Recentemente in Italia sta emergendo nei circuiti antagonisti una serie di lavori che hanno l’ardimento di approfondire storicamente le questioni della storia degli anni ’70 in maniera esaustiva ma che non ne hanno lo spessore rivoluzionario. In Informazione antifascista sta uscendo una specie di “storia dell’autonomia organizzata”, che non mi è riuscito leggere. Il motivo è presto detto. Mi sono fermato al primo periodo della prima puntata. Come compagno che in Veneto (patria di autonomia organizzata, insieme a via dei Volsci) ha militato nei Collettivi Politici Veneti per il Potere Operaio, e che ancor prima in LC era visto male perché lottava insieme ai compagni dell’Autonomia (che all’epoca portava dopo lo scioglimento di PO, Lavoro Zero come testata, e compagni come Finzi tra i compagni più significativi), ritengo la tesi della “Fine” o residualismo dell’Autonomia, al 7 aprile 1979, del tutto borghese e falsamente precostituita su letture parziali o forse giornalistiche secondo cui fosse “toni negri”, “oreste scalzone” e “franco piperno”, la guida delle diverse anime di quel partito-movimento che andava dall’Alfa al Petrolchimico, dalla Marelli di Sesto alla Fiat di Cassino, da Pomigliano all’università di Padova, dalla Zanussi di Sacile a compagni di altre realtà. Nulla di più falso. Il ruolo, giornalisticamente e giuridicamente enfatizzato, della terna (negri a Padova e Milano, dove scimmiottava con p.l., piperno al sud, scalzone a Roma) che secondo Calogero ed i pezzi di merda che lo aiutarono nella sua montatura detta del “7 aprile”, era oramai puramente simbolico e intellettuale. Già quando Negri nel 1978 durante la campagna di primavera BR, afferma in un documento pubblicato su “Rosso per il Potere Operaio” che occorre “un partito” dell’Autonomia che si distacchi totalmente dalla linea BR, nel Veneto in pieno sequestro, una campagna di una sola notte, a vendicare 3 compagni caduti pochi giorni prima nella preparazione di una azione, colpisce 17 obiettivi militari e giudiziari e politici dello Stato, contro, appunto, le tesi di Negri. I volantini di queste azioni, firmate Proletari comunisti organizzati e Organizzazione Operaia per il comunismo, circolano nelle situazioni di movimento e raccolgono l’adesione politica delle masse mobilitate negli organismi di massa dell’autonomia veneta. Ma andiamo oltre questi esempi: l’Autonomia Organizzata si fondava, diversamente da ciò che il Quadrelli mescola (con la A maiuscola e minuscola), su una concezione leninista e maoista insieme della politica rivoluzionaria e della Linea di massa necessaria ad articolarla nelle situazioni più varie di lotta, che speriamo, non siano oggetto di studi aprossimativi ed opportunisti. Attraverso questa concezione, la lotta alla repressione del dopo 7 aprile, con ulteriori campagne politico-militari anche maggiori di quella dell’anno precedente, si unì alle lotte nelle altre situazioni, lotta nelle scuole (autogestioni, lotta alla selezione, lotta per i servizi gratuiti, mense, trasporti ecc., lotta sul territorio, pratica), lotta di occupazione delle case ed autoriduzioni organizzate di massa in interi quartieri di Padova, di Marghera, di Roma, ed anche in altre situazioni ove perdurava una concezione politica rivoluzionaria legata alle lotte sul territorio), lotte nelle fabbriche e collettivi di intervento anche di più fabbriche insieme, lotta all’inquinamento, campagne contro la militarizzazione del territorio. Le azioni del 1979 a Torino, quelle di Cassino, e ancora la campagna contro i sabati lavorativi all’Alfa, o la stessa campagna Sandrucci a Milano nel 1981, non potevano avvenire senza un retroterra politico chiaro. Questo a prescindere dagli errori di impostazione di chi limitava l’azione di massa in funzione di quella di avanguardia. Un errore che i Collettivi Politici del Veneto non commisero, almeno sino alla fine dell’esperienza unitaria dei vari collettivi e nei vari collettivi (1981-1982). Non fu “residuale” il ciclo che durò sino al 1982 (repressione diffusa nazionalmente per le delazioni di Savasta), perché la lotta a Marghera contro la cassa integrazione del 1981 non lo fu, e fu invece sperimentalmente (come affermai nel convegno nazionale contro la repressione alla palazzina Liberty nel giugno 1981, con il consenso di tutti i compagni presenti), la maggiore tappa pratica e politica di unità delle lotte di massa operaie con la avanguardia combattente. Non fu residuale ciò che si sviluppò nei due-tre anni seguenti (e non sono quisquiglie di dati, sono anni che valgono per decenni), perché a livello nazionale la lotta alla repressione era, senza alcun problema, di TUTTI, unitaria, e perché le chiaviche dell’opportunismo, come appunto quel negri che venne condannato politicamente nel periodico Autonomia nello stesso 1981, non avevano più spazio. Spazio che invece si riprendono quando le cose vanno malissimo per la classe operaia.

Paolo Dorigo, militante comunista marxista-leninista-maoista principalmente maoista, 22-10-2006