RICORDO DI CARLO PULCINI

Verso la fine di marzo del 1992 per l’ultima volta Carlo fu visto, nell’esile corpo che rimaneva, da molti compagni che poterono accorrere a Torino, dov’era in sospensione pena, per i suoi funerali. La bara fu chiusa con cacciaviti elettrici da silenziosi lavoratori, e preparammo il drappo dei compagni prigionieri, ricordo il cerchio venne perfetto o quasi, senza ripassi, e la stella dentro quel cerchio era colma di problemi e difficoltà che all’epoca da soli 10 anni, oramai da oltre 20, il movimento rivoluzionario attraversava.

Non è ciò che conta qui, ricordare Carlo significa ricordare la bonarietà e la semplicità del lavoratore proveniente dalla campagna laziale, che incontra il movimento proletario a Roma e nel sud, e con questo inizia un percorso che lo porta alla lotta armata.

Carlo era stato imprigionato due volte, una per reato associativo (processo per l’omicidio del procuratore Giacumbi a Salerno), uscendo poi se mi ricordo bene dei suoi racconti in ospedale, per decorrenza termini, un’altra nell’ambito delle operazioni controrivoluzionarie che nel 1988 portarono pesanti colpi alle Br-pcc.

In carcere si era qualificato come militante rivoluzionario nei documenti collettivi dei processi cui partecipò, questa era una modalità di rappresentare il militante che si dispone a lavorare con le Br-pcc ma non ne era ancora ammesso per motivi di tempo necessario alla omogeneità politica collettiva.

Con la militanza clandestina, come spesso accade, aveva perso il rapporto con una sua compagna. Sul letto d’ospedale, dopo un’operazione che gli darà qualche mese ancora di vita, si fa problemi a darle disturbo, a che qualcuno la cerchi, anche se vorrebbe vederla.

A Cuneo aveva iniziato a stare male ai polmoni verso maggio-giugno 1991, ma la radiografia, pur riscontrandosi una grande macchia al centro dei polmoni, viene sottovalutata. Solo verso novembre sviene ed un compagno riesce ad ottenere che venga immediatamente ricoverato, in detenzione.

Lo incontro con la scorta dei cc dopo la telefonata della sorella di un altro militante prigioniero, e gli porto la solidarietà mia e dei compagni dell’ASP, ribadendo la disponibilità del Bollettino a dare spazio ad approfondimenti e dibattiti e non solo a documenti processuali. In realtà non tornerà in carcere. I carabinieri se ne vanno, ricordo, 10 minuti prima di questo discorso, arrivata insieme a me e Clara, la scarcerazione in sospensione pena.  Clara ci colpirà tutti noi compagni presenti per come si pone subito dopo l’operazione, esigendo che gli diano una stanza decente.  Ricordo la sua protesta, con il mio consenso, come una forma di rivoluzione culturale rispetto all’atteggiamento più passivo di altre/i compagne/i, come impauriti di metter subbuglio.

Carlo non ha peli sulla lingua anche su chi viene a trovarlo, con me scherza, e prendo sotto gamba un suo consiglio.Errore.

Ma non lo fa per malizia, come accade in molte sedi di “movimento” e non solo, ma lo fa per metodo. Non è un militante pomposo o libresco, è estremamente umano e fraterno. Per una notte tiene il telefono cellulare che mi portavo dietro per lavoro, e parla con i familiari che non sentiva da anni.  Così poi conosciamo suo fratello, un lavoratore agricolo proletario, ancora quella semplicità che è propria del meridione e che spesso ci spiazza, e ci insegna.

Carlo ci fa pochi racconti di epiche storie, non è vanesio, non è stato mai attaccato da altri che dallo stato e non ha il problema di affermare la propria autostima, è triste ma regge, soffre i dolori atroci del tumore ma riesce a non pesare. Nei pochi mesi successivi i compagni e compagne che gli danno assistenza, soprattutto la compagna di un altro militante prigioniero, vivono con lui momenti e giornate fraterne. Carlo fu come uno squarcio in un cielo terso di repressione e di tradimenti, in un cielo oscuro di guerra imperialista e di censure e silenzi. Da lì ripartì il movimento di solidarietà ai prigionieri, oltre i comunicati, anche se sotto il livello di necessità, soprattutto nella preparazione politica dei compagni rispetto alla fase che si viveva, che non era più quella degli anni ’70 e non era ancora quella delle manifestazioni per Apo, anche se esistevano movimenti “per la pace” e i primi centri sociali antagonisti dopo gli anni ottanta.

Carlo mi raccontò un sogno, che tengo per sempre nel cuore, e che riportai ai compagni/e presenti ai funerali, altre parole non dicemmo, tanta era l’emozione davanti a quella bara che calava nella terra.

“Cancelli chiusi in mezzo al mare”. Ancora oggi, cancelli da scardinare !

Paolo, 26 ottobre 2005

 

 

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