PADOVA Chiediamo che non ci venga
tolta la speranza. Una speranza per chi può anche aver
commesso dei tragici errori, in un passato dal quale deve essere concessa la
possibilità di distaccarsi. Manlio
Calderini, un maglione marrone sopra i jeans, è un bel ragazzo biondo. Non avrà più di trent' anni.
E' stato condannato a 26 anni di carcere per il sequestro e l'
omicidio del direttore del petrolchimico Montedison
di Porto Marghera Giuseppe Taliercio,
trucidato nell' 81 dalle Brigate rosse. La fase del terrorismo e dell' emergenza ha riportato indietro le tendenze
progressiste del paese dice e le risposte sono state emotive, non razionali. Si
è lasciato spazio ad una crociata conservatrice, e così è venuto meno il
consenso sull' applicazione della riforma carceraria. La piccola sala bianca, dipinta di
fresco del carcere padovano di via Due Palazzi, un
edificio in mattoni rossi in mezzo ai campi, trabocca di gente. Per
partecipare al convegno promosso dal Comune di Padova e dalla Regione Veneto
sul tema Presente e futuro della riforma penitenziaria, sono venuti direttori
di carceri, giudici di sorveglianza, magistrati e avvocati, assistenti sociali,
imprenditori e sindacalisti, amministratori, politici e giornalisti. I detenuti
(150 in tutto, di cui 40 in stato di semilibertà) occupano le sedie della parte
destra della sala, gli ospiti l' altra metà. Sono prodighi di applausi
anche per il loro direttore, Oreste Velleca, quando
dice che il convegno è nato da una loro proposta, e che l' hanno preparato con
assemblee e riunioni per avere un confronto diretto con la realtà esterna. Questo
incontro è per noi un evento importante, innovativo. Vi ringraziamo tutti dice l' ex terrorista
Roberto Vezzà, anche lui condannato a 26 anni per l'
omicidio Taliercio e vi preghiamo di accogliere le
nostre critiche non in senso polemico ma in senso propositivo. Silvano Maritan,
detenuto in attesa di giudizio per spaccio di cocaina,
si spinge anche più in là e dice che nel carcere di Padova si sta abbastanza
bene. Denuncia invece le situazioni indecenti di altre
carceri come Venezia, di cui i detenuti chiedono la chiusura, Vicenza e
Treviso. Dei nostri problemi parla sempre gente che
non ha mai visto un carcere, che non lo ha mai vissuto. Non ci
interpellano mai dice un altro detenuto. I detenuti chiedono strutture
adeguate per applicare interamente la riforma, vogliono più rapporti e
relazioni con il mondo esterno, chiedono la modifica del regime di sorveglianza
particolare, contestano l' elevato numero di detenuti
in attesa di giudizio (più del 60 per cento), difendono l' istituto dei
permessi sostenendo che sui quattromila finora accordati in tutta Italia, solo
22 detenuti, meno dell' uno per cento, non sono più rientrati in carcere. Le risposte che ricevono sono di varia natura. Mario Gozzini,
senatore della Sinistra indipendente, uno degli ispiratori della legge,
sostiene il tramonto dell' illusione che il carcere
serva a rieducare. L' obiettivo è di far sì che il carcere non sia
moltiplicatore di delinquenza dice e per questo è molto più importante la responsabilizzazione della società e la partecipazione
della comunità esterna alla vita dei detenuti. Sulla stessa linea è anche la direttrice di Rebibbia,
Maria Pia Frangiamore:
Noi il carcere l' abbiamo già aperto, abiamo formato cooperative di lavoro, coi sindacati abbiamo anche
messo in piedi una sorta di ufficio di collocamento per aiutare i detenuti a
trovare un lavoro una volta usciti. Ma la struttura
carceraria è inefficiente, non risocializza nessuno.
Il carcere è ormai solo un alibi di difesa sociale. Secondo Massimo Pavarini,
docente di diritto penitenziario all' Università di
Bologna, non è con le misure alternative che si può sperare in una diminuzione
della popolazione carceraria. Anzi, si corre il rischio che a fronte di una
maggior disciplina nelle carceri si verifichino un
aumento delle pene e una crescita eccessiva del potere discrezionale del giudici.
Meglio così che andare avanti con gli arbitrii amministrativi
del passato replica Cesare Maisto giudice di sorveglianza a Milano. Il
grosso nodo ancora da sciogliere, però, è quello dell' adeguamento
degli organici, che sono ridottissimi. Celso
Coppola, funzionario del ministero di Grazia e giustizia, promette che
il problema sarà risolto e annuncia l' apertura di
case di semilibertà. I detenuti lo applaudono. - ROBERTO BIANCHIN