opportunista delle teorizzazioni di un ceto politico borghese ed intellettuale anticomunista nel P”c”i della svolta di Salerno togliattiana ha dapprima epurato un partito di avanguardia (il PCd’I del 1943), quindi progressivamente corroso un partito di massa portando alla fine degli anni settanta allo scontro politico all’interno della classe operaia, a favore dei padroni; questo prevalere del revisionismo in Italia ha inoltre deformato scientemente e criminalizzato molte concezioni ed espressioni di posizioni rivoluzionarie presenti nella classe operaia, si è opposto alla espressione dell’autonomia di classe (definita tout-court “avventurista”), alla guerriglia di migliaia e migliaia di operai comunisti e di giovani proletari (definita “terrorismo”), e sul piano internazionale alla Cina di Mao Tse-Tung (BIBL. -44-) ed al marxismo-leninismo autenticamente portato avanti nella Grande Rivoluzione Proletaria Cinese dall’avanguardia rivoluzionaria poi repressa ed incarcerata dal revisionismo dengista (e non tanto dalla posizione élitaristica di Lin Piao, demonizzato oltre al necessario proprio per combattere il prodotto delle posizioni del IX Congresso del PCC e le posizioni di sinistra a livello mondiale).

Questa esperienza storica dimostra che il problema non si limita alla questione per cui l’accumulo di forze (di impostazione leniniana, al fine di giungere all’insurrezione popolare liberatoria) non può darsi in maniera lineare nello scontro di classe, ma che lo stesso accumulo di forze non può che essere contestuale alla costruzione di un nuovo potere popolare dal basso (gli organismi di massa rivoluzionari, i consigli, ossia i soviet), che in una società come la nostra trova forse ancora più difficoltà che nelle società arretrate, per cui l’analisi che oggi prende a “modello” il “marxismo-leninismo” antiMaoTseTungpensiero per i paesi del centro imperialista, contrapponendolo erroneamente al maoismo buono per i “soli” paesi del “terzo mondo” a maggioranza contadina (e nemmeno, secondo costoro, per i paesi industrializzati dell’America Latina orientale, dove invece si è esplicata una guerriglia metropolitana e non si è ancora sviluppato il maoismo), non è solo riduttiva ma è addirittura millenaristica e quindi opportunista poiché alla fine dei conti non solo evita di fare i conti con il problema concreto del livello di scontro e della situazione concreta in cui questo accumulo di forze dovrebbe avere inizio, ma si riduce a mera agitazione politica che al massimo riproduce una mentalità attendistica nella classe operaia.

Ora il probema che pare affliggere i compagni antiMaoTseTungpensiero (non ci interessa qui confrontarci con le miriadi di falsi “leninisti” di gruppetti come il PMLI, rigidamente ancorati alla calunnia ed al carro controrivoluzionario delle sfilate sindacali), è quello del rivendicare al marxismo-leninismo l’applicazione odierna della FORMA dell’insurrezione quale metodo canonico rivoluzionario attuale nelle “società avanzate”, quando in realtà laddove ha fatto scuola come in Russia nell’Ottobre 1917, è stato in una situazione ben particolare, in un paese anch’esso semifeudale a maggioranza contadina, anche se dotato di strutture militari avanzate, paese sfasciato dalla guerra e dalla miseria delle masse, e non certo nei tentativi falliti in Germania, in Italia nel 1945 e 1948, ed in numerosi altri paesi europei.

Questo aspetto, (come in molti più pregevoli contributi di partiti maoisti e di collettivi nel nostro paese, soprattutto negli anni ’70, allorquando l’ “insurrezionalismo” veniva messo al bando dalla guerriglia operaia e proletaria, nell’affermarsi della teoria della guerra di classe di lunga durata), pare essere dimenticato dai molti compagni antiMaoTseTungpensiero nel M.C.I., specie in Europa, ed ovviamente tra i partiti comunisti dell’attuale Russia, e tra coloro che li considerano il faro della rivoluzione mondiale nella loro prospettiva, sempre dietro l’angolo, della nuova rivoluzione bolscevica (magari fosse, la Storia avrebbe un sobbalzo, la ripetizione uguale dei fenomeni politici e collettivi in uno stesso paese a distanza di un secolo sarebbe politicamente confortante solo per chi non sa assumere l’elemento della trasformazione e quello della dinamicità delle cose, principio essenziale della concezione rivoluzionaria).

Questa posizione neo-revisionista in realtà si fonda su molti travisamenti. Eccone alcuni:

·         ·         La teoria del ’26 di Stalin riferita alla Cina ed alla necessità di armarsi del popolo, non fa i conti con la suicida analisi contemporanea di trotsky (ancora interno all’epoca al PC(b) dell’URSS) che invitò all’insurrezione i comunisti di Canton e Shangai, con l’esito che sappiamo, nel ’27.

·         ·         La guerra popolare di lunga durata teorizzata e praticata da Mao e dal PCC si svolse sotto la direzione della classe operaia alleata alla classe contadina e non il contrario.

·         ·         La guerra popolare non si fonda solo sulle “basi rosse” ma anche sul concetto di guerra di mobilità e su molte altre concezioni pratiche che sono da orientamento per le rivoluzioni in tutto il mondo in quanto non si fonda come strategia su una data situazione specifica (più o meno foreste, più o meno montagne) bensì sulla linea di massa della lotta prolungata che vede impegnate le masse nel processo rivoluzionario ben oltre la logica del “colpo di mano” storicamente dimostratasi inadeguata di fronte alla complessità delle situazioni e delle forze in campo.

·         ·         La contrapposizione tra “insurrezione” e guerra popolare è un’impostura poiché l’insurrezione è prevista nella teoria della g.p.p. come esito finale dell’accerchiamento delle città. Questo non è improponibile nei paesi del centro imperialista poiché tutto il mondo è paese ed ovunque i borghesi si asserragliano in quartieri ben protetti. La lotta di popolo a Lima ne è un esempio, si svolge nel grado massimo storico di militarizzazione imperialista a protezione del capitale in ogni occasione di anniversari del potere o di scontro sociale.

·         ·         Il faro della rivoluzione proletaria mondiale è il Perù ove è iniziata la guerra popolare nel 1980. La guerra popolare in Nepal ne segue il corso e la strategia.

·         ·         È falso che in India ed in altri paesi la guerra popolare non abbia “colto” significativi successi. La stessa esistenza di aree liberate e di centinaia di migliaia, di milioni, di contadini e di proletari organizzati FUORI dalla società del capitale e delle caste, dovrebbe essere un successo per chi si ritrova da 30 anni e più a tabaccare nelle stamberghe della rivoluzione proletaria italiana, tra cicche e quartini.

·         ·         Non è vero che i marxisti-leninisti-maoisti affermino che le lotte di liberazione nazionale in vari paesi (“Palestina, Paesi Baschi, Irlanda, Afghanistan, Kurdistan, Cecenia, Kosovo, Kashmir, Sri Lanka, etc.”) sia assimilabile alle g.p.p.: si tratta in questo caso della solita tattica della banalizzazione, dell’appiattimento delle differenze attribuito a chi viene fatto oggetto di critica. Come vediamo anche in alcuni casi a parte:

1.      1.      In Palestina esiste una lotta popolare di indipendenza nazionale e di liberazione dal sionismo che si esprime anche come guerriglia. Ma non esiste una guida univoca marxista-leninista-maoista del proletariato (ancora poco sviluppato) e del popolo. Inoltre l’imperialismo sionista con la sua natura di stato religioso ha fomentato contraddizioni nel campo popolare palestinese che si sono trasformate anche in lotta religiosa.

2.      2.      Nei Paesi Baschi la lotta di indipendenza nazionale è di tutto il popolo ma è soprattutto lotta di massa, ben al di là delle demonizzazioni dei fascisti spagnoli al governo e della pedissequa U.E. Inoltre storicamente nelle Asturie e in Euskadi la lotta di indipendenza nazionale si è fusa alla lotta della classe operaia e dei minatori.

3.      3.      In Irlanda la lotta popolare contro l’imperialismo inglese si esprime da due secoli e storicamente ha attraversato una tappa importante con la conquista dell’indipendenza nel centro-sud dell’isola, dopo una feroce lotta nel campo rivoluzionario che ha visto la sconfitta dell’opportunismo. L’avanguardia della lotta di indipendenza nazionale si è espressa nella guerriglia, ma i comunisti rivoluzionari hanno un ruolo ancora rilevante nella lotta di liberazione nell’Ulster. Tuttavia non siamo certo in presenza di una guerra popolare e vi è una contraddizione nel campo nazionale tra indipendentisti e filo-britannici, di natura religiosa.

4.      4.      In Afghanistan il progresso ed il popolo avevano portato al potere il socialismo, ma la CIA e i movimenti da essa fomentati hanno scatenato una guerra contro il socialimperialismo che si era posto a “tutela” di questa esperienza. Con gli esiti che sappiamo. Oggi però in Afghanistan ed in Iraq la lotta dopo l’occupazione militare occidentale a guida angloamericana si è trasformata in guerra di resistenza ed indipendenza nazionale, con il superamento della “guida teologica” talebana.

5.      5.      In Kurdistan invece esiste proprio una guerra popolare che ha conseguito dagli anni ’70 in poi (ed in particolare dal 1984 fondazione del PKK e quindi dell’ERNK) notevoli successi ed appoggio popolare (costato massacri e genocidi da parte dell’esercito turco), nel conseguire esclusivamente obiettivi politici di indipendenza e libertà dall’occupazione militare turca, se oggi subisce una flessione non è certo per l’appoggio mai venuto meno dell’Esercito degli Operai e dei Contadini di ispirazione maoista, che continua ancor oggi nelle città del Kurdistan turco e nel Kurdistan occidentale (turco).

6.      6.      Cecenia e Kosovo appaiono due cose astralmente distanti. La prima lotta è sorta dopo il disfacimento dell’URSS e quindi il venir meno della legittimità storica perdurante delle scelte corrette fatte nel merito della questione del Caucaso da Lenin e Stalin all’inizio degli anni ’20 (BIBL. -45-). Nel secondo caso una guerriglia fascistoide pagata dalla CIA e appoggiatasi con capitali giacenti in Svizzera è stata sostenuta dall’imperialismo NATO fino a quando gli è servita contro la Repubblica Federativa Jugoslava che, ancorché revisionista, era pur sempre una spina nel fianco del capitalismo occidentale, tedesco ed italiano.

7.      7.      In Kashmir la lotta di indipendenza nazionale segue la questione della scissione pakistana dall’imperialismo indiano dopo l’indipendenza dall’impero britannico a causa della dominazione fascista hindu in India. Continua ancor oggi ed ha delle caratteristiche non comunque assimilabili ad una guerra popolare.

8.      8.      In Sri Lanka invece la lotta di liberazione nazionale è certamente giunta al grado di equilibrio strategico con punte di offensiva da parte delle forze rivoluzionarie ed indipendentiste, ed al suo interno vivono caratteri di guerra popolare.

9.      9.      In Colombia infine non siamo in presenza di una guerra popolare ma di una guerra di liberazione nazionale che potrà sfociare in una guerra popolare antimperialista ma che non pare poter sfociare in un ennesimo trattato di pace neorevisionista come in altri paesi (Salvador, Honduras, Guatemala) nei decenni precedenti a causa del grado di sviluppo della guerra e dell’occupazione militare yankee. Chi la confonde con una guerra popolare continua a fare CONFUSIONE.

·         ·         Le teorizzazioni non più a favore della g.p. da parte della “direzione” del PCC sono ovvie, dato che dal 1976 in Cina comanda il revisionismo assassino. Quanto agli altri contributi di Mao, l’assalto al quartier generale e la eventuale necessità di fronte ad un golpe revisionista, di reiniziare la lotta armata, e la previsione della nuova grande ondata della rivoluzione proletaria sono punti imprescindibili per non ricorrere al citazionismo caro a questi compagni per denigrare le tesi degli attuali Partiti Comunisti maoisti nel mondo che conducono rivoluzioni vittoriose anche se di lungo periodo.

·         ·         Si dimenticano questi “critici” che in questa fase imperialista “resistere” e condurre avanti la lotta “è già vincere”.

·         ·         Circa l’analisi di classe italiana e la praticabilità della g.p. in Italia ho affrontato l’argomento altrove in questo scritto. Basti pensare alla diffusione dei piccoli centri (oltre 8.000 comuni) ed al fatto che la popolazione metropolitana delle 10 maggiori città è in calo rispetto al 1971, a dimostrare che la “urbanizzazione” non è una caratteristica dominante né tipicamente univoca del nostro paese, che ha invece molte zone ove si sono sviluppate in passato sacche di resistenza, repubbliche partigiane, guerriglie antinaziste e lotte popolari. Bene lo sa l’imperialismo che “segue” con la presenza di basi militari e straniere questi territori in maniera particolare, sfruttando anche qui le “scuse” del banditismo, in genere.

·         ·         Falso che fosse la piccola-borghesia a guidare la guerriglia metropolitana in Italia negli anni ’70. Falso che le concezioni della guerra popolare fossero universalmente affermate nella guerriglia (basti pensare a PL). Anzi la guerriglia metropolitana aveva ben poche connotazioni strategiche, si sviluppava ancora principalmente in propaganda armata ed ha visto fallire il passaggio rapido alla “guerra dispiegata” proprio per questa debolezza teorica ed ideologica del suo quadro militante oltre che per la repressione ed il peso infame dell’influenza del revisionismo nella classe operaia, e dei limiti ed errori della lotta armata stessa, le cui connotazioni e direttrici erano anche molto diverse a parte la guida della maggiore organizzazione rivoluzionaria di allora, coesa sino al 1980.

·         ·         Falso che la tenuta delle zone liberate o basi rosse fosse discriminante per la rivoluzione cinese; esse erano sì durature ma non permanenti. Le caratteristiche della guerra di resistenza in Italia rendono possibile ipotizzare che la fase acuta della guerra popolare stessa possa svolgersi in pochi anni dato il grado di coscienza delle masse certo superiore a quello dei paesi del Sud del mondo ove ancora dominano la fame e l’analfabetismo. Il problema è quindi opposto, ossia di quale strategia deve essere dotata la guerra di classe nella metropoli: la strategia maoista, dotata della linea di massa. Questa ha un esempio volutamente qui atipico come citazione nella lotta rivoluzionaria salvadoregna guidata dal Comandante Marcial alfine suicida per evitare la fucilazione da parte di un manipolo di traditori revisionisti nel Frente FMLN; Cayetano Carpio vi vedeva nelle masse “le montagne” ossia il rifugio della guerra di popolo anche laddove il territorio è minuscolo geograficamente (BIBL. -46-).

·         ·         È falso che la “tribuna parlamentare” possa avere un ruolo oggi in un paese imperialista. Semmai, in fase di rivoluzione iniziata, un Parlamento popolare alternativo può fungere da nuovo potere in alternativa, che, anche se non “connesso” alla g.p. in atto, non potrà essere “vietato” in ragione della natura pubblica e trasparente della sua esistenza tra le masse (come un Fronte ampio popolare che si muove politicamente ed in campo sindacale e rivendicativo nel solco della trasformazione rivoluzionaria ma senza con ciò porsi militarmente contro lo Stato se non nella difesa della strada e della piazza dalle angherie delle truppe di regime).

·         ·         Ovviamente la questione FONDAMENTALE è quale sia la contraddizione principale oggi. Per chi non voglia vedere cosa c’è dietro gli ananas Jaffa, i pompelmi e le banane Chiquita, le auto ed i computers, questo è ovviamente un non problema. Noi che ci poniamo questo problema l’abbiamo risolto nel differenziare la contraddizione fondamentale (del m.p.c.) da quella principale (della fase storica). Falso che chi fa questa differenza abbandoni il socialismo scientifico, che è innanzitutto analisi di classe e della natura della crisi capitalista. Falso che la crisi capitalista non fosse all’apice all’epoca del IX Congresso. Semplicemente ha avuto uno sbocco contenuto grazie anche al golpe in Cina, ma soprattutto al tradimento revisionista in Italia ed altri paesi, ed alla politica socialimperialista di Mosca.

·         ·         Fans” saranno quelli che propugnano tesi antistoriche ed anti marxiste, anti leniniste ed anti maoiste, ponendo Stalin come ultimo gradino dello sviluppo del marxismo-leninismo.

·         ·         Revisionismo è il loro, come quello di Togliatti che dopo Salerno continuava ad essere “stalinista” e come quelli che nel P “c” i si definivano comunisti e stalinisti nel pestare a sangue i giovani proletari che occupavano le università e le case sfitte su basi politiche non revisioniste ed opportuniste.

·         ·         È il proletariato a guidare la rivoluzione e le g.p. in corso nel Tricontinente. Definirle lotte “contadine” vuol dire non conoscerle e diffamarle.

·         ·         La linea generale della I.C. sui paesi delle “colonie” risentiva appunto del carattere ancora arretratissimo del proletariato e della produzione capitalista in quei paesi, e non è stato aggiornato proprio per le divisioni avutesi nel M.C.I. tra socialimperialismo russo e comunismo cinese.

·         ·         Cos’è la follia imperialista americana di oggi se non il contraltare dell’imperialismo alla evoluzione della lotta popolare e delle g.p. nei paesi del Tricontinente ? Questo non ce lo si spiega. Noi pensiamo proprio che la lotta tra imperialismo ed antimperialismo sia mortale e che sia l’imperialismo a spingerla al massimo di acutezza proprio per affermarsi sulla supremazia militare. Ma i popoli hanno dalla loro la supremazia politica (Giap: l’uomo è l’elemento principale).

·         ·         Chi offende il Presidente Gonzalo stia lontano dalle teorie rivoluzionarie: esse hanno innanzitutto bisogno di rispetto ed amore per chi patisce la repressione, la denigrazione e l’annientamento praticato dalla controguerriglia. Gonzalo nei suoi scritti distingue nettamente la teoria di base del PCP dal LinPiao pensiero. Leggersi i testi sulla Nuova democrazia, Sulla costruzione del partito, e i testi del I Congresso del 1987 in Pensiero Gonzalo, vol.I).

 

Volendo estendere la critica, costoro peraltro affermano quale elemento tra quelli che rendono inattuabile la teoria della guerra rivoluzionaria popolare di Mao, nella nostra realtà, la mancanza di aree strategiche, di possibili zone liberate, basi d’appoggio della rivoluzione. A parte che l’esperienza più alta e fulminante del proletariato italiano è stata la guerriglia e la resistenza antifascista articolata nelle città e nelle montagne dalle Alpi agli Appennini, oltre alle rivolte popolari avvenute a Napoli, in Calabria (Repubblica Comunista di Caulonia), e che in questa esperienza, pur se per periodi di tempo non lunghissimi ed in una situazione di guerra dispiegata, sono state realizzate zone liberate e Repubbliche partigiane in numerose zone delle Alpi ed Appennino tosco-emiliano (per tutte, quella dell’Ossola -BIBL. -47– e di Montefiorino), non si capisce perché i compagni leninisti non vogliano assumere il dato politico e qualitativo che nella società del centro imperialista, urbana e tendenzialmente definibile della metropoli diffusa come in Italia oggi, le “basi d’appoggio” della rivoluzione sono LE MASSE STESSE, e che quindi è per carenza di linea politica e di pratica che il movimento comunista oggi nel nostro paese è poco più che una testimonianza della necessaria trasformazione sociale. E non si capisce perché attaccare la definizione -assolutizzata e quindi mistificata ed astratta dal suo portato complessivo, e quindi anche ideale, per le masse- della “universalità” della Guerra Popolare, quasi a voler “scacciare” l’idea della reale natura del conflitto (guerra di classe laddove è quasi assente la classe contadina, guerra popolare ove è maggioritaria la classe contadina ma sempre fondamentale la classe operaia, in ogni caso sempre e comunque guerra rivoluzionaria delle masse) necessario a conquistare via via l’equilibrio e la offensiva strategica della rivoluzione proletaria.

Riproduzione dunque del “marxismo-leninismo” antiMaoTseTungpensiero non già come assunzione di patrimonio storico e contestualizzata analisi concreta della situazione concreta, bensì come base teoretica di minoritarismi millenari che tradiscono il dovere di spingere e forzare la realtà nella direttrice della linea proletaria e dell’interesse delle masse più ampie ad una liberazione dalle catene della borghesia, oggi attuabile, e non nel suo rimandare a “tempi migliori” che storicamente ha avuto a che fare con gli opportunisti faciloni a definire “avventurismo” il comunismo come movimento reale; costoro sono sempre più incapaci di pesare realmente nel conflitto sociale apportando modificazioni e consapevolezza soggettiva nella classe, del proprio ruolo.

Aspetto centrale, insito e forse anche inconsapevole di questa ostilità alla teoria rivoluzionaria della guerra popolare, l’eurosciovinismo o socialsciovinismo, che ha radici lontane nel “primato” coloniale e nella politica guerrafondaia della II Internazionale.

L’eurosciovinismo presente purtroppo ancora oggi nel movimento comunista e pure nel movimento rivoluzionario, che a volte sottende la sottovalutazione della qualità politica delle guerre popolari in corso dirette da partiti comunisti maoisti, è sinonimo di sopravvalutazione del ruolo dei comunisti in occidente INDIPENDENTEMENTE dal loro effettivo ruolo e capacità di intervento nella propria società, e questo è negativo ed anti-internazionalista perché tende a negare la necessaria considerazione di quale sia il centro della rivoluzione in ogni singola fase, giungendo addirittura a fare passi indietro nell’analisi politica e in definitiva disperdendo le forze proletarie in ipotesi politiche sterili ed insufficienti.

In definitiva: è più avanti un processo rivoluzionario in cui contadini operai ed avanguardie costruiscono capanne e sistemi di vita nella guerra popolare, od un processo rivoluzionario ove il problema è chiarire alle masse l’opportunismo imbelle di Bertinotti ?

 

DEL BILANCIO POLITICO E DELLA PROSPETTIVA RIVOLUZIONARIA M-L-M

Il ripetersi dei limiti nella conduzione dello scontro si è tradotto ancora una volta in una espressione di discontinuità dello scontro. Questo ripetersi del carattere di discontinuità non permette alla classe, complessivamente intesa, quell’avanzamento che necessariamente deve identificarsi con il processo in atto, e per quanto mi riguarda rappresenta una svolta cosciente nella comprensione del carattere generale della rivoluzione in atto.

Come infatti è avvenuto in tutti gli altri paesi imperialisti, è chiaro che la direzione del processo rivoluzionario non può essere assunta concedendosi rinvii alla costruzione del partito nella classe con una adeguata linea di massa, né essere delegata principalmente all’attività combattente, per quanto essa sia necessaria condizione ed indispendabile elemento dello scontro dal punto di vista storico della guerra di classe, come è.

Come può un’avanguardia rivoluzionaria, necessariamente clandestina al potere, adeguarsi ai passaggi di fase ed alle necessità che la classe ripone nella sua direzione, senza una linea di massa ? È una domanda che viene svolta al contrario di quella “come piò un’organizzazione guerrigliera avere una linea di massa in un paese imperialista di fine XX-inizio XXI secolo ?”. Il problema appunto sta se si vuol fare una episodica guerriglia, e su questo la mia autocritica è piena e consapevole nei confronti della classe per quanto mi compete storicamente e non giuridicamente, o se si vuole condurre una rivoluzione proletaria in un paese capitalista e imperialista. Questo documento si orienta decisamente alla seconda via, senza escludere assolutamente la guerriglia anzi cercando di valorizzarla dentro il processo rivoluzionario.

Il principale limite è stato dunque, a causa del sacrificio politico di parte rivoluzionaria, costato divisioni e arretramenti, della “linea di massa”, quello di aver sofferto l’attacco del nemico senza riuscire a determinare i passaggi necessari alle masse proletarie e lavoratrici della società, la stragrande maggioranza della popolazione, esclusa dalla politica e dai suoi balzelli e trucchi elettorali per portare al potere le classi minoritarie e più ricche legate alla borghesia imperialista, proletariato e lavoratori che sono il referente della classe operaia, la nostra classe. Solo per questo abbiamo perduto una tappa dopo l’altra nella difensiva strategica risentendo sempre di attacchi repressivi in grado di bloccare per anni la lotta. Perché la rivoluzione non è una prospettiva millenaria, ma una necessità storica, a cui i comunisti dedicano la vita, commettendo anche errori, ma sempre dedicandogli la vita come necessità della classe, e non di un ceto politico che ha la necessità di traghettarsi di fase in fase, senza mai trasformarsi ed adeguarsi alla realtà dello scontro (oggi molto più duro, sul piano della mera sopravvivenza, per le stesse masse sfruttate della società imperialista).

È attorno al carattere antimperialista della rivoluzione proletaria mondiale che si può comprendere il primato dell’ideologia marxista-leninista-maoista, che è in grado di comprendere, elaborare e sviluppare una teoria rivoluzionaria adatta ad ogni formazione economica e sociale costituendosi come massimo punto di sintesi dell’esperienza del Movimento Comunista Internazionale. Il centro della questione è nel riconoscimento della lotta tra le due linee, che si conclude inevitabilmente ad ogni ciclo in un separarsi dal revisionismo, e principalmente nel riconoscimento della linea di massa del partito.

Uscire da questo sentiero rosso o trascurarne la portata, subendo il fascino della virtualità mediatica della politica di oggi, ha delle conseguenze congiunturali negative sul piano politico e sullo scontro con lo Stato borghese, in quanto riproduce un’idea della rivoluzione che è essenzialmente di testimonianza, e non di effettuale trasformazione. Infatti la qualità ed il livello raggiunto dallo scontro di classe anche grazie all’esperienza guerrigliera lungo trent’anni di intervento rivoluzionario, è estremamente alta dal punto di vista politico; la politicità immediata dello scontro di classe nel nostro paese deve portare ad un coinvolgimento della classe nel campo rivoluzionario e questo si può dare solo attraverso la linea di massa e la partecipazione delle masse alla guerra rivoluzionaria, ossia attraverso l’affermazione politica del marxismo-leninismo-maoismo nella classe.

E questo al di là dei più eroici sacrifici e costi personali che i combattenti si assumono coerentemente, e non certo da oggi.

Diversamente dal processo di costruzione del partito comunista (il cui carattere deve essere indiscutibilmente clandestino ed immediatamente combattente e politico-militare di avanguardia) e dell’esercito proletario nonché del fronte rivoluzionario delle masse (che articola la partecipazione politica in ogni ambito sociale), i cui passaggi hanno propri tempi nell’internità alla classe operaia ed al proletariato metropolitano, la costruzione ed il consolidamento del F.C.A. (che è articolazione di avanguardia che rispetta i principi politici ed etici del popolo nel proprio paese e che unisce i rivoluzionari, i popoli oppressi e gli antimperialisti dell’area geopolitica) può avere una valenza immediatamente concreta nell’insieme delle contraddizioni dirompenti che sconvolgono la pace armata con l’imperialismo solo se i rivoluzionari dei paesi occidentali sanno cogliere l’aspetto di fondo, centrale, del problema dell’imperialismo oggi come già negli anni ’30 seppero fare del problema del fascismo. Al di fuori di questa consapevolezza, tra schemini e schematismi, tra slogan e impotenza politica a dedicare le forze della classe allo sforzo sovrumano che non può essere compiuto senza l’appoggio delle masse (solo le masse possono distruggere l’imperialismo), la proposta del F.C.A. rimane, secondo me, un riferimento sorto in una situazione diversa da quella di oggi per i rivoluzionari occidentali peraltro non praticato al livello necessario e con la necessaria continuità, e rimane come discriminante la necessità della massima solidarietà tra le forze popolari, progressiste e rivoluzionarie di tutti i popoli del Tricontinente con i comunisti, gli antimperialisti e gli antifascisti dei paesi del centro imperialista.

Questa è la concezione che ho personalmente elaborato e che propongo ai comunisti, alla luce dell’esperienza storica e della velocità con cui gli eventi sconvolgono equilibri dati e concezioni inadeguate allo scontro, cercando di mantenere saldi i principi della linea di massa, dei tre strumenti della rivoluzione e della indispensabilità dell’intervento antimperialista.

A questa lotta di liberazione degli oppressi, dei proletari e dei popoli del mondo tutti stanno già partecipando nelle diverse loro capacità ed espressioni, la guida politica sta allora ai comunisti marxisti-leninisti-maoisti conquistarla con il loro livello di superiorità ideologica, politica e programmatica.

 

 

DI ALCUNI DISTINGUO

Con dei distinguo necessari: nessuna deroga allo stragismo (e di conseguenza ad azioni potenzialmente stragiste) e valenza selettiva dell’attacco in questa fase, e, qualora politicamente necessario, valenza militare dispiegata unicamente verso le forze armate imperialiste e mai verso i civili. Negazione insomma di valenza etica e politica alla logica del “tanto chiasso con poca fatica” tipico del terrorismo stragista.

Né può esservi alcuna deroga verso l’antifascismo, necessaria base e parte della politica proletaria, e non solo memoria.

Non serve un elenco completo degli effetti politici dello stragismo interno ed internazionale in questo trentennio per qualificare questo principio politico. Basterà riferirsi al fatto che la pace è un valore acquisito dalle masse nei paesi occidentali imperialisti, che hanno sofferto due guerre mondiali e distruzioni delle città nel secolo XX, senza precedenti nei secoli immediatamente precedenti. La pace significa una serie di conquiste sociali e di abitudini che non appartengono esclusivamente alla borghesia imperialista, che anzi ha altri luoghi e sistemi di socializzazione, sicché gli attacchi stragisti si rappresentano immediatamente come un impedimento improvviso e soggettivo (non determinato dal padronato o dallo Stato nella comprensione immediata che le masse ne hanno) all’esplicarsi della normale vivibilità e dei rapporti sociali dati.

La necessità della guerra rivoluzionaria allora nel centro imperialista ha da divenire tale nella comprensione soggettiva delle masse, e non nel subire iniziative estranee alla logica dell’umana comprensione (come lo stragismo del 1993). Non a caso la borghesia imperialista, sia prima, che molto più dopo, l’11 settembre (attacco simbolico al capitalismo imperialista americano ma speculare ai bombardamenti militari sulle città, e quindi terrorista e stragista nella sostanza al pari dei bombardamenti americani su Hiroshima e Nagasaki, nonché nel sacrificio, anche sul Pentagono -obiettivo militare- dei civili che viaggiavano in un aereo civile), fa uso della propaganda del “pericolo” stragista (che non è del tutto assente ma che è giocoforza episodico ed individuabile provenendo da ben specifiche aree politiche dell’estremismo reazionario sunnita) per costruire su questo una ancor più pressante e potente militarizzazione della società, fondata sul controllo a tappeto del territorio e delle persone e sul razzismo nei confronti degli immigrati.

Non a caso e per nulla paradossalmente, la politica di Al Qaeda (rafforzatasi con il sostegno della CIA) è opposta a quella concezione dello sconvolgimento epocale data dall’invasione barbarica dell’impero romano. Anziché concepire la conquista dell’occidente e la creazione di una nuova “società mondiale islamica” e multietnica attraverso l’immigrazione di massa e l’islamizzazione dell’ “infedele” società “opulenta” occidentale (rappresentazione per certi versi anche concepibile per un rivoluzionario idealista che metta avanti a tutto la comprensione della bassezza cui è giunta la società capitalista occidentale), lo stragismo di Al Qaeda rafforza le barriere e l’asserragliamento, in assenza di un reale conflitto rivoluzionario, nonché dà alibi all’aggressione imperialista verso il Medio Oriente. Come per le stragi fasciste di Piazza Fontana, di Peteano, Brescia, Savona, Gioia Tauro, Italicus, Bologna e via dicendo, questa politica stragista fa il gioco della controrivoluzione, oltre ad essere eticamente inaccettabile.

La guerra rivoluzionaria e popolare condotta dai partiti comunisti è altra cosa e contempla lo scontro militare solo con le forze armate nemiche, la cura dei prigionieri feriti, il rispetto della vita dei prigionieri e il rilascio di quelli che non aderiscano alle forze rivoluzionarie, contempla la punizione dei nemici del popolo e l’attacco selettivo ai centri del potere e alle basi del nemico. La lotta armata per il comunismo sviluppatasi in Italia per trent’anni non ha derogato a questi principi.

Per quanto riguarda i caratteri specifici della rivoluzione nazionale Palestinese, occorre ricordare (anche alla luce del fatto che i terroristi della UE hanno fatta propria la lista nera degli yankee), che le organizzazioni rivoluzionarie Palestinesi non fanno uso di stragi contro civili. “israele” d’altronde con la sua pratica nazista, legittima a sua volta le organizzazioni islamiche che fanno uso di questa forma di lotta, giocando sul fatto di possedere strumenti di distruzione molto più potenti.

Nella stessa logica e non a caso, la immediata diffamazione del fascista Aznar nei confronti di ETA subito dopo la strege di Madrid nell’immediato periodo pre-elettorale, a dimostrazione che il suo ruolo nella lotta di liberazione del paese Basco e nel conflitto che oppone proletariato e popoli oppressi in Spagna al potere centrale, è immediatamente politico e non solo limitato alla questione nazionale.

 

DELLA COMPRENSIONE POLITICA DEI FATTI PER LE MASSE

Allora con queste discriminanti politiche non siamo di fronte solo ad un problema di linea di massa, ma anche della immediata comprensibilità e rivendicazione da parte delle masse, dell’iniziativa rivoluzionaria. Non a caso bene ha fatto l’avanguardia combattente all’indomani dei fatti di Arezzo, a specificare la casualità dell’evento e il rifiuto dell’appellativo “terrorista”, e questo al di là della diversità di concezioni rispetto a quelle qui esposte.

Lo sfacelo creato dal revisionismo e dall’affermazione borghese negli anni ottanta, quindi le guerre imperialiste di aggressione e conquista degli anni novanta, hanno creato una situazione molto più grave e drammatica ma generalmente omogenea a livello mondiale.

In questo senso è opportuno specificare la debolezza nell’inceppamento della macchina imperialista nella nostra realtà, anche e soprattutto a causa della dipendenza dei fatti politici dalla mistificazione e criminalizzazione, allarmismo e terrorismo mediatico del sistema; ciò che si è espresso quantomeno nelle intenzioni, si è posto vari obiettivi comuni a tutti i movimenti autenticamente antagonisti, della resistenza, di combattere la guerra ed inceppare la macchina bellica imperialista, rivendicando la parola d’ordine legittima dal punto di vista storico della resistenza, della guerra alla guerra. Questo limite ha dei significati e dei motivi ben precisi.

I conti tra la borghesia e la classe operaia, tra il capitalismo e il comunismo, sono tutt’altro che stati fatti.

L’orizzonte politico rivoluzionario dato dai tre strumenti della rivoluzione e della lotta antimperialista nell’area del Medio Oriente (la Spagna degli anni ’30 di oggi), non costituisce un arretramento, anzi è una tesaurizzazione dell’esperienza nell’interesse dell’affermazione rivoluzionaria. Per quanto oscuro e cupo e privo di speranze possa apparire il futuro ai proletari oggi, nella società capitalista si assiste ad una degenerazione totale su ogni piano, morale, culturale, di costume e qualità della vita, che discende proprio dal vuoto politico creato dal revisionismo borghese e dal riformismo all’interno delle masse, che è riempito solo parzialmente dalla forte conflittualità sociale, dalla coscienza della classe operaia, dalle lotte dei vari movimenti.

Nella nostra cultura rivoluzionaria a partire dalle azioni Haigh e Dozier, noi comunisti di avanguardia siamo stati legati alla concezione politica dell’azione catalizzante il programma politico-militare. Oggi la realtà dello scontro è talmente avanzata che occorrono non solo delle profonde discriminanti, specie verso lo stragismo di Al Qaeda (il che non significa negare il diritto a non essere torturati esiliati assassinati umiliati e ridotti a larve dei combattenti islamici, peraltro di realtà anche molto diverse da Al Qaeda, dai torturatori della CIA), per rendere l’azione rivoluzionaria concepibile e condivisibile dalle masse oppresse e dalla stessa maggioranza dei lavoratori dell’occidente, ma che occorre anche capire che la forza simbolica dell’attacco non basta certo da sola a sopperire all’angosciante situazione di miseria, sfruttamento e dipendenza vissuta dalle masse proletarie, per quanto sia fastidiosa e propagandisticamente negativa per gli imperialisti. È maturata la necessità della guerra popolare.

La questione della “rivoluzione islamica” che ha un suo carattere di liberazione nazionale ed identitaria nei singoli paesi del Medio Oriente, nord ed est africa, centro asiatico, Indonesia e Filippine, che a volte confligge anche con la stessa necessità prodotta dalla lotta di classe in questi paesi di portare a processi di liberazione della donna e di affrancamento da sistemi di sfruttamento e di dipendenza ancora semi-feudali, non può essere confusa con la presenza di una scheggia impazzita che colpendo a livello di massa e nemmeno di “classe” (come poteva essere l’estrazione sociale dei viaggiatori d’aereo dei primi anni settanta oggetto di sequestri da parte della rivoluzione palestinese), si pone oggettivamente come fattore di legittimazione per gli interventi assassini e neo-coloniali dell’imperialismo americano, oltre ad aver goduto per lungo tempo di appoggio da parte della CIA in funzione anticomunista (Libano 1982, Iraq, Afghanistan, ecc.).

I nostri compagni sono e rimangono i comunisti di questi paesi, anche se sparano meno colpi d’arma da fuoco.

Ed anche lì hanno patito le mosse assassine del revisionismo, come in Afghanistan nei primi anni 90. Revisionismo che poi è stato a sua volta vittima dei medesimi meccanismi repressivi e criminosi. Il dare la morte in politica non può essere altro che prodotto di processi rivoluzionari e lotte di liberazione che producono determinati eventi per necessità e legittimità storica, e non certo per riproduzione di autoritarismi che hanno fatto il loro tempo; essendo attuabile il potere popolare, la giusta misura e soluzione di tutte le cose non deve necessariamente imitare la logica puritana o inquisitoriale, cosa che invece il movimento talebano in Afghanistan ha fatto eccome. Oltre a questo il rispetto dei prigionieri di guerra deve essere rivendicato ed attuato, e non solo o tanto per le convenzioni internazionali in quanto tali, ma perché le convenzioni sono esse stesse il prodotto dei conflitti che hanno portato l’umanità più volte nel baratro della storia, di cui dopo alcuni decenni si perde la memoria.

 

PROSPETTIVA

Nella nostra situazione questo significa bilancio dell’esperienza e critica-autocritica-trasformazione, onde valorizzare il patrimonio di 200 anni di lotta proletaria comunista, nel segno e nell’assunzione di questo patrimonio e dell’applicazione concreta dei principi rivoluzionari alla situazione concreta. Ovunque nel mondo, alle masse è ben chiara la necessità storica della liberazione dalle catene dello sfruttamento del modo di produzione capitalista e del dominio imperialista. E questo non può non influire sul senso comune del rifiuto della guerra imperialista anche nel nostro paese. Ma questo non è sufficiente, poiché come dicevamo più sopra l’imbelle iniziativa riformista e parolaia porta ad obiettivi sempre più difensivi ed inutili.

A chi combatte lo sfruttamento oggi, e quindi a tutti i lavoratori sfruttati che vogliono far valere la propria dignità e diritto ad una vita degna d’essere vissuta, si danno oggi competenze diverse e ruoli che non sono secondari in nessun caso.

È stato il popolo sovietico a scacciare i nazisti da Stalingrado e Leningrado, è stato il popolo cinese a sconfiggere l’imperialismo giapponese ed americano, sono sempre e solo le masse a poter sconfiggere l’imperialismo. Senza conquistare le masse alla necessità della rivoluzione, il che è tuttaltro che impossibile e remoto date le condizioni oggettive vissute dalle masse nei paesi occidentali capitalisti, è impossibile affermare la linea rivoluzionaria. Non va dimenticato che un dato storico nelle rotture rivoluzionarie è proprio l’adesione comune delle masse al sentimento di rifiuto di una data situazione (quello che Lenin definiva il “non poter più vivere così”) e questa adesione fa parte dello sviluppo rivoluzionario stesso. A dimostrarlo, l’immediato senso di appartenenza alla vita politca nazionale, di ogni episodio significativo avvenga nel mondo, che rende l’idea di una situazione di guerra già in atto, corrispondente all’affermazione della contraddizione tra imperialismo ed antimperialismo. I colpi dela resistenza irachena all’imperialismo, ad esempio, lungi dal far ragionare i caporioni della borghesia imperialista al potere nel nostro paese, né di quelli all’ “opposizione”, aprono comunque varchi e lampi di coscienza, approfondendone la distanza e chiarendo “da che parte siamo”, in milioni di proletari e persone comuni.

 

            (dal capitolo 11)           

 

         Perché sostengo, uscendo certo dal seminato canonico del movimento comunista nel nostro paese e soprattutto dai teoremi che tengono incatenata l’analisi di classe nel movimento rivoluzionario dopo l’offensiva di classe del 1981, che OGGI, dopo gli arretramenti intervenuti anche rispetto alle stesse conquiste delle masse negli anni sessanta e settanta del secolo XX, la rivoluzione nel nostro paese, di cui la guerra di classe è parte, ha una valenza in qualche modo intermedia, collocata tra i paesi del centro imperialista e quelli del Tricontinente, tale da poter definire la necessità della prossima tappa rivoluzionaria per le masse popolari e la classe operaia, quella di una rivoluzione Proletaria di Nuova Democrazia, organizzata dal basso verso l’alto, attraverso il potere dei Consigli popolari ?

Non certo per motivi bassamente “geopolitici” (disciplina molto abusata negli ultimi decenni ed utile alla borghesia più che al proletariato, come ha dimostrato storicamente anche di recente l’esperienza dei Balcani, anche da noi rivoluzionari), bensì per alcuni dati storici: la composizione della borghesia e delle classi, la natura burocratica dello Stato, la questione dell’arretratezza del Sud e delle isole. Dati che affronto solo con spirito contributivo, dato che sono inerenti all’analisi di classe proletaria, che è essa stessa necessariamente frutto della lotta di classe e del lavoro collettivo intrinseco all’attività del movimento comunista ed autenticamente rivoluzionario, analisi di classe a cui ho sempre lavorato (Mao Tse-Tung, Chi non ha fatto inchiesta non ha diritto di parola).

Composizione della borghesia nel nostro paese e caratteristiche deli rapporti sociali. Alla grande industria, latifondi, miniere, cantieri navali e borghesia finanziaria storiche si aggiungono i gruppi sorti sulle speculazioni edilizie dal boom in poi, quelli sorti su prodotti a basso contenuto tecnologico ma affermatisi sul mercato di massa (moda, vestiario, occhiali). L’industria di stato è stata quasi completamente rilevata da grandi gruppi monopolistici (es.acciaio) ed ha subito forti ridimensionamenti. Molte industrie significative e diverse di media grandezza sono in mano a capitali stranieri. La piccola e media industria rappresenta una fetta molto rilevante del sistema economico del paese, articolata prevalentemente sul decentramento produttivo e sui distretti industriali settoriali (es.il tessile a Prato, l’orafo a Vicenza e Valenza Po, il legno in Friuli, i mobilifici nel nord-ovest, ecc.). A questa borghesia industriale si aggiunge una componente estremaente fluida e selvaggia nel settore commerciale, ove grandi aziende e gruppi sono stati accaparrati da gruppi finanziari e speculativi (es.Standa), composta di gruppi commerciali di medie dimensioni e di un settore commerciale ed artigiano privato più composito ma meno corposo che in passato, a causa della chiusura di molte botteghe e negozi di piccole dimensioni.

Una caratteristica che tende a rendere ingannevoli le statistiche è quella delle “piccole aziende”. Queste, sorte in tutti i settori e a coprire mansioni (e “servizi” di ogni genere, prima affidati all’industria od allo Stato), che inizialmente costituivano uno dei bacini elettorali fondamentali della associazione a delinquere di stampo mafioso denominata “democrazia cristiana”, nel tempo sono aumentate numericamente a dismisura.

Tutttavia in moltissimi casi, vuoi per fenomeni di esternalizzazione e indotto di realtà industriali medie e grandi (boite e lavoro a cottimo casalingo), vuoi per fenomeni di crescente fornitura esterna di servizi prima affidati a strutture interne (ad esempio i programmatori), vuoi per le difficoltà della crisi che hanno determinato il sorgere di attività di piccolo commercio ed artigianato “nuove”, vuoi per i “nuovi bisogni” che nella popolazione opulenta occidentale si sono via via affermati (la bellezza e la cura del corpo, per esempio), sono sorte figure di lavoratori sfruttati che compaiono come lavoro autonomo ed artigianale; sfruttati perché, al di là degli strumenti di difesa che adottano (tariffe), dipendono dal ciclo di riferimento produttivo. La riproduzione della capacità lavorativa degli sfruttati (lavoratori industriali), in misura certo minore di quella delle altre classi, è oggi afferente anche a fattori che vanno ben oltre il normale “paniere inflattivo” che rappresentava fino al 1984 (congelamento della contingenza) un elemento di conquista della lotta di classe. Il venir meno delle garanzie sociali alla riproduzione, e il crescere della crisi di valorizzazione, hanno fatto sì che progressivamente fasce proletarizzate e piccolo-borghesi, con mezzi diversi ed in settori in genere diversi, hanno contribuito al crescere del fenomeno delle “ditte individuali”. Fenomeno (che trova conforto anche nelle cifre delle aziende sotto i 16 dipendenti, ossia escluse dallo Statuto dei lavoratori per volontà ancora una volta non solo dei padroni ma anche della borghesia “illuminata” piena di merda che “governa” la cultura della “sinistra democratica”; in queste aziende, il numero medio di dipendenti per “azienda” è di 3 dipendenti e qualche decimale, ossia oltre 3 milioni di lavoratori per quasi un milione di “aziende”) che quindi solo in apparenza è di ostacolo alla rivoluzione delle masse sfruttate, perché in realtà condivide con esse gli effetti della crisi.

Nei “servizi” -ossia in un settore in cui è in crescita la presenza di aziende ove si produce plusvalore, che era connaturato invece due secoli fa quasi esclusivamente dalle industrie- il settore dei media (in realtà partecipe alla produzioni di merci materiali) e della pubblicità, delle assicurazioni, dello sport e dello spettacolo, si articola in una componente monopolista via via crescente (basti pensare alla Manzoni nella pubblicità, o alla Mediaset nelle televisioni, od al numero esiguo di effettivi editori rispetto al numero di molto aumentato di quotidiani ed emittenti, specie locali), che possiede la gran parte delle principali aziende, ed in una componente locale e diffusa che fa capo agli imprenditori locali più in vista.

Nei locali di intrettenimento, nello sport, nelle finanziarie, nelle immobiliari, nei cantieri edili, (ove il lavoro nero infuria ed i rischi per i lavoratori sono più alti che altrove, dato che la “sicurezza” è un fattore del tutto aleatorio e funzionale al profitto, perché le modalità operative del lavoro stesso sono da “terzo mondo”, e non solo perché tese alla massima velocizzazione e quindi sfruttamento delle persone, ma anche per il carattere umiliante e servile che si vuole mantenga il “Lavoro” nel nostro paese: il 38,5% dei 215 “infortuni” mortali nell’edilizia nel 2003 -il 15% circa dei quali riguarda immigrati- sono causati da cadute dall’alto, il 15,4% dal travolgimento da parte di mezzi, il 15% da crolli della struttura, il 9,2% da oggetti che hanno colpito il lavoratore, il 9% dal ribaltamento del mezzo, il 7,5% da folgoramento), sono presenti capitali di provenienza spesso extralegale (ossia determinati da accumulazione originaria), ove lo sfruttamento giunge fino alla mercificazione sessuale in funzione del ruolo nel lavoro stesso, al di là delle forme diverse che assume, che reprimono le esigenze dei lavoratori in maniera bestiale, capitali che tendono a costituire la fascia bassa della borghesia imperialista.

Ma questo fattore della mercificazione sessuale è legato storicamente anche al lavoro della donna in casa, e viene ad assumere un ruolo più nefando grazie ad alcuni fattori che sono in crescita:

·         la fine delle famiglie “normali”, con l’aumento del numero dei nuclei familiari di un solo componente, la diffusione della solitudine e dell’isolamento tra gli stessi abitanti di un medesimo edificio, l’allontanamento della popolazione dalla gestione dei problemi dei quartieri (con la sola partecipazione e lotta nei casi di disfacimento più evidenti, che poi in genere rifluiscono al finire della specifica emergenza), il lavoro sottopagato delle “badanti”, a testimoniare anche dell’abbandono degli anziani e della vigliaccheria della società borghese che li relega nelle case di riposo solo quando possono permetterselo e che fino a quando lo Stato pagava, li cacciava nelle cliniche neurologiche (spesso private e della Chiesa Vaticana, che hanno sostituito in maniera occulta i manicomi e che ancora oggi ricavano lautissimi guadagni dai contributi statali e dalle “mance” dei familiari che possono permetterselo affinché non li facciano morire – o il contrario), e negli ospedali a vegetare, mentre in misura crescente diventano “barboni” e senza-casa, vagabondi d’un “progresso” egoistico ed edonista.

·         La difficoltà per i giovani a mettere su casa e quindi il numero in crescita di ragazze che si buttano nella prostituzione temporanea, o nel campo della “bellezza”, a fare da coriandoli degli spettacolini, ai vari livelli (dal lap-dance alle veline) del ludibrio della borghesia imperialista utile a soggiogare la mente del popolo, nonché del numero di giovani maschi che si buttano nella malavita e nello spaccio di stupefacenti ben prima di conoscere ciò a cui rischiano di andare incontro, con la conseguenza anche di un aumento della repressione sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, e quindi della militarizzazione delle istituzioni (basti pensare ai pronto soccorso, alle ferrovie, ai taxi, alle metropolitane, ai locali pubblici, ecc.).

·         La mercificazione dell’educazione, con le tariffe sull’alimentazione dei bambini negli asili e nelle scuole elementari, l’attacco al tempo-pieno, le imposizioni classiste sulla salute (fecondazione artificiale, attacco ai medici di famiglia) che comportano sia un peggioramento della qualità della vita, sia il crollo della struttura portante della vita sociale, la famiglia, con l’aumento dei drammi, dei suicidi, la diminuzione delle nascite, ecc.

È evidente che i fascisti che vogliono irrigimentare la società in questa fase non hanno idea di cosa stanno mettendo in piedi, sempre che all’ “idea” utopistica e borghese della “società unitaria” fascista neo-corporativa non abbiano aggiunto quella della società intesa come pied-a-terre e club-privée ove mandare pure i piccolini perché divengano prima del previsto “produttivi”.

Le terre sono, a parte le comunità e le cooperative agricole ed i piccoli appezzamenti privati, possesso di latifondi classici legati alle industrie ed ai mercati principali, ove lo sfruttamento è istituzionalizzato e sindacalizzato, ma anche di latifondi ove lo sfruttamento di manodopera specie immigrata, temporanea e fluida, è più marcatamente selvaggio.

Componente di borghesia compradora, specie in Sicilia, Puglia, Campania. Il peso complessivamente importante delle borghesie locali e dei piccoli imprenditori, spesso impegnati direttamente nei processi produttivi, e delle piccolissime aziende, quelle sotto i fatidici 16 dipendenti, ove lo Statuto dei lavoratori non ha peso alcuno, costituiscono un elemento di arretratezza e di impedimento al progresso sociale dati i caratteri di paternalismo e coercizione sociale che li caratterizzano. Un altro elemento in questo senso, prima ancora di considerare il peso della Chiesa, è la frammentazione della realtà civile (oltre 8.000 comuni e quasi altrettante caserme dei carabinieri, decine di migliaia di frazioni, e l’urbanizzazione diffusa, antitetica alla natura della grande metropoli europea (Parigi, Londra, Roma, ecc.) anche nelle campagne, per cui si assiste in alcune aree anche del Nord in cui l’attività economica è in depressione e la popolazione è in calo continuo, ad uno svuotamento abitativo e lavorativo, ed in altre ad una metropolizzazione diffusa che non corrisponde ai caratteri di vita e rapporti sociali delle metropoli. La dimostrazione di ciò è Milano, il cui comune, periferie comprese, è in calo abitativo, con una crescita della fascia urbana ampia. I 10 maggiori centri urbani del paese hanno perso abitanti negli ultimi 30 anni. Questo determina ovunque una maggiore lunghezza della giornata lavorativa sociale, una dispersione della popolazione nei mille rivoli della sopravvivenza e della riduzione del tempo dedicato ai rapporti sociali ed alla cura di sé.

La borghesia amplifica la sua distanza dalla qualità della vita della maggioranza della popolazione, i ceti medi ed impiegatizi risentono in maniera crescente della crisi e del costo della vita, spingendo ad una proletarizzazione di massa anche questi settori intermedi. Il calo della popolazione è anche strutturale (livello demografico che ha toccato il saldo negativo per alcuni anni), e non è completamente sanato dall’afflusso di popolazioni immigrate, in buona parte “clandestine” (secondo i criteri razzisti dell’Europa di Shengen), che vanno spesso a sostituire la popolazione operaia, ma che entrano anche a far parte in alcuni casi della borghesia e dei ceti medi.

Complessivamente la comparsa di sempre maggiori frazioni di capitale e la consistenza numerica contenuta della popolazione appartenente alla borghesia imperialista non permettono allo Stato imperialista di superare quei caratteri di voluta arretratezza e di burocrazia che erano propri della “prima repubblica” governata dalla borghesia industriale, dal clero, dai possidenti terrireri e dai mafiosi, che costituivano la base di potere della “democrazia cristiana”, e che oggi vivono soprattutto in “Forza italia” ed altri gruppuscoli “centristi” ma anche in quote diverse, nei cosiddetti “popolari” e nei seguaci dell’enfant-prodige Rutelli.

 

MEDIOBANCA – maggiori azionisti – 2002

settore

%

Capitalia

Bancario

8,41

Unicredit

Bancario

7,83

Consortium

Assicurativo

4,99

Gruppo Ligresti

Edilizio

3,80

Gruppo Pirelli

Industriale, chimica

3,62

Gruppo Generali

Assicurativo

1,99

Gruppo RAS

Assicurativo

1,81

Gruppo FIAT

Industriale, auto

1,81

Fin.Privata

Finanziaria

1,75

Commerz Bank

Bancario

1,64

Burgo

Industriale, cartiere

1,45

Pecci

 

0,70

Cerruti

Industriale, moda

0,64

Ferrero

Industriale, dolciumi

0,41

Lucchini

Industriale, siderurgia

0,41

Candy

Industriale, elettrodomestici

0,14

Fin.Sev.

Finanziaria

0,10

Montefibre

Industriale, chimico

0,09

 

 

41,59

 

I “grandi cambiamenti” nella composizione di Mediobanca, agente politico finanziario centrale per il suo ruolo nelle scelte capitalistiche nostrane, successivi alla crisi della “prima repubblica”, si dimostrano in realtà come verifica del mutato peso negli assetti capitalistici, del capitale finanziario, che tendenzialmente nel nostro paese tende scientificamente alla distruzione della grande industria ed a convogliare il nostro paese nelle mani delle principali multinazionali anglo-americane.

La privatizzazione del collocamento al lavoro attraverso le aziende interinali costituisce un manifesto eclatante della dipendenza e precarietà delle giovani generazioni, a confermare anziché negare la questione generazionale, pur se in chiave ben diversa da come siamo abituati a leggerla sociologicamente, nei termini di una difficoltà assoluta nel mettere su casa e famiglia per i giovani proletari, a differenza di quanto accadeva negli anni sessanta e settanta, quando la casa non era un bene di lusso ed era reperibile ad ogni settore sociale, anche se in condizioni abitative assai discutibili. Oggi vi sono milioni di abitazioni vuote, tenute in questo modo per far lievitare il prezzo di mercato, o affittate con sistemi di rapina a giovani studenti ed immigrati, il che comporta un ulteriore aggravio non solo del costo sociale della vita ma anche una limitazione allo sviluppo produttivo e quindi si dà come limite al plusvalore e come fonte di generazione di capitale finanziario in eccedenza.

Questa presenza di un’economia palesemente passiva e corrosiva (che la borghesia di “sinistra” vede a volte come spiegazione della crisi ma che ne è solo una manifestazione) comporta sul piano politico delle resistenze di componenti della borghesia (sue frazioni locali, per esempio) all’integrazione europea, su cui speculano i settori più sporchi della borghesia imperialista (che posseggono la quasi totalità dei media, del mondo dello spettacolo, della speculazione edilizia, di alcuni settori industriali e fiananziari), spesso oggetto di indagini giudiziarie ma non per questo estranei al potere, nonché delle rivalse (da “ventennio”) di politica da “grande potenza”, tipiche per esempio del frutto della frustrazione leghista (per la mancata autonomizzazione del nord, solo “parzialmente” compensata in termini di maggior potere alle fazioni di borghesia imperialista nelle singole regioni, dalla devolution) in campo della giustizia, con accordi brevimano di estradizione e reciprocità giuridica con dittature e paesi antidemocratici soprattutto dell’area mediterranea (Turchia, Iran, Spagna, ecc.), e con politiche revansciste e reazionarie in materia di giustizia. In questo campo, la borghesia istituzionale non riesce più a svolgere il proprio compito senza confliggere sempre più spesso con gli interessi delle organizzazioni politiche espressione delle frazioni di borghesia.

 

Le corporazioni professionali sono molto diffuse e costituiscono il contraltare dello Stato burocratico, necessarie a mantenere le aspirazioni delle classi sfruttate dietro il bancone delle tasse e dei balzelli, delle file con il numero in mano e delle multe e sanzioni, in un sistema punitivo e premiale che privilegia i potenti ed i ricchi. Queste corporazioni, in particolare quelle che operano privatamente (avvocati, notai, commercialisti, ragionieri, architetti, ingegnieri, dentisti, oculisti, giornalisti, ecc.) si riproducono in maniera quasi feudale, per “diritto ereditario”, a causa della struttura sociale pre-scritta della divisione del lavoro. Il mantenimento di uno status-quo di privilegio gli è riconosciuto socialmente e non costituisce giammai elemento di messa in discussione da parte della “sinistra” della borghesia né tantomeno della destra. Il loro ruolo si articola esattamente al compito di riprodurre la stabilità di un’ordinamento sociale che riflette un “liberismo” a senso unico, dove l’unica libertà è quella di sfruttare e di mantenere il proprio potere. Il peso della cultura è in flessione, mentre appare crescente in maniera esponenziale il peso dei poli tecnologici creati dalle maggiori industrie e dalle componenti emergenti dei settori economici multinazionali legati alla medicina, alla tecnologia militare e scientifica, alla biologia, ecc. Tutto ciò mette in discussione l’analisi dell’Italia come Stato imperialista compiuto, al di là dei ridiciìoli sforzi (D’Alema con Clinton, Berlusconi con Bush) di significarsi come solidi alleati NATO e disposti alle più nefande avventure militari, e quindi rappresenta da un lato un elemento di forza del proletariato, dall’altra un elemento di caotica e duratura anarchia economica e politica a cui le tanto declamate modifiche istituzionali parlamentari hanno dato una mano, anziché una sistemazione. In questo, specie ora con il regime filo-fascista e reazionario del “Polo delle libertà” (di sfruttare, reprimere, rubare e proteggere gli interessi dei più forti economicamente), l’Italia appare per certi versi simile a certi regimi sudamericani dove il potere politico è strettamente legato al potere dei media televisivi; d’altronde la varietà e frammentarietà delle frazioni, specie locali, di borghesia in campo, distingue l’Italia dai paesi del terzo mondo. Non però, quanto all’indipendenza nazionale ed al rispetto dei principi pacifici e sociali della Costituzione del 1947.

 

Natura burocratica dello Stato nel nostro paese. Fondata sulla dittatura del regno Sabaudo nel meridione che non modificò gli odiosi assetti sociali e di proprietà terriere e che represse nel sangue le comunità e le loro forme di resistenza ai feudi, sul mantenimento del potere della Chiesa, sul ruolo politico del risorgimento nel centro-nord, sulla presenza di un corpo armato politico reazionario e repressivo (i carabinieri), la “Nazione” italiana ha inteso sin da subito, con le avventure coloniali e militariste, qualificare qull’identità “romana” che avrebbe dovuto stando alle affermazioni nelle intenzioni dei potenti cancellare centinaia di anni di devastazioni, centinaia di anni di miseria e feudi, centinaia di anni di dominazioni straniere. In realtà sin da subito la borghesia avvia la costruzione di uno Stato burocratico ed estraneo agli interessi più immediati del popolo, gravando l’analfabetismo e l’arretratezza delle regioni del Sud, attingendo alla Chiesa in campo educativo e di controllo sociale (Patti Lateranensi), dominando spietatamente la devianza con un sistema penale enormemente classista (ancor prima dei codici Rocco), costruendo sistemi economici di Stato fondati sul corporativismo e il contenimento dei conflitti sociali, costruendo una classe fascista di magistrati, prefetti e questurini, che sostanzialmente la nuova Repubblica antifascista non eliminò ma solo inizialmente contenne per poi riassorbire e lasciargli mano libera nella repressione sociale. Costruita per settori, dipartimenti e strutture specifiche, lo Stato italiano che ha gestito la ricostruzione economica del dopoguerra sul dominio di classe, i finanziamenti e la presenza militare americana, ha costituito una sorta di colonia politica dell’imperialismo sin dal secondo dopoguerra a causa della politica aggressiva ed anticomunista degli USA. La epica e ben nota prassi burocratica da azzeccagarbugli, dietro cui si nascondeva e cela tuttora l’intrico di favori, interessi, privilegi e “diritti ereditari” (nella medicina e nell’università, nell’esercito, nelle forze di polizia e nella magistratura), è solo in parte contrastata dal capitale multinazionale e monopolistico, che ha imparato a sfruttarne i favori e gli intrichi di interessi (tipico il connubio industrie-università-enti di ricerca scientifici). In questi settori, il fatto che si tratti di ambiti pubblici, funzionanti con capitali frutto del gettito fiscale e quindi del sudore dei lavoratori, nulla influisce a determinare una reale dipendenza dello Stato dalle necessità del popolo. Lo si è visto con la condizione, per esempio, della salute, ridotta a camera mortuaria per i deboli e a lussuosi residence per i ricchi, con le attese di mesi per semplici accertamenti, e con il malcostume di molti professionisti facili all’errore (spesso mortale), ed in cui i livelli retributivi sono astralmente lontani, tra ausiliari ed infermieri, e preziosi e ricercatissimi primari occupati ovunque e desiderosi di operare per tele-trasmissione. Lo si è visto con le condizioni della sicurezza sui posti di lavoro, e della nocività, e dei trasporti. Gli “incidenti” sul lavoro sono circa 1 milione all’anno, di cui circa 1.400 mortali, oltre la metà dei quali nel settentrione (almeno queste sono le cifre del 1996-2002). Una buona parte dei quali riguarda esplosioni ed incidenti chimici, un’altra parte operazioni azzardate di pulizia di silos e contenitori di materiali pericolosi, moltissimi riguardano il lavoro edilizio, altri, incidenti durante spostamenti merci e lavorazioni. Questa strage quotidiana (circa 6 morti al giorno) non ha alcun rilievo politico, se non in occasione delle stragi più pesanti, con il corredo di strilli sindacali e scioperi di solidarietà di ¼ d’ora, ecc. La situazione non è cambiata affatto anche se in passato vi erano più incidenti (ma anche più lavoratori industriali). A questo si aggiunga il prezzo che i lavoratori debbono pagare, con le loro famiglie ed i cittadini delle città e quartieri colpiti, della nocività diretta (da contatto con materiali letali, come l’amianto, per esempio: in Italia sono stati 9.000 i decessi tra il 1988 ed il 1997, per difetto, a causa di neoplasie da amianto; 140.000 sono le domande per il riconoscimento pensionistico a causa dell’esposizione lavorativa all’amianto, e 700.000 sono nei paesi capitalisti occidentali i morti previsti entro il 2030 per mesotelioma) e della nocività delle emissioni impreviste e delle fughe tossiche (da Manfredonia a Ravenna, da Marghera a Priolo, ecc.). In sostanza l’unico cambiamento avutosi rispetto alle stragi ed alle pesantissime situazioni sociali degli anni ’70 (Seveso su tutte) è che sono meno attivi i siti petrolchimici e di altre produzioni a rischio. Ma il costo sociale che le popolazioni debbono pagare al malgoverno del territorio ed alla speculazione edilizia si vede con gli smottamenti e tracimazioni che avvengono quasi ogni inverno, e che trovano impreparate le popolazioni. La “sicurezza” che lo Stato offre ai cittadini è, insomma, prettamente data dalla militarizzazione del territorio e non certo dalla tutela dell’ambiente. Belle parole a cui le mobilitazioni ecologiste non hanno certo obbligato i governi a ristabilire con operazioni drastiche e scientificamente rispettose dell’ecosistema, atte a difendere foreste e fiumi, paesi e vallate. Convincendoci sempre più che il problema politico nel nostro paese è assolutamente centrale e riguarda la gestione socialista dei mezzi di produzione e della vita sociale, unica alternativa alla barbarie celata dietro il benessere dell’apparenza e degli idromassaggi (che sostituiscono oggi lo status symbol del passato, il frigorifero). Le ferrovie, costruite col sudore del lavoro, così come tutti i servizi pubblici, del gas e dell’acqua, corrente elettrica e trasporti urbani, sono state parzialmente privatizzate e hanno subito l’applicazione di criteri logistici e di “redditività” assolutamente incompatibili con la qualità del servizio, anche qui biforcatosi astralmente tra alta velocità e piccoli tragitti locali. Le autostrade, con il gran clamore delle grandi costruzioni, dei nuovi trafori e di mastodontici ponti, sono passate dalla promessa fatta al popolo negli anni cinquanta di una futura gratuità, alla privatizzazione ed aumento progressivo ed esponenziale, parallelo ai carburanti, delle tariffe. Gli incidenti ferroviari sono aumentati, e i morti nelle strade si cntano a migliaia nelle strade. Questi sono frutti di una “spoliazione” della natura “sociale” dello Stato, che non fa stranamente venir meno tuttavia la sua natura burocratica. Anzi, mano a mano che lo Stato si libera dei lacci e lacciuoli della dipendenza dalla riproduzione della vita sociale, aumenta le strutture e le norme utili a giustificarne l’esistenza. Questo è tipico dello Stato burocratico dei paesi latino-americani, anche se in proporzioni certo minori del nostro paese. La micidiale produzione normativa dei vari uffici ministeriali, estranea e spesso in contraddizione con lo spirito delle leggi del Parlamento, e priva sostanzialmente di controllo da parte della “classe politica” ossia delle strutture politiche delle varie frazioni di borghesia imperialista che si sono storicamente impossessate del potere e delle competizioni elettorali (sin da prima del fascismo) che sono interne proporzionalmente agli interessi in gioco, è tale e tanta da costituire essa stessa una specificità di peso enorme nei rapporti sociali. Tipica la politica sulla casa, passata, di fronte al fiorire di interessi speculativi di costruttori e “piccoli proprietari”, dall’approccio della garanzia proporzionale al reddito ed alla qualità della vita della politica delle “case popolari” e dell’ “equo canone”, alle truffe, speculazioni, rapine ed esclusioni, legittimate dallo Stato non a caso con le nuove norme sugli sfratti sin dalla fine degli anni settanta, dopo un ciclo, che tuttora continua a causa della mancata risoluzione di questo primario bisogno sociale, di lotte sociali e di massa, sempre represso dagli apparari repressivi dello Stato (allora poveri contro poveri, ora professionisti ben pagati ed esecutori ottusi ed obbedienti contro poveri, a smentire Pasolini). In ogni ramo e settore, privilegi occulti e riconoscimenti palesi, reciprocità di riconoscimenti, occlusioni ed intralci alla vita, regole eccessive ove si esplicano pezzetti di libertà, ed assenti o inapplicate ove servirebbe rispetto. Tipico il caso degli ispettori del lavoro, che, pur operando con improvvisazione, spesso non sono inattesi, e comunque sono in genere del tutto insufficienti al rispetto ed all’applicazione delle leggi in un paese che non è mai stato nazione se non nelle avventure militariste e nel tifo calcistico. Una nazione in cui lo Stato, proprio perché è nato Sabaudo e nazionale in una non-nazione, -composito puzzle di lingue e culture diverse, per secoli dominate da diverse forze di occupazione, con regioni spesso dipendenti dal potere clericale, ed impostosi senza porre ovviamente, dati i suoi interessi, la questione contadina all’ordine del giorno, se non tardivamente e in maniera tale da privilegiare i latifondisti e non il lavoro-, mantiene tuttora dei caratteri di arretratezza ed ottusità burocratica che i numerosi passi tecnologici di riadeguamento liberista alla velocità della circolazione di merci e capitali non hanno certo eliminato né possono eliminare perché si è voluta sedimentare la concezione dello Stato come entità propria separata dagli interessi, pur classisti, dei ceti sociali e del popolo inteso come insieme. Il che in quest’ultimo caso è ovvio, ma pesa quando soltanto attraverso l’aggiramento delle norme si possono risolvere dei problemi, come dato strutturale ed intrinseco alle cose. Questo carattere burocratico e, in quanto autoprotettivo, “mafioso”, dello Stato, sta alla base della vacuità ed inutilità e ridolaggine delle “politiche” che i vari esecutivi attuano, ben coscienti del problema, allo scopo di mantenere lo status quo di un paese capitalista avanzato con una cultura ed un rispetto civile assolutamente arretrato. Questo carattere spiega anche perché l’Itaia, come altri paesi “deboli” della politica europea, operi essenzialmente per “linee teatrali” atte a rinviare le contraddizioni date dalla prospettiva istituzionale comunitaria proprio perché viceversa sarebbe troppo pesante l’attuazione dei principi continentali, pur borghesi, in un paese come il “nostro”. E questo spiega anche perché l’Italia contemporanea si sia sempre, nel fascismo come oggi, appoggiata sulle più nefaste politiche internazionali, proprie degli sciacalli e della violenza più infame. Non a caso l’avventura neo-coloniale somala, ha i suoi paralleli storici nel XX come nel XIX secolo. Ed in questo paese, ove la monarchia sabauda ed il fascismo da essa accettato hanno costruito questo Stato burocratico, i fascisti sono tornati al governo e gli eredi al trono sono tornati dall’esilio. Il tutto è oggi abbellito e addobbato dalle politiche di rappresentanza, oramai inflazionantesi le une alle altre in un caos mediatico che opera censurando progressivamente i conflitti sociali e gli atti repressivi di polizia. Il tutto dietro la difesa della “personalità dello Stato” che si vuole “dei cittadini” sulla carta e sulla bocca di tutti, ma che è realmente estraneo alla vita ed alla sopravvivenza della maggioranza dei cittadini, costituendosi esso stesso come eversore della Costituzione (dallo Stato DEI cittadini allo Stato in quanto Stato), nel privilegiare oramai strutturalmente le attività di sfruttamento sulle necessità dei suoi sudditi, il condono degli evasori sui diritti dei lavoratori che tutto producono e tutto edificano. Questo dato è talmente sedimentato nella vita sociale che per molti anche nella “sinistra” borghese, è diventato addirittura “normale”, portando ad un vuoto di partecipazione civile che, se da una parte è frutto del livello dato dal conflitto di classe, dall’altra è causato dalla reale estreneità di milioni di lavoratori dalla vita sociale e politica del paese. Effetto “scandaloso” per i politici nostrani ? Tutt’altro, oramai accettato il senso comune della deriva civile degli Stati imperialisti, questo fa anche gioco alla borghesia, che recupera in questo modo terreno per i propri soprusi interessati al profitto. In questo sfacelo, la “sinistra” della borghesia cerca di contrastare gli assalti frontali delle frazioni al potere, tutti tesi a svuotare progressivamente di quei pochi residui significati di diritto e partecipazione e rappresentanza sociale, gli organi esecutivi in particolare in campo giuridico e legislativo.

 

Il Sud, conquistato manu militari dalle truppe sabaude (Piemontesi) nella seconda metà del secolo XIX, ha costituito sempre strutturalmente una riserva di manodopera a basso costo per ogni genere di attività od affare. Meridionali erano gli operai che hanno fatto la fortuna dei padroni negli anni del “boom economico”. Meridionale è il 95% della popolazione carceraria stabile del paese di origine italiana. Meridionale è gran parte del lavoro contadino. Meridionali sono la gran parte dei latifondi, spesso rimasti inalterati da secoli. Meridionale è buona parte della borghesia nera che costuituisce una fetta specifica del capitale nel nostro paese. E nel meridione, in particolare in Sicilia, le forze reazionarie e cattoliche che hanno detenuto il potere per 45 anni prima di Tangentopoli, hanno sempre controllato l’elettorato, come è accaduto nel 2000 con “Forza Italia”. Evidente che il mantenimento del meridione in condizioni di arretratezza e, solo selettivamente, inserendovi strutture avanzate, costituisce una delle scelte strutturali e strategiche del capitalismo italiano legato alle multinazionali e vendipatria.

Tutti questi sono punti di riflessione che portano coloro che vogliono partire dalla realtà per superarla e trasformarla attraverso il movimento reale delle masse verso il socialismo ed il comunismo, a comprendere che il nostro paese costituisce ancora un esempio anomalo nel novero dei paesi imperialisti, ed in qualche maniera la futura Rivoluzione proletaria socialista in Italia non potrà che essere anche una Rivoluzione di Nuova Democrazia nel senso che occorrerà ricostruire la concezione stessa della democrazia dal basso, senza la quale il socialismo non è attuabile senza, come storicamente si è visto, riprodurre degenerazioni borghesi e privilegi che lo portano alla sconfitta tattica. Perché tattica ? Perché, se è vero che l’Umanità potrebbe sconfinare nella barbarie e nell’estinzione a causa del procedere dell’imperialismo capitalista, è anche vero che è intimo ed insito alla natura dell’Uomo, e quindi nell’oggettvità della vita e delle relazioni materiali e sociali tra gli individui, il buon auspicio verso il divenire progressivo della Storia, che a tutt’oggi è stato prefigurato con risultati parziali anche molto significativi della possibilità nella trasformazione e affermazione dei principi dell’Eguaglianza, della Fraternità e della Solidarietà tra i lavoratori, contro ogni sfruttamento e schiavizzazione dell’Uomo, dal Socialismo, punto di passaggio al Comunismo, fase matura della Umanità.

 

DELLA PROPOSTA RIVOLUZIONARIA ALLA CLASSE

Questa si esplica oggi lungo direzioni diverse, ma non opposte. Una grande frammentazione sociale ha caratterizzato gli anni della ristrutturazione padronale e della rivincita vendicativa e infame della repressione statale sulle lotte espresse dalla classe operaia e dal movimento rivoluzionario, a tutti i livelli, sino al 1982. Questo non poteva evitare di produrre miriadi di difficoltà e rinnovamenti nel corpo di classe. Ma ci ha pensato la situazione rivoluzionaria venutasi a creare con la caduta del muro di Berlino, la aggressione imperialistica americana ed occidentale al Medio Oriente ed ai popoli del Sud del mondo, il crollo del sistema di potere e corruzione democristiano e “democratico” nel nostro paese con “Tangentopoli”, frutto delle contraddizioni interne al sistema e non più comprimibili, a determinare nuovi assetti e conflitti. E in questa situazione la lotta armata per il comunismo ha ripreso a pesare nello scontro di classe agendo direttamente sui centri nevralgici della politica filo-padronale di contenimento delle legittime esigenze dei lavoratori e di loro compressione e convogliamento entro le rigide regole imposte dall’approfondimento della crisi al capitale anche nei paesi cosiddetti “avanzati”. I margini della mediazione sociale sono così saltati, e il ricompattamento periodico attorno alle “istituzioni” non offre giustamente altro di sé che una indegna parodia di cuò che fu la “solidarietà nazionale” sbirresca e forcaiola degli anni ’70. Questa situazione, come abbiamo visto analizzando il fascismo ed i caratteri specifici della Rivoluzione nel nostro paese, è in evoluzione: siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo.

Mentre la resistenza del popolo Irakeno avanza formidabile ad inceppare il funzionamento stesso dell'invasione militare dell'imperialismo yankee, giungendo persino a colpire il personale spionistico e militare di gestione della diplomazia americana, attaccando con forza sia il collaborazionismo interno che la possibilità di permanere nl paese da parte delle forze imperialiste, da parte sua Turchia ed “israele” nell'area non sono certo venute meno ai propri ruoli, come abbiamo visto e vediamo ogni giorno, assassinando bambini e negando libertà ed indipendenza, terra e diritto alla sopravvivenza, alla stessa popolazione non direttamente impegnata nel conflitto, proprio perchè troppa è l'infamia che questi paesi vogliono imporre rispettivamente ai popoli del Kurdistan e della Palestina, ed ai loro militanti prigionieri e dirigenti costantemente isolati e torturati nelle caserme segrete e tecnologiche dei regimi. E vi è ancora qualcuno in Italia che parla di missioni umanitarie e di allargamento della UE, anziché, lì, di interventi tesi ad impedire ciò che è diventato oramai prassi quotidiana. L'impegno delle forze militari italiane in questo Medio Oriente, al di là delle richieste oggi di ritirare le forze, non è solo carattere del governo reazionario, è carattere della stessa posizione con cui questa classe borghese imperialista al potere si qualifica rispetto alla popolazione interna ed immigrata. Per questo non possiamo oggi parlare di lotta armata interno alla dinamica rivoluzionaria senza parlare di resistenza. Per questo la violenza che esercitano più o meno occultamente sui prigionieri, me compreso, è la stesso via Tasso. Per questo va espresso dal proletariato un costante sostegno, indirizzato al rafforzamento del campo poletario nlla fase di costruzione delle condizioni per l'avviamento vero e proprio della fase rivoluzionaria, alle iniziative (...), come azioni di resistenza al regime che si sta costruendo sulla pelle della gente e delle stesse leggi. Ancora comunque al di sotto del necessario, e non solo a causa degli incessanti colpi repressivi che l'imperialismo assesta preventivamente contro il proletariato e non certo, se non episodicamente, contro le proprie bande armate fascista e tantomeno nei confronti della frammistione totale tra regime e compagni di borghesia nera, che oramai ha invaso anche le “forze dell'ordine” stesse in un fascismo strisciante di regime, ma anche dei problemi politici tuttora irrisolti posti all'avanguardia rivoluzionaria sin dalla ritirata strategica e della lotta della classe operaia con le autoconvocazioni del 1984.

Un nemico, lo Stato borghese imperialista e ancora in parte semi-feudale, nel quale la professionalizzazione delle forze armate ha un suo ruolo ben preciso di prospettiva ed estraneità ai principi stessi Costituzionali ai quali oggi richiamarsi dal punto di vista di classe è cosa ben diversa da ciò che intende una ipocrita e fasulla magistratura che intende solo mantenere un potere particolare nello Stato di emerenza perenne, e non certo difendere i deboli e gli oppressi dalle angherie dei potenti.

La situazione di gravità assoluta in cui versa il proletariato del nostro paese e le componenti sfruttate tutte, immigrati, pensionati, donne e giovani, disoccupati e precariato, in prima fila, è tale da costituire di per sé una delle condizioni della situazioni rivoluzionaria, per dirla con Lenin. Ma questo non abbrevia le circostanze di modo che il problema primario delle costruzione del partito della rivoluzione non esista. Questo problema esiste e non può più venir posto in termini rivoluzionari al di fuori della coerente e chiarissima ripresa e riappropriazione del nostro patrimonio di classe, del marxismo-leninismo-maoismo.

La costruzione di autentici partiti comunisti in grado di dirigere lo scontro di classe portando il proletariato ed il popolo all’offensiva è, anche in Italia, posta chiaramente del marxismo-leninismo-maoismo, che saprà dimostrarsi capace di qualificarsi come arma della classe per unire le forze autenticamente rivoluzionarie e diigerne il processo [termine che in Politica, sta a significare l'evolversi, lo svilupparsi, di una realtà], senza intendere assolutamente questo come “governabile” da forze militari bensì comprensibile e riappropriabile da parte e delle masse tutte, italiane ed immigrate, che costituiscono l'esercito proletario degli in costruzione.

La parola in questo senso è al movimento comunista, ai proletari, ai rivoluzionari, alle organizzazioni comuniste combattenti, ed alle organizzazioni guerrigliere di recente costituzione, che devono trovare la forza per nuove offensive ed espressioni autentiche di chiarezza non limitate ai “canoni” di progettualità dimostrarsi inadeguate.

Come prigioniero comunista e rivoluzionario, il problema non si pone in termini di mera adesione ad una opzione politica, ma di affermazione dei principi e dei valori ed analisi entro cui dare il proprio contributo, ossia, nel mio caso, di una collocazione precisa della priorità politica al marxismo-leninismo-maoismo.

            (dal capitolo 12)

           

         Per questo oggi, tredici anni dopo l’aggressione dell’Iraq, tre anni dopo l’invasione dell’Afghanistan, dopo un anno dall’ultima occupazione militare dell’Iraq, che segue 80 anni di rapina petrolifera anglo-americana nell’area, cinque anni dopo i macelli dei bombardamenti sulle inermi popolazioni serbe, undici anni dopo l’occupazione militare fallimentare della Somalia (NOTA 27), sei anni dopo le “rappresaglie” americane su Khartoum, diciotto anni dopo i bombardamenti su Tripoli, ventiquattro anni dopo la strage di Ustica e un decennio dopo la strage del Cermis, e via dicendo, Grenada, Haiti, Panama, e oggi ancora gli interventi di consiglieri e truppe speciali in Nepal e Filippine, la creazione di basi militari imperialiste americane in territorio di guerra popolare come in Perù ed Ecuador (ove la lotta di classe degli operai e dei contadini indios sta assumendo un carattere esplicitamente rivoluzionario) ed in aree di guerra di liberazione nazionale come in Colombia, ed il loro appoggio da sempre riconfermato alle formazioni paramilitari stragiste, che ammazzano selettivamente i dirigenti comunisti, i sindacalisti ed i preti invisi ai capitalisti ed alle consorterie, non solo mafiose, della borghesia compradora, e massivamente intere popolazioni contadine ed agli eserciti delle dittature e dei signori della guerra dei paesi del Tricontinente ricchi di risorse energetiche, minerarie e diamantifere, ecc., tutto ciò non può smentire in alcun modo le ragioni di chi combatte armi alla mano l’imperialismo, schifando giustamente i falsi secchielli umanitari “a svuotare” il mare dell’infamia dell’occidente che candide e laide mani episcopali e di giovani professionisti illusi di servire così al progresso “dando una mano” porgono a bimbi morenti causa i loro stessi mandanti politici ed economici (illusione che i media ben alimentano e non da oggi), né può smentire chi si “permette” di chiamare l’Italia, fedele scudiero di mamma-Washington, Stato Imperialista (NOTA 28).

Stato Imperialista nelle relazioni internazionali e nei rapporti economici con la stragrande maggioranza dei paesi del mondo, stato gendarme sul piano interno, ma sempre più arena della spartizione dei dividendi del profitto tra le formazioni della Borghesia Imperialista a questo stadio del modo di produzione capitalista, sempre più interconnessi nell’ambito della catena.

·         Attualità dell’analisi leniniana sull’imperialismo che nessuno può smentire. Tanto più che il quadro internazionale pare PROPRIO retrocesso a quello di 90 anni fa, dopo il crollo del revisionismo nei paesi dell’Est Europeo che furono socialisti sino alla metà degli anni ’50 del secolo scorso.

·         Attualità delle tesi dell’avanguardia comunista combattente degli anni settanta (NOTA 29) sullo Stato Imperialista delle Multinazionali che non può certo essere smentita oggi, un quarto di secolo dopo, come volevasi dimostrare per la intrinseca scientificità ed oggettività del processo storico, come sempre e per sempre.

·         Situazione rivoluzionaria in sviluppo sul piano mondiale e controtendenza militarista dell’imperialismo che si confrontano a livello mondiale nella in una lotta di resistenza antimperialista dei popoli che di fatto è una guerra antimperialista alla barbarie militarista e guerrafondaia dell’imperialismo americano (NOTA 30).

Quei marxisti-leninisti che oggi insistono a smentire la analisi della situazione rivoluzionaria in sviluppo, della tendenza alla rivoluzione proletaria mondiale in atto, e a sminuire l’importanza, sino a denigrarla con denominatismi demonizzanti di “linpiaoismo” dovrebbero riflettere molto bene prima di sputare sentenze fondate su un’impianto politico che non ha ancora capito che il centro della Rivoluzione mondiale oggi non sta né in Europa né in Russia.

È il marxismo-leninismo-maoismo oggi ad essersi affermato scientificamente oltre ogni sentimentale incertezza come il marxismo al massimo punto sinora raggiunto dallo sviluppo storico della lotta del proletariato mondiale (unica classe) per il comunismo (unica società mondiale), attraverso le sue conquiste più recenti della teoria materialista dialettica e della contraddizione, della teoria scientifica della guerra popolare rivoluzionaria e della rivoluzione culturale proletaria, che sono state negli anni sessanta e sono storicamente ancora oggi la base fondante di ogni movimento autenticamente rivoluzionario.

Nell’analisi non si può correre dietro alle “certezze” del passato (l’URSS, la linea di demarcazione Est/Ovest intesa come cortina di ferro anziché come occidente/oriente, oggi l’attesa messianica nella rivoluzione in Russia dove il capitalismo sta diffondendosi come la malaria e dove la popolazione cala anziché crescere proprio perché per affermarsi il capitalismo ha bisogno di stabilizzarsi e non può farlo in un sistema di depredazione innestato sul fallimento del burocratismo revisionista che ha distrutto il socialismo in costruzione sino al 1956, e dove al popolo restano solo le radici delle patate).

Chi lo ha fatto, ne ha pagate politicamente le conseguenze, come dimostrano i dati di fatto.

Questo non significa non essere solidali con i partiti comunisti ricostituitisi dopo il crollo del revisionismo o con quelli in costruzione nei paesi già socialisti, ma significa non dare loro la stessa importanza che i comunisti di tutto il mondo davano al Partito bolscevico durante il quarto di secolo di vita della Internazionale Comunista.

Ciò che conta è il patrimonio storico che non può essere cancellato perché vive nella lotta continua del proletariato e della classe operaia e continuamente si trasmette di generazione in generazione senza perdere la memoria storica di ciò che è stato ed anzi spingendo ad un grado più elevato di maturità la lotta rivoluzionaria.

L’ideologia proletaria è oggi come sempre una nostra arma potentissima, che noi comunisti dobbiamo saper impugnare nel popolo e tra i proletari perché è il frutto primo e più alto del sangue versato dai nostri compagni lungo tutto lo sviluppo storico della classe operaia e del proletariato e delle classi oppresse. Rifarsi all’ideologia come arma e strumento dell’analisi e della lotta significa fare l’analisi corretta e giusta della situazione concreta.

Per questo, come già negli anni sessanta, chi si caratterizza storicamente come anti-maoista non può andare da nessun’altra parte che nei rigagnoli secchi di una memoria che non vuole riadeguarsi ed uscire una volta per sempre dal mefitico euro-sciovinismo (base fondante del sopravvissuto social-sciovinismo ed anche del defunto socialimperialismo revisionista). Deviazione euro-sciovinista che nessun comunista occidentale può permettersi oggi senza porsi fuori dal fronte concreto che oppone i popoli ed i proletari ai capitalisti ed al militarismo assassino imperialista.

            (dal capitolo 13)

 

         Non riconosco alcun diritto all’occupazione del suolo del mio paese alle truppe militari americane, alle quali rivendico il diritto alla Resistenza sia contro la guerra imperialista che da queste basi trae alimentazione sia contro la dipendenza politica ed il ricatto permanente che ne consegue, come se il nostro Paese non avesse pagato il suo riscatto dall’onta del fascismo con il sangue versato dal popolo e dai partigiani nella Resistenza dal 1943 fino al dopoguerra inoltrato.

            (dal capitolo 14)