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DETENUTI collaborazionisti del due palazzi DISCUTONO con il regime infame borghese della tortura e della controrivoluzione permanente, LA RIFORMA DELLE CARCERI

Repubblica — 03 febbraio 1987   pagina 16   sezione: CRONACA

PADOVA Chiediamo che non ci venga tolta la speranza. Una speranza per chi può anche aver commesso dei tragici errori, in un passato dal quale deve essere concessa la possibilità di distaccarsi. Manlio Calderini, un maglione marrone sopra i jeans, è un bel ragazzo biondo. Non avrà più di trent' anni. E' stato condannato a 26 anni di carcere per il sequestro e l' omicidio del direttore del petrolchimico Montedison di Porto Marghera Giuseppe Taliercio, trucidato nell' 81 dalle Brigate rosse. La fase del terrorismo e dell' emergenza ha riportato indietro le tendenze progressiste del paese dice e le risposte sono state emotive, non razionali. Si è lasciato spazio ad una crociata conservatrice, e così è venuto meno il consenso sull' applicazione della riforma carceraria. La piccola sala bianca, dipinta di fresco del carcere padovano di via Due Palazzi, un edificio in mattoni rossi in mezzo ai campi, trabocca di gente. Per partecipare al convegno promosso dal Comune di Padova e dalla Regione Veneto sul tema Presente e futuro della riforma penitenziaria, sono venuti direttori di carceri, giudici di sorveglianza, magistrati e avvocati, assistenti sociali, imprenditori e sindacalisti, amministratori, politici e giornalisti. I detenuti (150 in tutto, di cui 40 in stato di semilibertà) occupano le sedie della parte destra della sala, gli ospiti l' altra metà. Sono prodighi di applausi anche per il loro direttore, Oreste Velleca, quando dice che il convegno è nato da una loro proposta, e che l' hanno preparato con assemblee e riunioni per avere un confronto diretto con la realtà esterna. Questo incontro è per noi un evento importante, innovativo. Vi ringraziamo tutti dice l' ex terrorista Roberto Vezzà, anche lui condannato a 26 anni per l' omicidio Taliercio e vi preghiamo di accogliere le nostre critiche non in senso polemico ma in senso propositivo. Silvano Maritan, detenuto in attesa di giudizio per spaccio di cocaina, si spinge anche più in là e dice che nel carcere di Padova si sta abbastanza bene. Denuncia invece le situazioni indecenti di altre carceri come Venezia, di cui i detenuti chiedono la chiusura, Vicenza e Treviso. Dei nostri problemi parla sempre gente che non ha mai visto un carcere, che non lo ha mai vissuto. Non ci interpellano mai dice un altro detenuto. I detenuti chiedono strutture adeguate per applicare interamente la riforma, vogliono più rapporti e relazioni con il mondo esterno, chiedono la modifica del regime di sorveglianza particolare, contestano l' elevato numero di detenuti in attesa di giudizio (più del 60 per cento), difendono l' istituto dei permessi sostenendo che sui quattromila finora accordati in tutta Italia, solo 22 detenuti, meno dell' uno per cento, non sono più rientrati in carcere. Le risposte che ricevono sono di varia natura. Mario Gozzini, senatore della Sinistra indipendente, uno degli ispiratori della legge, sostiene il tramonto dell' illusione che il carcere serva a rieducare. L' obiettivo è di far sì che il carcere non sia moltiplicatore di delinquenza dice e per questo è molto più importante la responsabilizzazione della società e la partecipazione della comunità esterna alla vita dei detenuti. Sulla stessa linea è anche la direttrice di Rebibbia, Maria Pia Frangiamore: Noi il carcere l' abbiamo già aperto, abiamo formato cooperative di lavoro, coi sindacati abbiamo anche messo in piedi una sorta di ufficio di collocamento per aiutare i detenuti a trovare un lavoro una volta usciti. Ma la struttura carceraria è inefficiente, non risocializza nessuno. Il carcere è ormai solo un alibi di difesa sociale. Secondo Massimo Pavarini, docente di diritto penitenziario all' Università di Bologna, non è con le misure alternative che si può sperare in una diminuzione della popolazione carceraria. Anzi, si corre il rischio che a fronte di una maggior disciplina nelle carceri si verifichino un aumento delle pene e una crescita eccessiva del potere discrezionale del giudici. Meglio così che andare avanti con gli arbitrii amministrativi del passato replica Cesare Maisto giudice di sorveglianza a Milano. Il grosso nodo ancora da sciogliere, però, è quello dell' adeguamento degli organici, che sono ridottissimi. Celso Coppola, funzionario del ministero di Grazia e giustizia, promette che il problema sarà risolto e annuncia l' apertura di case di semilibertà. I detenuti lo applaudono. - ROBERTO BIANCHIN