Il 1 aprile 2007 Antonino dal carcere di S. Michele ci ha
scritto una lettera, arrivata 20 giorni dopo, unita ad un'intervista rilasciata
alcuni anni fa "a dei professori dell'università di Firenze, ai quali
interessava come vivono gli ergastolani". Ci ha lasciati liberi anche
nell'adoperarle, diffonderle, cosa che facciamo senza indugio anche perché,
secondo noi, queste brevi note biografiche di Antonino contribuiscono al
chiarimento di due punti fondanti la necessità della lotta contro il carcere
entro il processo rivoluzionario generale. Il primo riguarda la funzione
violenta del carcere, secondo la quale a chi nasce nei quartieri proletari di
Catania quali S. Berillo o S. Cristoforo, dove è nato Antonino, lo stato
impone attraverso la violenza di cui è capace rapporti di sfruttamento e
marginalizzazione miseri e disgraziati come in poche altre parti del paese. In
questi territori la via per l'inserimento dei proletari nei rapporti legalmente
definiti indica alla loro gran parte una sola direzione: l'ingresso nella
truppa mercenaria - di cui sono parte le guardie delle carceri. Il secondo
punto riguarda l'incessante importanza di lavorare per la prospettiva
rivoluzionaria anche dentro i quartieri proletari, dentro le carceri, affinché
la ribellione alla nullità, ai ricatti, in cui lo stato anche con il carcere
cerca di costringere i proletari, esca dai riferimenti borghesi -
centralità del denaro, del potere individuale e della guerra fra proletari per
primi - per entrare nella prospettiva della rivolta cosciente degli sfruttati,
ai quali, come noi, appartiene anche Antonino.
Tutti sappiamo, ancor più oggi in considerazione della crisi in cui si
dibatte il movimento rivoluzionario, che tali affermazioni sono tanto
importanti quanto vaghe se non trovano consistenza nella verifica della prassi,
della quotidianità. In questo senso la determinazione e l'esperienza accumulate
dai tanti Antonino nati e vissuti nelle carceri, dove hanno sostenuto e
sostengono la lotta per l'esistenza, devono essere conosciute, considerate e
unite a quelle di tutti coloro che lottano contro la società borghese nei suoi
diversi ambiti dentro le sue molteplici contraddizioni. Questo è possibile se
riusciamo a socializzarle, se riusciamo cioè a rompere le barriere esistenti
fra interno e esterno, gettando alle ortiche i luoghi comuni propinati dalla
cultura borghese sulla "delinquenza", sulla "predisposizione
alla criminalità". Il sostegno alla resistenza dei prigionieri, esempio
può essere quanto avvenuto in questi ultimi mesi attorno al lager di S. Michele
(Alessandria), in cui si trova anche Antonino, contribuisce più di mille
discorsi a rompere l'isolamento, a muovere i primi passi nella direzione della
sepoltura di ogni carcere, di ogni stato.
Ecco l'intervista accennata (i puntini di sospensione riportati si trovano
già nell'originale).
Mi chiamo Antonino Faro, sono nato in Sicilia, una terra bellissima, ma in un
ambiente che conserva difficoltà ancora drammaticamente attuali. Provengo da
una famiglia proletaria e numerosa, in tutto fra fratelli e sorelle siamo in
quindici. Dato che non mi sfuggivano le gravi difficoltà finanziarie in cui si
dibatteva la mia famiglia, non avevamo una casa comoda dove abitare, il lavoro
ed il cibo scarseggiavano, intrapresi già da adolescente la strada di violare
la legge commettendo dei furtarelli per procurarmi dei denari. Vedendo il
facile guadagno, la considerai la via migliore per poter aiutare la mia
famiglia.
Già in tenera età incominciai a conoscere il riformatorio ed in seguito il
carcere minorile. Appena maggiorenne commisi reati un po' più gravi e nel 1975
finii in carcere per una rapina. A differenza del carcere minorile l'impatto fu
tremendo, vedevo intorno a me gente perduta, gente votata alla disperazione,
volti anonimi, segnati dalla sofferenza, dalla tristezza, dalla solitudine,
alcuni spenti nella volontà, altri reagivano con cattiveria e violenza. Ora mi
rendo conto quanto sia arduo leggere nell'anima degli uomini in carcere,
penetrare i misteri, prevedere i comportamenti, coglierne la fragilità, la
durezza, i bisogni, ma a quel tempo decisi di reagire e decisi di essere più
cattivo contro tutto e tutti, soprattutto con me stesso. Dopo appena un breve
periodo di detenzione mi trovai coinvolto in un omicidio...
La mia situazione era peggiorata e pensai solo ad evadere, ci riuscii ben tre
volte, l'ultima nel 1975 dal carcere di Catania. Subito dopo, nel carcere di
Fossombrone, commisi un omicidio e due tentati omicidi e visto che erano
accusati degli innocenti mi assunsi le mie responsabilità e presi il primo
ergastolo. In seguito commisi un omicidio pure a Milano. Nel carcere di Novara
durante una falsa rivolta, che fu presa d'esempio da altri, ci fu un
regolamento di conti e fui coinvolto in altri due omicidi e altri due con le
stesse modalità nel carcere di Catania. Poi commisi l'omicidio di Turatello,
boss della mala milanese, nel carcere di Badu e Carros (Nuoro). L'ultimo
ergastolo l'ho preso come mandante di un omicidio nel carcere di Pisa, di cui
rinnego la paternità.
Non ho mai fatto uccidere nessuno da altri, giusto o sbagliato l'ho sempre
fatto io di prima persona. Sono stati numerosi pure i vari sequestri di guardie
e tentati omicidi che ho commesso ecc. Quelli erano anni turbolenti e spesso
per sopravvivere dovevi essere il più cattivo di tutti e dovevi colpire per
primo, o ammazzavi o venivi ammazzato ed io ho sempre preferito la prima
ipotesi. Fui messo nella lista dei killer dei carceri ed entrai nei braccetti
della morte, in seguito aboliti perché erano proprio casse da morto...
Ormai ho cinquat'anni con più di trent'anni di carcere fatto. Sto attualmente
scontando tre anni d'isolamento diurno nel carcere di Badu e Carros.
Sei pentito, ravveduto?
No pentito, ravveduto sì, ma fino ad una decina di anni fa mi consideravo
innocente di essere colpevole, perché mi sentivo figlio di quell'ambiente
violento in cui sono cresciuto. Ho rispettato le leggi e le regole
dell'ambiente carcerario che mi hanno formato e nutrito...
Il primo omicidio l'ho commesso contro me stesso poi sono venuti gli altri.
Cosa pensi dell'ergastolo?
L'ergastolo è contro la natura, non è un deterrente, non migliora l'uomo, non
ha niente di ragionevole e istituzionalizza la vendetta attraverso la
sofferenza, rispondendo alla violenza criminale colla violenza legale. Lo Stato
dovrebbe spiegare prima la funzione della pena e la sua utilità e poi
pretendere che venga espiata e capita. A me nessuno ha mai spiegato nulla,
nessuno mi ha fatto capire dove sbagliavo, mi sentivo come un soldato che era
in guerra e che faceva il proprio dovere rispettando il proprio codice
d'onore...
Cosa ti aspetti dal futuro?
Nulla, il futuro mi appare privo di ogni speranza e salvezza. La vita ormai mi
ha sconfitto, per sempre è sfuggita al mio controllo, addirittura alla mia
comprensione. Ora è troppo tardi, è troppo scarsa la possibilità di influire
sul mio futuro, questo sarà sempre legato al mio passato.
Come passi le giornate?
Attualmente in isolamento diurno, mi sento in un mondo escluso dal mondo umano,
leggo e studio la bibbia. Dio mi ha insegnato a conoscermi e a crescere dentro,
cosa che non ha fatto lo Stato, che mi ha fatto crescere privazioni, torture e
patimenti nell'assenza totale di legalità, giustizia e umanità e ha fatto di me
quel mostro che sono stato.
Pensi un giorno di uscire?
Non credo proprio, la mia situazione è differente dagli altri ergastolani...
Io ho preso diversi ergastoli in carcere ed ora la mia pena parte dall'ultimo
ergastolo che ho preso, la detenzione che ho scontato prima non conta. Sono
consapevole che ho molte probabilità di morire in carcere, allo Stato non
importa che sono cambiato, ma importa a me stesso...
Spero di avere più fortuna nell'aldilà dove ci sarà sicuramente una legge più
giusta, quella divina che giudica equamente, dove non esiste l'ergastolo...
Hai fatto delle lotte in carcere con i brigatisti?
Sì, ho fatto delle lotte con i compagni per un miglioramento della vita
carceraria e ho conosciuto quasi tutti i compagni che in quei momenti
lottavano, mi hanno inserito come simpatizzante di sinistra perché avevo fatto
delle rivolte e delle rivendicazioni a favore dei compagni e vicino a Renato
Curcio, quindi mi ritenevano politicizzato, orientato a favore dei (brigatisti)
come venivano chiamati dai giornalisti o dal potere.
Sono stato uno dei primi ad essere chiuso nei braccetti della morte e
sottoposto all'art. 90, qui ci sono rimasto per 8 anni; poi ho conosciuto il 14
bis e dopo anche il 41 bis per 5 anni; oggi sto ancora facendo l'isolamento
diurno per 3 anni.