FINE CORSA
Può sembrare comico, ma non lo è affatto: i destini di
Rifondazione sono legati, da almeno dodici anni, ai cambi
di maggioranza di governo; per un partito che, a parole,
dichiara da sempre che <il governo è un mezzo e non un
fine> questo appare grottesco ma è la semplice
constatazione di quanto storicamente avvenuto.
Nella parabola rifondarola - che sembra sia giunta al
capolinea con la scelta della federazione con Pdci, Verdi e
Sd - si trovano alcuni momenti importanti legati ad
altrettante crisi di governo; essi sono almeno tre, e due
di questi vedono protagonista il Rospo, principe dei
trasformisti pronto a cambiare coalizione pur di restare
sempre in sella e continuare, con il suo miserabile codazzo
di due senatori - eletti nelle file della Margherita ma
attualmente rappresentanti del movimento dei
Liberaldemocratici (Ld) che non è entrato nel Pd - a
ricattare chiunque, forte dell'appoggio incondizionato di
cui gode da parte di Confindustria, Vaticano ed
amministrazione yanqui.
Il primo è datato 1995: il Rospo - appena reduce dal
ministero del Tesoro del primo governo con a capo il Nano
di Arcore - viene nominato presidente del Consiglio dei
ministri del centro(falsa)sinistra; il Prc decide di non
accordargli la fiducia, ma una parte dei dirigenti - tra i
quali ricordiamo Rino Serri, Lucio Magri, Luciana
Castellina, Famiano Crucianelli e Alfiero Grandi - vota
invece a favore lasciando contestualmente il partito per
andare a fondare il Movimento dei Comunisti Unitari, che
avrà vita breve confluendo - dopo pochi mesi - nel Pds.
Tre anni dopo, ottobre 1998, cade il primo governo del
Mortadella per mano dell'(in)Fausto ed i suoi accoliti - si
ricorderà il famigerato motto <svolta o rottura> - e
circa
un terzo del gruppo dirigente lascia le file rifondarole
per andare a formare il Pdci, seguito da circa la stessa
percentuale di semplici iscritti.
La dirigenza bertinottiana fa male i suoi conti, pensando
che presto anche questi fuoriusciti sarebbero confluiti nel
Pds - che nel frattempo è diventato DS - e finisce col
dover assistere ad un costante, drammatico (per essa), calo
di consensi a fronte di una inaspettata crescita, per
quanto modesta costante nel tempo, della popolarità del
partito di Diliberto e Rizzo; inoltre, una parte dell'ex
elettorato rifondarolo va ad ingrossare le fila
dell'astensionismo di sinistra, segno inequivocabile che i
proletari hanno cominciato a conoscere di che pasta sono
fatti i dirigenti di questi due partiti sedicenti comunisti
e ne stanno alla larga.
Venendo ai giorni nostri, il Rospo è di nuovo pronto
al 'salto della quaglia' per tornare nella coalizione
della "destra radicale", e Mortadella si trova
nuovamente
sulla graticola.
Questa volta la cosiddetta "sinistra radicale"
conclude la
sua esperienza di finta autonomia dai partiti apertamente
borghesi, rinunciando all'ultima icona che finora l'ha
sempre distinta: la presenza nel proprio logo, dei simboli
del lavoro; è pur vero che sia Claudio Grassi (Rc-Se area
Essere Comunisti) sia Orazio Licandro (coordinatore della
segreteria del Pdci) continuano ad asserire che la falce e
martello non si toccano - anche se usano accenti diversi:
il primo categorico <la falce e martello deve rimanere
nella cosa rosa>, il secondo più accondiscendente con chi
si rifiuta di averli nel simbolo unitario <è ovvio che
non
si può imporre la falce e martello a Verdi e Sd ma dobbiamo
trovare un segno forte, riconoscibile in modo quasi
intuitivo> (vedasi sul "manifesto" del 15
novembre, a
pagina 6, l'articolo di Matteo Bartocci) - arrivando
persino a configurare la novella Dp come un'alleanza a due
velocità, in partenza formata solo dai due partiti
sedicenti comunisti.
Appare improbabile un rinvio rispetto alla presentazione
ufficiale del simbolo unitario, prevista per l'8 dicembre
nel corso dell'incontro denominato 'assemblea generale
della sinistra e degli ecologisti', e indiscrezioni danno
lo stesso formato dai colori arcobaleno ed il tricolore con
la scritta "la sinistra".
Come si vede, se le informazioni trapelate sono esatte, i
simboli del lavoro spariranno e questo dovrebbe permettere
ai proletari di comprendere definitivamente la vera natura
dei sedicenti comunisti, rifondaroli o italiani che siano:
socialdemocratici e riformisti, nella sostanza borghesi.
Torino, 15 novembre 2007