24 aprile 2011 - Quando la reazione sta di casa in via Tomacelli. L'articolo de "il manifesto" a firma Carlo Fiorio è un maldestro tentativo di ostacolare la revisione del processo di Aviano. Infatti mescola questioni non attinenti alla sentenza della Corte Costituzionale -la difficoltà o meno di un nuovo giudizio- (affrontando la questione come se si trattasse di revisione per "nuove prove") con la questione sostanziale: va rifatto il processo, e insinua anche una falsa notizia dotata di notevole ambiguità, come se si fosse ottenuto già un risarcimento "congruo". Siccome lorsignori pensano che in Italia si vada tutto per soldi, evidentemente non comprendono la portata delle cose

 

From: Circolo Proletari Comunisti - Venezia Sent: Tuesday, April 26, 2011 8:10 AM Subject: articolo del prof.Fiorio sul manifesto del 24 aprile
sintetico e pulito, con una ambiguità l'articolo sul manifesto uscito il 24 aprile. Quella che Paolo Dorigo non ha mai ottenuto un congruo risarcimento.
L'articolo del prof.Fiorio sul manifesto del 24, è sintetico e pulito, ma dimentica l'aspetto materiale della azione penale ai danni di Paolo Dorigo. 12 anni e 5 mesi di detenzione di cui 11 anni e 5 mesi in carceri speciali, la precedente vita lavorativa ed artistica impedita da 20 anni, una persona di 52 anni che vive ancora sostanzialmente sostenuto dai familiari a causa di un "processo ingiusto", sono la conseguenza anche della mancata revisione, la quale unica, può permettere poi un eventuale risarcimento.
Questo sfugge al prof.Fiorio.
Sono in molti a temere infatti un nuovo processo per l'attentato alla base militare americana di Aviano del 1993.

 

From: Paolo Dorigo - Al Prof.Fiorio - Sent: Tuesday, April 26, 2011 8:24 AM - Subject: grazie di cuore
grazie eh per questo ambiguo articolo di regime
proprio non lo volete il nuovo processo !
e io devo restare sotto tortura a vita !

 

Il manifesto 24-4-2011 - Pag.04 POLITICA & SOCIETÀ - TAGLIO MEDIO di Carlo Fiorio * - DIRITTO&GIUSTIZIA - La Consulta chiude il caso Dorigo 

 

Con la sentenza n. 113, depositata lo scorso 7 aprile, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un caso di revisione della pronuncia di condanna, al fine di conseguire la riapertura del processo per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo. E' una pronuncia di fondamentale importanza, che chiude, almeno per il momento, il dibattito sull'individuazione del rimedio idoneo a garantire un'efficacia interna alle decisioni europee.

La vicenda è quella di Paolo Dorigo, condannato per l'attentato alla base militare di Aviano del 1993. Dopo la condanna definitiva, Dorigo si era rivolto alla Commissione europea dei diritti dell'uomo, la quale aveva accertato il carattere «non equo» del processo celebrato nei suoi confronti, dal momento che la condanna era stata pronunciata sulla base delle dichiarazioni rese da tre coimputati che, in dibattimento, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. La mancanza di un meccanismo interno di riapertura del processo a seguito della decisione europea induceva la Corte di cassazione a dichiarare l'inefficacia dell'ordine di carcerazione emesso nei confronti di Dorigo, disponendone la liberazione.

Parallelamente, Dorigo aveva inoltrato un'istanza di revisione del processo, che conduceva ad una prima questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p. La Consulta, pur dichiarando l'infondatezza della questione (sentenza n. 129 del 2008), invitava il legislatore ad adeguarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che riscontrino violazioni ai principi sanciti dall'art. 6 della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu). 

Ma nell'ambito del giudizio di revisione il dubbio di costituzionalità veniva riproposto sotto un diverso profilo: quello della lesione dell'art. 117 Cost. in riferimento all'art. 46 Cedu, che sancisce l'obbligo degli Stati contraenti di conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea, rimuovendo ogni effetto contrario. E proprio in tale ottica la questione è stata accolta dalla Corte costituzionale, che, contribuendo al definitivo superamento di certi miti che fino a pochi anni fa sembravano ancora immutabili, ha stabilito che l'obbligo di conformarsi alle sentenze pronunciate dalla Corte di Strasburgo non possa dirsi soddisfatto con la concessione di una congrua soddisfazione pecuniaria, ma sia necessaria la riapertura del processo.

Sicuramente apprezzabile quale epilogo della vicenda, la sentenza costituzionale rischia però di sollevare qualche dubbio interpretativo.

La revisione, infatti, è un mezzo di impugnazione straordinario, mediante il quale è possibile rimuovere pronunce irrevocabili di condanna quando, alla luce di circostanze conosciute successivamente al giudicato, esse appaiono frutto di ingiustizia. In relazione alle violazioni della Cedu, però, non si può parlare di un accusato condannato ingiustamente, ma di un imputato processato ingiustamente, e in questo modo la revisione appare eccentrica rispetto alle finalità da raggiungere. 
I moniti rivolti dalla Corte costituzionale al legislatore imporrebbero, pertanto, di rinvenire strumenti diversi, idonei a garantire effettività alle decisioni della Corte europea. A questo riguardo, un rimedio efficace potrebbe essere rinvenuto in una sorta di revisione «speciale», e ciò per una duplice serie di ragioni. 

Da un lato, la difficoltà di tipizzare le difformità riscontrabili dalla Corte europea rischia di trasferire sul giudice interno una complessa - e non agevole - opera di individuazione dei casi in cui la violazione della Convenzione sia tale da determinare l'esito del giudizio. Dall'altro, potrebbe rivelarsi necessaria la rinnovazione degli atti a contenuto probatorio, la cui pregressa assunzione fosse stata accertata come iniqua (nel caso Dorigo, ad esempio, l'escussione in contraddittorio dei coimputati). 

Un simile epilogo, invece, non potrà mai scaturire dalla sentenza n. 113 del 2011, dal momento che la revisione «ordinaria» non spiega, di per sé, effetti invalidanti sul materiale di prova raccolto nel precedente giudizio, dal momento che le «nuove prove», che devono dimostrare la necessità del proscioglimento, vanno apprezzate da «sole o unite a quelle già valutate».

* Docente di Diritto processuale penale dell'Università di Perugia