14 ott 2005, 02:14:06 |
[laconscience] 2 Interviste
Palestinesi |
Propos recueillis par Mireille Court pour Rouge (France) et Chris
Den Hond pour La Gauche (Belgique)
Ahmad Saadat segretario generale del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina)
& Hassan Youssef di Hamas pubblicata lunedì 26 septtembre 2005
traduzione del 23 ottobre 2005 di Paolo Dorigo
Intervista di Mireille Court - Chris Den Hond
Nell’agosto scorso, noi ci siamo intrattenuti con Ahmad Sa’adat nel carcere di Gerico dove è detenuto dal, Ahmad Sa’adat è divenuto il segretario generale del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina).
Hassan Youssef, che noi abbiamo intervistato nell’agosto 2005, è stato arrestato dall’esercito israeliano, all’epoca di un rastrellamento di massa di militanti palestinesi di divesi partiti in tutte le città della Cisgiordania, domenica 25 settembre 2005.
Intervista con Ahmad Sa’adat, del FPLP, nel carcere di Gerico [1], un carcere palestinese, sorvegliato dai Britannici e dai Nord-Americani. Ahmad Sa’adat è divenuto il segretario generale del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) dopo l’esecuzione di un missile israeliano del precedente responsabile, Abou Ali Mustafa, nel suo ufficio di Ramallah nell’agosto 2001. Quando il FPLP ha colpito “allo stesso livello” uccidendo l’ex ministro israeliano del turismo, conosciuto per le sue posizioni di estrema destra, Zeevi, il FPLP era nel mirino di “israele”. Il commando Ahmad Sa’adat è stato condannato da parte dell’Autorità palestinese in una parodia processuale facente parte di un mercanteggiamento tra l’Autorità palestinese, “israele” e gli USA per poter uscire dalla crisi della chiesa della Natività a Betlemme.
Come giudicate il ritiro da Gaza ?
Il ritiro di Gaza è anzitutto il frutto della resistenza del nostro popolo. Il costo dell’occupazione per gli Israeliani è diventato troppo elevato e loro si trovavano in una impasse. Ma il ritiro non significa per ora la fine dell’occupazione fintanto che la sovranità sul cielo, il mare e la terra non sarà completa. Si possono vincere altre battaglia, perché non ci sono che due vie: ossia la via proposta da “israele” o dai progetti internazionali [in francese: la feuille de route – la carta d’intenti ?] oppure la via della lotta. È questa via che ci va a permettere di porre fine all’occupazione e di dare al nostro popolo il diritto all’autodeterminazione ed i suoi diritti nazionali. Sia i diritti nazionali per costruire uno Stato palestinese in Cisgiordania ed a Gaza, sia uno Stato nazionale e democratico sull’insieme del territorio palestinese, uno Stato che riunisce gli Arabi e gli Ebrei. Questo stato non sarà stabilito su alcuna base etnica, religiosa, di colore o di sesso. Ma per arrivarci, occorrerà una visione palestinese chiara nel quadro di un programma combattivo, che rifiuta i progetti politici che trattano la questione palestinese su un piano sicuritario, che considerano la lotta del popolo palestinese su un piano di sicurezza, che considerano la lotta del popolo palestinese come del terrorismo o che mettono la sicurezza israeliana come base della negoziazione di pace.
La [carta d’intenti] per esempio è un progetto di negoziazione e non di soluzione. Continua a basarsi sulla sicurezza. Non è una soluzione per la questione palestinese, dunque bisogna trovare una alternativa.
La nostra alternativa si basa sulla lotta diplomatica, politica, su quello che l’Intifadah ha ottenuto e sulle risoluzioni internazionali, soprattutto sulle raccomandazioni dell’Aja. In questo quadro, noi ci appelliamo a riunirci in una conferenza internazionale di pace sotto il patrocinio dell’ONU e sulla base delle risoluzioni dell’ONU. Loro danno al nostro popolo i loro diritti all’autodeterminazione, all’indipendenza ed al diritto al ritorno dei rifugiati.
Sia che si accettino i progetti proposti e che si accettino le condizioni di Sharon, si accetta anche che Sharon ci imponesse le sue condizioni politiche che si basano essenzialmente sulla rapina di una gran parte della nostra terra, soprattutto in Cisgiordania perché Sharon ha voluto da Gaza per avere le mani libere in Cisgiordania – con la costruzione del muro di separazione, vuole imporre un altro fatto compiuto in un eventuale negoziato politico – sia che continui la resistenza. Non c’è altra scelta.
Il muro chiude il 58% del territorio della Cisgiordania, inoltre separa Al Quds dalla Cisgiordania e partecipa anche all’operazione che la trasforma in città ebrea. Malauguratamente, la politica della colonizzazione di Sharon è stata sostenuta da Bush, che gli ha dato delle nuove garanzie sino al 2004. In queste garanzie il ritorno dei rifugiati è considerato come un ostacolo alla soluzione di pace. Egli considera che le colonie in Cisgiordania sono una realtà che non si può negare nelle negoziazioni per la pace. Malauguratamente, questa è la posizione di Bush. E’ un sostegno chiaro alla politica di Sharon. Ogni giorno, leggendo i giornali, si apprende che “israele” va ad ingrandire una colonia oppure a costruirne un’altra, e la costruzione del muro non è ancora conclusa.
Sharon è chiaro nella sua politica. Nel ritirare l’armata israeliana da Gaza, vuole sbarazzarsi di una crisi per rafforzare la sua presenza strategica in Cisgiordania, poiché ciò gli permette di rafforzare la sua presenza strategica in Cisgiordania, poiché ciò gli permette di controllare la metà del territorio della Cisgiordania.
È come l’aborto della possibilità di uno Stato palestinese, della sua sovranità. In questo modo, la Cisgiordania sarà divisa in più staterelli [bantoustan –tipo modello sudafricano- nel testo]. Secondo Sharon, per legare i Bantoustan tra loro, si può costruire delle strade che passino nei tunnel... Uno Stato che è diviso in diversi bantoustan e separato da un muro non è uno Stato, perché non c’è sovranità né indipendenza e non è in grado di sopravvivere. Questo è il progetto di Bush.
D. : Per questo ci sarà una terza Intifadah ?
R. : Per parlare di una terza Intifadah, bisogna che finisca la seconda. Perché noi pensiamo che non sia ancora finita. Può darsi che sia poco indebolita, ma il conflitto non è ancora terminato. Io posso parlare di un’altra tappa dell’Intifadah. Sui mezzi della lotta dell’Intifadah, c’è stata la lotta democratica delle masse sotto forma della lotta popolare o della lotta armata. Questo dipende dal contesto. Noi non sacralizziamo alcuna forma. Noi crediamo in tutte le forme di lotta. Siccome l’occupazione e la colonizzazione israeliana non sono ancora concluse, noi abbiamo tutte le ragioni di continuare l’Intifadah. Tutte le forme della lotta sono necessarie ed importanti. La lotta armata è pure importante. Non bisogna abbandonarla.
D. : Il sindaco FPLP di Betlemme è stato eletto con il sostegno di Hamas, questo è un accordo di tattica elettorale unicamente per Betlemme oppure si potranno prevedere altri accordi tattici o strategici tra il FPLP ed Hamas ?
Sulla base di una strategia di lotta comune contro l’occupazione israeliana e della costruzione dell’OLP, il nostro obiettivo non è di avere un accordo solo con Hamas, ma con tutte le correnti politiche del popolo palestinese. A proposito delle elezioni municipali in particolare di Betlemme, i rapporti di forza hanno obbligato Hamas a sostenere sia il candidato di Fatah, sia quello del Fronte Popolare. Questo è normale nel contesto del rapporto di forza attuale. Se il Fronte Popolare ha una possibilità di essere alla guida di Betlemme, con il sostegno di Hamas o della Jihad islamica o di un’altra formazione politica, come il Fatah, questo non ci pone alcun problema.
Ma perché si parli di una alleanza strategica tra il Fronte Popolare ed Hamas, bisogna che ci sia un accordo su un programma politica. Ci son bene dei punti comuni e la stessa visione su un programma politico. Ci sono proprio dei punti comuni e la stessa visione sul modo di gestire la lotta contro l’occupazione sionista. Altrove nel mondo arabo, ci sono dei movimenti dell’Islam politico che militano contro l’imperialismo, contro il progetto del grande Medio Oriente, contro la mondializzazione e le sue conseguenze sul mondo arabo, come fanno alcune correnti nazionaliste o di sinistra. Ma sul piano strategico, noi vogliamo costruire un polo di sinistra democratica [autentica sinistra ed autentica democratica, non come i ds in italia]. C’è un polo islamico con il suo progetto e c’è un altro polo della borghesia, questa è l’Autorità Palestinese e Al Fatah. Noi da parte nostra, noi stiamo provando con tutte le nostre forze di costruire un terzo polo, un polo della sinistra democratica. Che sarà il terzo polo tra Hamas e Fatah in Palestina.
[note tra parentesi quadra, del traduttore]
Hassan Youssef (portavoce di Hamas in Cisgiordania)
Hassan Youssef, che noi avevamo intervistato nell’agosto 2005, viene arrestato dall’esercito israeliano, durante un rastrellamento di massa di militanti palestinesi di diversi paesi in tutte le città della Cisgiordania, domenica 25 settembre 2005. Demonizzato da alcuni, Hamas rimane un componente della resistenza palestinese, il cui peso politico è crescente. Pubblicare il suo punto di vista fa dunque parte di una informazione onesta sulle forze di resistenza all’occupazione.
D. :Qual’è la vostra opinione sul ritiro da Gaza ?
R. : “Per iniziare, va detto che noi siamo per la liberazione di ogni particella della nostra terra.
Il ritiro da Gaza è una vittoria del nostro popolo, il frutto del suo attaccamento ai suoi diritti nazionali. Non si può parlare di una ritirata vera e propria, perché gli Israeliani utilizzano il termine « disimpegno o riassegnazione ». Non si può andare più lontano e così cadere in trappola, dicendo che c’è un ritiro israeliano, perché nel nord della Cisgiordania vi è un ritiro da sole 4 colonie che sono molto piccole ed isolate, oltre ad una caserma.
D. : Vi è stata una alleanza tattica o strategica tra HAMAS ed il
FPLP ?
R. : Il sindaco di Betlemme (FPLP) è stato eletto con il sostegno di Hamas. Per dei marxisti europei, questa è una alleanza strana. È una alleanza tattica o strategica ? A livello di principio, non è solo una alleanza con il FPLP, ma anche con altre correnti politiche, a Betlemme, a Beit Fourik, dove noi abbiamo fatto una alleanza con il Fronte Popolare per il municipio, ci si è accordati per una alternativa alla presidenza, due anni per Hamas e due per il Fronte Popolare. Noi siamo per l’apertura verso gli altri, noi non siamo settari. Noi crediamo che vi sia la possibilità di vivere con l’altro e di discutere. Questa è la ragione delle alleanze con il Fronte Popolare e con altre correnti politiche. Dopo Madrid e gli accordi di Oslo e del dopo-Oslo, noi abbiamo delle posizioni in comune con il Fronte Popolare. Ed ultimamente, ci sono stati degli incontri con la direzione di Hamas e del Fronte Popolare in Cisgiordania ed a Gaza per discutere della possibilità di una alleanza tra Hamas ed il Fronte Popolare per le elezioni municipali e legislative. Noi, i Palestinesi, pensiamo che l’unica soluzione è l’unità contro l’occupazione che vuole spezzare tutta la resistenza palestinese come Hamas e la Jihad Islamica ed il Fronte Popolare, le forze che lottano contro l’occupazione. Noi pensiamo che il Fronte Popolare, malgrado tutte le divergenze ideologiche che abbiamo con loro, sia l’organizzazione più credibile e più coerente sulla questione dei diritti del nostro popolo palestinese.
In ogni caso, noi vogliamo cercare i punti in comune con tutte le forze politiche palestinesi, nazionaliste o di sinistra od altre.
Se noi condividiamo gli obiettivi, i mezzi e le tattiche, noi vogliamo lavorare con queste persone e coordinarci con loro, unire i nostri sforzi ai loro sforzi nell’interesse del nostro popolo. Questa è la nostra visione politica e l’orientamento che applichiamo.
D. : Se voi foste al potere, installereste un potere islamico fondamentalista come i Talibani ?
R. : Per quel che riguarda i Talibani, noi rispettiamo tutto il mondo, ma non sosteniamo che il nostro modello assomigli a quello dei Talibani o di Al Qaeda.
La loro filosofia non è costruita su una comprensione corretta della religione islamica che è interpretata da loro come uno slogan. Noi crediamo che l’Islam vuol vivere e dialogare con gli altri ; un Islam che vuole dialogare con altre civiltà senza conflitti con loro; un Islam che crede nella scienza, nella scoperta e nell’origine del mondo; un Islam che rispetta la donna, un Islam che crede all’eguaglianza sociale ed alla suddivisione, un Islam che crede alla supremazia della legge ed all’indipendenza della giustizia, all’eguaglianza delle possibilità tra le genti ed ai diritti dei cittadini, un Islam che crede nella libertà, questo è l’Islam. Questo è l’Islam come noi lo interpretiamo e dunque i Talibani, noi non sosteniamo che sia il nostro modello, perché questa loro interpretazione dell’Islam non è corretta.
D. : Sembra che voi abbiate rapporti con il partito Hezbollah ?
Quali sono i punti comuni tra il partito Hezbollah ed Hamas ?
R. : Per quel che riguarda il partito Hezbollah, il nostro orientamento è chiaro. L’Hezbollah appartiene alla comunità sciita, ma noi non guardiamo a questi dettagli, perché pensiamo che l’Hezbollah sia un movimento con un progetto e degli obiettivi che sono gli stessi dei nostri. Noi abbiamo delle divergenze secondarie. Questo è molto normale, il loro programma e le loro visioni sono molto simili alle nostre. Io penso che loro rinfaccino la stessa cosa che sosteniamo noi, ad Al Qaeda ed ai Talibani.
D. : Se voi foste al potere, le donne non avrebbero dei diritti e voi andreste a gettare gli ebrei a mare ?
R. : (Lui ride) Non è vero, perchè la donna fa lo stesso sforzo dell’uomo. Lei è nell’ufficio politico della nostra organizzazione. Noi abbiamo permesso alle donne di combattere l’occupazione fianco a fianco degli uomini.
Noi abbiamo dei martiri, delle sorelle prigioniere a vita. La donna condannata alla più alta lunga pena è una donna di Hamas, Alham Tamimi. Ha accumulato 17 condanne all’ergastolo. E ci sono decine di prigioniere donne.
D. : All’epoca delle ultime elezioni municipali, tra le 180 donne che si sono presentate alle elezioni, ci sono circa 140 donne militanti di Hamas o vicine di Hamas.
Questa è la prova che noi sosteniamo le donne. Noi abbiamo delle donne ingegnere, avvocato, medico, dottore nell’università, nella religione, nella politica. Noi non poniamo restrizioni alla donna, al contrario, la si spinge a prendere tutto il suo ruolo come fa l’uomo.
Per quel che concerne gli ebrei « perchè bisogna gettarli a mare», queste sono delle proposte che non sono corrette, che sono false. Noi non siamo contro la religione ebraica, ma noi siamo contro l’occupazione israeliana che controlla la nostra terra ed i nostri luoghi sacri. Loro hanno cacciato il nostro popolo, loro hanno assassinato il nostro popolo, è con loro che noi abbiamo un conflitto.
D. : La situazione dei Palestinesi è peggiore tutti i giorni. Avete speranza per l’avvenire ? Qual è la vostra strategia politica e militare a breve termine ? C’è l’occupazione. Bisogna utilizzare tutti i mezzi per farli uscire dalla nostra terra. Ci sono dei negoziati, ad Oslo ed a Madrid e numerosi incontri, ma non ci sono dei risultati. Il ritiro da Gaza non è il risultato di un negoziato, ma della resistenza, dei missili e delle operazioni effettuate dal nostro popolo. Siccome il popolo palestinese non ha ancora ritrovato i suoi diritti nazionali, è nel nostro diritto resistere per arrivare ad uno Stato palestinese interamente sovrano.
Noi non contiamo molto sui negoziati, perché l’occupazione li utilizza per manipolazioni e per creare dei fatti compiuti sul campo. Dopo Oslo, la colonizzazione non è solo raddoppiata, è esplosa proprio. Al Quds è ebraicizzata ed isolata. L’escalation degli attacchi contro il nostro popolo continuano, con dei negoziati come copertura. Noi pensiamo che i negoziati non siano utilizzati sotto l’occupazione israeliana.
D. : Qual’è la principale differenza tra la resistenza palestinese ed irakena ? Noi crediamo che l’occupazione israeliana sia totalmente diversa da tutte le occupazioni del mondo. È una occupazione colonialista che vuole eliminare l’esistenza del popolo palestinese. Questa occupazione pensa che la terra sia sua, che i luoghi santi siano suoi, e per noi questa è la nostra terra, sono i nostri luoghi santi. La nostra contraddizione con questa occupazione è basata su dei principi, sulla religione, ed in Iraq è diverso.
Noi consideriamo che gli USA, l’Inghilterra e gli altri eserciti che si trovano in Iraq siano delle forze occupanti e noi crediamo nel diritto alla resistenza degli Irakeni, ma ci sono delle operazioni che colpiscono dei civili e che provocano dei problemi interconfessionali, la guerra confessionale è guerra civile. Noi siamo contro queste operazioni che violano gli innocenti e che provocano una guerra tra le confessioni religiose.
[note tra parentesi quadra, del traduttore, scritta ““israele”” in minuscolo da parte del traduttore] (traduzione non ufficiale di Paolo Dorigo militante comunista prigioniero mlm in detenzione domiciliare per motivi di salute)