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Estratto
da Appunti di lettura de La Nuova Bandiera n.1, 15 maggio 2006
CINA VERSUS U.S.A.
Sono d’accordo,
l’imperialismo principalmente USA non è solo USA, Europa, Giappone, Cina, Russia,
Australia, israele*, Turchia, Pakistan, India, perseguono anch’essi politiche
imperialiste.
Vi sono poi paesi capitalisti
arretrati a dittatura spietata, come Indonesia, Birmania, ecc., con i quali non
si capisce come certi antimperialisti a parole possano dirsi solidali perché
“antiamericani”. Vi sono talmente tanti casi nel passato di paesi dove si
massacravano i comunisti (come in Irak, dove beninteso certi islamisti non è
che non cerchino di ammazzare i compagni, solo questo passa in secondo piano
perché c’è la guerra agli americani) che erano anti-americani, ma questo non
significava certo che difendessero gli interessi dei loro popoli. I diritti umani, al di là di essere
sul piano generale il terreno più alto di scontro totale (politico, militare,
economico, culturale, psichico, repressivo, sociale) tra il capitalismo allo
sfacelo e la prospettiva comunista attraverso la realizzazione del socialismo
in tutto il pianeta dopo lunghe rivoluzioni quale trampolino sociale mondiale
per il comunismo (che per definizione marxiana non può che essere mondiale) ,
sanciscono il livello di contraddizione su cui la stessa lotta di classe sul
piano nazionale si attesta. Non a caso la UE è una cosa, con i suoi progetti
più o meno giudaico-sciovinisti che siano, e il Consiglio d’Europa, una sorta
di ONU europea, è un’altra cosa. In sede di CE, sono possibili contraddizioni
che in sede UE non sono possibili. La Cina non ha una realtà analoga, e questa
è la sua debolezza, è troppo grande. Ma proprio perché il socialismo in Cina
era andato più avanti, ha subito una maggiore repressione neorevisionista.
Tuttavia il maoismo in Cina non è mai morto, ed è presente ovunque nelle
rivolte contadine, nelle lotte operaie, nelle contestazioni studentesche, tanto
che si mettono in carcere i compagni solo perché criticano le cricche del
partito con dei volantini inneggianti a Mao Tse-Tung.
La guerra imperialista, che i
comunsiti autenticamente conseguenti prevedevano come vicina nel tempo, già
negli anni ’80, un decennio dopo l’inizio della seconda crisi generale del
capitalismo imperialista, è una realtà sin dal 1991, ma in qualche modo i paesi
imperialisti non si sono certo uniti con questa guerra (Irak, Somalia,
Jugoslavia, Afghanistan, Irak, estensione virtuale del conflitto in Palestina
ed in Kurdistan alle stanze dei bottoni italiane, americane, inglesi, francesi,
tedesche, ecc.), pur impegnandovi i propri eserciti, peraltro con compiti e
zone in genere diverse e non con truppe miste (e non a caso, essendo guerre di
predoni e non certo di liberazione).
In campo scientifico e
militare la Cina sta risalendo la china anche se gli USA mantengono il
predominio, in pratica la Cina revisionista sta rifacendo gli errori di
competizione con l’imperialismo dell’URSS revisionista post-1955. Non sono
certo solo questi due paesi comunque a coltivare segretamente le proprie armi
biologiche e tecnologiche militari al riparo dalla propria opinione pubblica
(israele ne è un esempio calzante), specie quelli legati al colosso USA.
La guerra inter/imperialista
potrà in effetti sfociare in un conflitto generale di fronte ad un aggravamento
della crisi tale da impedire ai fasti del New Global Order anche solo di
incontrarsi per la spartizione dei mercati e delle aree di influenza, ma
potrebbe anche arrivare di fronte a delle rivoluzioni in paesi imperialisti.
Anni fa dei compagni dicevano che la indipendenza del Sud Africa avrebbe
scatenato la crisi ad un livello tale da rovesciare il mondo. Partivano da una
considerazione corretta dell’importanza del Tricontinente, ma al solito per i
soggettivisti, forzavano i tempi, e confondevano indipendenza nazionale e
rivoluzione classista. Brasile ed Argentina si reggono su un filo di spada, il
capitale ha concesso in Brasile al PT la prova del governo, solo perché
l’acutizzazione della crisi e della dipendenza finanziaria sono giunti tanto
oltre da rendere impossibile il governo infame del paese al
centrodestra. Una volta che salteranno le economie dell’America Latina, l’Asia
non potrà salvare gli imperialisti come oggi avviene grazie alla Cina, alle tigri
asiatiche e a diverse dittature borghesi e feudali. Allora è probabile che
si scatenerà una guerra mondiale, e forse la faranno prima che le rivoluzioni
in corso nel Tricontinente in diversi paesi, le lotte di indipendenza nazionale
strategiche (Palestina, Kurdistan) nonché le altre, il conflitto in conrso in
Medio Oriente, abbiano attestato una forza dirompente tale da rovesciare esse
stesse l’imperialismo. Ma questo era già stato previsto sin dal 1998 dalla NATO,
e le intenzioni dell’imperialismo americano del resto erano già chiare nel 1983
(Grenada) e nel 1986 (Libia), per esplodere poi nella loro chiarezza con la
fine del revisionismo nei paesi a dominanza socialimperialista (e non “sovietica”,
che i Soviet erano oramai morti e sepolti, quantomeno come potere reale).
Infatti la crisi economica americana era eclatante già negli anni ’80, e le
numerose importanti banche che fallivano, a 100-200 all’anno, richiedevano
spesso l’intervento della Federal Reserve Bank, per arrivare all’ottobre 1987,
così simile a quello del 1929, e ai crolli successivi, evitati ora solo con
l’acutizzarsi della guerra imperialista, che porta giocoforza capitali nelle
mani sbagliate (in Borsa) ed impoverisce i popoli e la gente comune, anche non
proletaria, dei paesi imperialisti.