E’ capitato in un commissariato a un anarchico di 27 anni
Costretto a spogliarsi, poi botte e insulti. Non sarebbe la prima volta

Catania, sotto choc
dopo il fermo di polizia

di Checchino Antonini

Tre ore in un commissariato di Catania. Tre ore d’inferno. Botte sulla
schiena, insulti. E alla fine, dopo essere stato costretto a spogliarsi, una
pistola appoggiata sullo sfintere. «Ti piace, frocio?». Sembra che a fare
incazzare di più i ”tutori dell’ordine” sia una scritta tatuata:
”Carlo vive”. Chi pesta è convinto che «abbiamo fatto bene ad
ammazzarlo». Qualcuno adesso storcerà il naso per un racconto così diverso
dalle fiction piene di poliziotti buoni e corretti. Ma se fosse andata proprio
così? E in un periodo dell’anno in cui arrivano i nuovi calendari, si provi
a immaginare un pestaggio compiuto proprio con un almanacco di quelli sistemato
sulla schiena del malcapitato per non lasciare segni. Botte, pare, con la
paletta d’ordinanza messa di taglio. E i pollici sotto le ascelle a premere
sui nervi per fargli tenere le spalle ben alzate. Così viene riferito a
Liberazione, che, intanto, ha fatto rimbalzare la storia ai gruppi parlamentari
del Prc per un’interpellanza. Comunque, al pronto soc- corso i segni li hanno
trovati, eccome. Ce lo ha portato di corsa un compagno avvocato che aveva
passato il pomeriggio a cercarlo. Catania. Città dei ”Cavalieri del
lavoro”, città di destra, dove un dirigente della ragioneria comunale è
inquisito per mafia, con la polizia che lascia correre, chiudendo tutti e due
gli occhi, rispetto alle aggressioni fasciste. Città in cui un partito,
l’Udc, che ha il record di inchieste per collusioni con la mafia, è il
partito di Cuffaro, ha un chiodo fisso: far chiudere i due centri sociali
rimasti, l’Auro e l’Esperia. Città in cui un ventisettenne, disoccupato,
cammina nel primo pomeriggio di un qualsiasi lunedì. Via dei Crociferi, centro
città, strada di pub. Il ventisettenne è un anarchico conosciuto, cresciuto in
un quartiere popolarissimo, da una famiglia problematica. La volante lo vede,
accosta. «Tu qua non ci puoi stare perché sei una merda, uno schifoso». Chi
vede il ”prelevamento” avverte subito altri attivisti che iniziano il giro
delle ”sette chiese”, tra i commissariati, per capire cosa stia succedendo.
Più di tre ore dopo il mistero sembra sciogliersi. Dal Commissariato di
S.Cristoforo viene riferito che è stato rilasciato ma è indagato per il
possesso di un martelletto rompivetri che, comunque, non sarebbe proibito a
chi, come lui, non abbia mai avuto a che fare con reati specifici contro il
patrimonio. Ma il ventisettenne, ex cameriere, è sotto processo per un altro
reato: il lancio di una molotov contro il muro di una caserma dei carabinieri
alla vigilia di una manifestazione antifascista. “Forza Nuova” aveva
annunciato sfracelli contro l’aborto. Il clima non era dissimile da quello
attuale. Nessuno sa se davvero sia stato lui, mica l’hanno colto in flagranza
ma si cerca di cucirgli addosso l’accusa gravissima di terrorismo. Però il
processo va a rilento. Qualcuno forse avrebbe preferito una condanna rapida.
Così, secondo il racconto fatto a Liberazione sarebbe iniziata una vera e
propria persecuzione. Non sarebbe la prima volta, infatti, che Giuseppe diventa
”desaparecido”. Molto probabilmente anche l’ultimo lavoro l’ha perso per
la presenza invasiva degli inquirenti.
Arduo stabilire il confine tra la persecuzione e la reale attività
istruttoria. Ora il ventisettenne, protagonista suo malgrado di questa storia
cilena, o forse sarebbe più giusto definirla genovese, è sotto choc.
Sconvolto. Chi ha raccolto il suo terrificante racconto, dunque, lo ha trovato
in lacrime e lo ha portato in ospedale dove gli sono state riscontratate
contusioni sul fondoschiena e sul costato, lividi, tensione muscolare proprio
in corrispondenza dei punti dove sarebbe stato pressato per tenere la schiena
dritta. E ora piscia pure sangue quel ragazzo che dice di essere stato
picchiato gratuitamente, senza che abbia neppure provato a opporre resistenza.
Che ci siano state percosse nell’incontro ravvicinato con alcuni agenti,
stando al referto del pronto soccorso, non ci sarebbero dubbi. Non c’è
bisogno neppure
della denuncia, viene spiegato, perché il reato è di quelli perseguibili
d’ufficio. Per un attivista locale di Rifondazione, che è anche
avvocato, è, ormai «la fine di ogni diritto». «Gl’è andata meglio che a
Federico Aldrovandi – commenta Haidi Giuliani, senatrice del Prc - ha ragione
l’avvocato: se si continuano a tollerare certi atteggiamenti è la fine di
ogni diritto. Come si fa a chiedere a tutti i ragazzi
senza la divisa, compreso il ventisettenne catanese, che bisogna rispettare le
leggi, quando ci sono dei tutori dell’ordine che sono i primi a
offenderle?».

Da “Liberazione” del 21-12-06