Condannati tre dirigenti
Dalmine per le morti di amianto sul lavoro
Condannati tre dirigenti Dalmine per le morti di amianto sul lavoro
La sentenza del Giudice Monocratico del Tribunale Penale di Bergamo, Dr.
Vittorio Masia, di condanna dei tre dirigenti della Dalmine per la morte di
ventun lavoratori per tumore polmonare dovuto alla esposizione ad amianto
presso la stessa Ditta è una sentenza molto importante, commenta l'Avv.
Luciano Ongaro legale della Fiom Cgil di Bergamo.
“Sono stati applicati con grande coerenza i principi giuridici stabiliti
dall’ultima giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di
Cassazione in tema di rapporto di causalità tra omissione ( delle misure di
protezione dei lavoratori dall’amianto) ed evento lesivo (mesotelioma e
morte).
Ha riconfermato il principio che per affermare questo nesso di causalità è
sufficiente la semplice probabilità logica e razionale che la adozione
delle misure di protezione avrebbe evitato l’evento lesivo in assenza di
altre cause, e non è necessaria la certezza vicino al 100% come da molti
affermato, irraggiungibile in tali casi”.
Il Giudice di Bergamo è giunto a tale conclusione accogliendo, all’interno
del dibattito scientifico da tempo aperto sul nesso tra amianto e
mesotelioma, le tesi più accreditate: come ogni altro processo neoplasico
anche questo dipende dalla quantità della esposizione ad amianto, per
durata nel tempo ed intensità (“correlazione dose-risposta”).
Quindi, se pure è vero che non è accertata la soglia minima di esposizione
al di sotto della quale il processo neoplasico viene evitato e che, nel
caso del mesotelioma, è talvolta sufficiente anche una dose minima (come
del resto in ogni altro processo neoplasico) a seconda delle suscettibilità
individuali e delle capacità immunitarie di ogni singolo soggetto, è pure
vero che la riduzione della esposizione all’agente cancerogeno riduce
proporzionalmente il rischio di contrarre la neoplasia.
Insomma fumare un pacchetto di sigarette al giorno è più rischioso che
fumarne solo una o due, anche se è in astratto possibile che contragga il
tumore da fumo anche chi ne fuma poche.
Sempre secondo l'Avv. Luciano Oongaro, “ha accolto infine la tesi
scientifica conseguente che il processo neoplasico non si innesca
necessariamente all’inizio della esposizione ( la “prima sigaretta”) ma
avviene nel corso della esposizione quando il soggetto accumula
nell’organismo quella “dose” di agente cancerogeno che innesca, secondo le
suscettibilità individuali, il processo neoplasico (la “trigger dose”). Per
tale accumulo è rilevante tutto il periodo di esposizione”.
Sulla base di tali premesse il Giudice di Bergamo non ha accolto le tesi
scientifiche del Collegio Peritale da lui stesso nominato e dei Consulenti
della difesa degli imputati, che collocavano l’innesco della patologia
tumorale prima e fuori dalla Dalmine, all’inizio della attività lavorativa
dei lavoratori, giovanissimi, per sporadiche esposizioni ad amianto,
irrilevanti le successive esposizioni anche ventennali e più alla Dalmine e
inutili i mezzi di protezione perché non eliminavano il rischio di
mesotelioma e che, infine e in ogni caso i dirigenti non sapevano e non
potevano sapere della nocività dell’amianto.
Il Giudice di Bergamo ha accertato per testimoni la massiccia esposizione
ad amianto dei lavoratori (“mangiavamo e dominavamo anche sui teli di
amianto”), la completa assenza di cautele,di mezzi di protezione e
abbattimento polveri, la completa disinformazione dei lavoratori circa la
nocività neoplasica dell’amianto, nonostante fosse nota a livello mondiale
dal 1964, l’incidenza delle morti d’amianto nel reparto PFA di Dalmine
superiore di circa venti volte a quella della popolazione normale. Ha
concluso così per la sussistenza di una colpa penale dei dirigenti della Dalmine,
responsabili di avere provocato la morte dei lavoratori per omissione delle
misure di protezione più elementari, accogliendo le tesi dell’accusa e, per
quanto di ragione della parte civile.
“La sentenza del Giudice di Bergamo è anche particolarmente apprezzabile
poiché avendo motivatamente disatteso i diversi pareri dei consulenti
d'ufficio in base ai principi giuridici sopraindicati ha ribadito
giustamente un principio fondamentale del nostro ordinamento, che il
Giudice è il “Peritus Peritorum””.
4 ottobre 2005
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