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Como: catena di suicidi, sotto choc l’ex carcere-modello

 

Corriere della Sera, 26 ottobre 2005

 

Venerdì sera i tre compagni di cella si erano stupiti di vedersi offrire da Patrick la torta acquistata con i soldi dei lavori di pulizia. Sorrideva, pareva sereno. La notte gli altri dormivano e lui, infilata la testa in un sacchetto di plastica, ha inalato il gas di due bombolette da cucina. La mattina l’hanno trovato morto. Compiva i 23 anni il giorno dei funerali e doveva uscire fra 15 mesi. Ha lasciato un messaggio al cappellano: "Mi chiede di perdonarlo - spiega commosso don Giovanni - ma mi domando se non tocca a noi l’esame di coscienza: porgiamo la dovuta attenzione a questi ragazzi?".

È successo ai primi di ottobre. È il quarto suicidio in un anno e mezzo al Bassone di Como, nato vent’anni fa come carcere-modello e ora sotto choc. Una lecchese di 34 anni, un comasco di 21 - pure quest’ultimo con lo stesso sistema -, un romeno di 40 impiccatosi non sopportando l’accusa di violenza su una figlia, Patrick. Vicende diverse accomunate dallo stesso tragico finale nello scenario di un carcere oggi sovraffollato - 560 detenuti invece dei 174 previsti: anche cinque in una cella. "I nostri mezzi sono quelli che sono - lamenta il sovrintendente della polizia penitenziaria Massimo Corti, dirigente Cisl -: con 220 uomini in totale, in certi turni c’è un solo agente per 75 detenuti. Molti sniffano il gas, anche solo per eccitarsi quando i compagni dormono o sono nell’ora d’aria. Purtroppo qualcuno ci rimane, ma come possiamo fare?".

Como non è diversa dal resto della Lombardia dove, ricorda Angelo Urso segretario Uil, di fronte a 8.300 detenuti i poco più di 4.500 agenti sono "ridotti all’impotenza". Per il provveditore dell’amministrazione penitenziaria Luigi Pagano il problema è ancora più complesso: "Nella case circondariali tipo il Bassone, senza cioè ospiti con pene definitive, il ricambio è continuo e il viavai ci fa disperdere risorse che potrebbero intercettare situazioni precarie".

Le bombole non rischiano di incentivare certi gesti? "Per i detenuti avere un fornello è stata una conquista, impensabile toglierle. Certo, vanno potenziati i servizi di accoglienza, medici, psicologi, volontari, per conoscere meglio chi entra, ma senza troppe illusioni. Patrick era stato visitato come tutti e non sembrava presentare problemi particolari. Arduo calarsi nella testa degli altri, non solo in prigione".

Ogni cinque giorni in Italia un detenuto si uccide e il gas dei fornelli, la "piccola neve" che fa precipitare in un profondo sopore, è un facile strumento di autolesionismo. Esemplare la storia di Patrick: famiglia disastrata, nessun affetto, la droga, espedienti per tirare avanti. Scarcerato a Natale era tornato dentro per l’aggressione con il cacciavite a una donna. Così era finito nella sezione speciale, reati di violenza.

"Nessun caso Bassone - taglia corto l’avvocato Roberto Papa, presidente delle camere penali a Como e Lecco - : la catena di suicidi è casuale, non un’epidemia, certe cose capitano dovunque. Oggi poi il detenuto è fin troppo curato, si perde il senso afflittivo della pena". "L’incubo di Patrick - conclude il cappellano - non era la vita in carcere ma il dopo. Non l’abbiamo saputo aiutare".