La parabola politica del signor Renato Curcio comincia nei circoli cattolici del dissenso trentini di fine anni ’60, che poi daranno vita in seconda istanza all’Università Negativa e ad una contestazione ideologica e sociologica della società borghese che certamente, lontana dallo scontro di classe, comunque rivendicava alla “classe studentesca” spazi e diritti nuovi. In un secondo momento, ritrovandosi insieme a compagni che uscivano dall’Emilia rossa ed antifascista, superato il 68 studentesco, darà vita ad esperienze già più qualificate nell’ambito dello scontro di classe proletario (Lavoro politico, Collettivo politico metropolitano), e parteciperà alla fondazione delle Brigate Rosse (1971).

Successivamente catturato i livelli organizzativi di allora delle BR e il luogo non particolarmente custodito dove stava (Casale Monferrato) permettevano un’azione di liberazione guerrigliera che rimase un simbolo per molti anni nel proletariato rivoluzionario.

Si gridavano slogan nelle manifestazioni della parte conflittuale ed antirevisionista del proletariato che si riconosceva nelle espressioni organizzate dell’autonomia operaia, inneggianti a questo atto, come politicamente esemplare.

Se il primo arresto fu interrotto da un’evasione, il secondo, dopo una affermazione del rifiuto di ogni dialogo con lo Stato (1976-1983), si risolse successivamente alla partecipazione alla “soluzione politica” (1987) con il quale il detenuto oramai ex brigatista colloquiava, come si fa ai funerali, con un giornalista borghese (Zavoli), in televisione, valorizzando la politica delle “stelline del cinema” in luogo di quella ben più dura e difficile dello scontro di classe.

Curcio era stato escluso sin da quando la sua “creatura ideologica”, il PG del noto criminologo Senzani, si era sbizzarrita a lanciare una “guerra sociale totale” che si concluse con l’atto di infamia contro una stessa loro militante, la compagna Natalia Ligas (ottobre 1982) con un discutibile seguito processuale (1983).

A partire dal dicembre 1981 le BR di fatto rimasero in attività come BR per la costruzione del Partito Comunista Combattente, divise poi in due linee nel 1984-1985, e rimaste in attività continuativa sino al 1989, successivamente ripropostesi come “per la costruzione del PCC – BR” nel 1993 (azione di Aviano contro la base USAF) quindi come BR per la costruzione del PCC nel 1999-2003 a partire dall’esperienza dei NCC per la costruzione del PCC (azioni nel 1987-1994).

A tutta questa esperienza il Curcio non aveva più appartenuto, dato che sin dal 1982 con un ghiribizzo letterario di elevata presunzione (“Gocce di sole nella città degli spettri”) aveva lanciato una operazione politica ideologica che significava il tentativo di sbarazzarsi del materialismo storico e dialettico, citando Marx e censurandone parti di citazione, come nel 1983 a luglio al processo di Torino quattro all’epoca militanti delle BR-PCC (Coi, Gallinari, Piccioni e Seghetti) seppero ricordare e documentare nella distruzione di questa prodezza (cit. la prima parte del libro “Politica e rivoluzione” ed.G.Maj 1983).

Questa prodezza era la “terza puntata” del “prigioniero rivoluzionario” Curcio che, da dirigente BR in carcere, diveniva letterato che scavalcava i termini politici della lotta armata all’esterno (con “Il bosco di Bistorco” e “Whky”). In seguito questa “vena” ideologica molto legata alla semiotica, ai sociologismi borghesi, al nazi Schmitt, lo portò ovviamente fuori dalla lotta di classe, all’interno della quale invece stavano sia le BR-PCC che poi la Unione dei Comunisti Combattenti (al cui interno purtroppo era dominante una linea di destra che poi si sposò con la “soluzione politica” di Curcio).

1987, la rivoluzione in Tivvù, i proletari devono dichiararsi arresi per la bocca di questi traditori ?

No.

La lotta armata continuò, pur in condizioni ben più difficili, e a dire che chi faceva la soluzione politica erano degli arresi e dei venduti (poi Curcio per fondare la sua casa editrice ebbe l’aiuto “morale” e “materiale” del noto boss democristiano di TRENTO, Piccoli), furono i prigionieri rivoluzionari delle BR e non solo di allora (cfr.il Bollettino del coordinamento dei comitati contro la repressione), pronunciamenti tra i quali non mancava il mio, allora detenuto a Trento, e successivamente diffamato per aver tentato un’evasione con altri proletari.

Nessuno dei “soluzionisti” rispose nel movimento rivoluzionario, cui erano estranei, risposero senza rispondere, continuando per la propria strada, soprattutto sul “manifesto”, in cui per anni ci si era dovuti sorbire (chi lo comprava) i “do you remember” dei dissociati, ossia dei refarditi ideologici della lotta armata, ossia coloro che in cambio di sconto pena, avevano dichiarato per iscritto “il proprio rifiuto all’uso della violenza” in campo politico. Violenza che quindi tornava nelle mani della borghesia, e basta, suo “legittimo” monopolio, per costoro.

Questa area di soggetti ogniqualvolta si avevano azioni armate contro la borghesia, si riproponeva nei giornali della borghesia stessa, stigmatizzandole e dando dei “barboni” a chi ne veniva accusato (cfr. la Stampa 28 ottobre 1993).

PL all’unisono, l’autonomia negriana pure, e l’area curciana, oltre alla linea opportunista di destra della oramai ex UdCC, volevano essere, per la stampa borghese e per i propri ricordi (ed interessi affaristici –diritti d’autore- borghesi in campo editoriale, in questo concordemente ai pentiti), i SOLI AUTENTICI brigatisti.

Questa infamità è stata usata anche in altri paesi.

Con i medesimi sistemucci.

Ne siamo stufi e stomacati.

Siamo rivoluzionari e non dimentichiamo.

La lotta armata di allora, punta di diamante dell’espressione di autonomia politica del proletariato, oggi è stata messa in critica dalla sua stessa esperienza, ma internamente al proletariato rivoluzionario, al suo dibattito e percorso rivoluzionario di emancipazione, e non nei salotti e fiere del libro di Torino ed altrove, della borghesia imperialista e/o di quella oramai vetusta e moribonda, falsamente “illuminata”.

A dimostrarlo il fatto che i nemici controrivoluzionari di allora, Caselli in primis, sono sempre lì.

E Curcio dove sta ?
In giro, a presentar libri e discettare di rivoluzione, a TACERE LE TORTURE CONTRO I RIVOLUZIONARI PRIGIONIERI E CHI LOTTA ANCORA FUORI DALLE CARCERI.

E come lui, gente come Segio, i piellini, militaristi autoritari nel ’70, dissociati negli ’80, “gestori” delle galere della borghesia nei ’90, falsi antagonisti, a “memorie perdute” (speravano) oggi.

No, non ci stiamo.

L’emancipazione del proletariato non passa per i salottini ove queste persone hanno avuto spazio. E se per caso ho condiviso in tempi diversi le stesse mura di circoli e sale conferenza, non l’ho certo fatto senza turarmi il naso e per un motivo ben più alto eticamente e politicamente di quegli interessi delle compagni borghesi che si spacciano per “rosse” in giro per il paese.

Oggi che il nostro proletariato mondiale sotto la guida del maoismo sta iniziando l’ondata che abbatterà il capitalismo costruendo su scala mondiale società socialiste, dalle Ande all’Himalaya, dalle isole del Pacifico alle montagne del Kurdistan, dalla Palestina all’Oxaca e anche nei paesi imperialisti, essere per la guerra popolare non può che essere anche ricordare senza amnesie, dalla parte giusta, sempre.

Saluti comunisti.

Paolo Dorigo

militante comunista m-l-m principalmente maoista