19-1-2007

 

Mi è dispiaciuto oggi arrivare giusto in tempo per la sepoltura, ma ho fatto in tempo a trovare la stessa compostezza che vi fu nell’aprile 1979 ai funerali di Angelo Del Santo.

Sto parlando della cerimonia pubblica svolta, tra interventi, lacrime, abbracci e ricordi, tra circa 300 compagni e compagne oramai di molte diverse anime della sinistra di classe e anche non più, presenti ai funerali del compagno Paolo Zabeo.

Le cose che avrei voluto dire, le ho lasciate in una sciarpa, per Paolo, come al tempo in un mazzo di fiori, sulla tomba di Antonietta.

Qui ne dico altre, per tutti i compagni e compagne, sperando che arrivino a molti dei presenti oggi. Aggiungendo anche i saluti ai presenti dell'avvocato e compagno Francesco Piscopo di Milano.

 

Paolo Zabeo, che poi aveva pure un secondo nome, ma non sto a cercar tra gli atti della infame inchiesta contro il Centro di Documentazione ML di Marghera (Guardare Avanti !) ed il Coordinamento dei comitati contro la repressione ed al Bollettino (1985-1986, assolti il 2.10.1991), non lo vedevo più dalla fine del 1992 inizio del 1993, quando anche a Bassano si era allontanato dal Centro Sociale Stella Rossa, che nel Veneto era un riferimento sicuro di classe ed antifascista un po’ per tutti i compagni che cercavano un ambito di movimento autentico. Ma al di là delle sue ultime divisioni, che traspaiono dalla scelta suicida, che rispetto, e dalle parole con cui ha deciso di attuarla (quelle di Pavese, che pure rispetto, ma rispetto alle quali non condivido la pertinenza), Paolo Zabeo era un militante ed un intellettuale che è stato certo per oltre 20 anni (moltissimi) al servizio della classe operaia e del proletariato.

Con contenuti anche suoi, che portavano alle estreme conseguenze intellettuali il portato dell’autonomia operaia fin dentro il cuore del plusvalore, la quintessenza del potere, la scienza, anche riferendosi e confrontandosi con temi ed argomenti che compagni anche preparati ma meno specificamente preparati, come me, faticavano a comprendere nella sua concezione.

Una concezione tuttavia comprensibile e stimolante al dibattito laddove affermava la impellenza e ineluttabilità della crisi generale capitalista nella sua fine ed agonia che corrispondeva al massimo stadio dello sviluppo scientifico.

Un tema su cui ci dividevamo, io già guardavo al Sud del mondo, lui al cuore del sistema, come pertinente ago della bilancia.

Su questo, credo, è morto Paolo. Deve aver compreso che non è ineluttabile ed automatica quella rivoluzione che un certo modo di pensare ci portava a considerare vicina, e deve essere stato troppo stanco per passare un periodo di verifica nella classe (una classe che forse per lui non aveva più identità, non c’era più come classe), in cui costruire, con una linea di massa adeguata e pratica (non dogmatica né microscopicamente settaria), dei passaggi di maturazione.

Quando lo vidi per l’ultima volta, il suo cane stava per morire. Vi era attaccato moltissimo. Era simpatico come viveva il rapporto col suo cane.

In precedenza l’avevo conosciuto a Padova, ed eravamo anche andati a passeggio per Venezia, che poi era pure la sua città d’origine, e dove suo zio stava a pochi metri da dove stava mio padre.

Ma la cosa più simpatica fu quella discussione su mastelloni e ganzer che facemmo durante la prima ed ultima udienza del processo al Bollettino succitato; eravamo al ristorante vicino alla famigerata aula bunker di Mestre, e mangiavamo due pizze credo in attesa della ripresa dell’udienza. Dopo un po’ che eravamo entrati, arriva la giuria al completo, e ovviamente noi non ci scomponemmo, e continuammo la nostra conversazione. Che forse li aiutò a prendere la giusta (ogni tanto capita) decisione di assolverci senza nemmeno processarci. Nel senso che assistettero ad una simpatica discussione tra luminari del diritto dal punto di vista di chi sta dietro le sbarre.

E fu dietro le sbarre che lo vidi qualche volta prima che lo portassero all’ospedale a Padova, quando fu in sciopero della fame nel giugno-agosto 1985. Era diventato piccolino come un topolino, simpaticissimo e intelligentissimo e soprattutto affettuosissimo compagno.

Un ricordo che non si è assopito, una volta tanto, per delle divisioni di linea politica.

Addio Compagno.